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Facebook pronta a cambiare nome. Così Zuckerberg proverà a smarcarsi dal social

Facebook pronta a cambiare nome. Così Zuckerberg proverà a smarcarsi dal social

Lo ha già fatto Google, che da qualche tempo si chiama Alphabet. E adesso potrebbe toccare anche a Facebook. Secondo quanto riporta il sito TheVerge, infatti, il colosso di Menlo Park starebbe pensando di cambiare nome a partire dalla prossima settimana. Attenzione, chiariamo subito un equivoco: non sarebbe il social network Facebook a cambiare nome, ma l’azienda Facebook Inc., che detiene molti altri servizi e piattaforme a partire da WhatsApp e Instagram.

Cambio di strategia

Il prossimo cambio di nome, che Mark Zuckerberg potrebbe svelare durante “Connect”, la conferenza annuale in programma il prossimo 28 ottobre, sembra avere uno scopo ben preciso e ambizioso. Per Facebook è arrivato il momento di essere conosciuto per qualcosa di più dei social media (e di tutti i mali che ciò comporta). È indubbio che con il rebrand, l’app blu di Facebook diventerebbe uno dei prodotti della società come WhatsApp, Instagram, Oculus e altri. E Zuckerberg proverebbe così a svincolare l’intera azienda dal social network che nell’ultimo periodo è un mix molto aleatorio di gioie e dolori.

E forse tutto questo servirebbe anche per procedere in modo spedito verso l’obiettivo ormai dichiarato: il metaverso. Facebook ha già più di 10.000 dipendenti che costruiscono hardware di consumo come gli occhiali AR che Zuckerberg ritiene che alla fine saranno onnipresenti come gli smartphone. Qualche mese fa, il ceo ha detto che nei prossimi anni, «passeremo effettivamente da persone che ci vedono principalmente come una società di social media a una società del metaverso».

L’esempio di Google

Come detto in apertura, Facebook non sarebbe la prima grande azienda tecnologica a cambiare il nome della società. Nel 2015, Google si è riorganizzata interamente sotto una holding chiamata Alphabet, in parte per segnalare che non era più solo un motore di ricerca, ma un conglomerato tentacolare con aziende che producono auto senza conducente, smartphone, tecnologia ad uso sanitario e molto altro. Anche Snapchat è stato rinominato in Snap Inc. nel 2016. La prossima dovrebbe essere Facebook. Sulle ipotesi del nuovo nome, però, non traspare nessun indizio. Almeno per ora.




In Olanda 200 casse «lente» al supermercato contro la solitudine degli anziani

In Olanda 200 casse «lente» al supermercato contro la solitudine degli anziani

Fare la spesa lentamente, senza preoccuparsi di dover poggiare sul rullo, in tempi da record, i prodotti dentro il carrello. Fermarsi a chiacchierare con la cassiera o il cassiere, senza pensare alla fretta della persona in coda dietro di noi. Tornare a immaginare (anche) il supermercato non come «un non luogo», ma come uno spazio di socialità, soprattutto per gli anziani. È questa l’idea del programma lanciato dal governo olandese «Uno contro la solitudine» («One Against Loneliness»), con il quale l’esecutivo di Mark Rutte vuole combattere (anche) la piaga dell’isolamento delle persone della terza età. In 200 supermercati del Paese — nel 20222 — verrò lanciata l’idea della «cassa leggera» — «Kletskassa» — per chi vuole, anzia desidera, fare la spesa tranquillamente. Accompagnata da altri esempi: nei Paesi Bassi gli studenti universitari possono — ad esempio — evitare di pagare l’affitto nel caso in cui decidano di anziani residenti come coinquilini.

