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Alexandra Cousteau: «Vivevo nell’ombra, ora la mia missione è ripopolare l’oceano con le alghe»

«NELLE FILIPPINE, IN INDONESIA E IN MADAGASCAR IL 60 PER CENTO DELLE “FATTORIE MARINE” È MANDATA AVANTI DA DONNE»

Ha nel cassetto una laurea in Relazioni internazionali e una breve carriera da fotomodella, ma il suo passato e il suo presente sono immersi nell’elemento di famiglia: l’oceano. Quell’acqua in cui ha navigato in lungo in largo il nonno, il campione del “continente blu”, e anche il padre Philippe, morto a soli 38 anni in un incidente aereo. Una passione scritta nel DNA che l’ha portata a creare l’iniziativa “Oceans 2050”. Ad Alexandra proteggere gli oceani non basta più. Vuole rigenerarli. La parola “conservazione” per lei è passata di moda. La sua missione è ripristinare l’abbondanza dell’oceano entro il 2050. «La scienza dice che è possibile. Quando è nata mia figlia, nove anni fa, ho realizzato che nel corso della mia vita ero stata testimone del peggior declino degli oceani in tutta la storia dell’umanità. Molti dei luoghi che avevo conosciuto da bambina assieme a mio nonno sono scomparsi. Mi sono chiesta “non sarebbe straordinario se invece di scrivere il necrologio degli oceani mia figlia potesse vederli rinascere, tornare a com’erano ai tempi del suo bisnonno?”».

Negli Anni 60, il 90% degli oceani era integro

Lo spagnolo Carlos Duarte, biologo marino di fama internazionale, aveva appena pubblicato un paper scientifico sulla rigenerazione degli oceani. «È stato di grande ispirazione. Gran parte della scienza oggi si focalizza sul conteggio delle perdite, pochi studiano come creare un mondo migliore. Mio padre parlava di conservazione alla fine degli Anni 60, quando il 90% dei nostri oceani era integro. Ora che il 50% della biodiversità oceanica è perduta, la conservazione è una parola anacronistica. Dobbiamo cambiare paradigma, la ricerca di Duarte delinea una “road map” per riuscirci». A partire dall’agricoltura rigenerativa oceanica e dalla coltivazione di kelp, un’alga bruna che cresce sulle sponde degli oceani, nota anche come laminaria.

La strategia dei «serbatoi» sottomarini

Come gli alberi, le grandi alghe dell’oceano sono ottimi serbatoi di CO2, che assorbono dall’acqua e immagazzinano nelle foglie. «Circa il 40 per cento delle emissioni accumulate dalla rivoluzione industriale è finito negli oceani », assicura Alexandra. Non sono, ovviamente, le stesse alghe che hanno infestato in passato l’Adriatico, «quelle erano provocate dall’inquinamento», ma alghe “buone”, che offrono diversi vantaggi per gli eco-sistemi e per chi le coltiva. Le foreste di alghe riducono l’acidificazione degli oceani, ossigenano le acque, creano habitat per la biodiversità, sono un rimedio contro l’inquinamento perché si nutrono anche di fertilizzanti, eliminandoli dall’acqua. E le macro-alghe possono diventare un’alternativa industriale interessante alla plastica e al carburante, o possono essere utilizzate come additivo per l’alimentazione delle mucche, riducendo le loro emissioni di metano. In generale le foreste acquatiche – oltre alle alghe, ci sono anche quelle di mangrovie, di poseidonia, ecc. – sono un ottimo cuscinetto per le coste marine, perché assorbono gli impatti delle onde e delle maree, proteggendo case e comunità.

Mettere in rete i 23 mila coltivatori di alghe

«Ci sono però un sacco di altre applicazioni possibili» dice Cousteau «con impatti sociali importanti. Soprattutto sulle donne. Nelle Filippine, in Madagascar, in Indonesia, il 60 per cento dei coltivatori di macro-alghe sono donne». Il progetto “Oceans 2050” sta aiutando 23.000 coltivatori di alghe sparsi nel mondo ad entrare nel mercato mondiale del carbonio – in cui si possono vendere o acquistare quote di emissioni – studiando per ora il lavoro di 24 “fattorie marine” nei cinque continenti, dagli indigeni in Alaska a centinaia di “farmers” giapponesi. «Come gli alberi, le macroalghe perdono le foglie, che diventano sedimento sotto le foreste marine. Stiamo verificando come inserire questo sequestro permanente di CO2 nel “carbon market”, esattamente come chi oggi pianta alberi o cresce foreste sulla terraferma ottiene crediti economici. È un meccanismo per sostenere i coltivatori e compensarli non soltanto per i loro prodotti ma anche per gli eco-servizi che offrono. E presto ci sarà anche un mercato per la biodiversità », sostiene Alexandra.

