1

Le aziende di pesticidi e OGM hanno creato un social per identificare chi li critica

Le aziende di pesticidi e OGM hanno creato un social per identificare chi li critica

Un’inchiesta ha messo in luce un complesso sistema di monitoraggio e attacco nei confronti dei critici del settore agrochimico e delle biotecnologie, gestito da aziende con legami profondi con i business dei pesticidi e degli OGM. Queste aziende avrebbero creato una sorta di “social network privato”, una piattaforma esclusiva su cui raccogliere e condividere informazioni su figure pubbliche, accademici e attivisti che si oppongono o criticano il loro operato. Tra i bersagli figurano anche esponenti delle Nazioni Unite. Il servizio sarebbe gestito da v-Fluence, una società specializzata in raccolta di informazioni e gestione della comunicazione di crisi. L’azienda, fondata da Jay Byrne, ex dirigente di Monsanto, figura di spicco nel settore agrochimico, fornisce strumenti per monitorare e rispondere alle critiche rivolte all’industria. Le indagini rivelano inoltre che parte del finanziamento di queste operazioni potrebbe provenire dal governo degli Stati Uniti.

I documenti che svelano il fatto sono stati diffusi da Lighthouse Reports, un’importante organizzazione di giornalismo collaborativo con sede in Belgio, che ha condotto e pubblicato un’inchiesta nella quale riferisce che i più grandi produttori di pesticidi e portatori d’interesse del settore chimico hanno profilato centinaia tra i più noti e importanti critici di un settore che a livello globale vale 78 miliardi di dollari. Sul portale Bonus Eventus, erano contenuti i loro profili, completi di indirizzi di residenza e numeri di telefono. Nella lista dei “cattivi” sono presenti circa 3.000 organizzazioni e 500 tra accademici, scienziati, esperti di diritti umani delle Nazioni Unite, ambientalisti, giornalisti, politici e funzionari pubblici. Solo 1.000 privilegiati possono accedere. Nell’elenco dei membri della rete dell’industria agrochimica vi sono i dirigenti di alcune delle più grandi aziende di pesticidi al mondo, insieme a funzionari governativi di diversi paesi.

L’inchiesta è nata da una soffiata su un tentativo di sabotaggio nei confronti di una conferenza scientifica tenutasi a Nairobi, in Kenya, che presentava soluzioni sostenibili per i pesticidi. Le richieste in base al Freedom of Information Act (FOIA) hanno rivelato un’ampia corrispondenza tra funzionari pubblici statunitensi, una ONG keniota, un dirigente del settore pesticidi e la società v-Fluence su come sovvertire l’evento. Un mix di analisi delle tracce di denaro e ricerche sui registri della spesa pubblica ha portato alla luce contratti stipulati tra v-Fluence e la United States Agency for International Development (USAID). Tra il 2013 e il 2019 circa, l’Agenzia statunitense ha incanalato oltre 400.000 dollari alla società privata per servizi tra cui il “monitoraggio rafforzato” dei critici degli “approcci agricoli moderni” e per costruire Bonus Eventus, il social network con profilazione dei critici.

Bonus Eventus, lanciato nel 2014, è nato da un’idea di Jay Byrne, ex dirigente delle comunicazioni dell’azienda agrochimica Monsanto – acquistata dalla tedesca Bayer nel 2016 – e della sua società di gestione della reputazione, v-Fluence. L’inchiesta fa notare come dai documenti del tribunale si sappia che entrambi sono attualmente citati in giudizio negli Stati Uniti, insieme al produttore di pesticidi Syngenta, per aver presumibilmente soppresso informazioni per oltre 20 anni sui rischi per la salute associati a un erbicida, il Paraquat.




