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Arte e inclusione sociale: gli esempi virtuosi in Italia

Arte e inclusione sociale: gli esempi virtuosi in Italia

“I musei sono fatti non per essere visitati, ma per essere sentiti e vissuti”. Prendendo in prestito queste parole dello scrittore turco Orhan Pamuk possiamo capire meglio l’importanza di rendere i musei sempre più accessibili e fruibili a tutti. Ciascuno di noi almeno una volta nella vita è andato a vedere una raccolta d’arte per ammirare quadri, statue e installazioni: abbiamo girato tra le sale, salito antiche scale e attraversato lunghi corridoi e cortili pieni di turisti. Ma non per tutti è così facile entrare in contatto con la bellezza dell’arte e della storia. Ci sono persone che, avendo una o più disabilità, possono incontrare difficoltà nel godere a pieno di queste bellezze, per i luoghi dove sono collocate o per la natura intrinseca delle stesse opere.

Accessibilità oltre le barriere architettoniche, cognitive e sensoriali 

Impegno costante e finanziamenti adeguati sono le parole chiave per far sì che l’inclusione culturale sia effettiva. Il superamento delle barriere architettoniche, cognitive e sensoriali ha rappresentato negli ultimi anni uno degli interventi di maggior spessore messi in atto dal Ministero della Cultura, anche attraverso l’istituzione di una commissione che nel 2008 ha pubblicato le Linee guida per i luoghi di interesse culturale. Un tema complesso, che non riguarda ovviamente le sole barriere architettoniche in senso stretto, ma che interessa tutti coloro che per svariati motivi necessitano non solo di percorsi alternativi, ma anche di strumenti dedicati, come chi ha un deficit visivo.

“Non ci limitiamo alla riproduzione fine a se stessa, ma i nostri ausili sono legati alla possibilità di esplorare l’opera d’arte”, spiega a Startupitalia Rodolfo Masto, presidente della Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano, che dal 1840 si occupa a 360 gradi di non vedenti e ipovedenti, cercando soprattutto di renderli il più autonomi possibili in campo scolastico, formativo, professionale e sociale. Per questo l’istituto collabora anche con musei e fondazioni artistiche nella realizzazione di percorsi tattili e didattici specifici per persone con disabilità visiva. Perché per realizzare un percorso efficace per i non vedenti non è sufficiente la buona volontà, servono professionalità e competenze specifiche, come sottolinea Aurelio Sartorio, responsabile del settore didattico dell’Istituto dei Ciechi , che si occupa, anche direttamente, della riproduzione delle opere per renderle fruibili ai non vedenti: “Deve essere un’esperienza formativa e sostenere che il non vedente deve essere libero come il vedente nella sua visita può diventare una posizione demagogica, perché non basta fornire delle cuffie che descrivono le opere ma che, al tempo stesso, isolano dal contesto museale circostante, facendo perdere al visitatore la percezione derivante dalle informazioni acustiche dell’ambiente”.

Percorsi dedicati e trasposizione tattile 

Se quindi da una parte è importante avere personale preparato e sezioni didattiche specializzate, “una delle scelte fondamentali che rimane da fare è valutare e decidere quale percorso e su quali opere investire: si possono scegliere quelle più adatte alla trasposizione tattile o quelle più famose, l’ideale è quando si riescono a conciliare ambedue gli aspetti”, aggiunge Sartorio. I progetti seguiti dall’istituto sono diversi: dal Guggenheim di Venezia al Museo della Seta di Como, fino alle Gallerie d’Italia di Milano, dove è stato fatto un lavoro sulle opere di Canova e sul racconto del contesto. 

Cappella San Severo, come svelare la scultura

A Napoli, invece, il Museo Cappella Sansevero, che racchiude un capolavoro della scultura come il Cristo Velato, rappresenta anche un esempio di come l’arte possa andare incontro alla disabilità a tutto tondo. Negli anni sono stati realizzati interventi a favore di bambini e ragazzi con disturbo dello spettro autistico e dal 2018 è stato attivato il progetto Sansevero in LIS, con visite guidate nel linguaggio dei segni italiano. Per non vedenti e ipovedenti è stato invece messo a punto un percorso riservato con una descrizione storico-artistica del complesso monumentale in modalità tattile. Si parte dal Cristo Velato per arrivare agli splendidi bassorilievi della Pudicizia e del Disinganno, con un’audioguida di 25 minuti che permette di entrare in contatto in autonomia con il complesso monumentale nel suo insieme.

