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NFT e Sport Industry: un’opportunità di Fan Engagement e incremento di “value per fan”

NFT e Sport Industry: un’opportunità di Fan Engagement e incremento di “value per fan”

7.1M di dollari. A tanto ammonta il valore degli NFT (Non-Fungible Token) scambiati nel 2020 nella Sport Industry, secondo una ricerca di Statista che risale al marzo 2021. Un dato significativo, che fa da prologo al vero e proprio boom di questo mercato nel 2021. Negli ultimi mesi, infatti, sono nati diversi progetti legati agli NFT e alle loro applicazioni nella Sport Industry, il più celebre dei quali è riconducibile a NBA Top Shot. E i loro volumi di scambio sono schizzati alle stelle. Ma a cosa ci riferiamo quando parliamo di Non-Fungible Token?

Gli NFT sono dei veri e propri certificati digitali irreplicabili e unici nel loro genere che vengono scambiati all’interno della blockchain. L’unicità è dunque un primo tratto distintivo di questi token, che non si possono suddividere in altre parti con un valore inferiore. La caratteristica dell’autenticità è garantita da un indirizzo che contiene il codice identificativo di quel determinato asset: qualsiasi transazione storica relativa a un determinato NFT è registrata dal sistema blockchain, che fa appunto da garante. All’unicità dei prodotti associabili agli NFT, si aggiunge la loro scarsità. Esiste, infatti, solo un numero limitato di asset collegati alla tecnologia NFT: questo li rende particolarmente ricercati sul mercato e genera interesse tra i collezionisti.

NBA Top Shot: l’esclusività degli NFT al servizio del Fan Engagement

Proprietà e scarsità rendono gli NFT appetibili anche per la Sport Industry. Leghe, club e atleti si sono lanciati nella sperimentazione di questo nuovo approccio al business con l’intento di generare valore per i fan. Un obiettivo certamente perseguito dall’NBA che, in collaborazione con Dapper Labs, ha sviluppato NBA Top Shot, una piattaforma di crypto collectibles all’interno della quale è possibile acquistare e scambiare gli highlights (definiti moments) delle migliori giocate delle star NBA. Un progetto, lanciato sul mercato in versione beta nel maggio 2020, che ha subito scatenato l’interesse di milioni di fan e utenti. Secondo un’indagine di Cryptodata, solamente nel mese di aprile 2021 la quota relativa alla vendita degli NFT su Top Shot ammonta a 82.3M di dollari, per un totale di 1.26 milioni di transazioni effettuate. A questo punto sorge spontanea una domanda: in che modo i moments generano valore per il fan?

La chiave sta tutta nell’esclusività. Ciascun highlights di cui entra in possesso l’acquirente è infatti unico nel suo genere. Questo aspetto fa sì che il fan si senta premiato e valorizzato: la personalizzazione del prodotto è il core dell’offerta di NBA Top Shot. Non va inoltre sottovalutato il fatto che spesso questi moments sono venduti sotto forma di packs, cioè pacchetti, che vengono ufficialmente “aperti” in sessioni online dedicate, alle quali è necessario iscriversi. Queste dinamiche contribuiscono a generare Fan Engagement, dato che i tifosi, travolti dall’adrenalina del momento, sono sempre più curiosi di scoprire di quale moment si tratti e quale atleta NBA ritragga. Si crea dunque una solida community, con transazioni e scambi sempre più frequenti. Un bacino di utenti sul quale l’NBA può puntare per sviluppare ulteriore business in futuro: i moments contengono infatti una quantità enorme di dati, che la National Basketball Association può raccogliere e monetizzare per offrire ulteriori contenuti tailored ai propri appassionati.

Dalle leghe ai club: il valore dei collectibles

L’NBA ha aperto la strada, altre leghe stanno seguendo le sue orme. A tal proposito, la Lega Serie A ha recentemente annunciato di aver stretto un accordo con Crypto.com, una delle piattaforme di criptovaluta più importanti al mondo con oltre 10 milioni di utenti. La partnership vedrà la luce in occasione della finale di Coppa Italia del 19 maggio tra Juventus e Atalanta: verrà lanciata una collezione speciale di NFT, che include tra gli altri gli highlights e il trofeo ufficiale della competizione. Un punto di partenza per le collaborazioni future, con un intento ben chiaro: arricchire la Fan Experience con elementi innovativi. Una necessità sempre più impellente per le leghe, che devono tenere i tifosi quanto più possibile incollati alla propria realtà anche al di fuori dell’evento sportivo. La vera partita si gioca oltre i 90 minuti della finale.

