Competenze digitali: che cosa sono e perché servono alle aziende e a chi lavora
Nel prossimo futuro 9 lavori su 10 richiederanno competenze digitali, dice uno studio dell’Unione europea. In Italia, tra ottobre e dicembre 2022, si prevedono più di 40mila ingressi nelle aziende di professionisti STEM (“Science, technology, engineering and mathematics”, le discipline scientifico-tecnologiche), rileva il Bollettino di Unioncamere – ANPAL, Sistema Informativo Excelsior. Nel 2021 i lavoratori con competenze digitali hanno visto aumenti in busta paga in media dell’1,8%, si legge in un’indagine dell’Unione Industriali di Torino. Eppure, secondo il Digital Skills Index di Salesforce, l’86% dei lavoratori italiani sostiene di non avere le competenze digitali che le aziende cercano oggi: percentuale che sale all’87% per i prossimi cinque anni. Sempre secondo Unioncamere – ANPAL, solo ad ottobre 2022 la difficoltà di reperimento di professionisti STEM superava il 50%. In generale, in Europa, esiste il problema della “web vacancy“, carenza di personale con competenze digitali: entro il 2030 ne serviranno 20 milioni.
Ma cosa sono esattamente le competenze digitali? Vediamolo insieme.
Competenze digitali: coltivarle sarà indispensabile
Quasi metà dei lavori svolti attualmente nel mondo entro qualche anno potranno essere eseguiti in tutto o in parte da macchine. Milioni di posti andranno persi, altri milioni se ne creeranno, ma è altamente probabile che quelli nuovi saranno più qualificati, mentre quelli andati persi saranno per lo più impieghi a bassa qualificazione. Non solo: esisteranno (e già esistono) professioni che ancora non conosciamo bene o che non siamo in grado nemmeno di concepire. Per questo sarà sempre più importante lavorare per formare, coltivare e aggiornare costantemente le competenze digitali, o digital skills. Il termine si riferiva inizialmente alla capacità di saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione, ma con la crescente affermazione della trasformazione digitale ha acquisito un significato più ampio e articolato. Le competenze digitali sono un vasto insieme di abilità tecnologiche che consentono di individuare, valutare, utilizzare, condividere e creare contenuti utilizzando le tecnologie informatiche e Internet. Possono spaziare dalle competenze di base come l’uso del computer a quelle più specifiche ed evolute come la creazione di codice o lo sviluppo di sistemi software per l’intelligenza artificiale. Essendo il mondo della tecnologia in costante evoluzione, anche le competenze digitali cambiano continuamente e sono destinate a mutare con rapidità negli anni.
“Digital skills non significa solo competenze tecniche, anzi – sottolinea Laura Cavallaro, Partners di P4i, società del Gruppo Digital360 che si occupa di Innovazione e Trasformazione Digitale. “Digital Skill significa sempre più comprendere la complessità dell’ambiente in cui lavoriamo, gestire con flessibilità le sfide di un contesto in continuo cambiamento e saper sfruttare il digitale come leva per supportare il business. La capacità di innovare, di pensare al di fuori degli schemi, inoltre, sono skills necessarie per guidare il cambiamento imposto dal digitale”.
Digital skills: Italia tra gli ultimi in Europa
L’Italia è in posizione arretrata in Europa per quanto riguarda le competenze digitali: quint’ultima nella classifica delle digital skills, con oltre il 50% della popolazione attiva che ne è privo, dice un rapporto presentato a febbraio 2021 dalla Corte dei Conti Ue. Dal documento emerge che nel 2019 più di 75 milioni di cittadini europei in età lavorativa (cioè il 35% del totale) non possedevano competenze digitali di base.
Secondo il Digital Skills Index di Salesforce – indagine sul livello delle competenze digitali nel mondo del lavoro che si basa sulle risposte di oltre 23.000 lavoratori in 19 paesi, tra cui oltre 1.300 dall’Italia – il nostro Paese è al di sotto della media globale. Il punteggio globale complessivo del Salesforce Index per la preparazione digitale – valutato in termini di preparazione, livello di abilità, accesso e partecipazione attiva all’aggiornamento delle competenze digitali – è infatti attualmente di 33 su 100: un divario in generale molto ampio. Ma l’Italia va peggio della media degli altri Paesi, con un punteggio di 25.
Un fenomeno ancora più preoccupante se si tiene conto che, a causa della pandemia, l’uso di strumenti digitali è richiesto per oltre il 90% dei posti di lavoro. Eppure, secondo Unioncamere, per lavorare nelle imprese in Italia le competenze digitali sono richieste per 7 assunti su 10, pari a 3,2 milioni di lavoratori. Tuttavia il 28,9% di questi profili, ovvero circa 940mila posizioni lavorative, è difficile da reperire per inadeguatezza o ridotto numero di candidati. Il risultato è spesso una carenza di competenze digitali per le piccole e medie imprese (pmi). Il problema riguarda l’intera Europa: in totale sono nove milioni gli specialisti oggi impiegati nel digitale, ma l’obiettivo è averne 20 milioni entro il 2030. Il 13 ottobre 2022 sono stati presentati i primi bandi del Fondo per le Repubblica Digitale, che ha una dotazione di 350 milioni di euro. Un’opportunità per chi fa formazione nel settore.
“Essere digitali” aumenta le retribuzioni
Tuttavia, per guadagnare di più, è importante essere digitali. Stando a un’indagine retributiva dell’Unione Industriali di Torino, realizzata in collaborazione tra dodici associazioni del Nord aderenti a Confindustria – che nel 2021 ha coinvolto 800 imprese con 60.000 dipendenti – il lavoro digitale aumenta le retribuzioni: mediamente un giovane che fa il suo ingresso nel mondo del lavoro forte di un curriculum con competenze digitali, guadagna 32.000 euro all’anno contro i 30.000 di un pari età “analogico”.
Competenze digitali e pandemia: cosa ha fatto il governo, cosa è successo alle professioni
Lo scoppio della pandemia da Covid-19 ha portato a un’accelerazione senza precedenti nella digitalizzazione dei processi: volenti o nolenti, gli italiani si sono ritrovati a usare piattaforme tecnologiche per le conversazioni e il lavoro a distanza e per la didattica a distanza, a ordinare i pasti o la spesa online, a fare acquisti su piattaforme di ecommerce. Improvvisamente le competenze digitali, perlomeno quelle di base, sono diventate un requisito indispensabile.