Michelle Comi e Gofoundme: una raccolta fondi non troppo filantropica

Michelle Comi e Gofoundme: una raccolta fondi non troppo filantropica

Michelle Comi continua a far rumore. Da quando ha lasciato il proprio impiego all’Istituto per Tumori di Milano, per dedicarsi a una carriera di creator di contenuti per adulti su OnlyFans, Michelle ha sicuramente trovato la sua strada. Lastricata di polemiche social, ovviamente. Questa settimana ha scatenato una valanga di critiche lanciando una raccolta fondi, chiedendo 15.000 euro per rifarsi il seno. “Cambiate il mondo: il mio” dice la disinibita ragazza. La gente si è subito spaccata in due: chi la difendeva, dicendo che aveva il diritto di farlo, e chi la criticava pesantemente.

Le piattaforme di crowdfunding come GoFundMe o altre simili sono nate per scopi tipo aiutare chi sta passando momenti difficili o per sostenere progetti creativi e cause che ne hanno bisogno davvero. Ma ultimamente, soprattutto con casi come quello di Michelle, si vede sempre più gente che le usa per obiettivi personali, come appunto rifarsi il seno o fare viaggi di lusso. E quando vedi campagne di questo tipo, viene naturale chiedersi se il sistema sia diventato una specie di “miniera d’oro” per chi sa sfruttare la sua popolarità.

Il problema più grosso di queste raccolte discutibili è che fanno sembrare poco serie tutte le altre campagne. Se il pubblico comincia a pensare che su queste piattaforme si chiedono soldi per tutto e per nulla, anche chi ha davvero bisogno di aiuto rischia di non riceverlo. Ci sono situazioni in cui le persone devono affrontare spese mediche assurde o perdite a causa di disastri naturali, e se la fiducia nelle raccolte fondi cala, queste cause possono restare inascoltate.

Pensiamoci un attimo: vediamo campagne per salvare vite e poi, d’improvviso, compare tra esse una creator di OnlyFans che chiede soldi per rifarsi il seno. Questo crea una distrazione enorme per i veri problemi, rischiando di far sembrare che qualsiasi altra richiesta di aiuto sia solo un pretesto per spillare soldi.

Uno dei motivi per cui accadono queste cose è che le piattaforme lasciano molta libertà su cosa puoi chiedere. Non ci sono grandi filtri: basta creare la campagna e la decisione di donare è lasciata agli utenti. Da una parte, è una cosa buona perché ognuno è libero di finanziare ciò che vuole, ma dall’altra crea una giungla di richieste bizzarre. Il confine tra ciò che è giusto e ciò che è discutibile diventa super sottile, soprattutto quando a lanciare queste campagne sono influencer o personaggi pubblici, che già partono da una posizione di vantaggio economico.

Alla fine, tutto si riduce a come vengono usate queste piattaforme. Ci si aspetta che siano un mezzo per fare del bene, per cambiare davvero qualcosa nella vita delle persone. Ma se l’uso diventa troppo disinvolto, si perde di vista il vero scopo del crowdfunding. Forse, bisognerebbe pensare a regole più chiare per distinguere le cause che contano davvero dalle richieste più futili. E anche chi ha un seguito sui social dovrebbe fare attenzione a non approfittare della fiducia dei fan, perché alla lunga potrebbe danneggiare non solo la sua reputazione, ma anche l’intera comunità di persone che ha davvero bisogno di aiuto.

Insomma, il caso di Michelle Comi ci fa riflettere su come l’uso “spericolato” delle raccolte fondi possa rovinare la percezione di questi strumenti. Se vogliamo che continuino ad essere utili e credibili, dobbiamo tutti imparare a usarli con più attenzione e rispetto.


UPDATE del 13/10/2024

Aggiornamento: Dopo le numerose segnalazioni ricevute dagli utenti, la piattaforma di raccolta fondi ha deciso di annullare la campagna lanciata da Michelle Comi per rifarsi il seno. Nonostante l’intervento tardivo, i gestori hanno restituito il denaro ai donatori. Questo dimostra come, anche se con qualche ritardo, la piattaforma abbia preso una posizione chiara in seguito alle proteste.

Ora Michelle dovrà tornare a fare affidamento su video e foto su OnlyFans per raccogliere la somma desiderata. Ma, con tutta la visibilità che ha ottenuto da questa storia, non sarà certo un problema per lei attirare nuovi follower e spingere i suoi guadagni ancora più in alto.