L’universo NFT è però sbarcato in Italia già da qualche tempo, grazie ad accordi di licensing stipulati da alcuni club (tra cui Juventus, Milan e Napoli) con Sorare, che permette ai tifosi di collezionare card digitale in edizione limitata secondo tre categorie:

  •  Unique (1 solo esemplare per stagione)
  •  Super rare (10 esemplari unici per stagione)
  •  Rare (100 esemplari unici per stagione)

Il numero seriale che accompagna ciascuna card garantisce l’esclusività del prodotto. Non è tutto: il sistema implementato da Sorare include anche un aspetto legato alla gamification. La collezione delle card, infatti, permette ai fan di creare la propria squadra e competere in un gioco simil Fantasy football, in cui ciascuna card ha il proprio valore più o meno elevato rispetto alle altre.

Tale impostazione favorisce la creazione di una community di appassionati della prima ora che si sfidano. Una community che però, stando alla stessa ricerca Cryptodata di cui sopra, sarebbe ancora particolarmente ridotta: ad aprile, gli acquirenti unici delle cards Sorare sono “soltanto” 7.9K, a fronte dei 120.1K di Top Shot e degli 11.4K di Topps MLB, un progetto lanciato il 20 aprile che prevede il trading di digital card raffiguranti atleti di baseball americano del presente e del passato. Questi dati riflettono la necessità di Sorare di ampliare la fanbase, magari rendendo il processo di compravendita degli NFT molto più accessibile e creando un canale privilegiato che parta dalle App dei rispettivi club.

NFT e Sport Industry Infografica: niftysports.co

Gli NFT come ponte tra digitale e fisico

In questo contesto creativo, anche gli atleti stanno provando a inserirsi con delle proposte originali che attivino l’interesse dei fan. Il primo è stato Rob Gronkowski, giocatore NFL dei Tampa Bay Buccaneers, che ha messo in vendita un set di quattro card digitali (in edizione limitata, sono 87 in tutto) che lo raffigurano durante le quattro stagioni in cui ha vinto il titolo NFL. Oltre a ciò, ha creato una singola card, in edizione unica, che racchiude tutte e quattro le stagioni trionfanti. Quest’ultima è stata acquistata da un utente sul marketplace peer-to-peer OpenSea per circa 430.000 dollari.

Il dato sulla cifra d’acquisto è significativo, poiché dimostra ancora una volta come i fan prestino grande attenzione alle scelte degli atleti anche fuori dal campo e siano disposti a tutto pur di avvicinarsi ai propri idoli e sentirsi come loro. Oggi più che mai, il rapporto tra atleti e tifosi è disintermediato. I primi sono sempre più digitali e digitalizzati: in quest’ottica, dimostrano ai tifosi di essere interessati a seguire le tendenze digitali del momento, per venire incontro alle esigenze della fanbase. L’impatto degli atleti è assimilabile a quello degli influencer, con margini di crescita molto ampi in virtù della loro popolarità su scala globale.

Ecco spiegato il perché anche un calciatore di livello internazionale come Alphonso Davies stia sperimentando la strada degli NFT. Da giugno sarà infatti disponibile la sua collezione personale di Non-Fungible Token, che includerà anche un’opportunità unica per i tifosi: un golden ticket che permetterà a un solo fan di trascorrere una giornata con il terzino del Bayern Monaco. Una proposta estremamente significativa perché crea un ponte tra la componente digitale degli NFT (una digital card, un highlights ecc.) e quella fisica (l’esperienza dal vivo con l’atleta): il Fan Engagement si presenta così nelle sue diverse forme.

NFT e Sport Industry: quali opportunità per il futuro?

