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Sheryl Sandberg, numero 2 di Mark Zuckerberg, lascia Meta

Sheryl Sandberg, numero 2 di Mark Zuckerberg, lascia Meta

Sheryl Sandberg ha annunciato le sue dimissioni da Meta. La manager — che ha 52 anni, e da 14 era braccio destro di Mark Zuckerberg come Chief operating officer e mente commerciale di Facebook prima e di Meta poi – lo ha scritto sulla sua pagina Facebook.

«Dopo 14 anni lascio Meta», ha scritto, in un lungo post, sotto il quale il primo commento è proprio quello di Zuckerberg: «È la fine di un’era. In questi anni, hai dato forma al nostro modello di business fondato sulla pubblicità forgiato la nostra cultura manageriale, e mi hai insegnato come guidare un’azienda. Mi mancherà lavorare al tuo fianco, ogni giorno: ma sono grato di averti, per sempre, come amica. Grazie per tutto ciò che hai fatto per me e per la mia famiglia, per la nostra azienda, per milioni di persone in tutto il mondo. Sei una superstar».

Sandberg era entrata a Facebook nel 2008, dopo che Zuckerberg — all’epoca solo un informatico geniale e un po’ impacciato — era rimasto folgorato da lei durante una festa di Natale e aveva poi fatto di tutto per strapparla a Google, dove era stata decisiva nella creazione della piattaforma in grado di cambiare per sempre il mondo della pubblicità.

«Quando accettai questo lavoro, speravo di poter ricoprire l’incarico per 5 anni. Quattordici anni dopo, è arrivato per me il momento di scrivere il prossimo capitolo della mia vita», ha scritto senza però rivelare nel dettaglio i suoi piani futuri.

Con Sandberg, Facebook è divenuta il colosso che il mondo conosce: e non è un caso che il titolo, a Wall Street, abbia subito accusato il colpo.

Nel suo post, Sandberg descrive Zuckerberg con parole che riflettono il percorso condiviso in questi anni, dal primo incontro alle «innumerevoli cene e conversazioni» dopo le quali il fondatore di Facebook le aveva offerto il ruolo, fino alle crescenti difficoltà cui la società si è trovata a dover far fronte («dire che non è sempre stato facile è un eufemismo: ma è giusto che sia così. I prodotti che facciamo hanno un impatto enorme, e abbiamo la responsabilità di costruirli in modo tale che proteggano la privacy e garantiscano la sicurezza degli utenti. Sia io, sia i colleghi di Meta abbiamo sentito il peso delle nostre responsabilità»).

«Gli avevo chiesto tre cose», ricorda ancora Sandberg: «Di poter sedere vicino a lui nella sede di Facebook; di poterlo incontrare, di persona e da soli, una volta alla settimana; e di avere un feedback diretto e onesto. Ha mantenuto queste promesse fino ad oggi. Spesso dice che siamo cresciuti insieme: e ha ragione».

Nel suo post su Facebook, Zuckerberg ha scritto che a prendere il posto di Sandberg sarà Javier Olivan. «Questo ruolo però», ha scritto il fondatore di Facebook, «sarà diverso da come l’ha interpretato Sheryl: sarà più simile a quello tradizionale di un COO, e Javi si concentrerà soprattutto sugli aspetti interni e operativi, continuando a dar prova della sua capacità di renderci più efficienti e rigorosi».

Sandberg, al contrario, svolgeva un ruolo in qualche modo «pubblico», che la portava ad avere rapporti con legislatori o a dover prendere posizioni su tematiche come il ruolo delle donne nei posti di lavoro o, più recentemente, l’aborto.

Al ruolo di Sandberg — e al rapporto tra Zuckerberg e Sandberg, fondativo della crescita di Facebook — due croniste del New York Times , Sheera Frenkel e Cecilia Kang, avevano recentemente dedicato Facebook. L’inchiesta finale (Einaudi 2021): un libro frutto di oltre 400 interviste con esperti, ma soprattutto dipendenti ed ex dipendenti, a tutti i livelli, di Facebook.

Il quadro che emergeva da quel libro era, fino al 2016, quello di un legame simbiotico: lui, programmatore visionario, impegnato a dirigere l’innovazione del prodotto, lei, manager dalle capacità fuori dall’ordinario, pronta a farne una macchina da profitti.

Tutto – secondo le autrici – è però iniziato a cambiare quando Trump ha vinto le elezioni, nel 2016.

Sandberg, storicamente legata al Partito democratico e fino a quel momento «volto» dell’azienda a Washington, si era trovata improvvisamente senza punti di riferimento nella capitale.