In Olanda sono 1,3 milioni le persone che hanno più di 75 anni (su un totale di 17 milioni), e più della metà di loro afferma di sentirsi sola, come dimostra un sondaggio del 2019 della Statistics Netherlands«Il 26 per cento degli olandesi di età superiore ai 15 anni si sente “moderatamente solo”, e questa proporzione sale al 33 per cento tra gli over 75», si legge nella ricerca che chiarisce come la solitudine possa essere intesa come un senso di isolamento sociale o emotivo. E ancora: «Il 12 % di tutte le persone di età pari o superiore a 15 anni sperimenta un grave isolamento sociale, tanto che l’ 8% ha riferito di sentirsi spesso emotivamente isolato». Le persone single e i genitori soli «hanno maggiori probabilità di segnalare l’isolamento sociale rispetto alle coppie e ai bambini che vivono in casa. La solitudine moderata è più diffusa tra gli anziani che tra le persone di età inferiore ai 75 anni», tanto che una persona su 3 di età pari o superiore a 75 anni dichiara di sentirsi un po’ sola, mentre la quota è di circa 1 su 4 tra gli under 75.

L’idea del progetto è quella di «aiutare le persone a stabilire un contatto reale con i cassieri. Un piccolo gesto, ma molto prezioso», spiega afferma Colette Cloosterman-van Eerd, chief creative officer di Jumbo, la catena di supermercati che ha deciso di aprire le casse «relax» nei Paesi Bassi. «I nostri negozi sono un importante luogo di incontro per molte persone e vogliamo giocare un ruolo nella riduzione della solitudine».

La condizione di solitudine dei cittadini, in particolare quelli anziani, non riguarda — ovviamente — solo l’Olanda. A livello globale, infatti, il 41% delle persone ha dichiarato di essere diventato più solo nei sei mesi precedenti, a partire da marzo 2020. Tanto che il metodo della «chat checkout» sta prendendo piede in diverse parti del mondo: in Scozia, ad esempio, il marchio Sainsbury’s ha aperto l’anno scorso delle «relaxed lanes file relax», casse in cui c’è il tempo per fare anche amicizia con gli altri clienti in coda. Sempre in Scozia, Tesco ha previsto delle casse speciali per chi ha bisogno di più tempo, compresi i malati di patologie come l’Alzheimer. In Francia l’idea era stata sperimentata prima dei lockdown da un Carrefour e, visto il successo all’estero, potrebbe tornare in voga.




Cyberspazio, troppe aree grigie: l’Italia spinge su un upgrade delle norme internazionali

Nel cyberspazio quale legge si applica? E come può uno Stati difendersi, o reagire, di fronte a un cyberattacco? Il dibattito per stabilire le regole del mondo cibernetico è tutto aperto. L’Italia dà il suo contributo con un nuovo position paper (SCARICABILE QUI) inviato dal ministero degli Affari esteri alle Nazioni Unite in cui si sottolinea il valore della legge internazionale, ma si portano anche all’attenzione alcune aree grigie su cui occorre trovare un’interpretazione o applicazione univoca della legge.

Uno dei nodi essenziali è rappresentato dalle possibili violazioni del principio di non intervento nel cyberspazio. Questo è particolarmente vero nel caso di attività volte a influenzare le politiche di uno Stato, come la sua capacità di salvaguardare la salute pubblica in caso di una pandemia, o a manipolare le intenzioni di voto.

Protezione della sovranità nel cyberspazio e violazioni del principio di non intervento; applicazione della legge sulla responsabilità internazionale degli Stati alle attività svolte nel cyberspazio; cyber-operazioni e uso della forza; applicazione della legge internazionale sui diritti umaniruolo degli stakeholder privati; cooperazione internazionale nel cyberspazio, sono i temi affrontati nel paper su “applicabilità del diritto internazionale allo spazio cibernetico: contributo a dibattito multilaterale per stabilità e sicurezza internazionali”.

La sovranità nel cyberspazio e il principio di non intervento

La legge internazionale, si legge nel documento, è ritenuta dal nostro Paese “applicabile al cyberspazio” e “strumento fondamentale per assicurare un comportamento responsabile nel cyberspazio”.  Ciò è in linea col supporto dato dall’Italia al valore della legge sia su scala nazionale che internazionale e alla fiducia del nostro Paese nell’ordine e nella cooperazione internazionale basati sulle regole.

Tuttavia occorre continuare la discussione su alcuni punti, perché l’Italia non ha dubbi sul fatto che la legge internazionale si applichi al cyberspazio ma “è consapevole che il modo in cui si applicano le regole e i principi attuali della legge internazionale dà luogo a significative difficoltà inerenti alle caratteristiche tecniche del cyberspazio”.