Nell’ambito di un percorso per le digital skills avviato dal governo Conte bis, il 3 agosto 2020 l’allora ministra dell’Innovazione Paola Pisano ha firmato il decreto d’adozione del piano che punta ad azzerare il divario sulle competenze Ict (Information and Communication Technology). A ottobre 2020 l’allora ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha a sua volta apposto la firma ad un altro decreto che istituisce il Fondo nuove competenze, uno strumento da 730 milioni a sostegno delle imprese nei percorsi di riqualificazione professionale dei lavoratori.
Il 30 agosto 2021 il Dipartimento per la trasformazione digitale del ministro per l’innovazione e la transizione digitale Vittorio Colao ha pubblicato un bando per esperti in grado di gestire e sviluppare progetti nella digitalizzazione e nell’innovazione, tra i quali un esperto/a in competenze digitali.
In ogni caso l’emergenza sanitaria ha penalizzato solo temporaneamente la crescita della richiesta di figure professionali ICT, evidenziano le rilevazioni del primo semestre 2021 dell’Osservatorio Competenze Digitali sulle ricerche di personale ICT effettuate via web dalle aziende di tutti i settori. Dopo un calo nei primi mesi del 2020, la domanda è tornata ad aumentare, con la pubblicazione nel primo semestre 2021 di circa 51.700 annunci relativi alle professioni ICT, suddivisi in 8 famiglie professionali: Business, Design, Development, Emerging, Process Improvement, Service & Operation, Support, Technical. Un dato che torna ad avvicinarsi ai valori pre-Covid: nello stesso periodo del 2019 ne erano stati rilevati circa 57.000.
Vediamo intanto in questo articolo lo scenario, le definizioni, i case studies e le principali tematiche relative alle competenze digitali.
LAVORI “DISTRUTTI” E LAVORI CREATI DALLA DIGITAL TRANSFORMATION
Il report del World Economic Forum sul futuro dei lavori
Secondo il report “Future of Jobs 2020” diffuso dal World Economic Forum a novembre 2020, le caratteristiche fondamentali del lavoro del futuro, emerse dalle risposte di oltre 300 manager, sono le capacità di pensiero analitico e la creatività. La domanda per le professioni emergenti, ad alto livello di digitalizzazione, è destinata a crescere contemporaneamente all’adozione di nuove tecnologie nei processi di produzione di beni e servizi. Il podio tecnologico è occupato da cloud computing, big data analytics e Internet of Things. A seguire cybersecurity, intelligenza artificiale, commercio digitale e robotizzazione. Tra i settori maggiormente coinvolti in questa trasformazioni si trovano quello della Digital Communications and Information Technology, dei Financial Services e dell’Healthcare.
In un simile contesto dovranno cambiare anche le skill necessarie a competere nel mercato occupazionale. Pensiero critico e capacità analitiche, problem solving e autogestione sono le competenze la cui richiesta sarà in forte espansione nei prossimi cinque anni. Ma anche abilità di lavorare all’interno di team multidisciplinari e di utilizzare e gestire la tecnologia sono fondamentali per almeno il 50% delle aziende intervistate dal World Economic Forum.
Nel 2016 il Word Economic Forum, nel suo report di allora, The Future of Jobs and Skills, calcolava che, entro il 2020, si sarebbero creati 2 nuovi milioni di posti di lavoro nel mondo ma contemporaneamente ne sarebbero scomparsi 7, con un saldo netto negativo di oltre 5 milioni di posti di lavoro.
Il fenomeno della “distruzione creatrice”
Quasi la metà dei lavori svolti attualmente da persone fisiche nel mondo, dicono alcuni studi internazionali, potrà essere automatizzato quando le tecnologie si saranno diffuse su scala globale. Con riferimento all’Italia, questo significa che circa 12 milioni di lavoratori saranno interessati dal processo di automatizzazione progressiva (almeno fino a circa il 50%) dei loro compiti.
In linea con le previsioni del World Economic Forum anche Cedefop e Citi Research per l’Europa, che prevedono, nell’arco di tempo che arriverà al 2025, la creazione di nuovi posti di lavoro per ruoli e professioni a elevata qualificazione e una diminuzione significativa di quelli a bassa qualificazione.
È inevitabile immaginare in un’ottica di lungo periodo, un fenomeno di “distruzione creatrice’’: il digitale contribuirà alla creazione di posti di lavoro che si basano su nuove competenze e molti impieghi si trasformeranno ma, allo stesso tempo, potrà innescare la distruzione di impieghi sostituibili da processi automatizzati.
Gli ambiti maggiormente interessati dal processo sono Mobile Internet, Big Data, nuove fonti energetiche, Internet of Things, Sharing Economy/Crowdsourcing, relativamente alla digitalizzazione; Robotica, Intelligenza Artificiale e Additive Manufacturing/Stampa 3D con riferimento
COMPETENZE DIGITALI: UNA DEFINIZIONE “IN FIERI”
La definizione stessa di competenze digitali è cambiata con il cambiare del tempo. Questo perché, all’inizio dell’era della trasformazione digitale, la stragrande maggioranza della popolazione non aveva le conoscenze e gli strumenti necessari per gestire la rivoluzione introdotta nelle nostre vite dalla nascita di Internet e del World Wide Web. Man mano che, in questi decenni, la digitalizzazione ha interessato in modo concreto organizzazioni, aziende e singoli individui, anche l’apprendimento di competenze si è trasformato e velocizzato. Risultato: le definizioni di “competenze digitali” risalenti a qualche anno fa rischiano di risultare in qualche modo “datate” alla luce degli straordinari e rapidissimi cambiamenti in atto. Vediamo comunque come si è evoluto il concetto stesso di competenze digitali, perché così potremo ripercorrere quanto è accaduto in questi decenni in ambito digital transformation.
Competenze digitali: la definizione del Parlamento europeo
Una prima definizione di Competenze Digitali è stata proposta, nel 2006, dal Parlamento Europeo in un documento che indicava le otto competenze chiave per l’apprendimento permanente. Eccola: “La competenza digitale consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione (TSI) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. Essa è supportata da abilità di base nelle ICT (Information and Communication Technologies, Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione): l’uso del computer per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet”.