Per fortuna gli esempi in tutta Italia si stanno moltiplicando. Il Museo e il Parco del Castello Miramare di Trieste hanno realizzato una guida al parco in braille e una smart guide con una specifica interfaccia grafica per non vedenti, ipovedenti, non udenti e disabili motori. Ugualmente i Musei Vaticani a Roma sono quasi tutti accessibili su sedia a rotelle e per chi ha disabilità visiva è possibile compiere visite tattili plurisensoriali, ascoltare brani musicali e input olfattivi, che richiamano alla mente il soggetto dell’opera, con la possibilità di toccare una vasta gamma di calchi e sculture originali durante la visita. 




GIULIA SALEMI E IL CONFLITTO TRA STUDIO E LAVORO NEL MONDO DEGLI INFLUENCER

GIULIA SALEMI E IL CONFLITTO TRA STUDIO E LAVORO NEL MONDO DEGLI INFLUENCER

L’influencer Giulia Salemi ha recentemente condiviso un momento di vulnerabilità con i suoi follower, esprimendo in lacrime le difficoltà che sta affrontando nel coniugare il suo lavoro di influencer con il percorso di studi. Salemi, nota per la sua carriera di successo sui social media, ha rivelato di essere la prima della sua scuola e di trovarsi in difficoltà nel gestire l’intenso programma di studio e le pressioni professionali.

Questo sfogo ha messo in luce una realtà spesso invisibile: per molti giovani influencer, equilibrare il lavoro online con gli impegni scolastici può essere una sfida notevole. In un’epoca in cui i social media hanno un impatto crescente sulle vite dei giovani, le aspettative professionali e accademiche possono diventare pesanti, portando a un conflitto tra il desiderio di eccellere nel mondo virtuale e la necessità di completare un percorso di studi tradizionale.

Per i giovani che si trovano nella posizione di Giulia , è cruciale trovare strategie efficaci per gestire entrambe le sfere senza compromettere l’uno o l’altro. Tuttavia, è altrettanto importante evitare favoritismi che potrebbero influenzare il percorso scolastico.

Diversse fonti sul web propongono una serie di strategie per aiutare a gestire questo equilibrio:

  • Pianificazione e Organizzazione: Creare un piano di studi dettagliato che integri il lavoro e gli studi può essere essenziale. Utilizzare strumenti di gestione del tempo come agende digitali e app di produttività aiuta a tenere traccia delle scadenze e delle responsabilità, permettendo di allocare tempo per lo studio, il lavoro e il riposo in modo equilibrato.
  • Comunicazione con le Istituzioni Scolastiche: Essere trasparenti con le scuole riguardo alle proprie esigenze può facilitare una comprensione reciproca. Alcune istituzioni potrebbero offrire flessibilità per gli studenti con impegni professionali, come possibilità di recupero o adattamenti nei tempi di consegna, senza compromettere l’equità.
  • Supporto Professionale: Lavorare con un tutor o un mentore educativo può aiutare a mantenere alta la qualità dello studio mentre si gestisce un carico di lavoro professionale. I tutor possono fornire supporto aggiuntivo e aiutare a organizzare le sessioni di studio in modo più efficiente.
  • Gestione dello Stress: Pratiche di gestione dello stress, come la meditazione e l’esercizio fisico, possono essere utili per mantenere un equilibrio sano. Questo non solo aiuta a migliorare la concentrazione e la produttività, ma contribuisce anche al benessere generale, riducendo il rischio di burnout.
  • Evitare Favoritismi: È fondamentale che le istituzioni scolastiche mantengano standard equi per tutti gli studenti. Garantire che le regolamentazioni e le aspettative siano applicate uniformemente previene la percezione di favoritismi e assicura che ogni studente riceva le stesse opportunità di successo.

L’esperienza di Giulia Salemi serve a ricordare che, nonostante la visibilità e il successo sui social media, gli impegni scolastici rimangono una parte importante della crescita personale e professionale. Le sfide che affrontano i giovani influencer sono un riflesso delle difficoltà che molti studenti incontrano nel bilanciare diverse responsabilità. Adottare strategie adeguate e mantenere un dialogo aperto con le istituzioni può aiutare a navigare queste sfide, garantendo che il percorso scolastico non venga compromesso e che il successo professionale non avvenga a spese del benessere personale.




Trasporto aereo: con sciopero a rischio l’era delle compagnie low cost

Trasporto aereo: con sciopero a rischio l'era delle compagnie low cost

Lo sciopero indetto domani da Ryanair, EasyJet e Volotea, il secondo episodio nel giro di pochi giorni, potrebbe mettere a rischio l’era delle compagnie low cost.