Zuckerberg — dopo averla osservata gestire le crisi di Cambridge Analytica e dell’intromissione russa nella campagna elettorale americana, e dopo essere stato costretto dalle circostanze a scusarsi di fronte al mondo — nel 2019 era volato a Washington, per un incontro «fuori agenda» con Trump. Aveva deciso, contro il parere di Sandberg, di non cancellare il video alterato in cui la presidente della Camera Nancy Pelosi sembrava biascicare. Ed era arrivato a teorizzare – nell’ormai famoso discorso alla Georgetown University – la necessità per la sua piattaforma di essere «neutra» nei confronti dei contenuti politici, anche se apertamente falsi.

Secondo quanto ricostruito dalle autrici del libro, a Sandberg, nelle ore successive a quelle parole, erano iniziate ad arrivare ad arrivare raffiche di email – deluse, infuriate, preoccupate – di dirigenti e dipendenti. Non c’è molto che possa fare per far cambiare a Mark, aveva spiegato a chi le sta vicino.

E ad alcuni aveva risposto di indirizzare le loro mail altrove. Ad esempio a Nick Clegg, diventato vicepresidente per gli affari globali e le comunicazioni di Facebook.

Quando, durante una intervista, la star tv Katie Couric le aveva chiesto se non fosse preoccupata della sua legacy, essendo lei così organica a una piattaforma vista come tanto tossica per la società, Sandberg aveva risposto di essere «onorata» del suo ruolo: ma dentro di lei — avevano scritto le autrici, citando fonti vicine alla manager — era «divorata dall’umiliazione».

«Per molti dei massimi dirigenti dell’azienda», scrivevano Frenkel e Kang, «la sensazione ormai è che non ci siano più un numero uno e un numero due, ma un numero uno e molti altri»: e quanto avvenuto negli ultimi mesi sembra provare il punto.

In particolare, è il ruolo di Clegg – ex vicepremier britannico, assunto per essere il “ministro degli Esteri” di Facebook, formalmente a diretto riporto di Sandberg, ma recentemente diventato «president of global affairs» di Meta – ad essere cresciuto, con il tempo.

A lui Zuckerberg aveva affiato il compito di scrivere la bozza del post con il quale Zuckerberg aveva sospeso, dopo l’assalto al Congresso, gli account di Trump; ed era stato lui a prendere parola dopo le rivelazioni su Facebook dei «Facebook files» dello scorso anno, quando il cronista del Wall Street Journal Jeff Horwitz, in una lunga, e dettagliatissima, serie di articoli, aveva pubblicato documenti riservati e ricerche interne su temi estremamente delicati.

Di queste frizioni, sempre smentite dalla società, Sandberg non fa menzione nel suo post. Spiega di «volersi dedicare di più alla sua fondazione e al suo lavoro filantropico, che è più importante per me di quanto non lo sia mai stato dato il momento critico che stiamo vivendo, per le donne». Parla del matrimonio — previsto per l’estate — con Tom Bernthal, incontrato dopo la morte improvvisa del secondo marito, Dave Goldberg, e del suo ruolo di madre di una «famiglia estesa con cinque bambini». Spiega che lascerà il posto di COO di Meta «in autunno», dopo un passaggio di consegne ordinato e – necessariamente, dato il suo ruolo – complicato e lungo. Annuncia che rimarrà nel board dell’azienda. E ringrazia «Mark, per avermi dato quest’opportunità ed essere uno dei migliori amici che si possano avere».




Edimburgo e la sostenibilità sociale

Edimburgo e la sostenibilità sociale

Edimburgo, la capitale della Scozia, con i suoi circa 500.000 abitanti sta diventando un esempio di realtà urbana che punta, oltre alla sostenibilità ambientale, anche alla sostenibilità sociale.
Sul fronte ambientale la città scozzese ha avviato da tempo una strategia che le permetterà di raggiungere la neutralità climatica in anticipo rispetto al resto d’Europa grazie a un piano che ha già consentito di ridurre drasticamente le emissioni inquinanti.
Sul fronte sociale la città si distingue per elevati standard di istruzione e sanità, un basso livello di criminalità e una buona distribuzione di reddito tra la popolazione. Interessante l’esperimento partito nel 2018 a nord di Edimburgo, nel quartiere di Granton, dove è stato realizzato un villaggio per gli homeless, una comunità innovativa che offre alloggio e ampio supporto ai residenti. Costruito su un terreno non edificato donato dal Comune di Edimburgo, il villaggio è stato ideato da Social Bite, un’impresa sociale scozzese che dà lavoro agli homeless e che dona i suoi profitti ad associazioni non profit. Nel villaggio i residenti non solo ricevono una casa in cui stare, ma anche supporto e consulenza.