L’Italia, per esempio, attribuisce importanza fondamentale all’applicazione del principio di sovranità nel cyberspazio, incluse le regole ancillari, come il diritto all’auto-determinazione.

Nel caso dell’uso della forza, l’Italia sottolinea le limitazioni della International humanitarian law, che si applica alla condotta dei belligeranti con effetti negativi sui civili in un conflitto armato, e afferma che riconoscerne l’applicabilità al cyberspazio non significa incoraggiare o permettere l’uso della forza come strumento di aggressione o risoluzione delle dispute internazionali.

Le attribuzioni di responsabilità e la difesa dei diritti umani

Di chi è la responsabilità di una violazione nel cyberspazio? La pervasività delle tecnologie non sempre rende facile o possibile risalire agli attori di una cyber operazione che viola le regole internazionali. Questo è un altro ambito in cui l’Italia invita ad approfondire il dibattito. Il nostro Paese riconosce l’applicabilità della legge come codificata dagli Arsiwa, gli articoli dell’International law commission sulla responsabilità degli Stati per azioni illegittime internazionali. Ma il cyberspazio ha caratteristiche peculiari che rendono difficile, nel concreto, applicare queste norme.

Oltre all’attribuzione delle responsabilità, il position paper passa in rassegna l’aspetto della due diligence, che richiede agli Stati di adottare tutte le misure ragionevoli sulle attività nel cyberspazio che ricadono nella loro giurisdizione al fine di prevenire, eliminare o mitigare possibili ricadute sugli interessi legittimi di un altro Stato o della comunità internazionale.  Per l’Italia l’obbligo di due diligence deve includere, tra l’altro, la difesa dei diritti umani e della pace e della sicurezza internazionale. 

Di conseguenza, gli Stati hanno l’obbligo di non consentire che il loro territorio o le loro infrastrutture Ict siano usate per condurre attività cybercriminali da parte di attori governativi o non governativi.

Il position paper affronta infine la questione delle contromisure in caso di cyberattacco. Il diritto all’auto-difesa è inviolabile, ma l’adozione di contromisure adeguate all’attacco cibernetico è resa complicata, tra l’altro dalla difficoltà nel tracciamento, nella valutazione della violazione e nella stima del danno subito.

In ogni caso le contromisure non devono arrivare alla minaccia o all’uso della forza e devono restare coerenti con le norme vigenti e il rispetto dei diritti umani.

Il ruolo degli attori privati nel cyberspazio

Dato il ruolo fondamentale del settore privato nel cyberspazio, l’Italia considera la cooperazione pubblico-privata essenziale per garantire la cybersicurezza e la costruzione di infrastrutture e strumenti adatti a gestire e difendere il cyberspazio.

Le attività del cyberspazio possono anche danneggiare gli attori privati, sia singolarmente che come parte di un’alleanza con lo Stato per la costruzione e la gestione delle infrastrutture Ict.

L’Italia riconosce anche le responsabilità del settore privato per quel che riguarda i diritti umani nel cyberspazio, in linea con i principi guida dell’Onu su business e diritti umani.




Le iniziative e gli impegni assunti dalla Commissione UE per la COP26

Le iniziative e gli impegni assunti dalla Commissione UE per la COP26

L’Unione europea è leader mondiale nell’azione per il clima, in quanto è riuscita a ridurre le emissioni del 31% a partire dal 1990 registrando, nel contempo, una crescita della propria economia di oltre il 60%. Con il Green Deal europeo, presentato nel dicembre 2019, l’UE ha puntato ancora più in alto per i propri obiettivi climatici, impegnandosi a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

Tale obiettivo è diventato giuridicamente vincolante con l’adozione e l’entrata in vigore, nel luglio 2021, della normativa europea sul clima. Quest’ultima fissa inoltre un obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. L’UE ha comunicato il traguardo per il 2030 all’UNFCCC nel dicembre 2020, mediante la pubblicazione del suo contributo determinato a livello nazionale nell’ambito dell’accordo di Parigi. Al fine di rispettare questi impegni, nel luglio 2021 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di proposte per rendere le politiche dell’UE in materia di clima, energia, uso del suolo, trasporti e fiscalità adatte a ridurre le emissioni nette di almeno il 55% entro il 2030.