Per attualizzare il concetto di competenze digitali va tenuto conto che oggi l’ICT è sempre più presente in tutte le professioni e che le Competenze Digitali risentono fortemente delle evoluzioni tecnologiche. Non si tratta più, dunque, di un fenomeno che riguarda solo la direzione IT o le imprese tecnologiche, ma di una realtà che pervade tutti i settori e le funzioni aziendali.
Competenze digitali: la roadmap di Agid
“Competenze digitali – scrive Roberto Scano, esperto AgID per la normazione delle competenze digitali – è una parola “magica” che appare spesso in discorsi sulla loro assenza o non adeguatezza. L’assenza di competenze digitali specifiche (da parte di utenti, personale amministrativo, tecnici ICT, dirigenza) può comportare diverse problematiche a seconda dei soggetti coinvolti: dalla mancata fruibilità di un servizio (utenti) alla difficoltà ad erogarlo (personale amministrativo), delle problematiche tecniche (tecnici ICT) sino alla difficoltà di selezionare soluzioni digitali idonee (dirigenza). Il tema della crescita delle competenze digitali è particolarmente importante oggi in una società che è volta alla digitalizzazione dei processi”.
Nel 2017 AgID, l’Agenzia per l’Italia Digitale, ha definito la roadmap per il monitoraggio e l’accrescimento delle competenze digitali. Ecco come le ha suddivise:
- le competenze digitali di base (utenti, compreso il personale amministrativo),
- le competenze specialistiche (ICT)
- le competenze di e-leadership (dirigenza).
Competenze digitali di base
Le competenze digitali di base sono le capacità di utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie dell’informazione per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. Sono competenze utili a tutti i cittadini per poter partecipare alla società dell’informazione e della conoscenza ed esercitare i diritti di cittadinanza digitale.
Competenze specialistiche ICT
Le competenze digitali specialistiche riguardano professionisti e futuri professionisti ICT e sono richieste sia nel settore privato che nel settore pubblico. L’e-CF European e-Competence Framework 3.0, strumento di riferimento europeo dell’Agenda Digitale per la definizione delle competenze dei professionisti ICT, definisce la competenza ICT come “una dimostrata abilità di applicare conoscenza (knowledge), abilità (skill) e attitudini (attitude) per raggiungere risultati osservabili”. Lo sviluppo di adeguate competenze specialistiche ICT è una condizione cruciale per la crescita digitale, nel settore dei servizi pubblici online, l’evoluzione dei prodotti manifatturieri, come per l’efficienza e l’evoluzione dei servizi.
Competenze di e-leadership
Le competenze di e-leadership, o e-business, sono le capacità di utilizzare al meglio le tecnologie digitali all’interno di qualsiasi tipo di organizzazione e di introdurre innovazione digitale nello specifico settore di mercato in cui si opera. Le competenze digitali si integrano strettamente con le competenze trasversali tipiche del leader e con le competenze specifiche di settore. Esse includono anche le “competenze digitali per il lavoro”, che devono essere possedute da tutti i lavoratori, poiché tutti i lavori richiedono la capacità di utilizzare le tecnologie digitali.
Competenze digitali: la definizione di Aica
L’Associazione italiana per l’informatica ed il calcolo automatico (Aica), dà questa definizione: “La competenza digitale consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione (TSI) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. Essa è supportata da abilità di base nelle TIC: l’uso del computer per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet.
L’Osservatorio delle Competenze Digitali – promosso da Aica, Anitec-Assinform, Assintel e Assinter Italia, in collaborazione con Miur e Agid – ha provato a schematizzare i livelli di conoscenze e competenze, riconducendoli a quattro categorie: le competenze per la cittadinanza digitale, necessarie a tutti i cittadini per potersi allineare alla digitalizzazione del contesto sociale; le competenze digitali dei lavoratori, che rispecchiano la capacità di saper usare nella quotidianità lavorativa strumenti informatici, a prescindere dalla funzione aziendale di appartenenza; le competenze specialistiche ICT, tipiche di figure che operano all’interno delle strutture ICT di realtà private e pubbliche o all’interno delle divisioni operative di fornitori di tecnologie e servizi ICT; le competenze di e-Leadership, che caratterizzano chi associa alla cultura digitale particolari attitudini e talenti che consentono di immaginare determinati percorsi di cambiamento e di contestualizzarli all’interno della propria organizzazione.
In generale le Competenze Digitali si possono ricondurre a due macro categorie: le Digital Hard Skill e le Digital Soft Skill.
CHE COSA SONO LE DIGITAL HARD SKILLS
Le Digital Hard Skill sono le Competenze Digitali tecniche di base che definiscono una figura professionale. Si possono acquisire a scuola, all’università, attraverso master e corsi di perfezionamento, ma anche sul posto di lavoro. Si possono anche apprendere grazie a corsi di formazione mirati sul web tra cui i MOOC, Massive Online Open Courses, e gli SPOC, Small Private Online Courses. Le Hard Skill sono quantificabili e rientrano tra le competenze da inserire nel curriculum vitae. Qualche esempio di Digital Hard Skills: saper usare programmi e pacchetti informatici, conoscere linguaggi di programmazione, saper usare specifici macchinari e strumenti di produzione. In particolare, in questa categoria rientrano le competenze tecniche che riguardano l’area SMAC (Social, Mobile, Analytics, Cloud), cui si aggiungono quelle su Intelligenza Artificiale, Robotica, IoT, Cybersecurity.
CHE COSA SONO LE DIGITAL SOFT SKILLS
Le qualità che caratterizzeranno le nuove skill a elevata qualificazione non saranno esclusivamente di natura tecnologica, ma si riferiranno a un mix molto più complesso. Per questo motivo avranno un ruolo sempre più importante le soft skill, ovvero le abilità trasversali, che riguardano relazioni e comportamenti delle persone in qualsiasi contesto lavorativo. Alcuni esempi di Digital Soft Skills: la capacità di risolvere problemi complessi, di gestire il cambiamento, di collaborare e relazionarsi, di adattarsi con flessibilità e di comunicare; il knowledge networking che consente di recuperare e capitalizzare le informazioni che si trovano in rete; il new media literacy, ovvero il grado di alfabetizzazione rispetto ai nuovi media, ai loro linguaggi e ai loro formati; la capacità di gestire i flussi comunicativi online nel rispetto della netiquette aziendale. Le Digital Soft Skill si apprendono prevalentemente sul campo e sono difficilmente quantificabili: dipendono dalla cultura, dalla personalità e dalle esperienze vissute dal singolo.