Cosa c’è di nuovo

È necessario diffondere l’idea che occorre misurare gli impatti sociali non solo quelli ambientali per comprendere su una realtà urbana sta andando nella direzione giusta verso uno sviluppo sempre più sostenibile.




Un murale di 1000 mq per festeggiare i 50 anni delle Acciaierie Calvisano (Feralpi Group)

Un murale di 1000 mq per festeggiare i 50 anni delle Acciaierie Calvisano (Feralpi Group)

Le Acciaierie di Calvisano (Feralpi Group) festeggiano il decimo lustro con una serie di iniziative speciali. Tra le numerose – molte ancora riservate – ce n’è una che è difficile nascondere: è stato completato di recente un nuovo murale, 1000 mq di superficie che ha cambiato volto alla facciata (50×20 mt) in testa allo stabilimento. Se il lavoro operativo è durato dieci giorni, il percorso di avvicinamento è partito già nel mese di marzo coinvolgendo fin da subito le persone dell’azienda che hanno contribuito a fornire all’artista, Tellas, le testimonianze, le sensazioni e il ruolo di Acciaierie di Calvisano nella comunità e nel territorio, restituendo valore anche dal punto di vista estetico.

Il coinvolgimento di Tellas – al secolo Fabio Schirru – è particolarmente singolare. Intanto, Tellas in sardo significa “pietra di scarto”, un analogismo che ben si fonde con l’anima dell’attività dove ha operato e che vede il rottame ferroso come cardine della produzione. Tellas ha nel suo portfolio realizzazioni in Brasile, Australia, passando per Stati Uniti, Europa e Asia. Da oggi, anche Calvisano. Ma la sua realizzazione non solo è frutto del suo estro, così unico e riconoscibile, bensì delle testimonianze, della contaminazione corale delle persone di Acciaierie di Calvisano. Lui, Tellas, ha passato una giornata intera in azienda, tra i reparti produttivi, dialogando e approfondendo il senso di appartenenza che si cela dietro questa azienda cinquantenaria. E solo dopo ha tradotto in arte le sensazioni generate da questa condivisione:

«L’acciaieria – dice l’artista – è un luogo molto forte. Rumoroso, spigoloso, potente. Gli si accomuna facilmente il colore grigio, ma questo è invece pieno di colori. Gli stessi colori che ho visto e che vedono ogni giorno le persone che ci lavorano, che rendono possibile il processo di riciclo di queste materie di cui ogni giorno usufruiamo. Se non fosse per loro, nemmeno quest’ opera avrebbe la sua esistenza».1 di 4  

Il colore è protagonista assoluto del murale, nel quale coesistono elementi naturali, forme morbide e spigolose rappresentando in modo astratto il modo di produrre e lavorare l’acciaio. E al quale si lega, anche in questo caso, il claim che caratterizza l’anniversario: “All special, All different”. La volontà è quella di migliorare e di rendere più accogliente l’ambiente di lavoro delle persone stesse che vivono l’azienda. Un progetto a più ampio respiro che non sarà limitato esclusivamente alla facciata, ma che coinvolgerà diverse aree dell’azienda e i cui lavori sono in corso proprio in queste settimane. Un’azione che è in linea con uno degli impegni di tutta Feralpi Group nel rendere dignitoso il luogo di lavoro, richiesto peraltro da uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030.

Sul murale firmato da Tellas e dalle persone di Acciaierie di Calvisano non si trovano scritte perché volutamente l’opera vuole trascendere il tempo e deve essere continuamente interpretata e reinterpretata. Le persone non troveranno il numero 50 o qualche scritta celebrativa: la volontà è quella di legare presente e futuro. Un futuro che, per Acciaierie di Calvisano, è sempre più a colori…

«Il murale – sottolinea Giovanni Pasini, presidente di Acciaierie di Calvisano – è un’opera d’arte contemporanea, fortemente comunicativa della bellezza e della ricchezza della nostra attività. E’ un patrimonio collettivo, realizzato da tutti noi per la comunità interna ed esterna all’acciaieria. In tutto questo anniversario i protagonisti sono le persone della nostra azienda, che non sono semplici destinatari ma sono parte integrante del nostro percorso».




