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“Le invio il mio avatar per le misure, va bene?” Dati e privacy in atelier

“Le invio il mio avatar per le misure, va bene?” Dati e privacy in atelier

“Ci vediamo domani alle 10 per l’ultima prova allora?”

Non posso proprio domani, ma le invio il mio avatar per le misure, va bene?”

“Ancora meglio, abbiamo ormai il software per trasferire tutti i dati al nostro sistema di cucitura”.

Il dialogo potrebbe essere fra qualche tempo pratica corrente in un qualsiasi negozio di abbigliamento.

Cominciano infatti a moltiplicarsi gli atelier degli avatar personali. L’ultimo lo ha aperto a Milano Billy Berlusconi, nipote del più noto, al momento, Silvio.

Si tratta di un centro per la realizzazione di avatar che riproducono, in tutto e per tutto, le fattezze e le misure del titolare. Un altro centro simile è già in attività a Torino, e se ne annunciano anche a Roma.

La promozione del prodotto, che il nuovo Berlusconi che scende in campo annuncia, e al quale, se buon sangue non mente, non mancheranno certo le risorse pubblicitarie, oltre che finanziarie, parla di un vero gemello che ci sostituisce in incombenze fastidiose, come appunto misurarsi un abito, oppure andare dal personal trainer per farsi prescrivere esercizi. Sembrerebbe, a prima vista il solito giochetto per ricchi annoiati. Definizione che qualche decennio fa veniva usata in generale per Internet, e successivamente, per i social. Poi abbiamo visto dove siamo arrivati.

Ora siamo dinanzi ad un fenomeno che già fu annunciato circa 10 anni fa, con quella moda, allora passeggera, di SecondLife. Qualcuno ricorderà: la piattaforma dove si ricreavano condizioni di vita comunitaria reale per mezzo di pupazzetti che impersonavano i singoli utenti. Si cominciava a parlare di duplicazione di se stessi, di dare forma ai sogni o alle ambizioni, ricreando personalità e attività. Qualcuno riuscì anche a guadagnarci qualcosa speculando sulla frenesia di rendere il proprio avatar attraente e brillante, dotandolo di un personal designer, di un arredatore della propria casa e di accompagnatori o accompagnatrici suggestive, per non dire direttamente eccitanti.

Quella forma di fuga da se stessi durò un paio d’anni e si spense naturalmente, sostituita da una più ampia, inclusiva e omologante corsa ai social. 

Ma, come sempre, ogni tendenza ormai nel sistema virtuale si modifica, anzi, si ri-media, come direbbero Grusin e Bolter, i due teorici della combinazione continua di linguaggi e valori nella società dell’informazione. I processi non si esauriscono, ma si innestano in tendenze più complesse. La sensoristica, intrecciata a una potenza di calcolo che sta riproducendo funzioni umane, come voce, memorie e correlazioni, ad alta fedeltà, ci ripropone l’obbiettivo di una nostra riproduzione.

Infatti, anche sulla scorta della società distanziata, che la pandemia ci sta imponendo, con le pratiche di massa di smart working e di e Learning, la disponibilità di veri avatar che, in sicurezza per noi, rendono più dirette e fluide le relazioni sociali che non possiamo gestire in presenza, sta ormai imponendosi come necessità diffusa. In questo contesto si pone il tema di una modularità dell’avatar, che per rispondere fedelmente alle nostre perfette dimensioni e misure, dove evolversi con noi, rimanendo in contatto con gli indicatori della nostra personalità, sia fisica che psicologica. In sostanza, se vogliamo usufruire di un servizio efficiente e duraturo, dovremmo trasferire all’avatar i nostri dati socio biologici. In modo da poterlo usare in permanenza, adattandolo a varie evenienze. A questo punto diventano due i temi che ci interrogano: da una parte quale fenomeno potranno attivare gli avatar di noi tutti interagendo fra di loro? Che società si potrebbe creare accanto alla nostra, con questi gemelli che ci rappresentano? Si arriverebbe ad una sorta di Blade Runner in scala minore, dove avatar e originali si mischiano in diverse forme di relazione, come appunto attività subalterne o ancora integrative o, di nuovi svaghi, o, infine di svaghi di sempre, come l’industria del sesso non maccherebbe di proporre, e in questo forse già lo zio qualche suggerimento potrebbe darlo all’intraprendente nipotino. Ma l’altro tema che inevitabilmente incontreremo su questa pista riguarda, come è ormai prassi consueta, la questione dei dati. Se noi avremo modo di trasferire al sistema di calcolo che guida l’avatar, sia nelle prime versioni puramente virtuali, che in quelle tridimensionali e materiali che Billy Berlusconi ci annuncia, i nostri dati psico-biologici, per rendere appunto il gemello in tutto corrispondente a noi via via che invecchiamo, a sua volta l’avatar a chi invierà questi dati preziosissimi per profilare intimamente l’umanità?

Siamo ad un giro di boa che ci fa intendere come forse, dietro l’apparente frivolo business della vanità dei ricchi milanesi, la famiglia Berlusconi si sia trovata ancora una volta , dopo la sbornia della TV commerciale negli anni 80, ad essere veicolo di un processo di modernizzazione passiva della nostra società che mira a sostituire i social come strumento di raccolta e trasferimento dati con un nuovo medium, basato sulla relazione diretta fra consimili di ognuno di noi, in cui la nostra anima diventa un file da appaltare.