“Incomprensibile come societa’ di queste dimensioni possano trascurare in questo modo le ricadute reputazionali delle loro discutibili politiche di Hr”, sostiene Luca Poma, professore di Reputation Management all’Università Lumsa di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino. “Scegliendo di ignorare deliberatamente nel loro modello di business – che prevede una spregiudicata rincorsa al prezzo più basso – le conseguenze di queste politiche predatorie sulla percezione presso i cittadini, le compagnie aeree low cost pregiudicano così inevitabilmente il loro perimetro reputazionale e distruggono valore per gli azionisti”.

Proprio la reputazione aziendale impatta direttamente sul valore di mercato dell’azienda, toccando un insieme di fattori come l’identità, l’immagine, la notorietà e la riconoscibilità che influiscono sia sugli stakeholder, sia sul valore percepito dei clienti. Secondo una recente indagine di Weber Shandwick dal titolo ‘The State of Corporate Reputation’, il 63% del valore di mercato dell’azienda è infatti attribuibile alla reputazione.

“È vero che queste compagnie ci hanno permesso di volare a basso costo su molte destinazioni per anni, ma – paradossalmente – a quale prezzo? Il costo basso del biglietto e’ uno specchietto per allodole, questi comportamenti non creano valore nel medio-lungo termine, anzi, lo distruggono”, spiega Poma. Senza una buona reputazione, che si ostruisce con un comportamento aziendale in linea con principi etici condivisi dalla comunità, non bastano i soli prezzi stracciati per garantire la sopravvivenza dell’azienda nel lungo periodo. “Il modello di business delle compagnie aeree low-cost, basato su malpratiche gestionali verso la forza lavoro e nel contempo sull’incasso di sovvenzioni versate dagli Enti pubblici per ogni aeroporto di destinazione scelto dalla compagnia, è destinato molto probabilmente al declino: gli scioperi di quest’estate – per la prima volta così coordinati, evidenziando quindi un forte e diffuso disagio tra i lavoratori – possono quindi essere il primo scricchiolio di un edificio che avrà sempre più difficoltà a stare in piedi”, aggiunge Poma.

“La letteratura in materia è molto chiara, come anche i casi di studio nel mondo professionale: un’azienda che non si prende cura delle proprie risorse umane pregiudicherà la propria business continuity”, afferma Giorgia Grandoni, ricercatrice e specialista in gestione della reputazione presso la start-up innovativa Reputation Management. “I dipendenti sono uno stakeholder quanto mai centrale e sconcerta che queste imprese ancora non lo comprendano: un atteggiamento non etico nei loro confronti, comporta conseguenze sulla sostenibilità a lungo termine dell’azienda stessa, compromettendo anche l’engagement con la comunità. poi fin troppo evidente come una forza lavoro insoddisfatta non possa mantenere adeguati standard di qualità di servizio, che, a sua volta, è uno dei pilastri fondamentali del reputation management”.

Una situazione che non comporta solamente un rilevante danno economico per le aziende coinvolte, ma anche un notevole danno d’immagine. “L’impatto negativo in termini di uscite stampa è evidente e questo va a influire sia sul sentiment dei clienti sia in ambito di management aziendale intaccando il valore dalla brand reputation e la riconoscibilità dell’azienda. Marketing e comunicazione sono fattori chiavi per la reputazione di un’azienda ma quest’ultima deve essere fatta non solo nei confronti del consumer, ma anche degli stakeholder e dipendenti”, aggiunge Matteo Aiolfi, ceo di Espresso Communication, agenzia di comunicazione operativa nel campo delle media relation, digital PR e crisis management.




L’imbarazzante vicenda di Edelman e del suo nuovo “ZEO”

L’imbarazzante vicenda di Edelman e del suo nuovo “ZEO”

Edelman, la più grande agenzia di comunicazione indipendente al mondo, ha appena assunto uno “ZEO” per dirigere un nuovo “Gen Z Lab”. Oltre ad essere un esempio di goffo tentativo di imitazione in stile Partidge, si tratta di una fitta cortina fumogena che non inganna nessuno.

Edelman è la più grande agenzia di comunicazione indipendente al mondo. La scorsa settimana ha annunciato senza vergogna la nomina di uno “ZEO” a dirigere il suo nuovo “Gen Z Lab”. Sì, è imbarazzante proprio come sembra. Ma oltre alla denigrazione paternalistica di un’intera generazione a mo’ di espediente, vi è anche un’ipocrisia che lascia l’amaro in bocca. Ancora più disgustoso del sapore che lascia in bocca il semplice pronunciare “ZEO”, il che francamente mi fa venire voglia di lavarmi la bocca con acqua e sapone.