Amazon consegna ogni giorno, ma le sue menti vivono e creano il futuro

Amazon consegna ogni giorno, ma le sue menti vivono e creano il futuro

Su Amazon ho comprato un’altalena con pali in legno di 3 metri, pneumatici per auto, quadri, coppe personalizzate per il torneo di calcio, droni, skateboard, pc, telefoni, scarpe, abiti, perfino piattaforme galleggianti gonfiabili giganti e, ovviamente, centinaia di libri, audiolibri, e-books. Io non ricordo la maggior parte degli acquisti, ma Amazon sì. Sa anche a che ritmo ho letto su Kindle quali libri e a quale ora del giorno o della notte, non dimentica nulla per sempre dei miei comportamenti. Questa è la sua forza, imparare senza sosta e affinare la sua capacità di convertire opportunità d’acquisto in vendite reali. Per secoli, lo shopping è stato un affare sociale, da condurre di persona. (nella foto il futuro secondo quartier generale di Amazon negli Usa)

Nell’800 a. c. nell’antica Grecia, il centro delle città brulicava di mercanti che vendevano le loro merci. La gente le visitava non solo per fare acquisti, ma per socializzare, filosofare e parlare di politica. Facciamo un balzo in avanti fino al 2021 e lo shopping oggi può essere fatto online, in totale isolamento e senza conversazioni. Amazon non ha guidato da sola questa evoluzione dello shopping, ma sta accelerando il cambiamento dei comportamenti dei consumatori a un ritmo incalzante.

L’azienda di Jeff Bezos vale 1,5 trilioni di dollari, un numero difficile da comprendere, pari al 75% del PIL italiano. Ai prezzi correnti è l’equivalente del valore di 15 Enel, la società quotata di maggior valore in Italia. Rimane una perplessità: Amazon è un gigante che domina la nostra spesa in Internet o un blip nell’universo dello shopping? Negli Stati Uniti, ha una quota del 51% delle vendite online e a livello globale ha il 33% di quota di mercato dei servizi cloud. Come scrive Shire Ovide sul New York Times di qualche giorno fa: «Negli Stati Uniti, anche durante la pandemia, solo circa 14 dollari su ogni 100 dollari di merce che acquistiamo, viene speso online».

Amazon è enorme nelle vendite su Internet, ma esigua rispetto a tutti i prodotti e servizi che acquistiamo, in qualsiasi parte del mondo. Quindi Amazon non è tecnicamente un monopolio, ma è certamente un gigante che influenza in modo determinante le nostre vite e quelle di molti settori. E quindi, come fa a ipnotizzare la nostra attenzione? Eccelle nell’utilizzo del neuromarketing.

CHI DECIDE COSA COMPRARE?

La persuasione occulta trova la sua massima espressione nel famoso esperimento sull’acquisto di vino nei supermercati. Nei giorni in cui veniva suonata la musica francese, i vini francesi vendevano più di 3 volte dei vini tedeschi. Nei giorni in cui veniva suonata la musica tedesca, i vini tedeschi vendevano più di 3 volte dei vini francesi. Oltre il 90% degli acquirenti intervistati dopo l’acquisto ha dichiarato di non essere a conoscenza della musica di sottofondo. Questo studio illustra quanto sia importante la mente inconscia nel processo decisionale degli acquirenti. Contrariamente alla nostra convinzione che i consumatori si affidino alla ragione e alla logica per le loro decisioni di acquisto, sappiamo da tempo che l’intuizione e l’emozione giocano un ruolo molto più importante di quanto si pensasse in precedenza. 

Quando arriviamo sulla home page di Amazon, notiamo le immagini dei prodotti ovunque. Amazon tiene traccia della navigazione e degli acquisti di ogni visitatore sul suo sito web e crea un profilo personalizzato per ogni cliente. In alto a sinistra, uno dei primi posti in cui guardiamo, c’è il benvenuto con i suggerimenti personali per categoria. La personalizzazione è una delle chiavi del successo di Amazon. Ci parla direttamente e ottimizza l’esperienza di ogni cliente. Suggerisce la navigazione nelle categorie, in base alle nostre precedenti visite, perché l’identificazione con i clienti è una potente tattica di neuromarketing. Non esistono due visitatori con le stesse abitudini di acquisto. Quindi, ci sono quasi infiniti modi per fare acquisti. Possiamo cercare il nome di un articolo, sfogliare le categorie o seguire i suggerimenti mirati di Amazon. Possiamo guardare gli ultimi arrivi, gli articoli in saldo o approfittare delle offerte giornaliere. Non importa come scegliamo di fare acquisti, in ogni caso, vedremo elenchi di prodotti curati, presentati con precisione per abbinarsi alle nostre scelte precedenti, compresi confronti e articoli pertinenti per convincerci a comprare, soprattutto attraverso l’onnipresente sistema di recensioni altrui.