Competenze digitali in Italia: dalla Strategia al Piano operativo
Nel luglio 2020 è stata adottata la Strategia Nazionale per le Competenze Digitali, il 23 dicembre è stato pubblicato anche il Piano operativo. Il Piano individua oltre 100 azioni da realizzare e fissa, in particolare, degli obiettivi da raggiungere entro il 2025.
Si tratta di un documento che punta a colmare il gap digitale del nostro Paese entro il 2025. È stato elaborato in un’ottica corale, con la regia del Comitato Tecnico Guida di Repubblica Digitale, coordinato dal MID tramite il Dipartimento per la trasformazione digitale, mettendo sullo stesso tavolo Ministeri, Regioni, Province, Comuni, Università, istituti di ricerca, imprese, professionisti, Rai. Il processo ha coinvolto anche associazioni e varie articolazioni del settore pubblico oltre che le organizzazioni aderenti alla Coalizione Nazionale e ha tenuto conto dei primi contributi raccolti attraverso parteciPa, la piattaforma del Governo dedicata ai processi di consultazione e partecipazione pubblica.
Ecco alcuni degli obiettivi del Piano
- Raggiungere il 70% di popolazione con competenze digitali almeno di base, con un incremento di oltre 13 milioni di cittadini dal 2019 e azzerare il divario di genere;
- duplicare la popolazione in possesso di competenze digitali avanzate (con il 78% di giovani con formazione superiore dimezzando il divario di genere, il 40% dei lavoratori nel settore privato e il 50% di dipendenti pubblici);
- triplicare il numero dei laureati in ICT e quadruplicare quelli di sesso femminile, duplicare la quota di imprese che utilizza i big data;
- incrementare del 50% la quota di PMI che utilizzano specialisti ICT;
- aumentare di cinque volte la quota di popolazione che utilizza servizi digitali pubblici, portandola al 64% e portare ai livelli dei Paesi europei più avanzati, l’utilizzo di Internet anche nelle fasce meno giovani della popolazione (l’84% nella fascia 65-74 anni).
Il Piano indica le azioni per l’attuazione delle linee di intervento della Strategia Nazionale e delinea gli obiettivi, misurabili, per ciascuna azione nell’ambito dei quattro assi individuati: Istruzione e Formazione Superiore ; Forza lavoro; Competenze specialistiche ICT; Cittadini.14
L’architettura del piano si articola in 4 assi strategici nell’ambito di ciascuno dei quali sono individuate le azioni di breve, medio e lungo termine che attuano le priorità e le linee di intervento definite nella Strategia. Ecco alcune azioni (per un quadro dettagliato ad una lettura completa del Piano):
Istruzione e formazione superiore
- “Formare al futuro”, un programma integrato di formazione del Ministero dell’istruzione, rivolto a tutto il personale scolastico, sulla didattica digitale integrata e sulla trasformazione digitale dell’organizzazione scolastica;
- Progettazione del curricolo digitale per valutare e certificare nelle scuole le competenze degli studenti, secondo il quadro DigComp;
- Potenziamento dei percorsi di formazione universitaria fortemente orientati alla ricerca industriale e all’innovazione.
Forza lavoro
Nel settore privato
- Destinare un credito d’imposta alle imprese che investono in formazione verso i propri dipendenti, sulle tecnologie abilitanti il paradigma 4.0;
- Creazione di uno Sillabo delle competenze digitali per le imprese di industria 4.0, per fornire gli strumenti necessari ad utilizzare le tecnologie abilitanti dell’ Industria 4.0.
Nel settore pubblico
- Rafforzamento delle competenze manageriali a supporto della transizione al digitale;
- Realizzazione e adozione di uno strumento per la rilevazione dei fabbisogni di formazione in ambito digitale e promuovere interventi formativi mirati (progetto “Competenze digitali per la PA”).
Competenze specialistiche ICT
- Sostegno per borse di dottorato dei corsi Digital/ICT;
- Potenziamento del sistema degli Istituti Tecnici Superiori in ottica 4.0.
Cittadini
- Sviluppo di ACCEDI, un ambiente digitale di autovalutazione e apprendimento per il potenziamento delle competenze digitali;
- Attivazione di un Servizio Civile Digitale per favorire l’inclusione sociale fornendo supporto all’utilizzo dei servizi digitali e potenziando le reti di facilitazione sul territorio.
Competenze digitali: focus sulle STEM
Per tenere il passo con l’innovazione tecnologica, è sempre più necessario possedere le cosiddette STEM, acronimo inglese per Science, Technology, Engineering e Math. Il termine è in genere utilizzato in riferimento alle politiche di formazione da parte degli organismi preposti all’istruzione per migliorare le competenze, e quindi la competitività, degli studenti in vista del loro ingresso nel mondo del lavoro. Le STEM sono infatti fondamentali per la comprensione di numerosissimi meccanismi alla base della vita civile e sociale. L’Unione Europea ha fondato la EU STEM Coalition, che ha lo scopo di riunire sotto l’egida della Commissione Europea tutte le piattaforme educative e di comunicazione esistenti sul territorio dell’Unione mirate alla divulgazione delle tematiche STEM. Secondo l’Educational Table of Industrialists, le STEM devono diventare oggetto di studio in ogni ordine di scuola, affiancate da metodi di insegnamento innovativi per aiutare gli studenti ad affrontare il proprio futuro digitale. Dal 2015 la Commissione Europea sostiene che l’educazione scientifico-tecnologica deve essere una componente essenziale di un continuum di formazione per tutti gli studenti, dalla scuola dell’infanzia in avanti, perché strumento di accesso alla cittadinanza attiva e partecipata.
