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L’eugenismo della “intelligenza artificiale generale”

L'eugenismo della "intelligenza artificiale generale"

L’eugenismo è l’ideologia che aspira alla selezione artificiale degli esseri umani. Pretende che non sia la natura indifferente a scegliere i più fit per la sopravvivenza, ma altri umani. I quali possono decidere perciò anche i criteri per farlo e la scala bene-male su cui valutare i “migliori”, cose che in natura non esistono.

L’eugenismo arcaico mescolava la raffinatura domestica di razze animali con l’ammirazione per gli eroi e la primitiva repulsione per lo straniero pericoloso in quanto diverso. Platone e Aristotele però ce lo hanno consegnato sotto un primo manto di autorità filosofica. Verso fine ‘800 Galton vi aggiunse il darwinismo, e poco dopo arrivarono le misure del QI. Così l’eugenismo indossò la veste scientifica, e con esso i vecchi pregiudizi cattivi che vedevano la povertà, il colore della pelle o la disabilità come evidenze di una natura inferiore che merita odio.

Con la tecnica del XX secolo l’eliminazione dei “subumani” ha toccato il fondo del genocidio industriale nazista. Ma ha prodotto pure – storia meno nota – i programmi di sterilizzazione forzata che tanti rispettabili Paesi adottarono nei confronti di minoranze etniche e “devianze” varie. In California, per dire, andò avanti dal 1909 al 1979 (fino al 2014 nelle carceri!), e a suo tempo fornì a Hitler un autorevole studio di fattibilità.

L’informatica e l’ingegneria genetica esaltano l’eugenismo positivo del “potenziamento” (enhancement), dei “better babies”, dei “better brains”, sempre vagheggiando quello stadio trascendente in cui «l’umanità realizza consapevolmente il suo vero destino» (come disse nel 1957 l’eugenista Julian Huxley, che a quanto pare riteneva di conoscere questo «vero destino»).

Ingenuo e insipiente come alle origini, il nuovo eugenismo si è integrato a meraviglia con l’iperliberalismo smarrito nell’espansione infinita delle libertà individuali: design del corpo, del gender, dei figli, della vita. Proiezioni di una specie post-umana che in realtà sono estratti dalla miniera delle nostre debolezze, concessa allo sfruttamento per alzare il PIL.

Ed eccoci all’ultima variante dell’eugenismo: l’ossessione per l’“intelligenza artificiale generale” (AGI), come illustra scrupolosamente il lavoro appena pubblicato da Timnit Gebru ed Émile P. Torres, con una genealogia in parte riassunta sopra. È un tesoro di consapevolezza, di questi tempi: chi può la legga per intero.

Al centro c’è una famiglia di ideologie futuriste cresciute negli ultimi decenni coltivando sogni di perfezionamento, immortalità ed espansione cosmica mediante l’ibridazione umana con macchine informatiche: Transumanismo, Extropianismo, Singolaritanismo, Cosmismo, Razionalismo, Altruismo Effettivo e Lungotermismo (le ultime due sono etiche utilitariste calcolabili al 100%). Gli autori le studiano da tempo e hanno anche reso popolare l’acronimo TESCREAL per coglierle come unità.

Sembra roba uscita dalla fantascienza, e lo è. Ma i profeti che annunciano l’imminenza dell’intelligenza artificiale generale (Altman, Bostrom, Tegmark, Goertzel, ecc.) e i miliardari che la finanziano (Musk, Thiel, Tallinn, ecc.), sono tutti affiliati a quei movimenti, e stanno usando il loro enorme potere e immani risorse finanziarie per realizzarne le fantasie. Visti gli exploit dei Language Models, ora vedono l’intelligenza artificiale generale come la via più promettente; il resto può attendere.