Gli esempi citati si riferiscono alle primissime iniziative della Sport Industry legate agli NFT. Ma le opportunità non finiscono qui. Quali altri ambiti dello Sport Business potrebbero subire un forte impatto con lo sviluppo dei Non-Fungible Token?

Il ticketing è sicuramente uno di questi. Il sistema di blockchain, sotto forma di NFT, può infatti garantire una maggiore tracciabilità delle operazioni nella compravendita di biglietti per un evento, con un chiaro vantaggio: i club, attraverso gli smart contract che registrano le transazioni, potranno risalire facilmente allo storico di ticket acquistati da un tifoso, proponendogli offerte ad hoc che includano altri benefit fisici e/o digitali. Come la possibilità di vivere in maniera esclusiva il matchday casalingo della propria squadra del cuore e/o incontrare il proprio idolo al termine della partita. Proposte che invoglierebbero il tifoso a percorrere la strada degli NFT nell’ottica di ricevere un premio per la loro fedeltà.

Per sviluppare questo processo, le società sono chiamate a implementare funzioni interattive all’interno delle proprie piattaforme digitali, creando un canale diretto con i sistemi di blockchain. La nuova App dell’Eintracht Francoforte è un esempio in tal senso. L’obiettivo finale è evidente: generare Fan Engagement e loyalty, per garantirsi una fonte di revenue costante.

Oltre al ticketing, anche gli accordi con i partner possono subire una notevole spinta innovativa. Pensare di offrire dei prodotti unici (ad esempio la maglietta indossata da un calciatore e il pallone di una partita importante), in versione limitata ed esclusiva, ai fan che acquistano token da piattaforme blockchain può valorizzare il ruolo degli sponsor di un club, che avranno maggiore visibilità e un touchpoint ulteriore con i potenziali clienti.

Gli NFT e gli accordi di licenza: property e royalty

Possiamo definire la tokenizzazione, quindi l’utilizzo dei Non-Fungible Token, l’atto di rappresentare tutti i tipi di diritti sotto forma di token digitale che rappresenti un’unicità di elemento, crittograficamente protetto. In pratica gli NFT rappresentano una certificazione di diritti in forma digitale che vanno ad affiancarsi alle certificazioni cartacee che costituiscono la maggior parte delle contrattualizzazioni di licenza che esistono nello sport.

Quali diritti possono essere tokenizzati nello sport? Naturalmente in primis tutti quei diritti afferenti al marchio che possono essere rimandati a una contrattualizzazione tra licensor e licensee, lì dove il soggetto licenziante del marchio (negli esempi analizzati in precedenza, i club coinvolti nell’oggetto di licenza) offre la possibilità a soggetti licenziatari di utilizzare il proprio marchio da associare a prodotti o servizi, nel nostro caso, digitali e crittografati.

Il parallelismo che possiamo fare, relativamente all’oggetto del contratto di licenza che si pone in essere tra licenziante (club) e licenziatario (es. Sorare) è direttamente proporzionale a ciò che è successo in campo musicale lì dove per il file mp3, attraverso le piattaforme di distribuzione come Spotify, non si consente di effettuare la copia e il download del contenuto ma viene permessa la sua diffusione attivando un flusso di revenue che viene distribuito tra licensor e licensee. Il plus che viene offerto da una tecnologia come quella dei Non Fungible Token è la certificazione crittografata dell’oggetto che ne identifica sia la sua essenza sia il processo di proprietà, pagamento e diffusione.

Come e che tipo di revenue attivano questi contratti di licenza? Nello sport, solitamente, la percentuale di revenue dei contratti di licenza, le royalties, variano come applicazione della percentuale relativa alla quota parte delle royalties stesse da distribuire tra licensor e licensee. Nell’universo conosciuto dei prodotti tradizionali in licenza (che ricordiamo essere dei veri e propri contratti di affitto del marchio con una scadenza temporale che influisce sull’accordo), la property del marchio varia tra il 2% e il 18% in base alla diversa categoria dei prodotti, l’importanza della proprietà intellettuale e il profilo del titolare del marchio e la sua capacità negoziale. In linea generale per definire la percentuale della royalty ci si basa su una serie di fattori:

  •  la forza della property nel settore;
  • una base già identificabile di consumatori;
  • i caratteri demografici del pubblico di riferimento;
  • la storia commerciale del marchio.