LA CONFERMA SOCIALE

Un’altra tecnica comune ci ricorda i prodotti che abbiamo visualizzato ma non acquistato. Inoltre in tutti gli elenchi di prodotti, Amazon utilizza pesantemente la conferma sociale per influenzare i nostri clic sugli articoli, attraverso il numero di stelle di approvazione e il numero di persone che hanno espresso la loro opinione. L’obiettivo è convincerci a fare clic su un prodotto per visualizzare la sua pagina dei dettagli, dove possiamo finalizzare l’acquisto.

Poiché Amazon è un venditore, l’algoritmo A10, il suo algoritmo di ricerca, è simile a quello di Google, complesso, velocissimo, e ottimizzato per massimizzare la conversione di acquisto. Sono favoriti tutti i prodotti che hanno maggiori probabilità di vendita immediata. I dettagli evidenziano parole come spedizione “gratuita”, usata più volte. Spesso viene stimolato anche il pregiudizio cognitivo dell’avversione alla perdita sottolineando la scarsità di offerta: “solo 2 pezzi rimasti”.

Infine, la sezione dell’ordine personalizza ancora la decisione citando il nostro nome ed evidenziando le cose più importanti: prezzo totale (basso), tempi di consegna (certi e rapidi), scadenza dell’offerta (a breve giro), acquisto d’impulso One-Click, aggiunta al carrello o lista dei desideri. In ogni caso, siamo spinti verso una decisione di acquisto, utilizzando suggerimenti sottili progettati per promuovere la conversione. Il livello di successo è tale per cui un cliente con servizio Amazon Prime ha un tasso di conversione all’acquisto su Amazon del 74% (13% senza Prime). Ogni volta che decide di entrare in una nuova categoria di prodotti o servizi, Amazon persegue la stessa strategia: costruire il business ad un livello di volume che permetta di coprire i costi fissi e generare margini positivi. Anche se i profitti all’inizio, magari per anni, non ci sono, è importante il tasso di crescita e di fidelizzazione dei clienti. Questo orientamento al lungo termine è un suo punto di forza strategico.

DECIDERE PER IL FUTURO

Nel suo nuovo libro “Inventa e sogna, il mio codice di vita”, Jeff Bezos spiega che il suo lavoro è prendere 2-3 decisioni al giorno per costruire il futuro: «Durante le nostre videochiamate trimestrali con Wall Street, spesso i miei interlocutori mi interrompono per dirmi: “Congratulazioni per i risultati del trimestre”. Io li ringrazio, ma tra me sto pensando che questo trimestre l’avevamo preparato tre anni fa. Al momento sto lavorando a un trimestre che darà i suoi frutti nel 2023, ed è questo che bisogna fare. Bisogna pensare con due o tre anni d’anticipo e, in quel caso, che necessità avrei di prendere cento decisioni oggi? Ne bastano tre, purché della qualità più alta possibile. Warren Buffett dice che è soddisfatto del suo lavoro quando riesce a prendere tre buone decisioni in un anno. Secondo me, ha assolutamente ragione».

AMAZON È GIÀ PRONTA PER IL MERCATO DELLA SALUTE

Amazon consegna ogni giorno, ma le sue menti vivono e creano il futuro. Il settore della salute è chiaramente uno degli obiettivi di ulteriore crescita di Amazon, identificato da alcuni anni e in accelerazione con la pandemia. Il coronavirus ha portato a un forte aumento del numero di persone che hanno provato l’assistenza sanitaria virtuale. Queste visite possono generare molti più dati rispetto a quelle in uno studio medico e ovviamente questi dati diventano ancora più potenti se incrociati con quelli già a disposizione di Amazon sulle abitudini di acquisto. Amazon infatti ha già molte informazioni sui problemi medici delle persone. Le basta guardare i miei acquisti e capire abbastanza bene cosa sta succedendo nella mia vita.

Diciotto mesi fa, Amazon aveva lanciato un servizio di assistenza sanitaria chiamato Amazon Care per i propri dipendenti nello stato di Washington. Amazon Care consente a loro e alle loro famiglie di mettersi in contatto con gli operatori sanitari entro un minuto dalle loro richieste. Fino ad ora, il servizio su richiesta era disponibile solo per i dipendenti di Amazon. Ora altre aziende potranno fare lo stesso entro questa estate aggiungendolo come vantaggio per i propri dipendenti a livello nazionale.

Il sito web di Amazon Care dice specificamente: «Non useremo mai le tue informazioni sulla salute per venderti qualcosa». Però la focalizzazione sulla sanità è fortissima come testimoniato dalle ultime mosse in accelerazione destinate al lucrativo mercato americano, per ora.