La piena continuità coi languori eugenetici si vede prima di tutto nella loro arroganza infantile di attribuirsi il giudizio universale, la superiorità assoluta e l’onnipotenza. È gente che parla degli esseri umani solo in termini di QI e di coefficienti di utilità. Discettano con confidenza su cosa sia meglio fare di qui a diecimila miliardi di anni. Si sentono una stirpe di semidei della logica cui tocca il destino di salvare l’umanità. A modo loro, ovviamente, cioè traslocando tutto e tutti nel dominio del calcolabile. Loro lo chiamano «paradise-engineering», la ingegnerizzazione del paradiso in terra, in vista della «completa abolizione della sofferenza nell’Homo Sapiens».

Intanto, osservano i due autori, «la missione di costruire quello che sembra un sistema onnisciente in grado di svolgere qualsiasi compito in qualsiasi circostanza ha già provocato molti danni documentati ai gruppi emarginati, tra cui sfruttamento dei lavoratori, furto di dati, razzismo ambientale, misinformation e disinformazione, plagio, e sistemi che amplificano visioni egemoniche come razzismo, abilismo, omofobia e classismo».

Ma i paladini dell’intelligenza artificiale generale ignorano la realtà e le persone in carne e ossa. Temono solo, come Asterix, che l’intelligenza artificiale generale gli caschi sulla testa: l’estinzione umana ad opera della loro stessa creatura. Il culto all’AGI infatti ha il doppio volto utopia–apocalissi come ogni escatologia religiosa che si rispetti. Perché in sostanza si tratta di religione.

David F. Noble lo documentava già nella IA di quasi 30 anni fa: «Nonostante tutta la loro intellettuale iconoclastia e le loro fantasie futuristiche, i ricercatori rimasero immersi in un milieu essenzialmente medievale di mitologia cristiana». E così è ancora.




Giornalisti fondamentali per la sicurezza nel mondo: contro testi automatici e manipolati

Giornalisti fondamentali per la sicurezza nel mondo: contro testi automatici e manipolati

Ma perché i giornalisti non pretendono di essere protagonisti della denuncia sulle manipolazioni in rete? Perché ad esempio non chiedono alla senatrice Segre, che presiede la commissione sull’odio nel web, di essere auditi e diventare soggetti della ricerca?

Il punto su cui si dovrebbe discutere nella categoria, almeno con la stessa sollecitudine e passione con cui si difende la propria libertà dai vertici editoriali, riguarda una “mediamorfosi” che sta spingendo i giornalisti, volenti  o nolenti, ad essere parte essenziale della Cybersecurity.

PRIVACY DIGITALE

Proprio il rapporto che la Polizia postale ha inviato alla Commissione Segre in questi giorni ci mostra come stiano mutando la dinamica e il contenuto degli attacchi alla nostra privacy digitale. Fino alla pandemia, potremmo dire, che la cybersecurity riguardava la difesa dei patrimoni digitali, di quel sistema di controllo e conservazione di documenti, password e riservatezza con cui gestivamo le nostre relazioni digitali, a cominciare da quelle economiche e sanitarie.

Un aspetto certo fondamentale che determinava la sostenibilità dell’intera infrastruttura tecnologica e delle attività sociali che ad essa sono appoggiate. 

CASSETTA DEGLI ATTREZZI

Da qualche anno il fenomeno è completamente mutato: l’aspetto ideologico, ancora meglio psico politico potremmo dire, prevale su quello patrimoniale. Cybersecurity diventa, ormai prevalentemente, la capacità di alterare il senso comune di un Paese, usando l’informazione, più concretamente, la cassetta degli attrezzi del giornalismo -composta da fatti, fonti, interpretazioni e documenti- per manomettere la percezione della realtà e indurre reazioni psicologiche che distorcono la nostra opinione.

I dati del report della Polizia postale sono chiarissimi. Man mano che si alza la tensione internazionale e si avvicinano scadenze elettorali, aumenta a dismisura l’infiltrazione di messaggi e di fake news prodotte, in maniera orchestrata e coordinata, da ben individuati centri internazionali.