La Commissione UE alla COP26

Dall’1 al 12 novembre la Commissione europea parteciperà alla conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la COP26, che si terrà a Glasgow, nel Regno Unito. L’1 e 2 novembre la presidente von der Leyen rappresenterà la Commissione al vertice mondiale dei leader che inaugura ufficialmente la COP26. Il vicepresidente esecutivo Frans Timmermans sarà a capo della squadra negoziale dell’UE. Anche la commissaria Kadri Simson parteciperà alla COP26; oltre 150 eventi collaterali avranno luogo presso il padiglione dell’UE.

L’obiettivo della Commissione sarà quello di esortare tutte le parti a rispettare gli impegni assunti nell’ambito dell’accordo di Parigi e a ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Incoraggeremo inoltre i paesi sviluppati a stanziare maggiori finanziamenti per il clima per raggiungere l’obiettivo di 100 miliardi di dollari concordato a Parigi, a cui l’UE contribuisce già per un valore in crescita di oltre 25 miliardi di dollari, e lavorare per mettere a punto il “Codice di Parigi”.

Nell’ambito dell’accordo di Parigi, 195 paesi hanno presentato contributi determinati a livello nazionale (NDC) che illustrano i loro obiettivi individuali in materia di riduzione delle emissioni. La somma di tali contributi dovrebbe garantire che il riscaldamento globale si attesti a un livello inferiore a 2°C e il più vicino possibile alla soglia di 1,5°C entro la fine del secolo. L’ultima relazione di sintesi dell’UNFCCC, pubblicata questo mese, mostra come gli NDC attuali non siano però in linea con gli obiettivi dell’accordo di Parigi: ci stiamo pericolosamente avvicinando alla soglia dei 2,7°C, con effetti estremamente dannosi che ci pongono di fronte a una sfida decisiva.

Dal 2020 al 2025 i paesi sviluppati si sono impegnati a stanziare complessivamente 100 miliardi di dollari l’anno di finanziamenti internazionali per il clima per aiutare i paesi più vulnerabili e i piccoli Stati insulari, soprattutto negli sforzi di mitigazione e adattamento. L’UE è il principale donatore, con un contributo superiore a un quarto dell’obiettivo, e la presidente von der Leyen ha recentemente annunciato che l’UE metterà a disposizione ulteriori 4 miliardi di € dal proprio bilancio fino al 2027. Tuttavia, è necessario che anche altri partner intensifichino i propri sforzi per colmare l’attuale deficit, vicino ai 20 miliardi di dollari. I finanziamenti per il clima sono fondamentali per sostenere gli sforzi delle comunità vulnerabili che si ritrovano ad affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici e per promuovere un’economia pulita.

A sei anni dalla sua adozione, l’UE porterà avanti i negoziati anche con altre parti nell’ambito della COP26 per perfezionare il “codice di Parigi”, con norme e procedure per l’attuazione dell’accordo di Parigi. In particolare, l’UE cerca un’intesa che garantisca l’integrità ambientale dei mercati globali del carbonio e che disciplini inoltre gli obblighi di trasparenza e comunicazione. Un mercato internazionale del carbonio efficiente può portare a ulteriori investimenti nella transizione verde e ad accelerare le riduzioni delle emissioni, garantendo efficienza in termini di costi.

Frans Timmermans, Vicepresidente esecutivo responsabile per il Green Deal europeo, ha dichiarato: “Sarà fondamentale trarre vantaggio dalla scienza, dal sostegno popolare e dall’intensa attenzione cui saremo sottoposti nelle prossime due settimane per compiere passi coraggiosi a favore dell’azione globale per il clima. Solo se lavoreremo insieme potremo proteggere il futuro dell’umanità sul nostro pianeta. Nelle ultime settimane ho collaborato con partner di ogni continente per gettare le basi dei colloqui futuri. Abbiamo tutti il dovere di agire subito, per perfezionare il codice dell’accordo di Parigi, accelerare le riduzioni delle emissioni e garantire i finanziamenti per il clima di cui il mondo ha bisogno.