Allora, qual è la mia opinione? È difficile dire da dove iniziare. Fate un respiro profondo.

In primo luogo, il “Gen Z Lab” istituito da Edelman darà lavoro a 100 esponenti della Gen Z, si dice per attingere alle correnti culturali di questo range di età. Edelman dà lavoro a oltre 6.000 persone, quindi si tratta di meno del 2% della loro forza-lavoro. Non si fa menzione del background di queste persone né di quale policy di DE&I (diversity, equity e inclusion) abbia caratterizzato la loro scelta se non il fatto che siano tutti nati tra il 1997 e il 2012. In effetti, il direttore operativo (COO) per il Gen Z lab (perché questa carica non si chiami “ZOO”, per essere coerenti, non lo so – forse perché potremmo leggerlo come “zoo” invece di identificarlo con il neologismo aziendale rivoluzionario che chiaramente rappresenta) è la figlia del CEO di Edelman, Richard Edelman.

Mettendo la “Z” in “Nepotizm” (sic), Amanda Edelman supporterà il nuovo ZEO, Harris Reed.

“Benvenuti nel nostro Gen Z lab”

Ora, Harris è un enorme talento certamente qualificato per il ruolo di guida nelle nuove comunicazioni creative – ma dovrebbe forse leggere i segnali di avvertimento nel fatto che ogni dichiarazione di Edelman su di lui lo descriva principalmente come un “fashion designer gender fluid”. Utilizzare ripetutamente il termine “gender fluid” come segno di “figaggine”, come nelle dichiarazioni di Edelman, non mi sta bene. Non c’è alcun riferimento al genere di nessun altro nell’annuncio – nemmeno al multimilionario eterosessuale maschio bianco “Boomer”, Richard Edelman.

Edelman afferma che lo sforzo della Gen Z è pensato per “sfruttare le prospettive e le ambizioni della loro generazione per risolvere problemi quali razza e diversità, sostenibilità e cambiamento climatico e allinearsi con gli interessi del marchio per diventare catalizzatori del cambiamento”.

In apparenza ciò funziona, soprattutto considerando che il titolo del Trust Index di Edelman di quest’anno è “La leadership sociale è ora una funzione centrale del business”. Tuttavia Edelman rimane “l’agenzia di pubbliche relazioni numero uno per i clienti di combustibili fossili” e si rifiuta di sottoscrivere il patto di Clean Creatives che, al contrario, oltre 600 importanti agenzie sono invece riuscite a firmare (inclusa Manifest, per la cronaca). Sembra vi sia un’azione più semplice ed efficace che Edelman potrebbe intraprendere per mostrare dedizione per le ambizioni della Gen Z – ma invece continuano a dire al mondo di smettere di fare ciò che loro continuano a fare e ad assumere alcuni giovani talenti disposti a chiudere gli occhi su queste questioni.

Clean Creatives, promotrice del patto, ha riunito centinaia di creativi, esperti e sostenitori per dare manforte alla propria pressione su Edelman affinché cessi di lavorare con i clienti di combustibili fossili. Non sono sicuro di quanti di loro appartengano alla Gen Z, ma sembra che Harris Reed abbia più cose in comune con loro di Richard Edelman. Potete vedere qui l’elenco: https://cleancreatives.org/edelmandropexxon

Ora dovrei specificare che non ho alcun problema né ho avuto a che fare in passato con Edelman personalmente: sono semplicemente un convinto sostenitore del potenziale del nostro settore di cambiare il mondo in meglio. È quindi l’ipocrisia, piuttosto che questo goffo essere fuori dal mondo, che rende il “Gen Z Lab” così pericoloso per coloro che combattono questa giusta battaglia.

Certo, non mi è piaciuto quando Edelman ha detto a tutto il suo personale che i loro posti di lavoro erano al sicuro all’inizio del COVID, prima di licenziarne centinaia in poche settimane, citando l’impatto del COVID come causa. Per contestualizzare, i licenziamenti hanno toccato un numero di persone superiore a tre Gen Z Lab. Ma suppongo che tutti commettiamo errori – possiamo concedere loro il beneficio del dubbio che questo non sia solo un altro esempio di etica sottilissima.