OSSERVATORIO COMPETENZE DIGITALI 2019
Servono esperti di big data, AI, Iot, robotica, cloud computing
Come rileva l’Osservatorio Competenze Digitali 2019, il mercato del lavoro delle professioni del settore ICT in Italia è ancora in controtendenza rispetto alle criticità riscontrate da molti settori economici. La domanda di lavoro delle imprese supera infatti l’offerta che il sistema formativo, in particolare universitario, riesce a produrre. I dati dell’Osservatorio delle competenze digitali sono molto chiari: tra il 2019 e il 2021 si riscontra una differenza negativa tra domanda e offerta di laureati ICT pari a circa 28,5 mila unità.
Assistiamo dunque alla crescita della domanda di nuove competenze tecniche, in particolare legate al mondo dei big data, dell’intelligenza artificiale, dell’IoT, della robotica e del cloud computing, Emerge la domanda di nuove skill per molte professioni dell’ICT. Soprattutto per le attività di sviluppo, emergono skill legate alla gestione di grandi volumi di dati e tecniche di AI (artificial intelligence, machine learning, computer vision, python, hadoop, hive, IoT, Scala, per citarne alcune).
In sintesi, siamo di fronte ad una evoluzione che ha diversi connotati: difficoltà nel reperire risorse; emergere di nuove professioni e cambiamenti di skill richieste per molte esistenti; grande rilevanza delle soft skill per le professioni ICT.
COMPETENZE DIGITALI SPECIALISTICHE: LE PROFESSIONI DEL FUTURO
Per le aziende dell’offerta ICT i profili più critici includono Business Analyst, Proyect Manager, Security Advisore Data Scientist. A questi seguono profili più tecnologici: Application Developer, Enterprise Architet/Architect Engineer, System Administrator/Engineer, Sistemista e Database Administrator.
Per le aziende della domanda ICT e gli enti pubblici sono prioritari profili più marginali: Responsabile dei Sistemi Informativi, Responsabile della Sicurezza e responsabile della Sicurezza delle Informazioni, in grado di indirizzare le strategie IT e di gestire sicurezza, processi e risorse. Project manager, Business Analyst e Data Scientist sono rilevanti nelle aziende Industriali, del commercio e dei servizi.
Negli enti pubblici sono maggiormente ricercati Project Manager, Security Engineer, Sistemista e System Administrator/Engineer. Nel breve-medio termine, i nuovi profili specializzati sulle tecnologie emergenti, includeranno: Cloud Security Architect, Cloud Architect/Cloud Solution Architect, Cloud Computing Consultant, Cloud Computing Strategist; Cyber Security Consultant, Cyber Security Architect, Cyber Security Project Manager; Big Data Architect, Big Data Scientist e Big Data Specialist; IoT Consultant, Architecture Mobile & IoT Solutions Engineer, IoT Software Engineer; Robotics & Automation Manager, Robotics System Engineer e Robotics Engineer; Artificial Intelligence Software Engineer, Artificial Intelligence System Engineer.
Negli ambiti innovativi più trasversali emergeranno: Change Manager, Agile Coach, Scrum Master con riferimento al Service Development; Technology Innovation Manager, Chief Digital Officer e IT Process & Tools Architect nell’area della Service Strategy.
Competenze digitali: la startup
Anche le startup possono aiutare i giovani a ottenere le competenze digitali necessarie al loro futuro professionale. A maggio 2021 Aulab, Coding Factory italiana dedicata al mondo della programmazione con sede a Bari, ha concluso con successo la sua campagna di equity crowdfunding su Mamacrowd, superando l’hard cap di 500.000 euro di adesioni, con il 255% di commitment rispetto all’obiettivo minimo. I fondi raccolti verranno investiti per sostenere l’espansione aziendale, ampliare la propria offerta formativa e, appunto, per rispondere alla carenza di risorse tech nel panorama italiano, preparando diplomati, studenti universitari, laureati e NEET ad essere i programmatori del domani.
COMPETENZE DIGITALI: l’Italia spende la metà dei fondi europei destinati alle digital skills
L’edizione 2020 del Digital Economy and Society Index (DESI) vede l’Italia al terzultimo posto fra i 28 Stati membri dell’UE, con un punteggio pari a 43,6 (rispetto al dato UE del 52,6). È insomma tra i fanalini di coda, nella stessa posizione di bassa classifica formalizzata nel DESI 2018 (punteggio di 36,2 a fronte del dato europeo del 46,5), dopo il lieve aumento rilevato nel DESI 2019, che aveva consentito al nostro Paese di raggiungere il 23º posto (punteggio del 41,6 a fronte del dato UE del 49,4). Continua a preoccupare il grave ritardo descritto dall’indicatore “Capitale umano”, secondo cui, rispetto alla media UE, in Italia i livelli di competenze digitali di base e avanzate “molto bassi” risultano ulteriormente aggravati da un numero pressoché esiguo di specialisti e laureati nel settore ICT, “molto al di sotto della media UE”.
Secondo un rapporto presentato dalla Corte dei Conti a febbraio 2021, l‘Italia è agli ultimi posti (quint’ultima) in Europa nella classifica delle competenze digitali: oltre il 50% della popolazione attiva risulta infatti non esserne dotato. Dal documento emerge che nel 2019 più di 75 milioni di cittadini europei in età lavorativa (cioè il 35% del totale) non possedevano competenze digitali di base.
“La pandemia di Covid-19 ha ulteriormente sottolineato l’importanza delle competenze digitali di base per i cittadini”, ha osservato Iliana Ivanova responsabile del report. Dal 2015 in poi, la Commissione europea ha adottato una serie di misure per migliorare le competenze digitali dei cittadini ma, stando alla Corte dei Conti, l’Italia ha speso solo poco più della metà dei 58 milioni di euro destinati dal Fondo Sociale Europeo alla formazione nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Per il periodo 2021-2027, la Commissione ha stabilito per la prima volta l’obiettivo specifico di aumentare la percentuale di cittadini con competenze digitali di base con l’obiettivo di arrivare al 70% entro il 2025.