In vista dell’apertura della COP26, la Presidente Ursula von der Leyen ha dichiarato: “Il mondo è ora in gara per raggiungere zero emissioni entro la metà del secolo. Lavorando insieme possiamo uscirne tutti vincitori. Alla COP26 abbiamo il dovere di proteggere il nostro pianeta per le generazioni future. In Europa abbiamo tutti gli strumenti a disposizione per riuscire a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030. A Glasgow esorterò gli altri leader mondiali a fare altrettanto, per innovare e investire in una nuova strategia di crescita più sostenibile, per prosperare e costruire società più sane, garantendo nel contempo un futuro migliore per il nostro pianeta.”

Durante il vertice del G20 a Roma, la von der Leyen ha ricordato che le venti maggiori economie lì presenti rappresentano l’80% delle emissioni mondiali. Per questo motivo gli impegni che verranno presi a Roma sui cambiamenti climatici saranno una sorta di pace-maker per la COP26. È essenziale, ricorda il capo dell’esecutivo, stabilire misure efficaci e credibili per la decarbonizzazione, con lo scopo di raggiungere l’obiettivo dello zero netto entro la metà del secolo, oltre a ridurre le emissioni in questo decennio.

Sempre nel corso del suo intervento al G20, la von der Leyen dichiara che la COP26, sul fronte europeo, riguarderà tre pilastri principali: l’ambizione nel raggiungere la soglia di 1,5 gradi, i finanziamenti per il clima e il regolamento sui mercati internazionali del carbonio. È fondamentale che i negoziati di Glasgow vertano su questi punti, chiarisce la Presidente dell’esecutivo.

Verranno inoltre lanciate nuove iniziative durante la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. La prima, già recentemente accennata, in collaborazione con gli USA e altri 60 paesi, è il Global Methane Pledge. Con questo impegno, l’UE si prodiga a ridurre le emissioni di metano di almeno il 30% entro il 2030. La seconda azione riguarda, invece, un contributo finanziario di 1 miliardo di euro al Global Forest Pledge, includendo 250 milioni di euro per il bacino del Congo. La terza iniziativa che l’Unione è intenzionata a lanciare verte sull’innovazione. Difatti, quest’ultima è la chiave per combattere il cambiamento climatico e progredire verso un’economia circolare con procedure di produzione pulite e consumi più sostenibili, dimostrando che gli investimenti alle innovazioni verdi pagano. Per tali ragioni verrà lanciata durante la COP26 una partnership insieme a Bill Gates e al suo programma “Breakthrough Energy Catalyst“. In ultimo, è in cantiere un progetto che vede la collaborazione con Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia e Unione Europea, per avviare, insieme al Sudafrica, una Just Energy Transition. L’obiettivo è quello di sostenere il Sudafrica nell’eliminazione del carbone e dedicarsi sempre più rapidamente allo sviluppo delle energie rinnovabili.

Eventi UE a margine della COP26

Nel corso della conferenza, l’UE ospiterà oltre 150 eventi collaterali, sia nel proprio padiglione a Glasgow che in modalità virtuale. Gli eventi, organizzati da diversi paesi e organizzazioni a livello europeo e mondiale, affronteranno un ampio ventaglio di questioni connesse al clima, come la transizione energetica, i finanziamenti sostenibili, la ricerca e l’innovazione.

Fonte: Commissione europea, eprcomunicazione




Un G20 sul machine learning. Ormai Facebook ha addestrato gli algoritmi con riconoscimento facciale

Un G20 sul machine learning. Ormai Facebook ha addestrato gli algoritmi con riconoscimento facciale

Dopo l’annuncio nei giorni scorsi da parte di Meta, il nuovo brand adottato da facebook, di rinunciare ad un uso intensivo del riconoscimento facciale, rimangono ancora sospesi interrogativi e dubbio su quanto sta elaborando il gruppo di Mark Zuckerberg.

Si capisce chiaramente che il social network più diffuso del pianeta stia ora innanzitutto divincolandosi nella presa che stanno esercitando le istituzioni e l’opinione pubblica al di qua e al di là dell’Atlantico.