La sentenza contro Apple e Google e la riformabilità del sistema digitale

La sentenza contro Apple e Google e la riformabilità del sistema digitale

La forte e irreversibile decisione dell’alta Corte di Giustizia di confermare le pesanti sanzioni per Apple e per Google, parliamo dei due padroni del 98% dei sistemi operativi della telefonia mobile sul pianeta, ci aiuta a ragionare sul merito della petizione di illustri pedagoghi e neuropsichiatri hanno rivolto alla politica per impedire ai giovani almeno fino a 14 anni l’accesso libero ai social e l’uso dei nuovi smartphone.

Il nodo che i due atti pongono alla discussione riguarda, infatti, sia l’immutabilità della società digitale, così come si è formata, e sia le forme di ostruzionismo, se non proprio di proibizionismo, da adottare per limitare i danni delle degenerazioni.

La sentenza della giustizia europea colpisce duramente sia Apple, imponendo la restituzione di aiuti ricevuti illecitamente dal governo irlandese per circa 13 miliardi di euro, e sia Google sanzionato per attività illegittima sul mercato pubblicitario che rappresenta circa 85% del suo fatturato.

Una doppietta, potremmo dire che segna un punto di non ritorno nella società digitale dove le istituzioni pubbliche riguadagnano il centro della scena, introducendo modalità e principi che aprono varchi consistenti per una negoziazione permanente da parte della società civile nei confronti dei giganti della Silicon Valley.

Persino negli Usa il governo federale, insieme a quello di molti singoli stati dell’Unione, sta mettendo sul banco degli accusati grandi corporation, come ancora Google o Amazon, per aver alterato le ragioni del mercato.

A questo punto non si può ignorare un aspetto che fino a ora abbiamo più o meno esorcizzato: la riformabilità del sistema digitale. Meglio ancora, una forma di continuo adattamento dei processi innovativi ai limiti e vincoli della società civile.

Questo ci porta a ragionare sulla struttura dell’intelligenza artificiale che non ci appare più come un’uniforme applicazione rigida da usare o rifiutare, quanto invece come una materia plastica da sagomare e riordinare. L’intelligenza artificiale non va mai citata al singolare ma sempre al plurale, sia per la molteplicità dei singoli prodotti, ma anche per le opportunità di adattamento e riformattazione.

A questo punto il quesito riguarda le modalità di intervento su una tale materia e soprattutto quali siano i soggetti in grado di mettere mano a questi adattamenti.

La petizione sul divieto dei social agli under 14 è un’utile occasione per aprire proprio questa discussione: dobbiamo continuare a procedere su una strada obbligata, in cui i sistemi digitali rimangono sempre e solo eguali a sé stessi, oppure è plausibile modificare ruoli e funzioni delle grandi agenzie sociali, dalla scuola alla famiglia per adeguare questi apparati tecnologici?

La deformazione, in alcuni casi si parla di vera degenerazione patologica, dei comportamenti e addirittura dello stesso funzionamento neurologico, riscontrata in varie tipologie di giovani per un uso sconsiderato dei social è il banco di prova di questi quesiti.

Davvero l’unico modo per preservare questi giovani è vietargli l’accesso a sistemi che ormai si identificano con i nostri linguaggi, diventando vere e proprie protesi della nostra vita, e in tal caso sarebbe utile anche capire con quali mezzi sorvegliare un tessuto cosi esteso e pulviscolare, o invece non si tratta di intervenire per punire e sanzionare eccessi e speculazioni, bonificando la rete e permettendo, con vincoli gestiti esternamente un uso consapevole ed equilibrato di questi vocabolari digitali? È evidente che la scorciatoia del proibizionismo afferma un principio e libera di molte responsabilità le infrastrutture sociali. Ma come nel campo terribile della droga abbiamo visto che si tratta di una metodologia controproducente e comunque fallimentare.