ANTISEMITISMO E IMMIGRATI

Due sono le caratteristiche di questa infiltrazione. Da una parte un bombardamento da parte di sistemi automatizzati, chat bot che oggi sono gestiti da dispositivi di Intelligenza artificiale, che lavorano su tematiche trasversali, combinando antisemitismo con pacifismo anti ucraino, o forme di discriminazione anti immigrati. Su questi argomenti si documenta una proliferazione di video e informazioni del tutto falsificate, che associano immagini di altri contesti a notizie attuali.

Queste strategie puntano ad indurre fenomeni di rancore e disgregazione sociale generici nelle loro motivazioni, ma tutti finalizzati a respingere ogni istanza di controllo e trasparenza democratica. Il secondo livello ci riporta all’esperienza di Cambridge Analytica, e più espressamente a quella guerra ibrida teorizzata qualche anno fa dal Capo di Stato Maggiore russo Gerasimov, che ha mutato radicalmente natura e contenuti dell’informazione. Ci riferiamo alla creazione di milioni di profili di elettori contendibili, ossia cittadini le cui opinioni sono considerate incerte e di confine su aspetti particolari, come ad esempio il fisco o l’immigrazione, su cui esercitare una specifica pressione utilizzando il bagaglio di informazioni sulla loro attività, visione e linguaggio. Anche in questo caso materialmente l’operazione è condotta con batterie di migliaia di bot che inquadrano singoli bersagli da convincere.

NEUTRALIZZAZIONE DEI BOT

Il punto su cui intervenire riguarda proprio l’individuazione e la neutralizzazione di questi bot. Dopo anni di questo stillicidio ancora non è stata adottata nessuna strategia efficace. Benché tecnologicamente sia possibile identificare i contenuti che provengono da un sistema artificiale rispetto a quelli prodotti da essere umani, si continua a tergiversare. L’interesse delle piattaforme come Google e Facebook è fin troppo evidente: queste attività di falsificazione e inquinamento delle informazioni, producono una gran massa di dati e di traffico che economicamente rende molto ai service provider. 

Ma a livello Europeo si continua a denunciare queste malversazioni, come ultimamente ha fatto anche il Commissario al Mercato Unico Thierry Breton, che ha esplicitamente attaccato il gruppo di Elon Musk. Eppure non sarebbe difficile pretendere una piena distinzione fra contenuti umani e flussi automatici, costringendo chiunque attivi dei bot a registrarli in un specifico albo.

MISSIONE PUBBLICA

Non potrebbe essere questa una proposta adottata dai giornalisti? La promiscuità fra sistemi di manipolazione geopolitica della rete e l’attività professionale delle redazioni è ormai quanto mai estesa e invadente e dobbiamo capire come e dove questo fenomeno stia modificando il nostro mestiere. Si tratta di rivendicare un nuovo statuto di tutela e riconoscimento di missione pubblica, chiedendo ai singoli Paesi e alla stessa Unione Europea la classificazione del giornalismo professionale come mestiere che attiene alla sicurezza nazionale. Per questo bisogna definire norme e procedure che renda i giornalisti titolari sia dell’attività di implementazione e validazione dei sistemi tecnologici delle redazioni, sia di affidargli, nella loro attività, anche funzioni di controllo e ispettorato dei percorsi digitali delle notizie.

Siamo ad un passaggio epocale, che investe direttamente la permanenza e praticabilità di una professione che ritrova proprio nella trasparenza e nella competenza tecnologica una propria ragion d’essere.




“Festini Perugia”: un nuovo punto di riferimento digitale per gli eventi in Umbria, per giovani e non solo.

“Festini Perugia”: un nuovo punto di riferimento digitale per gli eventi in Umbria, per giovani e non solo.

In un suggestivo scenario, tra mura di antiche città e verdi colline della bella regione dell’Umbria, prende il volo un’innovativa iniziativa che sta in parte cambiando le regole del divertimento e della cultura: “Festini Perugia”. È il provocatorio nome di una piattaforma digitale, concepita da un gruppo di giovani umbri e di studenti dell’Università degli Studi di Perugia, che si propone di essere il nuovo punto di riferimento per tutti coloro che desiderano vivere a pieno la ricca e variegata scena eventi della regione.