«Felice di aver visto il mondo con nonno Jaques»

Chissà se nonno Cousteau sarebbe orgoglioso di quella nipotina bionda, tanto quanto lei lo è sempre stata di lui: «Sono fiera di essere sua nipote, felice di aver partecipato alle sue spedizioni e di aver visto il mondo attraverso i suoi occhi. Si muoveva sicuro in politica, economia, scienza, ingegneria, tecnologia, musica.. Era un uomo del Rinascimento. Soprattutto, per me era come uno statista. Forse anche per questo decisi di studiare relazioni internazionali » ricorda Alexandra. «Lui mi ha forgiato. Aveva questo straordinario senso di meraviglia infantile per il mondo, era sempre curioso. Tutto ciò è stato una grandissima fonte di ispirazione. Anche perché lui è stato uno dei primi a vedere il disastro cui stavamo andando incontro e, nonostante questo, non ha mai perso quel suo spirito di stupore verso il Pianeta, quella gioia immensa quando navigava per gli oceani». Un modello ineluttabile. «Mi chiedono spesso se oggi mi occuperei di oceani se non fossi stata la nipote di Cousteau e non so mai cosa rispondere. Questa è la mia vita, da quando sono nata. La prima volta che ho parla to in pubblico di oceani avevo appena quindici anni. Da allora non ho mai smesso. E alla fine di ogni dibattito la gente mi chiede: “Come posso contribuire? Cosa posso fare?”. Io rispondo che devono tornare ad innamorarsi del mondo. Lo stesso amore che aveva mio nonno».

Non basta la tecnologia, l’umanità deve cambiare

«Oggi siamo troppo impegnati con la nostra vita quotidiana, con l’ufficio, le incombenze della casa, il traffico e la spesa. Ma se lasciamo fluire quel senso di meraviglia, lo stesso di quando eravamo bambini, nella quotidianità e riusciamo a trasmetterlo ai nostri figli, allora le azioni da intraprendere diventano ovvie». Saranno la tecnologia e l’innovazione a rendere possibile il cambio di paradigma necessario a fermare la corsa verso il disastro ambientale, ma sarà l’umanità a dover virare la direzione. Le nuove generazioni hanno la piena consapevolezza di ciò che sta accadendo, «quando vedi i giovani in strada, ispirati da Greta Thunberg, chiedere giustizia ambientale, è chiaro che è in corso un cambiamento importante. E la politica seguirà, dovrà farlo, come ha fatto con i matrimoni gay».

Troppa ansia, meglio conservare l’entusiasmo

Alla nipotina ormai cresciuta di Cousteau, forte degli insegnamenti di quel nonno ingombrante e amatissimo, non piacciono però i piagnistei. «La situazione in cui siamo, il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, la degenerazione dei nostri oceani, la chimica nell’acqua, l’inquinamento da plastiche hanno creato un clima di ansia, che non aiuta a migliorare le cose». Meglio conservare l’entusiasmo, quello che l’ha portata a nuotare con gli scienziati accanto agli squali-balena e ai delfini, o a catturare salamandre giganti nelle acque dei fiumi in Tennessee. L’ultima domanda d’obbligo è sul Mediterraneo, il mare sulle cui coste e acque Alexandra ha passato tanti estati, spesso al fianco del nonno, direttore del Museo Oceanografico del Principato di Monaco. «Ho tanti ricordi, andavamo spesso in Italia, a Ventimiglia, a mangiare la pizza… Ma quel mare è molto cambiato da allora. In Italia, come in Spagna, amano mangiare il pesce e amano il mare. Ma lo amano così tanto da condannarlo a morte».

LA CRITICA ALL’OVER FISHING: «NON MANGIO PIÙ PESCE, EPPURE MI PIACEVA: HO SMESSO QUANDO HO CAPITO CHE COSA STAVA ACCADENDO»

Il dito è puntato sull’overfishing, la pesca eccessiva. «Il 90 per cento della pesca nel mondo è fatta da 28 Paesi più l’Unione europea che agisce come un blocco unico nelle trattative internazionali » spiega Cousteau. «Per ricostruire il patrimonio ittico del Mediterraneo, e in generale del mondo, sono indispensabili tre politiche urgenti: quote di pesca basate su calcoli scientifici, riduzione del by-catch (lo scarto del pescato, ovvero tutti gli organismi catturati involontariamente), ampliamento delle aree marine protette. Nulla di tutto ciò sta avvenendo nel Mediterraneo. Ed è fondamentale maggiore trasparenza e tracciabilità, lungo tutta la filiera. Come già avviene per la carne». Guardare sempre l’etichetta, quando al bancone del pesce si compra un branzino o un pesce spada. Ad Alexandra non capita neppure: «Non mangio pesce. Non voglio. Mi piace, lo mangiavo. Quando però ho scoperto cosa sta accadendo ai nostri mari, ho smesso».




