Ma davvero il metaverso è già morto?
Pochi giorni dopo aver annunciato la chiusura di AltSpaceVR (l’ambiente sociale in realtà virtuale acquistato nel 2017), Microsoft ha deciso di chiudere, dopo soli quattro mesi, anche l’intero dipartimento per lo sviluppo del suo cosiddetto metaverso industriale, licenziando circa 100 persone. Già qualche mese fa, invece, Tinder aveva deciso di rinunciare ai suoi ambiziosi (e paradossali) progetti in stile metaverso.
I ripensamenti hanno coinvolto anche la società che più di ogni altra ha scommesso il suo futuro su questa visione, vale a dire Meta. Prima è venuto il post in cui Andrew Bosworth, responsabile tecnico dei Reality Labs di Meta, raccontava i progetti futuri della società senza mai menzionare il metaverso poi si è scoperto come gli stessi dipendenti della società fondata da Mark Zuckerberg fossero molto scettici riguardo a tutta la faccenda.
Stando a un sondaggio anonimo su Blind, il 56% dei dipendenti di Meta pensa infatti che Zuckerberg non abbia “spiegato chiaramente cosa il metaverso sia”, mentre il 58% ritiene che “il metaverso non raggiungerà un miliardo di utenti nel prossimo decennio” (nel novembre 2021 questa percentuale era del 40%). In tutto ciò, è noto come il principale progetto di Meta in questo ambito, vale a dire Horizon Worlds, sia passato da 300mila a 200mila utenti nel corso del 2022 e abbia grandemente deluso le aspettative.
Per quanto importanti, questi incidenti di percorso non bastano da soli a mettere la parola fine all’ambizioso e (fin troppo) variegato progetto di metaverso. Come ha sottolineato Harry McCracken nella sua newsletter Plugged In, “il calo dell’interesse nei confronti di una categoria tecnologica non è la dimostrazione che sia destinata a svanire per sempre. Il decennale settore dell’intelligenza artificiale è noto per aver dovuto affrontare molteplici fasi in cui il pessimismo verso le sue potenzialità dominava”. È però proprio il confronto con l’intelligenza artificiale a essere particolarmente impietoso. A differenza del metaverso, che ha generato aspettative sproporzionate rispetto allo stato di avanzamento e adozione dei vari progetti, il deep learning negli ultimi dieci anni ha veramente cambiato il mondo, venendo integrato con enorme successo in un numero sempre crescente di ambiti ed evolvendo senza sosta, come dimostrato da ultimo proprio da uno strumento come ChatGPT.
Per quanto anche ChatGPT e la Generative AI in generale abbiano ricevuto la loro quota di aspettative eccessive, non è niente di paragonabile al clamore generato dal metaverso, che è riuscito nell’impresa di far credere – a colpi di pubblicità e campagne di marketing – che davvero già esistesse un ambiente in realtà virtuale, immersivo e aperto in cui trasferire una parte della nostra quotidianità (mentre in realtà esistevano soltanto svariate piattaforme estremamente diverse tra loro e che nella maggior parte dei casi non usavano neanche la realtà virtuale).
Alimentare aspettative eccessive non può che rivelarsi un boomerang quando viene promesso – come fatto da Zuckerberg nel 2021 – di poter partecipare con il proprio avatar a un concerto che si svolge fisicamente in qualche arena, senza apprezzabili differenze rispetto a chi si trova realmente sul posto. Qualcosa che – come ha scritto sempre McCracken – “ha tanto fondamento nella realtà quanto la macchina del tempo o il raggio rimpicciolente”.
Lo stesso concetto è stato reiterato su Forbes: “Dopo otto anni di sviluppo e dopo aver speso miliardi di dollari, questo fantascientifico concetto sembra essere stato completato forse al 2%. Il problema di fondo di luoghi come Horizon Workrooms (il “metaverso” destinato alle riunioni di lavoro) o Horizon Worlds (quello invece più sociale) è che sono terribilmente brutti, a malapena funzionanti e sono terreni fertili per interazioni sociali che, nel migliore dei casi, sono impacciate e goffe”.
È davvero la fine del metaverso? Dipende da che cosa s’intende: il colossale progetto basato sulla realtà virtuale di Mark Zuckerberg potrebbe anche rivelarsi un fallimento, ma lo stesso non si può certo dire di molteplici altre realtà che sono state etichettate come tali (basti pensare ai clamorosi successi di Roblox e Fortnite), mentre gli stessi videogiochi in realtà virtuale in cui è anche possibile interagire con altri utenti (come Population One o Echo VR, che solo a posteriori sono stati fatti ricadere nella categoria metaverso) continueranno ad affascinare una fetta crescente di gamer.
Probabilmente, la cosa migliore sarebbe decretare la fine della parola “metaverso”: un termine troppo vago, confusionario, che lascia immaginare qualcosa che oggi non esiste e che racchiude ambienti ed esperienze estremamente diverse tra loro. D’altra parte, quando si vuol far passare per metaverso anche una semplice piattaforma in realtà virtuale per l’addestramento al volo, o giochi che esistono da oltre un decennio come Minecraft (e che non sono neanche in realtà virtuale), significa che si è tirato troppo la corda.