Dopo il maquillage sul nuovo brand Meta, che arriva nel pieno della campagna scatenata sui giornali dalle dichiarazioni dell’ex dirigente del settore “Integrità” del gruppo Francis Haugen, e dopo l’evocazione di nuovi mondi immersivi come Metaverso, in cui dovrebbe evolversi il social network, l’annuncio della rinuncia ad usare i dati facciali di circa un miliardo di utenti, accumulati, non si capisce come, nei mesi scorsi, segna una nuova frenata.

riconoscimento facciale

Ma come sempre l’esperienza insegna che il gruppo di Menlo Park non rinuncia mai completamente alla sua gallina dalle uova d’oro. Infatti ancora ieri il vice presidente per l’intelligenza artificiale di Meta Jerome Pesenti spiegava che “riteniamo quindi appropriato limitare l’uso di questa tecnologia ad una gamma molto contenuta di casi “. Quali casi e in che modalità e soprattutto per fare che cosa?

Le domande rimangono sospese. E non si riesce mai a concludere una vera istruttoria su uno specifico tema che riguarda la poliedrica attività di Facebook. Su un punto in effetto lo stesso Mark Zuckerberg coglie il vero, quando, non senza un tono provocatorio, denuncia le lacune del sistema normativo su temi sensibili quali appunto anche il riconoscimento facciale. Un alibi per giustificare le incursioni del suo gruppo certo, ma una constatazione che non può rimanere senza risposta.

Nel caso specifico si capisce che da almeno due anni Facebook ha avviato in grade stile una massiccia strategia per accumulare tecnicalità nel campo del riconoscimento facciale. Il metodo è sempre lo stesso, come per Cambridge Analytica: si usa la sterminata platea di utenti come laboratorio e si comincia a sparare nel mucchio usando pretesti apparentemente frivoli, come quei giochini sull’invecchiamento virtuale che forse qualcuno ricorderà: sulla bacheca di ognuno di noi apparivano annunci e sfide per vedere se avevamo il coraggio di comparare le nostre fotografie da giovani con quelle attuali, oppure se volevamo vedere come saremmo diventati fra qualche decennio. 

In questo modo i sistemi algoritmici di facebook hanno accumulato almeno un miliardo di sequenze fotografiche su cui hanno esercitato i propri modelli matematici per decifrare e analizzare non solo le immagini ma le evoluzioni che sono comprese fra due fotografie di uno stesso soggetto.

A questo punto il vero elemento che emerge non è tanto l’accumulo di questi data base che Zuckerberg annuncia di voler distruggere ma è l’addestramento che l’algoritmo di facebook ha ricevuto , impareggiabile con qualsiasi altro concorrente  Solo il governo cinese può ambire ad avere la capacità di esercitare i propri sistemi di  riconoscimento facciale su campioni cosi ampi e dinamici. La Cina e facebook oggi sono i due bastioni di un totalitarismo digitale che sta superando le soglie della nostra struttura biologica.

Il nodo di questa perversione scientifica è proprio il machine learning, ossia la capacità di autoapprendimento degli algoritmi che su larga scala, procedendo in maniera geometrica porta rapidamente ad un’escalation del sistema che cambia natura nella sua vorticosa crescita.

E’ questo il vero punto di frequenza del sistema che deve essere regolamentato a controllato. 

Prendiamo Zucherberg in parola che colmiamo la lacuna che lui denuncia. L’Unione Europa deve elaborare sistemi tecnologici e piattaforme di monitoraggio in grado di registrare e documentare la progressione dei sistemi di calcolo. Come giustamente prevede il nuovo regolamento sull’intelligenza artificiale europea , il DMS, proprio la capacità di imparare dei modelli matematici deve essere trasparentemente condivisa. Io devo sapere come sta evolvendo il sistema che mi sta contendendo la mia discrezionalità, e come comunità devo anche avere la piena informazione su quale sia l’obbiettivo e l’approdo di un sistema di learning machina applicato ai comportamenti sociali o alle strutture biometriche.

Su questo punto bisogna produrre esattamente la stessa mobilitazione che si sta realizzando sul clima. In campo bisogna mettere non solo capacità legislative ma anche esperienze negoziali e conflittuali di gruppi sociali e soprattutto comunità, quali città e università, in grado di contestare ai proprietari dei grandi gruppi l’assoluta ed esclusiva potestà di disporre della potenza di singolarità tecnologica che si sta intravvedendo all’orizzonte. Un G20 della trasparenza del calcolo sarebbe un segnale forte ed adeguato.