I Non-Fungible Token sono un prodotto a processo innovativo ma considerando il settore sport che ha ben chiari e definiti i 4 punti elencati, che sono i fattori determinanti per strutturare un’ipotesi di percentuale di royalty, possiamo ipotizzare che una media della percentuale indicata sarà quella di possibile contrattualizzazione dell’oggetto tokenizzato.

La tecnologia NFT ha dunque spianato la strada a scenari di rottura con il passato (anche per quanto riguarda l’aspetto normativo), facilitando una stratificazione della fanbase su diversi livelli e valorizzando i tifosi più fedeli alla squadra. Tutto questo sarà però possibile solo incanalando l’interesse dei fan in una piattaforma proprietaria, che permetta di gestire iniziative di Fan Engagement di diverso genere e implementare dinamiche di gamification che si prestino all’offerta NFT: quiz, sondaggi e premi esclusivi per coinvolgere la fanbase anche prima e dopo l’evento sportivo. Integrando le strategie online e offline.




Nuovi linguaggi di csr: Fondazione Barilla fa “edutainment” con i comici

Nuovi linguaggi di csr: Fondazione Barilla fa “edutainment” con i comici

I nuovi linguaggi della csr e la capacità di fare divulgazione su temi-chiave in modo puntuale, ma al contempo efficace e coinvolgente, sono un tema centrale della comunicazione odierna. In quest’ambito si colloca il nuovo progetto di Fondazione Barilla, che avviato una campagna che mette al centro la relazione uomo-cibo-ambiente, raccontando con messaggi semplici e concreti come sostenere il Pianeta.
Per diffondere la conoscenza scientifica ci si è affidati a diversi comici e food influencer noti, da Lillo a Max Mariola, per una serie di contenuti (28 video nei formati clip da 30 e da 15 secondi) che fondono informazione e intrattenimento attraverso una pianificazione cross-media completa.

I messaggi al cuore della campagna, sviluppata con il supporto dell’agenzia digitale integrata Next 14, sono veicolati sul web e i social, e su 29 radio, nazionali e locali, appartenenti ai principali gruppi editoriali. A supporto anche un sito internet, rinnovato in ottica più user-friendly, che fa da punto di riferimento di ogni iniziativa. Attraverso il portale, inoltre, è possibile richiedere il libro, “100 Food Facts – Piccola guida per grandi cambiamenti”, contenente una selezione di 100 messaggi brevi, utili e interessanti, comprensibili da tutti, con evidenze chiare associate a un gesto semplice da mettere in atto. L’ideazione e la pianificazione delle nuove attività di comunicazione della Fondazione Barilla sono state affidate all’agenzia Next 14, mentre le attività di pr e media relation sono seguite da Inc, Pr partner di Fondazione Barilla dal 2016.




Metaverso tra hype e applicazioni pratiche. Facciamo un pò di chiarezza

Metaverso tra hype e applicazioni pratiche. Facciamo un pò di chiarezza

Come vedi il futuro del turismo nel Metaverso?

Nel nostro settore basta parlare di Metaverso (o, più precisamente, di UN metaverso) per provocare una peculiare dicotomia: perché il Metaverso è, almeno semanticamente, l’opposto del turismo. Il Cambridge Dictionary definisce il viaggio come “l’atto di muoversi, di solito su una lunga distanza”. Ma, nei metaversi, non ci sono distanze, in quanto la nozione stessa di spazio non ha senso in un ambiente virtuale. Ecco perché la maggior parte degli addetti ai lavori è ancora scettica sulle possibili meta-applicazioni nel settore. Se rimuovi una parte essenziale (la distanza) dall’equazione di viaggio, rimane solo il movimento. E anche la domanda: viaggiare senza distanza, è ancora viaggiare? O è qualcos’altro? È una domanda legittima, tuttavia dubito che il Metaverso avrà un impatto negativo sul turismo, anzi. Semmai, lo completerà.

Come immagini che sia il viaggio nel Metaverso?