Green Deal: le nuove misure della Commissione UE per centrare gli obiettivi climatici del 2030

Green Deal: le nuove misure della Commissione UE per centrare gli obiettivi climatici del 2030

Garantire il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra del 55 % entro il 2030 rispetto alle emissioni del 1990; definire gli strumenti legislativi per mettere in pratica i nuovi obiettivi definiti dalla normativa europea sul clima; fare dell’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050 e creare le condizioni per alzare il livello di  ingaggio e di motivazione da parte di cittadini, imprese, organizzazioni sociali per rafforzare il senso di comune responsabilità nel raggiungimento di obiettivi legati al Green Deal europeo. Sono questi i principali obiettivi del pacchetto di misure proposte dalla Commissione Europea per stimolare e sostenere la trasformazione energetica, economica e sociale del continente.

Dal Green Deal al Social Green Deal con un “Fit for 55”

ESG360 aveva anticipato qualche giorno fa la volontà della EU Commission di presentare misure per passare da un Green Deal a un Social Green DealFrans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione Europea e commissario europeo per il clima e per il Green Deal lo aveva preannunciato in diverse uscite sulla stampa parlando di un’azione che arriva anche in seguito all’approvazione da parte del Parlamento Europeo della nuova legge sul clima e all’ufficializzazione dell’obiettivo di dare una accelerazione negli obiettivi legati alla riduzione di gas a effetto serra (GHG) per arrivare appunto entro il 2030 alla riduzione del 55% delle emissioni contro il “precedente” obiettivo del 40% rispetto ai livelli di riferimento del 1990.

Con queste nuove misure la Commissione europea ha lavorato su una serie di fattori abilitanti come l’applicazione dello scambio di quote di emissione a nuovi settori e il contemporaneo rafforzamento del sistema di scambio di quote di emissione dell’UE; con interventi per prevenire e correggere la tendenza alla rilocalizzazione delle emissioni di carbonio; e nella prospettiva di sviluppare la capacità di creare e gestire “pozzi per l’assorbimento” del carbonio sono state previste misure per preservare e aumentare la capacità di queste strutture. Accanto a questi temi il pacchetto prevede una serie di misure volte a incentivare e stimolare l’uso di energie rinnovabili; a dare un ulteriore spinta per migliorare l’impegno per l’efficienza energetica; una serie di azioni per accelerare (è proprio il caso di dirlo) la creazione di un sistema di mobilità più intelligente e sostenibile caratterizzato dalla riduzione delle emissioni e dall’utilizzo di nuove fonti di energia e da infrastrutture adeguata a sostenere questa trasformazione. Accanto a queste misure sono stati previsti anche interventi per allineare le politiche fiscali con gli obiettivi del Green Deal europeo. Il pacchetto di misure della Commissione europea prevede, come vedremo nel servizio, una accelerazione “nell’elettrificazione” dell’economia con un modello che è stato ribattezzato Fit for 55 e che ha un impatto importante sulle imprese, con particolare attenzione al mondo automotive e building.

Un fondo sociale per il clima

La transizione e trasformazione energetica è prima di tutto un grande tema di trasformazione sociale e di comportamenti. Perché possa avere successo è necessario contare sulla forte motivazione di tutti i cittadini e di tutte le organizzazioni sociali e occorre considerare che i costi di questo percorso sono importanti e non sono solo economici. Nel medio e lungo termine i benefici delle azioni per ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici sono certamente superiori ai costi, ma nel breve periodo il peso di questa trasformazione è anche a carico dei cittadini e delle famiglie, di tutti coloro che si trovano ad affrontare maggiori costi o maggiori difficoltà nella vita quotidiana.

Per cercare di riequilibrare la situazione la Commissione europea ha proposto l’istituzione di un nuovo Fondo sociale per il clima con l’obiettivo di erogare finanziamenti specifici destinati ad aiutare i cittadini in tutte le attività che attengono all’efficienza energetica, al rinnovo di sistemi di riscaldamento o condizionamento o a forme di mobilità più pulita. Questo nuovo fondo sociale per il clima dovrebbe essere finanziato dal bilancio dell’UE, sfruttando le risorse raccolte grazie allo scambio di quote di emissione negli ambiti dell’edilizia e dei carburanti per il trasporto stradale. Nello specifico la proposta parla di una quota pari al 25 % delle entrate previste che dovrebbe permettere investire oltre 72 miliardi di € agli Stati membri nell’arco 2025-2032. Mettendo in pratica finanziamenti nazionali basati sullo stesso principio il Fondo sarebbe in grado di arrivare a erogare qualcosa come 144,4 miliardi di € per rendere la transizione ecologica socialmente sostenibile.