Il 27 agosto 2020, Amazon ha lanciato il suo primo dispositivo indossabile, Halo, solo su invito, per poi estenderlo al grande pubblico a dicembre. Halo si integra con le soluzioni Cerner EHR e Sharp Healthcare, per il monitoraggio della salute a distanza. A ottobre, Amazon Web Services ha stretto una partnership con Carrier Global Corp., una società di refrigerazione e catena del freddo, per aumentare la fornitura di prodotti, inclusi medicinali e vaccini. La partnership consentirà ad Amazon di consegnare merci a temperatura controllata in modo più efficiente.

Il 17 novembre ha lanciato una farmacia online che consente ai pazienti di acquistare ricette online. I pazienti possono gestire le informazioni sull’assicurazione e le prescrizioni tramite Amazon Pharmacy e i membri Prime ricevono la consegna gratuita dei farmaci entro due giorni. Amazon ha anche chiesto ai farmacisti coinvolti di rispondere alle domande dei pazienti sui farmaci tramite telefonate. L’8 dicembre Amazon Web Services ha lanciato un nuovo servizio per le organizzazioni sanitarie e delle scienze della vita che aggrega le informazioni in un data lake e le normalizza automaticamente per l’apprendimento automatico. A gennaio 2021, Amazon ha assunto Vin Gupta, esperto di salute pubblica di alto profilo e medico di medicina polmonare, per supportare Amazon Care.

LE BUONE DOMANDE

Mentre il primo sciopero di Amazon in Italia ha fatto scalpore, in tutto il mondo si discute dei driver obbligati ad urinare nelle bottiglie per risparmiare tempo e si attende l’esito del referendum del suo magazzino in Alabama che potrebbe essere il primo a diventare sindacalizzato, Bezos probabilmente sta prendendo decisioni che proiettano Amazon molto oltre dove la vediamo ora perché la sua filosofia è ben riassunta nel suo atteggiamento: «La domanda tipica che viene chiesta nel business è “perché?”. È una buona domanda, ma una domanda altrettanto valida è “perché no?”».




Sessismo, moda, famiglia e affari in Russia: la caduta dell’intoccabile Elisabetta Franchi

Sessismo, moda, famiglia e affari in Russia: la caduta dell’intoccabile Elisabetta Franchi

Un sorriso a duecento denti e un serafico “Auguri a tutte le mamme!”. É così che Elisabetta Franchi saluta l’8 maggio dal suo profilo Instagram all’indomani del guaio in cui si è cacciata per l’intervista su donne e maternità  rilasciata alla giornalista Fabiana Giacomotti, durante un evento del Foglio in collaborazione con Pwc.

E se la provocazione può lasciare basito chi non la conosce, non stupisce certamente chi è abituato alla sfrontatezza e all’esibizionismo del personaggio che da anni risponde alle critiche facendo cancellare commenti dalle sue pagine (come in questi giorni), smuovendo i suoi legali alla prima polemica, caricando compulsivamente foto e video di una vita felice “alla faccia di”.

Ecco, questa mattina, mentre le sue frasi infelici sulla maternità facevano il giro di stampa e web, lei mostrava la casa addobbata di palloncini rosa e puntava la videocamera del cellulare sui figli piccoli che la celebravano pubblicamente con doni e poesie, in questa specie di Dynasty che è la sua vita in cui anche la felicità sembra di poliestere, come i suoi vestiti. 

Ma questa è la fine dell’episodio, partiamo dall’inizio.

L’EVENTO DEL FOGLIO

 

 
 
 
 
 
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Il 4 maggio Elisabetta Franchi partecipa all’evento “Donne e moda: il barometro 2022”, evento organizzato dal quotidiano Il Foglio per discutere su «come sia cambiato il lavoro femminile nella moda« e le difficoltà che le donne incontrano ancora nel riuscire ad occupare ruoli apicali.

Denunciata per comportamenti anti-sindacali dalla Cgil, Elisabetta Franchi deve essere sembrata l’ospite più adatto su piazza. Presenti anche il ministro delle Pari opportunità Elena Bonetti, quella che “si fece dimettere” da Matteo Renzi e la vice ministra alla cultura Lucia Borgonzoni, quella che “Non leggo un libro da tre anni”.

Insomma, l’evento prometteva bene fin dall’inizio. E in effetti non ha deluso.

Il compito di intervistare Elisabetta Franchi tocca alla giornalista Fabiana Giacomotti, una che ha più o meno lo stesso piglio ficcante di Giuseppe Brindisi con Sergey Lavrov e l’accoglie in brodo di giuggiole perché grazie a questo incontro ha già 150 follower in più su Instagram. E neppure indiani, pare.

Il resto è già storia. Elisabetta Franchi, tradita da un linguaggio dispotico («le donne le prendo, le donne le metto») e parlando sempre di sé al maschile («parlo da imprenditore») snocciola una serie di scempiaggini che non si sa neppure da che parte iniziare.