“Festini Perugia” però è più di una banale lista di eventi: è un luogo di condivisione dove migliaia di persone si ritrovano online per condividere le loro passioni e i loro progetti. Oltre a promuovere la scena culturale, i fondatori ambiscono infatti a trasformare la piattaforma in un vero e proprio hub culturale, offrendo contenuti originali e incoraggiando i giovani a fare nuove amicizie (attraverso la community creata attraverso i canali Whatsapp e Telegram) e a partecipare attivamente agli eventi.

Uno dei fondatori spiega quanto sia importante al giorno d’oggi la socializzazione tra le nuove generazioni, soprattutto dopo il duro periodo dovuto al Covid-19: “Con il diffondersi della pandemia, molti giovani hanno sperimentato un isolamento forzato che ha inciso profondamente sul loro benessere emotivo e sulla capacità di relazionarsi con gli altri. Per affrontare questa sfida, abbiamo creato una pagina Instagram dedicata a fornire sostegno, risorse e una community accogliente per aiutare i giovani a ristabilire connessioni significative. La nostra piattaforma mira a essere uno spazio inclusivo e aperto a tutti, dove i giovani possono condividere le proprie esperienze, trovare supporto reciproco e partecipare a eventi per favorire la socializzazione in un ambiente sicuro e confortevole”.

l progetto è già in espansione: oltre agli eventi dell’Umbria (regione dov’è nata l’idea) si sta ora espandendosi anche riguardo gli eventi della zona di Arezzo, Siena, Fabriano, Viterbo e luoghi limitrofi.

“Festini Perugia” si conferma quindi non solo come una guida essenziale per chiunque voglia scoprire la vibrante scena culturale della città e della regione, ma anche come una community vera, vivace e dinamica, pronta a accogliere e coinvolgere tutti coloro che desiderano esplorare e celebrare la bellezza e la diversità dell’Umbria, e si propone come un progetto in espansione che ambisce a coinvolgere gradatamente tutto il centro Italia.




‘Comunicare è una bella storia’: il Podcast di Giuliana Carosi racconta la comunicazione

‘Comunicare è una bella storia’: il Podcast di Giuliana Carosi racconta la comunicazione

Giuliana Carosi racconta la comunicazione nella sua serie di Podcast “Comunicare è unabella storia”, online su tutte le piattaforme e sul sito di Bi Wise, l’agenzia di comunicazione co-fondata dalla stessa autrice. Otto puntate su altrettante campagne di comunicazione che “hanno lasciato il segno”, che sono diventate famose per l’impatto che hanno avuto. Ogni podcast però non racconta gli aspetti tecnici della campagna, non indugia in celebrazioni dei comunicatori e dei pubblicitari che l’hanno creata. “Sono più di semplici campagne: sono specchi di un’epoca, eco di culture, ponti tra noi e il mondo” spiega la stessa autrice nel trailer. In realtà i podcast svelano le storie che le campagne raccontano, persone, culture, idee, visioni del mondo e soprattutto, spaccati della società che hanno dato origine a ogni singola campagna, sino a diventarne interpreti e specchio.

Narrare la comunicazione per narrare la società, è questo lo scopo di “Comunicare è una bella storia”. Un viaggio narrativo nelle storie che si annidano dietro le quinte delle grandi campagne comunicative che hanno segnato il nostro tempo. Un invito a guardare oltre la superficie luccicante delle campagne pubblicitarie, per scoprire il cuore pulsante delle narrazioni umane che vi si nascondono. È un invito a comprendere come, attraverso le scelte coraggiose e a volte controverse, la comunicazione possa essere uno strumento potente per riflettere e, in ultima analisi, plasmare la nostra realtà.