I social sono dannosi in una parte largamente minoritaria della rete, stiamo parlando di spazi inquinati e pericolosi valutati in non più del 2% dell’attività complessiva di Internet. La loro pericolosità sia per le forme di ingaggio e di aggressività, che per quelle di induzione a comportamenti minacciosi o estremi non sono un destino, ma una convenienza delle piattaforme.

Come gli stessi titolari di Facebook, o di X, o di Instagram hanno riconosciuto, direttamente o mediante rivelazioni di propri dipendenti, sono proprio i meccanismi gestiti dai programmatori dei proprietari ad accentuare ed eccitare queste forme di ingaggio. Così come sono gli stessi programmatori a facilitare relazioni e inciampi degli utenti più giovani con influencer o altre forme di malversazione psicologica.

Questo ci deve portare a sollecitare una maggiore vigilanza con forme di dure sanzioni per i trasgressori. Sono le piattaforme che devono cambiare la struttura dei loro comportamenti e linguaggi e non costringere i giovani a limitare le proprie relazioni. Se si possono perseguire le degenerazioni commerciali perché non si può bonificare il sottobosco rivolto ai giovani? Stati e istituzioni possono e debbono estendere il proprio controllo.

Dopodiché tocca ad altri soggetti intervenire. La scuola deve mutare da questo punto di vista le sue funzioni e attività, e diventare un sistema decentrato di controllo e bonifica della rete. Gli insegnanti di ogni ordini e grado devono poter, o direttamente o mediante professionisti di sostegno, avere sistemi che siano in grado di profilare i propri studenti, con una tutela progressiva della privacy inversamente proporzionali all’età dei giovani. Lo stesso dicasi della famiglia: come una volta i genitori erano un filtro per gli amici e i comportamenti devianti dei figli, oggi si deve praticare in famiglia una forma di mutua assistenza che possa orientare con leggerezza i giovanissimi che debuttano in rete.

Insomma non possiamo pensare che stia mutando la struttura genetica della nostra specie, come giustamente viene denunciato dagli esperti, e non prevedere che siano le grandi comunità sociali a ridisegnare i propri assetti organizzativi per rendere la cittadinanza digitale non un accidente ma una forma di sviluppo e potenziamento sociale.




La vera rivoluzione del Bocciagate: basta Instagram per tenere in scacco premier e governo

La vera rivoluzione del Bocciagate: basta Instagram per tenere in scacco premier e governo

Più di qualsiasi dichiarazione alle agenzie, discorso, nota stampa, intervista televisiva, poté un account Instagram. Si può controbattere praticamente in diretta ogni singola dichiarazione televisiva di un Presidente del Consiglio, costruendo una contronarrazione corredata da foto e documenti. Si può replicare all’intervista di un ministro riprendendone le singole frasi per smentirle, costringendo così i media tradizionali a dare spazio, più spazio alla tua contronarrazione, perché la notizia non è più ciò che i rappresentanti istituzionali dicono ma proprio il fatto che siano controbattuti da un account social. D’un colpo la narrazione la guida instagram e non le fonti ufficiali, costringendo interlocutori e media a inseguire.

Il caso del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e della imprenditrice Maria Rosaria Boccia ha d’un colpo reso tutti i tradizionali strumenti della comunicazione politica vecchi, lenti e superati, come un fax paragonato alla posta elettronica. Velocità, prontezza, capacità di ribattere tema su tema. La costruzione di una perfetta contronarrazione che utilizza codici e linguaggi nei quali siamo immersi ogni giorno: quelli degli influencers, dei brand. Una contronarrazione “visiva”, con un tempismo che è esso stesso un messaggio di capacità e forza, un abile uso di immagini, video, grafica, che costruisce un grande immaginario, un universo percettivo in grado di fagocitare le stanche interviste televisive, i polverosi articoli di giornale e le stantie dichiarazioni ufficiali.