In alcuni momenti quello che dice è così surreale da sembrare il discorso di Checco Zalone in Sole a catinelle, quello «Mi parlate di lavoro femminile ma IO IMPRENDITORE quando il marito la mette incinta IO devo pagare gli assegni familiari, io devo pagare la formazione di chi la sostituisce, io devo fare il reintegro. Allora sai che ti dico:  operaia te vuoi andare incinta, la botta te la do io!». Ecco, il senso di surrealtà era questo.

Che poi, a dirla tutta, le premesse erano pure interessanti, perché la maternità è un costo importante per le aziende e se per le aziende solide è riassorbibile, per quelle meno solide può essere un ostacolo.

Il problema è che per tutta l’intervista non si sentirà mai parlare di welfare, contratti collettivi, asili nido, congedi parentali, bonus, tutele per il datore di lavoro e il dipendente, gender gap, nulla.

Per quindici minuti si assisterà solo a un processo di colpevolizzazione delle donne la cui maternità è rappresentata, a tratti, come un dovere, un ostacolo, un impedimento e pure uno strazio fisico di cui però non bisogna lamentarsi, se si vuole diventare Elisabetta Franchi.

Quindi l’ormai celeberrimo: «Lo stato non aiuta, io se una donna fa un figlio mi ritrovo per due anni con un posto magari al vertice vuoto, per questo io spesso punto solo su uomini, le donne le ho MESSE solo ANTA, hanno già fatto figli, matrimoni, le PRENDO che hanno fatto tutti i giri di boa e lavorano con me h 24».

E qui già ci sarebbe molto da dire, visto che un’azienda sana come la sua (129 milioni di fatturato pre Covid) potrebbe supplire alle carenze dello stato con un’idea di welfare aziendale e invece, a quanto pare, l’unico welfare aziendale pensato dalla Franchi ad oggi è la “dog hospitality”, ovvero i dipendenti possono portare il cane nella sede di Granarolo. Per il resto, nessuna idea, nessuna proposta, niente.

Il sistema è sbagliato? E io rispondo non rendendo più virtuoso il sistema, ma presentando il conto alle donne. Tagliando le gambe da una parte a quelle giovani che quindi nella sua azienda difficilmente potranno fare carriera e dall’altra assumendo solo donne adulte che nella sua testa sono sempre a sua disposizione (ma poi da quando le donne dopo i 40 anni non fanno più figli e non hanno più pensieri o esigenze personali?).  Insomma, la questione fertilità è il primo parametro per lavorare, nel suo mondo. Ma non solo.

FIGLI DA WEEKEND

Sempre in questo devastante processo di colpevolizzazione della donna lavoratrice che si permette pure di fare figli, c’è spazio anche per la considerazioni mediche: «Io talvolta mi ritrovo con un buco in una posizione strategica…beh io ho fatto due tagli cesarei organizzati, dopo due giorni ero a lavorare con i punti che non puoi lavorare, non puoi mangiare, non puoi respirare… un grande sacrificio eh». Capito?

Ora, a parte questa descrizione apocalittica dei postumi del cesareo, il problema quindi non è più il welfare zoppicante, ma il fatto che le donne non programmino le nascite dei figli come l’appuntamento dal parrucchiere per la ricrescita e aspettino pure che i punti siano riassorbiti. Tutte le donne ad eccezione di lei, dunque.

Tra l’altro, il cesareo programmato buttato lì come un’ottima idea per ottimizzare i tempi è un altro passaggio a dir poco osceno. I corpi non sono macchine. A meno che non ci siano problemi specifici, come da linee guida dell’Iss, non c’è alcuna ragione per cui una donna che può partorire naturalmente debba affrontare un’operazione chirurgica che ha costi e rischi sia per la madre che per il nascituro.

E a leggere bene la biografia di Elisabetta Franchi viene fuori che neppure per lei, la super donna, la gravidanza è stata un ritaglio di tempo tra una sfilata e un viaggio a Dubai (quando aspettava suo figlio è stata 40 giorni in ospedale). Ma non è finita qui.

«I figli me li sono fatti, mi piacciono, durante il weekend con loro mi diverto», dice. E poi: “Sono emiliana e nonostante sono così eMMancipata, noi donne abbiamo un dovere che è nel nostro dna, i figli li facciamo noi, il camino lo accendiamo noi. Questi uomini sono dei bambinoni, dei mammoni e non vogliono crescere mai».