Le misure a supporto del Green Deal e degli obiettivi previsti dalla nuova legge sul clima

Nello specifico le misure del nuovo pacchetto per il Green Deal e della nuova legge sul clima della Commissione Europea riguardano una serie di punti e una serie di azioni pensate per favorire e incoraggiare una evoluzione nei comportamenti e una evoluzione nelle scelte imprenditoriali delle imprese e delle organizzazioni, sia in termini di produzione di energie pulite sia in termini di consumo delle stesse.

Riduzione limiti del sistema di scambio di quote di emissione dell’UE ETS

Emission Trading System o ETS – La Commissione propone di ridurre il limite massimo generale delle emissioni, di aumentarne il tasso annuo di riduzione e di eliminare le quote di emissioni a titolo gratuito per il trasporto aereo in modo graduale per allinearsi al sistema globale di compensazione e riduzione delle emissioni di carbonio per il trasporto aereo internazionale. La proposta prevede inoltre l’inclusione nell’ETS dell’UE delle emissioni generate dal trasporto marittimo.

Allo scopo di correggere la situazione legata alla mancata riduzione delle emissioni nel trasporto stradale e negli edifici, si propone l’istituzione di un sistema di scambio delle quote di emissione per la distribuzione di carburante per il trasporto stradale e di combustibile per gli edifici. Accanto a questo provvedimento la Commissione propone di accrescere l’entità dei fondi per l’innovazione e la modernizzazione.

Va ricordato che l’Emission Trading System, ETS determina un prezzo per il carbonio e attiva un limite massimo applicabile alle emissioni di determinati settori economici che si riduce ogni anno. Grazie a questo sistema è stato possibile negli ultimi 16 anni ridurre le emissioni provenienti dalla produzione di energia elettrica e dalle industrie ad alta intensità energetica del 42,6%.

Responsabilità condivisa: il ruolo dell’ESR (Effort Sharing Regulation)

L’eliminazione del carbonio nell’atmosfera non può che essere un grande gioco di squadra tra tutti i paesi europei che ne devono condividere le responsabilità considerando in modo particolare che al momento l’ETS Emission Trading System si occupa di regolamentare una quota pari a circa il 40% delle emissioni totali di gas serra dell’UE mentre sul restante 60% interviene appunto il regolamento ESR (Effort Sharing Regulation). In questo senso un ruolo fondamentale dovrà essere svolto da un’azione preventiva e “naturale” in termini di assorbimento di carbonio dall’atmosfera, ovvero da una politica volta a favorire lo sviluppo della silvicoltura europea con nuove piantagioni di alberi.

Sulla base del regolamento per la condivisione degli sforzi legati alla transizione ecologica ciascun membro EU aveva uno specifico impegno in termini di riduzione delle emissioni. Gli obiettivi sono legati alla riduzione nell’ambito degli edifici, dei trasporti stradale e marittimo, dell’agricoltura, nella gestione dei rifiuti e delle industrie PMI. Gli obiettivi sono stabiliti sulla base di parametri che tengono conto situazioni di partenza di ciascuno Stato, delle performance di ciascuno Stato membro, del PIL pro capite e di adeguamenti per tener conto dell’efficienza in termini di costi.

Utilizzo del suolo, stimolo e sostengo per silvicoltura e agricoltura

Tre miliardi di alberi entro il 2030. L’obiettivo di aumentare la quota verde in tutto il continente prevede una nuova strategia forestale UE che assume l’impegno di estendere, ma anche di migliorare in termini di qualità e resilienza tutte le foreste d’Europa. Sono da leggere in questo scenario le politiche di sostegno ai silvicoltori e alla bioeconomia forestale. Il pacchetto di misure della Commissione Europea comprende anche interventi per proteggere la biodiversità e in favore della sostenibilità della raccolta e dell’uso della biomassa. Un ruolo fondamentale per il raggiungimento dei nuovi obiettivi 2030 è poi svolto dalla capacità di “stoccaggio” di CO2 nel suolo ed è anche in questo scenario che si collocano gli interventi sul regolamento sull’uso del suolo, sulla silvicoltura e sull’agricoltura. Con questo provvedimento ai pozzi naturali nel suolo è affidato l’obiettivo di raggiungere qualcosa come 319 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 entro il 2030 e l’ ESR (Effort Sharing Regulation) avrà il compito di garantire che gli obiettivi delle singole nazioni siano supportati da azioni volte a estendere rafforzare i pozzi “nazionali” destinati all’assorbimento di carbonio.

Neutralità climatica per l’agricoltura nel 2035

Obiettivi specifici di neutralità climatica per agricoltura, per l’uso del suolo, per silvicoltura entro il 2035 con particolare attenzione naturalmente ai fattori chiave legati alle importanti emissioni di CO2 che sono da addebitare all’utilizzo di fertilizzanti e all’allevamento. Per il settore dell’agrifood si tratta di accelerare un processo di trasformazione sostenibile in cui il mondo dell’agricoltura è doppiamente coinvolta sia come attore impegnato in azioni di supporto all’assorbimento di Co2 sia come attore impegnato nella riduzione delle proprie stesse emissioni.

