Il fenomeno TikTok spiegato ai meno giovani
Cosa fa di TikTok un autentico fenomeno fra gli adolescenti capace di diventare in breve tempo l’app più scaricata del mondo? La domanda sorge spontanea, soprattutto fra chi – per ragioni di anagrafe o scarsa dimestichezza con il Web – fa ancora fatica a comprendere certe dinamiche del mondo social.
In linea di massima si potrebbe dire che TikTok abbia intuito prima degli altri che ci sono molti utenti che hanno bisogno di un mezzo più veloce e leggero per creare e condividere contenuti video online. “TikTok è nata per questo”, ci spiegano i responsabili di ByteDance, l’azienda cinese che ha creato TikTok dopo l’acquisizione di Musical.ly. “I video sono da sempre uno strumento potente per raccontare le storie, ma non sono così facili da realizzare: serve una fotocamera, un computer, delle competenze nel montaggio e soprattutto tempo. Da qui l’idea di provare ad abbassare le barriere di accesso attraverso un servizio fruibile tramite un comune telefono cellulare col quale fare tutto: creazione, produzione e distribuzione dei contenuti”.
LADDOVE GLI ALTRI SOCIAL NON ARRIVANO
Il risultato è un’app scaricabile da qualsiasi dispositivo mobile che permette di girare video, editarli, condirlo con filtri, transizioni ed effetti speciali, il tutto nel giro di una manciata di secondi.
Il fine, insomma, giustifica un mezzo che a quanto pare è riuscito a infilarsi in un corridoio poco presidiato da Facebook e dagli altri social. Quello dei video rapidi (la maggior parte non supera i 15 secondi) e senza troppe pretese a livello tecnico (i più vengono girati in casa). “La gente è stanca di quel genere di social che ti obbliga ad avere comportamenti e look patinati, essere perfetti non è più divertente”, ci spiega ByteDance. “Vogliamo dare alle persone la possibilità di essere loro stessi ed essere ricompensate per questo. Sono soprattutto le giovani generazioni a chiedercelo: vogliono usare la propria voce per celebrare i momenti normali della propria quotidianità, senza seguire le celebrità”.
DALLA CAMERETTA ALLA POPOLARITÀ GLOBAL
Di celebrità però si deve necessariamente parlare se si considerano i numeri raggranellati dagli iscritti più seguiti: la 17enne Loren Gray, per dire, ha in questo momento più di 33 milioni di followers, Ariel Rebecca Martin, in arte BabyAriel, sfiora i 30 milioni, Faisal Shaikh, in arte Mr. Faisu, spopola in India (e non solo) con i suoi 22,8 milioni di seguaci.
In Italia il re delle visite si chiama Luciano Spinelli, performer da 7.1 milioni di followers, l’esperta di fashion Jessica Brugali arriva a 3.8 milioni di follower, Gabriele Vagnato a 1 milione e mezzo.
Molti delle celebrities di TikTok hanno iniziato su Musical.ly giocando con il lip sync, il sistema che permette di di cantare e recitare utilizzando la sincronia labiale su brani di artisti famosi, altri si sono accodati al fenomeno. Col tempo sono arrivati anche i VIP – come Fiorello, Michelle Hunziker e Bruno Barbieri – attratti dalle potenzialità di un mezzo che come pochi sa parlare ai giovanissimi.
LA VIRALITÀ PASSA DALLE CHALLENGE
Le interazioni sono il sale dell’esperienza di TikTok. Che vive i suoi picchi nelle cosiddette #challenge, le sfide tematiche a suon di video-performance che si scatenano quotidianamente sulla piattaforma. “Ci sono challenge che nascono per caso e che diventano virali nel giro di poche ore, altre proposte dal nostro team di curator su argomenti di tendenza, poi ci sono quelle promosse dai brand. Sono competizioni che premiano l’originalità e che, proprio per questo, rivelano un livello altissimo di engagement: con la challenge #footballisback abbiamo avuto oltre 120 milioni di views, un numero persino più elevato di quello di tutti i follower delle principali squadre di calcio”, racconta ByteDance.
A soffiare sulle dinamiche della viralità ci pensano anche gli algoritmi della piattaforma, calibrati a puntino per suggerire i contenuti più affini alle preferenze del singolo. “L’intelligenza artificiale non spinge solo i video delle persone più seguite ma lavora sulle tipologie di contenuti”, chiarisce la società. “È un sistema di suggerimenti basato su un content graph che rompe gli schemi instaurati nel mondo social tradizionali. Chi ama il calcio vedrà più contenuti correlati all’interno del tab personale, stessa cosa per gli appassionati di danza o qualsiasi altra categoria”.
IL PROBLEMA DEGLI UNDER 13
Gli algoritmi sono deputati anche a un’altra mansione: quella che riguarda l’individuazione dei contenuti inappropriati. ByteDance ammette: “A livello di moderazione e sicurezza ci sono molte lezioni che abbiamo imparato dalle altre piattaforme basate sui contenuti generati dagli utenti (UCG), come Facebook e YouTube. Per questo motivo ai computer abbiamo affiancato il lavoro di migliaia di supervisori in carne ed ossa. Sono loro ad avere l’ultima parola su ciò che viene pubblicato. Che non significa solo eliminare i video segnalati dall’intelligenza artificiale o da altri utenti ma anche valutare la criticità di certi contenuti che possono essere fraintesi da persona a persona. È un aspetto particolarmente complesso, crediamo che solo l’uomo abbia la capacità di discernere cos’è giusto e cosa no”.
Più difficile, senz’altro, gestire il rapporto con i bambini, da sempre presenti sulla piattaforma in maniera più o meno esplicita. Lo scorso febbraio la società ha ricevuto una multa da oltre 5 milioni di dollari dalla FTC americana per uso improprio dei dati personali degli under 13, qualche mese dopo è scattata l’indagine nel Regno Unito per possibile violazione del GDPR con particolare riferimento alla mancanza di presidi di sicurezza sul sistema di messaggistica.
Su questo punto l’orientamento della società pare chiaro: “Per registrarsi su TikTok bisogna avere 13 anni, chiarisce ByteDance, sottolineando come il target della piattaforma sia quello dei 18-25 anni. Ciò ovviamente non esclude possibili usi impropri della piattaforma. Da qui l’invito – rivolto ai genitori – a una conversazione aperta e diretta con i propri figli. Come dire, i limiti ci sono, ma andrebbero fatti rispettare, soprattutto dagli adulti. Sempre che siano consapevoli dei rischi che possono derivare da un’eccessiva esposizione in rete.