Il piano Pisano 2020
Il 3 agosto 2020, tuttavia, l’allora ministra dell’Innovazione Paola Pisano ha firmato il decreto d’adozione del piano che punta ad azzerare il gap sulle competenze Ict. Istruzione e formazione superiore, forza lavoro attiva, competenze specialistiche Ict, cittadini sono i 4 assi d’intervento su cui si sviluppa la Strategia Nazionale per le Competenze Digitali contenuta nel decreto di adozione firmato dalla Pisano. “È la prima volta che l’Italia si dota di una strategia globale per le competenze digitali – fu scritto all’epoca in una nota del ministero – base essenziale per l’attuazione di interventi organici, multisettoriali ed efficaci su un’area fondamentale per lo sviluppo economico e sociale del Paese”. A febbraio 2021 il governo Conte bis è stato sostituito dal governo Draghi. Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione Digitale: Vittorio Colao. Vedremo se e come il suo dicastero svilupperà il piano Pisano.
La call del ministero dell’Innovazione 2021
Il Dipartimento per la trasformazione digitale ha pubblicato il 30 agosto 2021 un bando per la ricerca di esperti tra i quali un’Esperta/o di competenze digitali, figura destinata ad operare nello svolgimento delle attività connesse allo sviluppo delle competenze digitali nell’ambito del progetto “Repubblica digitale”, promosso dal Dipartimento. Ecco le qualifiche chiave richieste.
- Esperienza di collaborazione con la Pubblica Amministrazione oltre che esperienza internazionale nell’ambito formazione e lavori del futuro
- Esperienza nell’area delle competenze digitali, di base e in ambito lavorativo e per l’e-leadership, nel settore pubblico e in quello privato, in progetti di innovazione e formazione, anche nel quadro di iniziative a carattere nazionale
- Conoscenza delle problematiche connesse allo sviluppo delle competenze digitali nella società civile, nel settore pubblico e nel privato
- Esperienza con progetti in ambito ICT/digitale nel mondo associativo e nelle organizzazioni pubbliche e private, anche nel quadro di iniziative di cambiamento organizzativo
- Esperienza di coordinamento di team di progetto e di metodologie di project management
- Esperienza nella comunicazione dell’innovazione, in ambito organizzativo, ICT e digitale, anche attraverso pubblicazioni di divulgazione
- Esperienza nella definizione di indicatori e nel monitoraggio dei risultati
- Esperienza nella relazione con stakeholder pubblici e privati
- Esperienza nella gestione delle relazioni con il settore pubblico, nel coordinamento della relazione tra organizzazioni e nella gestione di tavoli complessi
- Flessibilità e capacità di lavorare in gruppo
- Ottimo pensiero critico, doti comunicative, capacità di individuare, analizzare e risolvere i problemi.
Per quanto riguarda la formazione, erano richiesti:
- Laurea con almeno 5 anni di esperienza, o, in assenza di laurea, almeno 10 anni di esperienza all’interno dell’area HR, o ICT o Education in ambito pubblico o privato, oppure in servizi di consulenza
- Ottima conoscenza della lingua inglese
Ricerca e innovazione: manca il capitale umano nell’ICT
Anche il mondo della ricerca nell’ICT (Information & Communication Technology) in Italia risente della carenza di competenze. A rilevarlo è il 1° Rapporto sulla Ricerca e Innovazione ICT in Italia presentato a ottobre 2020 in collaborazione con APRE, l’Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea. Nonostante i progressi – si legge nel report – il nostro Paese ha ancora un numero di ricercatori proporzionalmente inferiore a quelli dei principali partner scientifici, tecnologici e commerciali, e con un’età media più elevata di quella degli occupati. È l’effetto di scelte passate che ha portato, fra l’altro, a una diminuzione dei finanziamenti per i dottorati di ricerca.
Il personale R&S&I e i ricercatori in unità nelle imprese del settore ICT sono aumentati nel 2018 del 13,1% e del 20,6% rispettivamente. In ETP l’aumento è stato del 9,8% e del 19,2%. La crescita più elevata è stata nelle aziende di software e servizi IT, mentre si è registrata una contrazione nei servizi di telecomunicazione.
Competenze digitali, il grido d’allarme dell’insurtech
Tra i vari settori che lamentano la carenza di competenze digitali c’è quello dell’insurtech, la tecnologia applicata al mondo delle assicurazioni. Secondo una survey realizzata da Italian Insurtech Association a fine 2020, il Il 71% delle persone che operano in ambito assicurativo ritiene ci sia un gap di competenze tecniche e digitali nel proprio settore, e il 39% che ci sia carenza anche di competenze digitali di base, come il corretto uso dell’email. Del resto, in un panorama sempre più digitale, customizzato ed interattivo, il settore assicurativo ha ancora molta strada da fare in materia di trasformazione digitale: a fronte di una domanda crescente, l’offerta assicurativa digitale è ancora ferma ad appena l’1,5% del totale.
COMPETENZE DIGITALI E INCLUSIONE
La pandemia ha accelerato la digitalizzazione: dalla didattica a distanza alla spesa online, la delivery digitale dei servizi è diventata la norma per ampie fasce della società. Purtroppo le persone meno esperte di tecnologia, spesso più anziane o provenienti da comunità sottorappresentate, non sono riuscite a stare al passo con il ritmo rapido del cambiamento. Secondo una ricerca VMware nel 2020, in EMEA, il 43% degli adulti ha abbracciato nuovi servizi digitali e ne ha apprezzato l’esperienza. Il 60% degli intervistati si identifica come “digitalmente curioso” o “esploratore digitale”. Tuttavia in EMEA, il 34% degli over 55 si descrive come “non digitalmente attivo” o “digitalmente ingenuo” (in Italia il 28%). Il 64% (il 73% in Italia) teme che i propri parenti più anziani non riescano a stare al passo con il mondo digitale. Più di uno su tre (37% in EMEA, 31% in Italia) ha la sensazione di perdere il controllo man mano che la tecnologia pervade sempre di più la sua vita quotidiana. Chi è digitalmente in ritardo rischia di rimanere indietro. Ecco perché l’acquisizione di competenze digitali può aiutare nell’inclusione sociale.
Competenze digitali: il falso mito dei giovani con “padronanza digitale”
Le competenze digitali quotidiane, come i social media e la navigazione sul web, spesso non rispecchiano quelle ritenute fondamentali sul posto di lavoro e necessarie alle aziende per favorire la ripresa e la crescita.