Energie rinnovabili: arriva una ulteriore accelerazione

I nuovi obiettivi di riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030 non si possono raggiungere senza un consistente revisione degli interventi sullo specifico settore dell’energia. Partendo dal presupposto che il 75% delle emissioni in Europa arrivano dalla produzione e dal consumo di energia appare chiaro che per accelerare la transizione verso un sistema più green occorre agire con misure volte a scoraggiare l’utilizzo di energie prodotte da combustibili fossili ovvero con alto livello di emissioni, per favorire la produzione e la diffusione nell’utilizzo di energie rinnovabili. Ecco che nel pacchetto della Commissione Europea trovano spazio obiettivi assai più consistenti a livello di direttiva sulle energie rinnovabili con un’asticella che impegna l’Europa ad arrivare a produrre il 40% dell’energia continentale da fonti rinnovabili. Ancora una volta vale ovviamente il principio dell’ESR (Effort Sharing Regulation) e tutti gli Stati membri dovranno partecipare attivamente a questa trasformazione. Gli obiettivi sono chiaramente individuati in funzione dei settori e degli ambiti di utilizzo con interventi che puntano ad accelerare la trasformazione energetica verso le rinnovabili nell’ambito dei trasporti, nel settore che si occupa del riscaldamento e del condizionamento, nel settore dell’edilizia con interventi specifici per il mondo industriale.

Nuovi criteri per la bioenergia

La diffusione nell’utilizzo di energie rinnovabili passa anche da un piano di revisione dei criteri di sostenibilità per l’uso della bioenergia che vengono rafforzati e da misure che invitano gli Stati membri a sviluppare provvedimenti di supporto allo sviluppo della produzione di bioenergie in modo da rispettare il principio dell’uso a cascata della biomassa legnosa.

Vincoli più rigidi per l’efficienza energetica

Non basta favorire l’utilizzo di energie rinnovabili, per ridurre le emissioni serve anche consumare di meno e per ridurre il consumo globale di energia, dalla Commissione Europea arriva l’indicazione per intervenire sulla direttiva per l’efficienza energetica in modo da fissare  un più ambizioso obiettivo di riduzione del consumo di energia all’anno. In funzione di questo obiettivo verranno poi stabiliti i rispettivi obiettivi nazionali ed è prevedibile un raddoppio nell’obbligo annuale di saving energetico.

Un impegno speciale per le Pubbliche Amministrazioni

Tutti sono ovviamente coinvolti in questa sfida per la trasformazione energetica: pubblico e privato. Ma per il mondo pubblico le misure del nuovo pacchetto realizzato dalla Commissione Europea parlando di un impegno che porta alla ristrutturazione di una quota pari ad almeno il 3% degli edifici ogni anno allo scopo di sostenere un processo di ristrutturazione edilizia generale che deve portare benefici sul piano della riduzione dei consumi energetici ovviamente ma anche di miglioramento della qualità, della sicurezza, della funzionalità del mondo building con benefici anche in termini economici e di creazione di occupazione per tutto il settore.

Automotive: vetture e automezzi commerciali verso emissioni zero

Anche il mondo della mobilità è chiamato a fare la sua parte e per la smart mobility è ragionevole pensare a uno scenario all’insegna delle emissioni zero. Con questo pacchetto sono in arrivo norme più stringenti in termini di riduzione delle emissioni di CO2 per il parco macchine costituito da vetture e da mezzi commerciali per i quali è previsto un piano che deve portare ad azzerare le emissioni. Gli obiettivi per il mondo automotive stabiliscono una riduzione delle emissioni del 55% a partire dal 2030 e una riduzione del 100% a partire dal 2035 prendendo come punto di riferimento i livelli del 2021.

Con questa prospettiva tutte le automobili che verranno immatricolate dal primo gennaio 2035 dovranno garantire le zero emissioni. Una sfida di straordinaria portata per l’intera industria automobilistica, ma anche per le infrastrutture che dovranno essere adeguate per sostenere questa trasformazione verso lo sviluppo sostenibile. Un lavoro importante dovrà essere avviato o accelerato affinché sia realizzata ed estesa una rete di punti di rifornimento o ricarica dei veicoli, in funzione del tipo di “fonte di energia alternativa” utilizzata. Il pacchetto fornisce già delle indicazioni chiare che prevedono punti di ricarica elettrica ogni 60 Km e punti di rifornimento dell’idrogento ogni 150 Km. Tutto questo per quanto attiene alla mobilità dei singoli cittadini, delle aziende e alle attività professionali. Ma un ruolo altrettanto importante è affidato alla trasformazione energetica dei mezzi legati alla mobilità nel campo dell’aviazione e del traporto marittimo