Il metaturismo difficilmente sostituirà il turismo fisico, ma giocherà sicuramente un ruolo, soprattutto nelle prime fasi del traveler’s journey. Attualmente, scegliamo un hotel basando la nostra decisione su foto, video e recensioni. La maggior parte dei metaversi di viaggio può già fornire un’esperienza molto più coinvolgente e senza attriti, consentendo agli utenti di “visitare” una destinazione, prenotare una stanza o un tavolo al ristorante stando comodamente seduti sul divano e, infine, vivere l’esperienza IRL. Nessuna immagine statica, video 2D o sito Web sarà mai in grado di fornire qualcosa di simile. Pensa ad app come National Geographic Explore VRWanderBRINK Traveller o una delle mie preferite, i tour in autobus di Alcove VR. L’“Internet incarnato” è un territorio vergine per il nostro settore e stiamo solo scalfendo la superficie della tecnologia.

Come può l’industria del turismo trarre vantaggio dal Metaverso?

Penso che la recente pandemia abbia messo in luce molte delle vulnerabilità del nostro settore. In primo luogo, vale la pena ricordare l’impatto disastroso che il  turismo ha sull’ambiente. Secondo il Journal Nature Climate Change, siamo responsabili dell’8% delle emissioni di anidride carbonica dell’economia globale. E se è vero che circa il 75% di questo inquinamento è prodotto dai trasporti, il 21% è da attribuire esclusivamente ai consumi energetici degli alberghi. Queste cifre fanno riflettere. Trovare alternative praticabili a un’industria non ecosostenibile come la nostra non è solo auspicabile a questo punto; è obbligatorio. E il passaggio a un’ibridazione di viaggio fisico/virtuale potrebbe essere un buon punto di partenza. Da un punto di vista strettamente economico, inoltre, alcune aziende stanno già sfruttando il Metaverso. Pensa a HotelVerse, la prima vera meta-OTA, o alle catene che hanno iniziato a costruire proprietà virtuali, come M Social (su Decentraland) o CitizenM (su The Sandbox). Quest’ultimo, in particolare, lo sta facendo in maniera molto intelligente e innovativa: i profitti derivanti dal meta-hotel verranno usati per finanziarne la costruzione di uno fisico, reale, e i possessori di token voteranno sulla sua location, in puro stile DAO.

Quali sono i vantaggi di questo tipo di viaggio per turisti e aziende?

Una ricerca IDC ha dimostrato che il mercato mondiale di visori per realtà aumentata e virtuale è cresciuto del 92,1% nel 2021. Inoltre, secondo Bloomberg, il Metaverso potrebbe diventare rapidamente un mercato da 800 miliardi di dollari (200 in più rispetto alle dimensioni dell’intero mercato dell’industria dei viaggi). Quindi direi che il vantaggio principale è nel volume. Il tecnofilosofo David Chalmers teorizza che, in pochi decenni, la realtà virtuale (e, di conseguenza: il Metaverso) diventerà così indistinguibile dalla realtà fisica al punto che sarà privo di senso provare a distinguere tra i due. Potrebbe non esserci alcuna differenza tra turismo fisico e virtuale e questo prima di quanto pensiamo.

La nozione centrale di viaggio potrebbe trasformarsi in modi che possiamo solo intravedere oggi. Pensa a come è cambiata negli anni la connotazione della parola “amico”. Fino al 2004, un amico era una persona fisica con cui uscivi nella vita reale. Dopo Facebook, il termine è diventato anche sinonimo di “connessione virtuale”, qualcuno con cui potresti non aver mai scambiato una singola parola. Oppure considera il termine “cloud”: prima di Microsoft Azure e AWS, una “nuvola” era semplicemente condensa di vapore acqueo, quindi chissà cosa significherà viaggiare tra 10-15 anni. Possiamo solo speculare, ma, almeno in teoria, le applicazioni del Metaverso sono illimitate: vuoi visitare la Ciudad Perdida, Atlantide, l’Antica Roma o Marte? Puoi viaggiare nel tempo e nello spazio e sperimentare qualcosa che non esiste nel mondo fisico. I MICE organizer potranno ispezionare la sala riunioni due settimane prima del congresso vero e proprio, visitandola virtualmente. Il Metaverse può anche aiutare le persone a mobilità ridotta a fare quella crociera che hanno sempre sognato, o permettere alle classi meno abbienti di viaggiare, democratizzando, di fatto, un settore altamente elitario e antidemocratico come il nostro. I motori di prenotazione virtuali, alimentati da criptovalute e NFT, potrebbero cambiare completamente (e in meglio) il processo di prenotazione come lo conosciamo. Booking experience migliorata, Conciergerie digitale, congressi ibridi, travel equity, marketing immersivo… L’elenco potrebbe continuare all’infinito.