Secondo il il Digital Skills Index di Salesforce, più di due terzi di tutti gli intervistati della Generazione Z (il 64% a livello globale) afferma di possedere competenze avanzate sui social media, a sostegno dello stereotipo della padronanza digitale tra le giovani generazioni, ma solo meno di un terzo (il 31%) ritiene di possedere le competenze digitali più avanzate necessarie in questo momento alle imprese.
La differenza è ancora più netta in Italia, dove l’81% degli intervistati della Generazione Z ritiene di avere un livello avanzato nelle competenze social, ma solo uno su cinque (il 19%) pensa di possedere le competenze digitali necessarie per il mondo del lavoro di oggi.
COMPETENZE DIGITALI: PERCHÉ È DIFFICILE REPERIRLE
L’Osservatorio delle Competenze digitali ha individuato almeno 4 motivi per cui attualmente, soprattutto in Italia, le persone con buone competenze digitali sono scarsamente reperibili.
- La formazione delle competenze digitali è tecnologica e onerosa
- L’offerta formativa è disallineata con la domanda, ovvero le scuole non forniscono le necessarie skills per affrontare un mondo del lavoro che sta rapidamente e profondamente cambiando
- In ambito pubblico c’è il blocco del turnover, perciò scarseggia la presenza delle giovani generazioni, più digitali degli anziani
- Spesso c’è difficoltà ad attrarre e convincere i candidati con le giuste competenze digitali ad entrare e restare in azienda, perché questi candidati temono di non trovarvi una vera cultura digitale
RESKILLING: L’IMPORTANZA DI FORMARE I DIPENDENTI ALLE NUOVE COMPETENZE
Entro il 2025, il 50% di tutti i lavoratori avrà bisogno di intraprendere un percorso di reskilling, sostiene il Report World Economic Forum 2021-2022. Con la piena affermazione della Trasformazione Digitale e dell’Industria 4.0, infatti, sarà necessario insegnare agli addetti nuove mansioni per le quali saranno richieste nuove competenze. Emerge dunque la necessità per le aziende che intendono restare competitive lavorare anche sul reskilling, ovvero il processo in base al quale è possibile apprendere modalità di lavoro e professionalità diverse dalla precedenti. Per prepararsi al reskilling le organizzazioni possono usare alcuni metodi:
- Assumere dipendenti non tanto e non solo sulla base delle conoscenze acquisite, ma valutando la loro capacità di apprendere cose nuove.
- Collaborare più strettamente con chi si occupa di formazione della forza lavoro per attingere a un bacino di studenti e neo-laureati maggiormente preparati.
- Utilizzare il reverse mentoring, ovvero formare i dipendenti più giovani, che già posseggono una cultura digitale, in modo che siano poi loro a evangelizzare i senior all’interno dell’organizzazione.
COMPETENZE DIGITALI: IL DIVARIO DI GENERE
In tutto il mondo le donne sono penalizzate nei settori occupazionali che richiedono le STEM, conoscenze e competenze matematico-scientifiche. Come conferma la recente ricerca LinkedIn Recruiter Sentiment Italia 2019, che ha coinvolto la comunità di responsabili HR in azienda, nell’ultimo anno c’è stato un aumento delle assunzioni in Italia, ma le competenze digitali, sempre più richieste dalle imprese in fase di selezione, rimangono una prerogativa dei candidati di sesso maschile. Nello specifico il 45% dei responsabili HR italiani sostiene che ci sono più candidati uomini dotati di competenze digitali rispetto alle donne (contro appena il 25% che pensa che vi siano più donne “digitalmente preparate”).
Secondo uno studio realizzato da DigitAlly, startup che punta a formare e inserire i profili digitali più richiesti in un network di oltre 80 aziende, le donne sarebbero addirittura più predisposte alle competenze digitali, ma, nei primi anni di pratica in azienda, si genera un gap di competenze tecniche a favore degli uomini.
In base all’indagine, che ha preso in esame 1500 figure junior chiamate a rispondere a un test di Digital Assessment, il 70% del cluster femminile ha ottenuto i punteggi più alti, contro il 65% di quello maschile. Osservando però le skill tecniche più spesso acquisite in azienda, le cose cambiano. Infatti, se i risultati in ambito di digital strategy sono simili quando entrambi i sessi sono alle prime esperienze di lavoro, intorno ai 30 anni tendono ad essere superiori tra gli uomini. Un dato che fa riflettere sugli stereotipi di genere, che spesso influenzano processi di selezione e crescita a inizio carriera.
Per contribuire a colmare il divario tra le competenze digitali delle giovani e quelle richieste dal mercato del lavoro il Comune di Milano organizza da tre edizioni STEMintheCity: incontri, eventi, seminari, laboratori e presentazioni focalizzati sul superamento degli stereotipi e sull’avvicinamento di bambine e ragazze ai percorsi tecnico-scientifici.
Competenze digitali per i migranti
Gli immigrati possono essere una risorsa preziosa per il nostro Paese, ma le loro competenze vanno rafforzate e valorizzate. Ci ha pensato Chris Richmond N’zi, originario della Costa d’Avorio, che, dopo aver lavorato cinque anni per Frontex, si è reso conto che il 3% della popolazione globale è identificata come immigrati, ma produce il 10% del Pil mondiale. Insieme alla compagnia Aisha Coulibaly, italiana di seconda generazione, ha fondato Mygrants, una piattaforma che punta a far emergere le competenze dei migranti già presenti nella penisola, per aiutarli nel collocamento lavorativo in posizioni che possano sfruttare e valorizzare le loro competenze. Il database di Mygrants raccoglie circa 70mila profili di cui il 6% è rappresentato da soggetti con elevate competenze tecniche, scientifiche o linguistiche.
COMPETENZE DIGITALI PER L’INDUSTRIA 4.0
Le imprese stanno incontrando crescenti difficoltà per individuare, sia a livello di diplomati sia di laureati, le competenze necessarie per l’Industria 4.0, ovvero la quarta rivoluzione industriale che porterà a fabbriche interamente connesse e automatizzate. La scuola superiore e anche l’università non risultano ancora in grado di formare in modo adeguato le competenze e capacità necessarie per un inserimento efficace e rapido nel mondo del lavoro.