Non è la prima volta che accade, a dir la verità. Nel 2015 fu Eni a rispondere a Report, ribattendo ogni singola affermazione di un servizio giornalistico su Twitter (l’attuale X) mentre la trasmissione andava in onda, guadagnando una grande copertura mediatica, ma è la prima volta che questo approccio viene utilizzato in ambito politico e con una tale forza. Sì, perché di approccio si tratta, anche in questo caso, anzi di una vera e propria strategia, così come fu una strategia quella di Eni nel 2015.

Basta analizzare la sequenza dei fatti. Un primo post, di ringraziamento per la nomina a “Consigliere del Ministro per i grandi eventi”, pubblicato dopo che la nomina stessa era stata bloccata. Un modo perfetto per mettere in difficoltà l’Istituzione, costretta a smentire, e un potente detonatore per innescare una conversazione social ad alta magnitudo mediatica. Poi una sequenza progressiva di scientifiche e documentalmente ben dotate smentite alle note ufficiali, che rispondono ai precedenti post, il che crea un progressivo interesse mediatico, sino all’interazione diretta con le affermazioni del presidente del Consiglio prima e del Ministro poi. Una sorta di tattica militare: attirare il nemico allo scoperto per ferirlo e attendere che arrivino i rinforzi in soccorso, per bersagliare anche quelli, in una continua escalation. Il risultato ulteriore è che persino le “truppe amiche” arrivino a chiedere che si smetta di mandare soldati allo scoperto: troppe perdite, il che, fuor di metafora, significa che persino i media più vicini al Governo sono costretti a non difendere il Ministro.

Fra gli addetti ai lavori e nelle chat che sempre più sono ciò che erano i “salotti” di qualche anno fa, si insinua sempre più il dubbio che ci sia “qualcuno che guida l’operazione”, proprio perché appare troppo ben costruita. Sia quel che sia, dopo l’affaire Sangiuliano-Boccia la comunicazione politica non sarà mai più la stessa. Quel che è accaduto dimostra in modo incontrovertibile che siamo in un’infosfera, nella quale ogni soggetto è interconnesso, interdipendente e in grado di guidare una narrazione, basta sapere come fare.

Che ci sia “qualcuno” dietro all’imprenditrice di Pompei o meno, rimane il fatto che una singola persona, con un semplice account Instagram è riuscita a mettere più in difficoltà il governo in carica di quanto non siano riuscite a fare le opposizioni, ottenendo un risultato “politico” clamoroso. Dall’altra parte ha dimostrato un evidente limite nella capacità delle strutture di comunicazione delle Istituzioni di comprendere il funzionamento dell’infosfera comunicativa e di mettere in atto le corrette strategie di contenimento e di gestione della crisi, la cui prima regola è non perdere mai il controllo della narrazione.

In ultimo, ma non per importanza, il pesante danno reputazionale che non investe solo il Ministro ma il Governo e le Istituzioni. Danno che poggia certo sul fatto in sé ma che è stato prodotto più dalla non gestione della questione che dalla questione in sé, dalla percezione delle Istituzioni messe sotto scacco da una singola persona e dal suo profilo Instagram e come sa bene chi si occupa di comunicazione e reputazione, la percezione conta più della realtà.




I dissing tra Tony Effe e Fedez, altre puntate nella telenovela trash del settembre 2024

I dissing tra Tony Effe e Fedez, altre puntate nella telenovela trash del settembre 2024

Lo sanno già tutti, ormai e il “caso” è tracimato ben oltre la solita cerchia di appassionati di musica rap, per intrecciarsi con temi trasversali: dal gossip al dibattito sull’uso e abuso dell’esposizione social dei figli degli influencer, epr poi tornare al tema “madre”: le – vere o presunte – attività di beneficenza dei Ferragnez.