Infine, il Metaverse offre già ora nuovi vettori advertising sia per gli inserzionisti che per i marketer, i quali non dovrebbero essere sottovalutati, non importa quali siano i nostri sentimenti riguardo agli universi virtuali.

Quali pensi siano le principali sfide per il turismo nel Metaverso?

L’interoperabilità, senza dubbio. La mancanza di interoperabilità crea sfide complesse per l’adozione di massa del Metaverso, e non solo nel nostro settore. Ci sono oltre 150 aziende metaversiche che operano oggi. Senza standard condivisi e comuni, possono diventare rapidamente silos chiusi, limitando la navigazione degli utenti a un’unica piattaforma invece di consentirgli di navigare liberamente attraverso più mondi virtuali. Potresti avere un hotel in Spatial, ma lo stesso hotel potrebbe non essere accessibile su Horizon, per esempio. Ecco perché non mi piace parlare di Metaverso, perché non esiste una cosa del genere. Ci sono più Metaverso. Se e come interagiranno tra loro, in questa fase, non è altro che speculazione.

Raccontaci del primo evento sui viaggi e l’ospitalità nel Metaverso che hai organizzato e moderato. Quali domande interessanti ne sono venute fuori?

Il mio studio di consulenza, Travel Singularity, insieme a Henri Roelings, fondatore di HospitalityNet e mio amico personale, ha lavorato in segreto per mesi a un progetto chiamato “HN meta meetup”. Volevo organizzare un meta-evento da anni e alla fine l’ho fatto. Tutto è iniziato con una chiacchierata nel mio meta-appartamento su Spatial. Prima di rendermene conto, siamo finiti con un evento di dieci ore con 25 speaker C-level provenienti da tutto il mondo, in una location (virtuale) iconica : Trinità dei Monti, a Roma. Per rispondere alla tua domanda, ecco alcuni degli argomenti più interessanti che ne sono emersi: “Il Metaverso può aiutare a formare il personale prima di introdurlo in un hotel vero e proprio?” “La realtà virtuale sarà la prossima evoluzione dello smart working?” “Nel Metaverso, dovremo vendere stanze virtuali. In che modo questo influirà le politiche di revenue management?” “Come possono gli attuali PMS gestire sale riunioni virtuali?” Pubblicheremo un video con i momenti salienti dell’evento nelle prossime due settimane, quindi, se volete sentire le risposte, stay tuned…




Sheryl Sandberg, numero 2 di Mark Zuckerberg, lascia Meta

Sheryl Sandberg, numero 2 di Mark Zuckerberg, lascia Meta

Sheryl Sandberg ha annunciato le sue dimissioni da Meta. La manager — che ha 52 anni, e da 14 era braccio destro di Mark Zuckerberg come Chief operating officer e mente commerciale di Facebook prima e di Meta poi – lo ha scritto sulla sua pagina Facebook.

«Dopo 14 anni lascio Meta», ha scritto, in un lungo post, sotto il quale il primo commento è proprio quello di Zuckerberg: «È la fine di un’era. In questi anni, hai dato forma al nostro modello di business fondato sulla pubblicità forgiato la nostra cultura manageriale, e mi hai insegnato come guidare un’azienda. Mi mancherà lavorare al tuo fianco, ogni giorno: ma sono grato di averti, per sempre, come amica. Grazie per tutto ciò che hai fatto per me e per la mia famiglia, per la nostra azienda, per milioni di persone in tutto il mondo. Sei una superstar».