Nuovi carburanti per aviazione e trasporto marittimo

I grandi trasporti di cielo e di mare sono, nel campo esteso della mobilità, tra le principali cause di emissione di C02. L’inquinamento prodotto dall’aviazione e dal trasporto marittimo è da tempo al centro dell’attenzione e necessita, secondo la visione espressa dal pacchetto di misure della Commissione Europea, di interventi speciali. In particolare, appare necessario creare le condizioni affinché siano create le infrastrutture necessarie alla introduzione e gestione di combustibili alternativi sia per gli aerei sia per le navi. Arriva da qui l’obiettivo di portare energia elettrica nei porti e negli aeroporti anche attraverso due iniziative: la ReFuelEU Aviation e la FuelEu Maritime. La prima si rivolge ai fornitori di combustibili e li obbliga ad aumentare la percentuale di carburanti sostenibili destinati al mondo dell’aviazione per i servizi di trasporto nello spazio UE. In questo intervento sono compresi i cosiddetti elettrocarburanti, ovvero i carburanti sintetici a basse emissioni di carbonio. Nello stesso tempo, con lo sguardo verso il “mare” FuelEu Maritime intende favorire anche in campo marittimo l’adozione di combustibili sostenibili anche con la definizione di un limite massimo al tenore di gas a effetto serra dell’energia utilizzata dalle navi che fanno scalo nei porti europei.

Incentivi fiscali per la transizione verde

Come ampiamente sperimentato in passato in tante circostanze la trasformazione ha bisogno di essere sostenuta e incoraggiata anche con misure “motivazionali” a livello fiscale. Gli incentivi sono un “motore” importante per qualsiasi trasformazione e con questo pacchetto si va ad arricchire un regime fiscale pensato per i prodotti energetici. Qui si collocano gli interventi sulla direttiva relativa alla tassazione dell’energia in ambito UE con lo scopo di creare un’azione fiscale che permetta di favorire i prodotti energetici rinnovabili per consentire il raggiungimento dei nuovi obiettivi fossati dalla legge sul clima. In prospettiva sono previste azioni per promuovere la produzione e l’utilizzo di energie rinnovabili, l’eliminazione di esenzioni obsolete e la cancellazione di “vecchie” aliquote che ancora favoriscono l’utilizzo di combustibili fossili. Con questi interventi si punta alla riduzione degli effetti negativi di una concorrenza fiscale in materia di energia e si vuole contribuire a garantire agli Stati membri nuove risorse basate su imposte “verdi”.

Interventi per regolamentare il “mercato del carbonio” e per evitare la rilocalizzazione delle emissioni

Un altro punto chiave di questa trasformazione riguarda la gestione del mercato del carbonio. Con questo pacchetto arrivano misure volte a creare un nuovo meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere per fissare un prezzo del carbonio per le importazioni di determinati prodotti per evitare i negativi effetti legati al fenomeno della rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Questo ridisegno delle logiche di gestione delle “transazioni” legate al mercato del carbonio deve permettere di creare le condizioni affinché la riduzione delle emissioni UE possano contribuire a una riduzione delle emissioni a livello mondiale ed evitare che possa verificarsi un “semplice” spostamento delle produzioni ad alta emissione di Co2 fuori del perimetro europeo. Allo stesso scopo queste misure vogliono servire per incoraggiare l’industria internazionale che opera fuori dai confini europei e le altre nazioni ad intensificare il percorso verso la transizione energetica globale. Anche questo un tema fondamentale per tutte le aziende e le organizzazioni impegnate in percorsi ESG.

Una trasformazione energetica nel segno dell’interconnessione delle economie

La parola chiave per leggere queste nuove misure è “interconnessione”. Gli obiettivi posti dalla nuova legge sul clima impongono obiettivi per i quali occorre agire su più livelli per abilitare tutti gli attori a raggiungere i rispettivi obiettivi in un contesto che nasce dall’interconnessione tra tutti i fattori che favoriscono il consumo e a la produzione di energie a minor impatto ambientale con un percorso che non deve ammettere eccezioni e che deve individuare e scoraggiare forme di “dumping” energetico o “carbonico”. In questo senso il pacchetto della Commissione Europea lavora anche sul tema delle responsabilità nazionali e individuali e sul tema dei sostegni necessari per rendere questa trasformazione prima di tutto una trasformazione sociale e culturale.

Il lungo percorso verso la neutralità climatica: Consiglio europeo: verso un’Europa a impatto climatico zero  

 Il pacchetto di misure della Commissione Europea arriva per rispondere a obiettivi che nascono da “lontano”. In particolare già il 12 dicembre 2019 i leader dell’UE avevano discusso, tra le altre cose, di cambiamenti climatici in relazione al bilancio dell’UE e di neutralità climatica. Dopo aver preso atto della comunicazione della Commissione sul Green Deal europeo, il Consiglio aveva approvato la realizzazione di un’UE a impatto climatico zero entro il 2050, in linea con gli obiettivi dell’accordo di Parigi, sottolineando già all’epoca che la transizione verso la neutralità climatica avrebbe offerto opportunità di sviluppo per la crescita economica, per i mercati, per l’occupazione e per lo sviluppo tecnologico. 