Così la scelta di Nike di ingaggiare Colin Kaepernick, tema della prima puntata, racconta una società spaccata sulla difesa dei diritti delle minoranze e il coraggio di un’azienda che decide di farsene bandiera. E ancora Coca Cola, che riesce a far cambiare la percezione e l’accettazione dell’omosessualità in Brasile, senza dimenticare Esselunga, che sceglie di interpretare e incarnare un dibattito latente ma non meno divisivo in Italia: quello sulla famiglia o, sempre per restare in Italia, la scelta di Motta che, con una campagna, interpreta un cambio generazionale e di valori. Ancora, Bud Light che fa emergere la potente polarizzazione che esiste negli States sul tema della disforia e della transizione di genere, oppure Barilla, che dimostra come un’azienda possa riconoscere i propri errori e trasformarli in forza.

Con l’autrice, nel suo viaggio narrativo, troviamo esperti che hanno contribuito a definire il contributo che la singola campagna ha dato, a spiegare perché abbia funzionato e come. Fra questi Matteo Flora, Luca Poma e Daniele Chieffi.

“Ci sono storie che hanno visto la luce non solo in tv o su un’affissione, ma sono scese per strada e hanno fatto rumore, hanno fatto commuovere, parlare e per questo meritano di essere raccontate”, aggiunge Giuliana Carosi. Comunicazione, quindi, raccontata per la sua capacità di incidere, di incarnare idee e diffonderle, che interpreta la realtà e, a sua volta, la racconta. Comunicazione che di per sé è ed è stata motore di cambiamento, di dibattito a volte di scontro ma che in questo senso ha lasciato il segno.

Ogni puntata è però anche un affresco che ritrae non solo le vittorie e i riconoscimenti ottenuti dalle campagne più iconiche, ma anche gli epic fail e le sconfitte, le intuizioni audaci e le rivincite sorprendenti. Sono racconti di resilienza, di scelte difficili e di fedeltà ai principi, storie di errori, di redenzioni – storie di vita e di noi. Perché, come scrive la poetessa Maya Angelou e riporta Giuliana Carosi, “Non esiste maggior agonia che portare dentro di sé una storia non raccontata”.




ACQUA: LA GESTIONE DELL’ORO BLU, SE NE PARLA IN UN EVENTO A TORINO

ACQUA: LA GESTIONE DELL’ORO BLU, SE NE PARLA IN UN EVENTO A TORINO

Nell’ambito di #Planetweek 2024, l’iniziativa che precede e accompagna la #G7Italy Ministeriale Meeting su Clima, Energia e Ambiente, l’area di ricerca in Etica e Giustizia Climatica della ScuolaSuperiore Sant’Anna di Pisa organizza un workshop su “Implicazioni etiche e sociali della gestione delle acque” che si terrà il 24 aprile dalle 10.00 alle 13.00 presso il Palazzo Faletti di Barolo a Torino. L’evento sarà coordinato da Alberto Pirni, docente di Filosofia morale presso la Scuola Superiore Sant’Anna. Tra i relatori invitati ci sono: Rudy Rossetto, Ricercatore in Idrologia presso la ScuolaSuperiore Sant’Anna; Daniele Barbone, Amministratore Delegato di Acqua Novara.VCO; Yuri Santagostino, Presidente Gruppo CAP – Milano; Marcello Rainò, Responsabile Reti e Strutture diAcquedotto Pugliese; Andrea Duro, Funzionario tecnico della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile; Stefan Uhlenbrook, Direttore del programma di Idrologia, Acquae Criosfera dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale. Il workshop cercherà di affrontare diversi temi legati agli aspetti etici e sociali della gestione dell’acqua integrando tre diversi livelli di analisi: illivello locale/regionale sarà coperto attraverso il coinvolgimento di rappresentanti di diverse utility idriche operanti in Italia (Acqua Novara.VCO, Gruppo CAP – Milano, Acquedotto Pugliese); il livellonazionale sarà affrontato dal punto di vista della Protezione Civile italiana in relazione alle sfide della gestione dell’acqua durante le emergenze; il livello internazionale si concentrerà sull’approcciodell’Organizzazione meteorologica mondiale per affrontare le questioni della gestione globale delle risorse idriche in un clima che cambia.

Qui la locandina dell’evento, con l’elenco completo dei prestigiosi relatori.