Sandberg era entrata a Facebook nel 2008, dopo che Zuckerberg — all’epoca solo un informatico geniale e un po’ impacciato — era rimasto folgorato da lei durante una festa di Natale e aveva poi fatto di tutto per strapparla a Google, dove era stata decisiva nella creazione della piattaforma in grado di cambiare per sempre il mondo della pubblicità.

«Quando accettai questo lavoro, speravo di poter ricoprire l’incarico per 5 anni. Quattordici anni dopo, è arrivato per me il momento di scrivere il prossimo capitolo della mia vita», ha scritto senza però rivelare nel dettaglio i suoi piani futuri.

Con Sandberg, Facebook è divenuta il colosso che il mondo conosce: e non è un caso che il titolo, a Wall Street, abbia subito accusato il colpo.

Nel suo post, Sandberg descrive Zuckerberg con parole che riflettono il percorso condiviso in questi anni, dal primo incontro alle «innumerevoli cene e conversazioni» dopo le quali il fondatore di Facebook le aveva offerto il ruolo, fino alle crescenti difficoltà cui la società si è trovata a dover far fronte («dire che non è sempre stato facile è un eufemismo: ma è giusto che sia così. I prodotti che facciamo hanno un impatto enorme, e abbiamo la responsabilità di costruirli in modo tale che proteggano la privacy e garantiscano la sicurezza degli utenti. Sia io, sia i colleghi di Meta abbiamo sentito il peso delle nostre responsabilità»).

«Gli avevo chiesto tre cose», ricorda ancora Sandberg: «Di poter sedere vicino a lui nella sede di Facebook; di poterlo incontrare, di persona e da soli, una volta alla settimana; e di avere un feedback diretto e onesto. Ha mantenuto queste promesse fino ad oggi. Spesso dice che siamo cresciuti insieme: e ha ragione».

Nel suo post su Facebook, Zuckerberg ha scritto che a prendere il posto di Sandberg sarà Javier Olivan. «Questo ruolo però», ha scritto il fondatore di Facebook, «sarà diverso da come l’ha interpretato Sheryl: sarà più simile a quello tradizionale di un COO, e Javi si concentrerà soprattutto sugli aspetti interni e operativi, continuando a dar prova della sua capacità di renderci più efficienti e rigorosi».

Sandberg, al contrario, svolgeva un ruolo in qualche modo «pubblico», che la portava ad avere rapporti con legislatori o a dover prendere posizioni su tematiche come il ruolo delle donne nei posti di lavoro o, più recentemente, l’aborto.

Al ruolo di Sandberg — e al rapporto tra Zuckerberg e Sandberg, fondativo della crescita di Facebook — due croniste del New York Times , Sheera Frenkel e Cecilia Kang, avevano recentemente dedicato Facebook. L’inchiesta finale (Einaudi 2021): un libro frutto di oltre 400 interviste con esperti, ma soprattutto dipendenti ed ex dipendenti, a tutti i livelli, di Facebook.

Il quadro che emergeva da quel libro era, fino al 2016, quello di un legame simbiotico: lui, programmatore visionario, impegnato a dirigere l’innovazione del prodotto, lei, manager dalle capacità fuori dall’ordinario, pronta a farne una macchina da profitti.

Tutto – secondo le autrici – è però iniziato a cambiare quando Trump ha vinto le elezioni, nel 2016.

Sandberg, storicamente legata al Partito democratico e fino a quel momento «volto» dell’azienda a Washington, si era trovata improvvisamente senza punti di riferimento nella capitale.

Zuckerberg — dopo averla osservata gestire le crisi di Cambridge Analytica e dell’intromissione russa nella campagna elettorale americana, e dopo essere stato costretto dalle circostanze a scusarsi di fronte al mondo — nel 2019 era volato a Washington, per un incontro «fuori agenda» con Trump. Aveva deciso, contro il parere di Sandberg, di non cancellare il video alterato in cui la presidente della Camera Nancy Pelosi sembrava biascicare. Ed era arrivato a teorizzare – nell’ormai famoso discorso alla Georgetown University – la necessità per la sua piattaforma di essere «neutra» nei confronti dei contenuti politici, anche se apertamente falsi.