In quell’occasione l’attenzione si è concentrata sulla necessità di assicurare una transizione verso la neutralità climatica socialmente equilibrata ed equa ed efficiente in termini di costi, che tenesse conto delle diverse situazioni nazionali.  Il Consiglio europeo aveva riconosciuto che le politiche UE avrebbero dovuto allinearsi all’obiettivo della neutralità climatica e aveva appunto invitato la Commissione a intervenire per modificare le norme, anche in materia di aiuti di Stato e di appalti pubblici. 

In quella circostanza era stata sottolineata anche il tema della sicurezza energetica e della facoltà da attribuire agli Stati membri di valutare le misure più adeguate per definire il proprio mix energetico e l’utilizzo delle tecnologie più adeguate.




Che cosa sappiamo del più grande furto di criptovalute di sempre

Che cosa sappiamo del più grande furto di criptovalute di sempre

Più di 600 milioni di dollari sono stati sottratti alla piattaforma di finanza decentralizzata PolyNetwork, dopo un attacco informatico che è già entrato nella storia come uno dei più grandi furti di criptovalute di sempre. I gestori della piattaforma hanno rivelato l’attacco su Twitter, pubblicando poi una lettera in cui hanno chiesto ai criminali di restituire i beni violati.

Che cos’è PolyNetwork

PolyNetwork è una sistema di finanza decentralizzata (DeFi) che consente lo scambio di gettoni virtuali (token) tra diverse piattaforme di blockchain, cioè i registri virtuali su cui si basa il funzionamento di diverse criptovalute. Ogni moneta digitale ha la propria blockchain, il proprio registro, su cui tiene traccia delle transazioni e dei beni, il servizio offerto da PolyNetwork è di collegare tra loro le diverse blockchian. Con il termine DeFi, inoltre, si indicano tutte le applicazioni finanziarie che cercano di operare senza intermediari, come i le borse e gli agenti di borsa.

Chi ha compiuto l’attacco

Nella lettera pubblicata da PolyNetwork, l’azienda si rivolge a un generico “caro hacker”. Tuttavia, il termine hacker non ha una connotazione negativa, ma indica chiunque è in grado di esplorare le potenzialità offerte da un sistema informativo e di metterne alla prova le sue capacità. Un hacker è quindi chi è in grado di comporre insieme diversi programmi, superando le procedure standard usate nella scrittura dei software e non ha nulla a che fare con la criminalità. Chi usa queste competenze con intenti malevoli viene indicato con il nome di cracker, dal verbo inglese to crack, che significa spezzare, rompere, crepare.

Secondo quanto rivelato su Twitter da SlowMist, società di sicurezza informatica cinese, i cracker sarebbero riusciti a trasferire 610 milioni di dollari verso 3 diversi indirizzi collegati a 3 diverse criptovalute. Partendo da questi indirizzi, i tecnici di SlowMist sarebbero stati già in grado di rintracciare l’indirizzo Ip degli attaccanti, così come il loro indirizzo email e le loro impronte digitali. La società ha anche detto che queste informazioni sono state ottenute grazie alla collaborazione con Hoo, un’altra piattaforma di scambio di criptovalute cinese. SlowMist ha poi offerto a PolyNetwork di condividere con loro le informazioni ottenute.

La lettera di PolyNetwork

Poche ore dopo l’annuncio di SlowMist, l’account Twitter di PolyNetwork ha condiviso un’immagine con una lettera indirizzata ai cracker, nella quale ha chiesto loro di essere contattata e di restituire tutti i fondi rubati. Letteralmente, l’ultima riga recita “dovreste parlare con noi per trovare una soluzione”, dopo aver ricordato agli attaccanti che “saranno ricercati dalle forze dell’ordine di tutti i paesi”. Questo approccio può quindi suggerire due cose, o un’estrema disperazione oppure che la compagnia sia veramente in possesso di informazioni dettagliate rispetto all’origine dell’attacco.




Tesla ora ricicla le sue batterie esauste: efficienza al 92%, recuperate quasi 2.000 tonnellate di materie prime

Tesla ora ricicla le sue batterie esauste: efficienza al 92%, recuperate quasi 2.000 tonnellate di materie prime

Le auto elettriche si stanno affermando sempre più, permangono però alcuni luoghi comuni, spesso usati dai detrattori per screditare la bontà della soluzione. Tra questi, uno dei più ricorrenti è sicuramente quello che riguarda le batterie “esauste” e il loro relativo smaltimento. Tesla, come leader del settore, non poteva certo ignorare questo punto della catena industriale, e con il Rapporto di Sostenibilità 2020 ha reso noti importanti progressi sul fronte del riciclo.

