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Se la rivoluzione linguistica parte dalla Segretaria

Se la rivoluzione linguistica parte dalla Segretaria

Il PD ha una nuova Segretaria. Di partito.

La novità non riguarda solo il volto di chi la incarna, ma anche e soprattutto il cambiamento che sta prendendo atto in termini linguistici. Perché se prima la parola “segretaria” al femminile aveva una connotazione puramente stereotipata legata all’essere l’assistente di qualcuno, oggi viene – finalmente – sdoganata un’altra accezione. Perché se il Segretario di un partito porta con sé il tema della leadership, non può accadere la stessa cosa anche per la sua declinazione al femminile?

Come spiega la linguista Vera Gheno nel suo libro “Femminili singolari. Il femminismo parte dalle parole”: “È assolutamente vero: la segretaria fa pensare istintivamente a un lavoro meno blasonato del segretario, come la direttrice di un direttore (non a caso, alcune donne “al comando” si fanno chiamare direttora), la maestra di un maestro come direttore d’orchestra. Ciononostante, queste connotazioni possono essere cambiate dall’uso. Il giudizio che diamo istintivamente su queste parole è quasi come un riflesso pavloviano, non del tutto cosciente: un automatismo linguistico dovuto a un pre-giudizio che quasi non passa dal giudizio raziocinante.”

Ma non solo. Spesso ci nascondiamo dietro al muro della cacofonia, ovvero quell’effetto sgradevole provocato dagli accostamenti strani delle sillabe che ha la peculiarità di creare un suono fastidioso. Ma vi svelerò un segreto: ci risulta cacofonico tutto ciò che il nostro orecchio non è abituato ad ascoltare. “Ministra o sindaca, non si possono sentire!” è l’affermazione più comune, ma in realtà quelle parole rappresentano una novità per il nostro udito e pertanto è necessario più tempo per metabolizzarle ed inserirle nel nostro vocabolario. Lo stesso concetto vale per quelle professioni che rimandano l’attenzione a parole antipatiche. “Non voglio essere chiamata architetta perché volgare!”, mi disse una volta una ragazza, come se le tette rappresentassero una parola illecita, inammissibile. Da domani allora bandiamo anche l’uso di “pene d’amore” perché decisamente troppo peccaminoso come modo di dire.

La verità è che come non ci sconvolge l’uso delle parolacce, lo stesso dovrebbe accadere anche per l’utilizzo di un linguaggio più inclusivo, dove una – a faccia la differenza per garantire l’uguaglianza di opportunità, anche nel mondo del lavoro. Solo utilizzando termini, pronomi e frasi che siano sensibili alle questioni di genere, si può raggiungere l’obiettivo di creare un ambiente più equo e rispettoso per tutte le persone, indipendentemente dal loro sesso o dalla loro identità.

Di fronte all’elezione di Daniela Bianchi come Segretaria il tema è stato dibattuto anche nel Consiglio di FERPI, arrivando abbastanza velocemente ad una conclusione: una federazione di comunicatori non può far altro che sposare la causa, prendendo parte a questa rivoluzione linguistica, perché le parole sono importanti, ci servono a concettualizzare la realtà per guardarla con occhi nuovi, magari diversi.