Secondo quanto ricostruito dalle autrici del libro, a Sandberg, nelle ore successive a quelle parole, erano iniziate ad arrivare ad arrivare raffiche di email – deluse, infuriate, preoccupate – di dirigenti e dipendenti. Non c’è molto che possa fare per far cambiare a Mark, aveva spiegato a chi le sta vicino.

E ad alcuni aveva risposto di indirizzare le loro mail altrove. Ad esempio a Nick Clegg, diventato vicepresidente per gli affari globali e le comunicazioni di Facebook.

Quando, durante una intervista, la star tv Katie Couric le aveva chiesto se non fosse preoccupata della sua legacy, essendo lei così organica a una piattaforma vista come tanto tossica per la società, Sandberg aveva risposto di essere «onorata» del suo ruolo: ma dentro di lei — avevano scritto le autrici, citando fonti vicine alla manager — era «divorata dall’umiliazione».

«Per molti dei massimi dirigenti dell’azienda», scrivevano Frenkel e Kang, «la sensazione ormai è che non ci siano più un numero uno e un numero due, ma un numero uno e molti altri»: e quanto avvenuto negli ultimi mesi sembra provare il punto.

In particolare, è il ruolo di Clegg – ex vicepremier britannico, assunto per essere il “ministro degli Esteri” di Facebook, formalmente a diretto riporto di Sandberg, ma recentemente diventato «president of global affairs» di Meta – ad essere cresciuto, con il tempo.

A lui Zuckerberg aveva affiato il compito di scrivere la bozza del post con il quale Zuckerberg aveva sospeso, dopo l’assalto al Congresso, gli account di Trump; ed era stato lui a prendere parola dopo le rivelazioni su Facebook dei «Facebook files» dello scorso anno, quando il cronista del Wall Street Journal Jeff Horwitz, in una lunga, e dettagliatissima, serie di articoli, aveva pubblicato documenti riservati e ricerche interne su temi estremamente delicati.

Di queste frizioni, sempre smentite dalla società, Sandberg non fa menzione nel suo post. Spiega di «volersi dedicare di più alla sua fondazione e al suo lavoro filantropico, che è più importante per me di quanto non lo sia mai stato dato il momento critico che stiamo vivendo, per le donne». Parla del matrimonio — previsto per l’estate — con Tom Bernthal, incontrato dopo la morte improvvisa del secondo marito, Dave Goldberg, e del suo ruolo di madre di una «famiglia estesa con cinque bambini». Spiega che lascerà il posto di COO di Meta «in autunno», dopo un passaggio di consegne ordinato e – necessariamente, dato il suo ruolo – complicato e lungo. Annuncia che rimarrà nel board dell’azienda. E ringrazia «Mark, per avermi dato quest’opportunità ed essere uno dei migliori amici che si possano avere».




Edimburgo e la sostenibilità sociale

Edimburgo e la sostenibilità sociale

Edimburgo, la capitale della Scozia, con i suoi circa 500.000 abitanti sta diventando un esempio di realtà urbana che punta, oltre alla sostenibilità ambientale, anche alla sostenibilità sociale.
Sul fronte ambientale la città scozzese ha avviato da tempo una strategia che le permetterà di raggiungere la neutralità climatica in anticipo rispetto al resto d’Europa grazie a un piano che ha già consentito di ridurre drasticamente le emissioni inquinanti.
Sul fronte sociale la città si distingue per elevati standard di istruzione e sanità, un basso livello di criminalità e una buona distribuzione di reddito tra la popolazione. Interessante l’esperimento partito nel 2018 a nord di Edimburgo, nel quartiere di Granton, dove è stato realizzato un villaggio per gli homeless, una comunità innovativa che offre alloggio e ampio supporto ai residenti. Costruito su un terreno non edificato donato dal Comune di Edimburgo, il villaggio è stato ideato da Social Bite, un’impresa sociale scozzese che dà lavoro agli homeless e che dona i suoi profitti ad associazioni non profit. Nel villaggio i residenti non solo ricevono una casa in cui stare, ma anche supporto e consulenza.

Cosa c’è di nuovo

È necessario diffondere l’idea che occorre misurare gli impatti sociali non solo quelli ambientali per comprendere su una realtà urbana sta andando nella direzione giusta verso uno sviluppo sempre più sostenibile.