La verità è che se i marchi vogliono essere rilevanti – non solo per la Gen Z ma per ogni tipologia di pubblico – allora forse dovrebbero cercare qualcosa di più di un ZEO e guardare invece come venga gestita un’agenzia partner e la sua storia per ottenere grandi risultati. E se Edelman desidera essere più “in contatto”, la risposta è più complessa che rendere l’1% della tua agenzia responsabile della rilevanza culturale e introdurre un prefisso genderoriented ogni volta che si citi il tuo nuovo ZEO. Forse inizia con mettere in pratica ciò che predichi.

Il Trust Index di Edelman ha sottolineato già nel 2018 che “il 64% delle persone sceglie, cambia o boicotta un marchio in base alla sua posizione sulle questioni sociali”. Edelman spererà che i suoi clienti più consapevoli non lo facciano. Anche se suppongo che i milioni che prendono dall’industria dei combustibili fossili saranno sempre al sicuro. Forse dovrebbero semplicemente raddoppiare quelli.

Sono curioso di sapere chi assumeranno come CO2EO quando ciò accadrà.




Maria Sofia Federico e l’Importanza della Privacy: quando la simpatia non giustifica l’Invasione

Maria Sofia Federico

Lo scorso aprile Maria Sofia Federico, ex concorrente del popolare reality show “Il Collegio” e attivista sui social, ha condiviso pubblicamente una serie di eventi sconcertanti accaduti durante la sua partecipazione al programma. Tra questi, ha rivelato un episodio particolarmente inquietante: mentre si trovava in un momento di intimità con un altro concorrente, alcuni compagni hanno tolto la coperta che li copriva, con l’intento di prenderli in giro. Una ragazzata, che potrebbe capitare in qualsiasi gruppo di – maleducati – studenti in gita, ma in questo caso, una ragazzata ripresa dalle telecamere di un canale TV nazionale! L’episodio non è stato trasmesso nelle puntate ufficiali del programma, ma solleva comunque importanti questioni riguardo al rispetto della privacy e alla responsabilità di chi partecipa a programmi televisivi.

La rivelazione di Maria Sofia Federico mette in luce un aspetto spesso trascurato nel contesto dei reality show: il confine tra intrattenimento e violazione della privacy. Anche se partecipare a un reality show comporta inevitabilmente una certa esposizione pubblica, esiste un limite oltre il quale nessuno dovrebbe spingersi. Il rispetto per la privacy e la dignità degli individui deve essere mantenuto, indipendentemente dalle dinamiche di gioco o dalle antipatie che possono nascere tra i concorrenti.

L’episodio raccontato da Federico è particolarmente significativo perché sottolinea l’importanza di distinguere tra il gioco e la violazione di diritti fondamentali. Togliere la coperta a una persona durante un momento intimo non è solo uno scherzo di cattivo gusto, ma un atto di invasione che può avere ripercussioni emotive profonde. Questo tipo di comportamento è inaccettabile, a prescindere dal contesto o dalla simpatia che si possa o meno provare per la persona coinvolta. L’intimità e la privacy sono diritti fondamentali che devono essere rispettati, e chi li viola deve essere chiamato a rispondere delle proprie azioni.

Il fatto che questi eventi non siano stati mostrati durante la trasmissione solleva ulteriori domande sull’etica delle produzioni televisive. Se da un lato è possibile che i produttori abbiano scelto di non trasmettere le immagini per evitare di sollevare polemiche, dall’altro questa scelta potrebbe essere vista come un tentativo di proteggere il programma a scapito della verità e del benessere dei concorrenti. È fondamentale che i reality show, pur perseguendo l’intrattenimento, si assumano la responsabilità di tutelare i partecipanti, garantendo che non vengano messi in situazioni umilianti o dannose.

L’esperienza di Maria Sofia Federico ci ricorda l’importanza di promuovere una cultura del rispetto, in cui la privacy e l’integrità delle persone siano sempre al primo posto. Gli spettatori, così come i partecipanti ai reality show, devono essere consapevoli del fatto che ogni individuo ha il diritto di vivere momenti di intimità senza la paura di essere esposto o deriso. La simpatia o l’antipatia che possiamo nutrire verso qualcuno non può mai giustificare comportamenti che ledono la dignità altrui.

In conclusione, la vicenda di Maria Sofia Federico evidenzia la necessità di una maggiore sensibilità e responsabilità, sia da parte di chi partecipa a questi programmi, sia da parte delle produzioni televisive. Rispetto e privacy non dovrebbero mai essere sacrificati in nome dell’intrattenimento, e gli spettatori hanno il dovere di esigere che i contenuti che guardano siano etici e rispettosi dei diritti di tutti i partecipanti, nonchè di essere informati se qualcuno viola tali principi, anche se queste violazioni non vengono trasmesse.