Sul finire dell’estate il giovane e lanciatissimo rapper Tony Effe si produce in un progetto di RedBull “64 Bars”, con strofe inequivoche: “Go, go, la Chiara dice che mi adora“, è un evidente riferimento alla ex moglie di Fedez; cita poi di aver rifiutato un featuring con lo stesso Fedez, e – già che ci siamo – anche ai progetti di beneficenza oggetto delle recenti e notissime polemiche “Fai beneficenza, ma rimani un viscido“. Varrebbe la pena soffermarsi sul secondo riferimento: il – rifiutato – invito a una collab. Da parte di Fedez. Sono in tanti ormai a definirlo una “falena”, perché è ormai nota la sua abitudine a collaborare con giovani talenti emergenti, ma sempre più spesso – pare – per godere della loro visibilità, più che giovarne ad essi. Negli anni poi, sono numerosissimi gli “ex” di Fedez – da Rovazzi a Luis Sal – che con lui hanno avuto da ridire, più o meno pubblicamente, e quasi sempre per ragioni economiche.

Tant’è. L’ormai ’ex marito di Ferragni non ci pensa un attimo a rispondere – è il caso di dirlo – “per le rime”, e si associa immediatamente a Niky Savage per il duetto DiCaprio (“Non ti ho lasciato la strofa / Hai chiesto alla mia brutta copia, okay /Ti comporti da t***a“).

Fuoco alle polveri! Inizia una intensa battaglia via social, con dirette e stories su Instagram in cui i due si rinfacciano di tutto, dalla genuinità delle origini “ghetto”, di Tony Effe, che Fedez mette in dubbio, fino alle accuse si comportamenti al limite dell’infedeltà con attuali e precedenti reciproche compagne

In mezzo, insomma, ci finiscono un po tutti: da Niky Savage, ormai acerrimo nemico di Tony Effe, a Taylor Mega, la sua ex e Chiara Biasi, l’attuale compagna.

Non poteva quindi mancare la risposta del giovane rapper, con un’intera canzone dal titolo – eloquente – “Chiara”. Infatti, nel brano, oltre agli innumerevoli e ben poco lusinghieri a Fedez, inclusi anche riferimenti all’uso di droghe, si sente anche un audio con quella parrebbe a tutti gli effetti la voce di Chiara Ferragni, “lui da gennaio stava cercando il modo per comprarsi gli streaming”. Ma nel testo, Tony Effe tira in mezzo anche i suoi figli (“hai fatto i figli solamente per postarli, chissà che penseranno da grandi“). Ovviasmente Fedez reagisce via social immediatamente “Piccolo gangsta, non ti hanno insegnato in strada che i bambini non si toccano? Scarso nel rap, scarso nei valori“. E – sempre via social – anche la stessa Ferragni interviene con un asciutto ma chiaro messaggio: “Fate quello che volete ma lasciate tutti in pace me e i miei figli, grazie”.
Troppo poco: Fedez è un fiume in piena e in pochissimo esce con un nuovo brano: Allucinazione collettiva. E ne ha per tutti! Alla sua ex risponde subito con un “Lei grida indignata: “abbi rispetto per i figli”, poi manda gli audio ai rapper scarsi che li insultano nei dissing“, “‘Mio marito è una merda’ è stata la tua exit strategy“, e ovviamente, giù di “carinerie” verso Tony Effe “Chissà se lei era d’accordo nel pubblicare quel vocale, ti sei trasformato in un consulente matrimoniale?“, “Vuoi fare hype con i miei figli? Tony Luc-R-arelli”, “Mi spiace che Chiara ti abbia dato confidenza, almeno con te possiamo dire che ha fatto beneficenza”.

Il testo del brano di Fedez finisce con un liberatorio “e adeso chiudiamo questa pagliacciata”. Se la definizione mete d’accordo in molti tra critici e seguaci dei protagonisti coinvolti, rimane il dubbio che la cosa finisca veramente qui, perché sebbene il livello dello scontro sia bassissimo, è altrettanto innegabile che i “volumi” in termini di like, views e condivisioni, di tutto il materiale social prodotto in questa polemica ha portato non poca “aria fresca” nelle statistiche dei protagonisti stessi. Tutti tranne, ovviamente, i social di Chiara Ferragni, la cui già martoriata reputazione difficilmente si gioverà di queste ulteriori battaglie nel fango. Quindi, verrebbe da dire, che la vicenda è chiusa qui… fino a quando qualcuno non la riaprirà!