Qui c’è tutto il suo pensiero distorto: la deresponsabilizzazione del maschio con l’attenuante benevola “so’ ragazzi”, l’idea che la donna debba sobbarcarsi la genitorialità al cento per cento perché è un soffietto per il camino nel dna.

Fortuna che è emmancipata.

L’intervistatrice ride, poi dice alla vice ministra Borgonzoni che la Franchi «è da applausi». E ancora: «Mi sono accertata che siano ANTA, che abbiano fatto tutto…», ribadendo che le donne per lavorare da lei devono aver fatto tutti i giri di boa, lasciando dunque intendere che in fase di assunzione pretenda di avere informazioni personali da parte delle candidate. Pratica illecita, per la cronaca. 

Evidentemente non è proprio rigidissima se si tratta di parenti, visto che sua nipote Naomi Michelini (figlia di sua sorella Catia, oggi protagonista a Uomini e donne) ad appena 27 anni lavora già in azienda in un ruolo, appunto, apicale («E’ più cattiva di me», dice di lei zia Elisabetta). Avrà promesso di non figliare?

Promette bene anche sua figlia, che di anni ne ha 16, e nella sua biografia su Instagram scrive: «Money is the reason we exist».

L’INTOCCABILE

Infine, non poteva che chiudere questa memorabile intervista con la solita stoccata retorica sui giovani «Io di voglia di fare sacrifici in questi giovani non ne vedo tanta!». «Eh ma neppure lo puoi dire perché poi ti si scatenano contro gli hater!», sottolinea sorridendo l’intervistatrice.

Ora, immaginerete che il contenuto di questa intervista sia finito di chat in chat, tipo carboneria, finché non è esploso.

Invece no, lo ha postato fieramente la stessa Franchi sulla sua pagina, segno che c’è un livello di inconsapevolezza della gravità del suo pensiero preoccupante.

E penserete che poi si sia scusata. No, ha detto: «sono stata fraintesa, sono mamma», perché essere mamme è un ostacolo nel lavoro ma un bel supporto al vittimismo prêt-à-porter, quando serve. Ora, ci sarebbe ancora un’infinità di cose da dire. Per esempio sul silenzio di tutte le persone presenti in sala tra giornalisti, politici e rappresentanti di Pwc Italia.

Non ha detto neppure nulla la ministra alle Pari Opportunità Elena Bonetti (che era in collegamento) e questo nonostante siano trascorsi giorni dall’evento.

Nessuno ha alzato la mano e ha pensato bene di interromperla controbattendo, protestando, invitando l’intervistatrice a fare il suo lavoro, anziché sorridere e annuire entusiasta.

La verità è che Elisabetta Franchi, forte di pr e di inserzioni pubblicitarie, ha saputo crearsi intorno una patina di intoccabilità che gli stessi titoli riparatori di alcuni giornali oggi raccontano bene. Perfino il silenzio delle molte influencer che in altri casi non esitano ad esporsi, è indicativo della sua sfera di influenza. Negli anni, le polemiche su di lei si sono sempre spente velocemente.

C’è stato il fratello che l’ha accusata di aver inventato un’infanzia di stenti per romanzare la sua vita, c’è la già citata vertenza sindacale ancora aperta, ci sono ex dipendenti che raccontano di un carattere molto, troppo irascibile, ci sono i suoi frequenti scivoloni sui social (memorabile la sua solidarietà ai terremotati postando una foto in canotta hashtag #sole #montagna), ma la verità è che ha 3 milioni di follower, è cavaliere del lavoro, è stata celebrata in una docu-serie e da numerosi programmi tv, ha vinto il premio EY imprenditore dell’anno.

Forse è la prima volta che una polemica che la riguarda non viene oscurata in poche ore. Anzi, di solito non si apre neppure. Per esempio c’è la questione Russia: mentre la maggior parte dei marchi di lusso e non solo di lusso sono scappati da Mosca, Elisabetta Franchi ha tenuto aperti i suoi 15 monomarca in Russia nel silenzio generale. Compreso il suo (che però il 25 febbraio ha posato per una foto con la scritta NO WAR). Insomma, la guerra no, ma gli affari sì.

Morale: Elisabetta Franchi, cecchè ne dica, è la dimostrazione che dopo gli ANTA non si è fatto tutto. Si possono fare figli come li ha fatti lei, per esempio, specie se come lei si ha un dipendente filippino che ti apre le tende in camera ogni mattino, mentre tu sei ancora a letto. E ci sono ancora molti, moltissimi giri di boa da compiere.

C’è per esempio ancora tempo per una devastante, colossale, irrecuperabile brutta figura. Riuscendo però in un’impresa storica: quella di trasformare l’8 maggio, la festa della mamma, nel primo maggio. Più del concertone.