Per questo il Piano Industria 4.0, voluto dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda del governo Renzi e sostanzialmente riconfermato dal governo Di Maio-Salvini, ha previsto incentivi per la formazione del personale delle imprese verso l’utilizzo dei macchinari oggetto del Piano. A inizio maggio 2018 sono state approvate le note attuative per gli incentivi fiscali a copertura parziale dei costi del personale in fase di formazione. Questo per quanto riguarda i lavoratori interni alle aziende. Per chi invece deve prepararsi ad affrontare il mondo del lavoro dotandosi delle adeguate competenze occorre che la scuola faccia la sua parte. Per lo sviluppo delle competenze digitali potrebbero svolgere un ruolo chiave gli istituti tecnici e i licei che dovrebbero sviluppare orientamenti verso l’ottenimento di competenze certificate. Queste potrebbero consentire una effettiva employability dei giovani aprendo le porte al Lavoro 4.0. Chi si sta muovendo in questo senso è, tra gli altri, proprio Aica, che ha predisposto il Programma 4.0 per nuove opportunità per il Lavoro 4.0, partendo da un catalogo basato sulle nuove certificazioni di IT Administrator e di Project management per passare alle certificazioni rivolte in modo specifico all’Industria 4.0 attraverso certificazioni Cad 2D, CAD 3D, Stampa 3 D, GIS, a cui si aggiungerà una certificazione per l’Internet of Things (IoT) e Big Data.
I CASE STUDIES
Cisco
Nel 2016 Cisco ha annunciato un piano per digitalizzare l’Italia che ha previsto investimenti per 100 milioni di euro entro il 2018. Tra le tante attività messe in atto da Cisco Italia anche quelle focalizzate sulla formazione: 80mila i giovani sparsi in tutta Italia hanno acquisito competenze digitali, imparando nozioni relative a Internet delle Cose, Cybersecurity e studiando anche come diventare imprenditori.
“Palestre digitali”, progetto per i giovani
Palestre Digitali è un’esperienza formativa che vuole migliorare le possibilità di occupazione dei giovani laureati in materie umanistiche, linguistiche, economiche e sociali, trasformandoli nei professionisti digitali di domani.
Nato nel 2012, il Il progetto formativo “Palestre Digitali” è realizzato grazie alla collaborazione tra diverse aziende e associazioni, che sono diventate partner del progetto. Queste sono: Accenture Italia S.p.A., Assolombarda Cariplo Factory, GiGroup, Jobiri, Job Farm, Fondazione Italiana Accenture, Young Women Network e Randstad. Palestre Digitali è inoltre patrocinato da Regione Lombardia.
Facebook ha scelto l’Hub di LVenture Group e LUISS EnLabs, presso la Stazione Termini, come sede del suo nuovo spazio dedicato allo sviluppo delle competenze digitali chiamato “Binario F”.
IAB Italia
IAB Italia, l’associazione che raggruppa i più importanti operatori della pubblicità digitale in Italia, ha attuato il progetto DMS, la Certificazione Digital Marketing Skills con cui si pone come ente certificatore super partes. A marzo 2021 ha fatto un ulteriore passo avanti diventando una piattaforma di job board: è sufficiente entrare nella sezione “posizioni aperte” del sito dell’associazione per consultare i profili ricercati e il nome delle aziende che ne fanno richiesta.
Leonardo
Leonardo, azienda italiana attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza, tredicesima impresa di difesa del mondo e terza in Europa per grandezza, ha deciso di investire in modo significativo per cercare di favorire concretamente lo sviluppo di competenze STEM all’interno del sistema Paese. A tale scopo sono prodotti periodicamente contenuti formativi a supporto di docenti delle scuole superiori per diffondere conoscenza sui principali trend tecnologici che riguardano le sfide del futuro e che possono formare e ispirare gli studenti. A fine 2022 oltre 650 scuole erano state coinvolte nell’iniziativa.
COMPETENZE DIGITALI: NECESSARIE ANCHE NELLE AZIENDE TRADIZIONALI
Le competenze digitali non sono richieste solo nelle aziende tecnologiche, ma sono diventate necessarie praticamente in ogni settore dell’industria tradizionale. Basti pensare a un comparto un tempo esclusivamente “fisico” come il retail, dove il cliente non è più solo quello che entra dalla porta del negozio, ma è anche l’acquirente su Internet, per cui stanno nascendo una serie di interazioni tra online e offline (i termini tecnici sono multicanalità, cross-canalità e omnicanalità). Competenze digitali sono essenziali anche nell’automotive: un tempo c’era l’operaio metal-meccanico che costruiva la macchina, oggi le auto sono connesse, a guida autonoma, self driving, e c’è bisogno anche di esperti digitali. Dal rapporto dell’Osservatorio sulle competenze digitali emerge che le skill digitali di base pesano per il 41% nell’Industria, il 49% nei Servizi e il 54% nel Commercio. Separando le skill di base dalle altre, definite come skill avanzate, emerge che la domanda di skill di base prevale solo nel Commercio, mentre nell’Industria e nei Servizi prevalgono le skill avanzate, viste come fattori di una più evoluta professionalità.
COMPETENZE DIGITALI: QUANDO LA TRASFORMAZIONE PARTE DALL’HR
Per reclutare e gestire persone con nuove competenze la tecnologia può fare la differenza. Le Risorse Umane sono decisive nella trasformazione digitale delle imprese, perciò oggi si parla sempre di più di HR Tech, la tecnologia applicata al mondo dell’HR. L’HR Tech non è solo una tecnologia per gestire le paghe, ma è anche e soprattutto un’opportunità di innovazione e cambiamento in azienda. Con l’HR Tech si passa da modello gestionale gerarchico-burocratico a uno in cui le persone contribuiscono all’attività aziendale sulla base delle proprie competenze e non solo in base al proprio ruolo. Solo per fare un esempio, Adecco, agenzia internazionale di recruiting, ha deciso di puntare su uno strumento di HR Tech per la selezione del personale. Nel 2019 ha proposto uno strumento esclusivamente digitale per dare alle persone un indice di impiegabilità nel mercato del lavoro. Obiettivo: offrire un “bilanciamento tra chi è la persona e come si sta trasformando il mercato del lavoro”.