Batterie riciclate internamente, Tesla è fornitore di se stessa

Bisogna innanzitutto fare un piccolo passo indietro. Le celle al litio utilizzate per autotrazione non diventano quasi mai esauste, ma gradualmente possono perdere parte della capacità, impattando negativamente sull’autonomia del veicolo. Quando questo degrado aumenta troppo, le batterie vengono considerate non più adatte all’uso su un’automobile, e spesso vengono quindi destinate per altri usi, come l’accumulo energetico domestico, dove continuano a funzionare per molti anni.

Ma anche nel caso in cui ci siano batterie guaste o particolarmente usurate, queste non vengono smaltite, ma indirizzate a processi di riciclo. Tesla si è avvalsa per molto tempo di servizi di riciclo esterni, ma dalla fine del 2020 ha implementato un suo primo impianto interno, nella fabbrica di batterie in Nevada, la prima e famosa Gigafactory. Questa la spiegazione dell’importanza del nuovo reparto:

Nel quarto trimestre del 2020, Tesla ha installato con successo la prima fase del nostro impianto di riciclaggio delle celle presso la Gigafactory Nevada per l’elaborazione interna sia degli scarti di produzione delle batterie che delle batterie a fine vita. Sebbene Tesla abbia lavorato per anni con riciclatori di batterie di terze parti per garantire che le nostre batterie non finissero in una discarica, comprendiamo l’importanza di costruire anche una capacità di riciclaggio internamente per integrare queste relazioni. Il riciclaggio in loco ci avvicina di un passo alla chiusura del ciclo sulla generazione dei materiali, consentendo il trasferimento delle materie prime direttamente ai nostri fornitori di nichel e cobalto“.

Tesla Recycle

Secondo quanto svelato nel Rapporto, il processo utilizzato da Tesla, partendo da una ipotetica quantità di celle per una capacità di 1.000 kWh, riesce ad ottenere materie prime sufficienti per la produzione pari a 921 kWh, un tasso di riciclo in pratica al 92%. I numeri registrati nella parte finale del 2020 sono già particolarmente significativi: Tesla ha recuperato 1.300 tonnellate di nichel, 400 tonnellte di rame e 80 tonnellate di cobalto.

Sono stati inoltre comunicati i piani futuri per integrare il procedimento di riciclo nelle nuove fabbriche, GigaBerlin e GigaAustin: “In qualità di produttori del nostro programma di celle interno, siamo nella posizione migliore per riciclare i nostri prodotti in modo efficiente per massimizzare il recupero del materiale chiave della batteria. Con l’implementazione della produzione interna di celle presso Gigafactory Berlin-Brandenburg e Gigafactory Texas, prevediamo aumenti sostanziali degli scarti di produzione a livello globale. Intendiamo personalizzare le soluzioni di riciclaggio per ogni luogo e quindi reintrodurre materiali di valore nel nostro processo di produzione. Il nostro obiettivo è sviluppare un processo di riciclaggio sicuro con alti tassi di recupero, bassi costi e basso impatto ambientale. Da un punto di vista economico, prevediamo di riconoscere risparmi significativi a lungo termine poiché i costi associati al recupero e al riciclaggio dei materiali delle batterie su larga scala saranno di gran lunga inferiori rispetto all’acquisto di materie prime aggiuntive per la produzione di celle“.




Esg, dopo la cybersecurity è il nuovo fattore di “rischio” del business

Esg, dopo la cybersecurity è il nuovo fattore di “rischio” del business

Le politiche Esg (Environmenta, Social & Corporate Governance) sono, dopo la cybersecurity, la priorità per le aziende a livello mondiale. È quanto emerge dall’ultimo Emerging Risks Monitor Report di Gartner – il sondaggio ha visto protagonisti 153 dirigenti senior nel secondo trimestre 2021 – secondo cui le pressioni normative stanno impattando sulla riclassificazione.

“I dati del sondaggio riflettono in parte un punto di svolta globale. Le politiche passano da volontarie a obbligatorie e il fatto che siano balzate nella parte alta della classificazione delle preoccupazioni suggerisce che molte organizzazioni potrebbero passare all’azione in tempi brevi”, commenta Matt Shinkman, vicepresidente di Gartner Risk and Audit Practice.

I requisiti normativi Esg si piazzano al secondo posto nel secondo trimestre per la prima volta: nella rilevazione a fine marzo non figuravano fra le prime cinque voci in classifica. Resta in testa la cybersecurity: il rischio di attacchi informatici viene considerata la priorità anche a seguito dell’inasprimento del cybercrime.

La pressione degli investitori sulle politiche Esg non è nuova per i dirigenti, ma le norme si stanno facendo sempre più stringenti in molti Stati e alcuni obblighi stanno man mano entrando in vigore.  Il Regno Unito è il primo paese a richiedere alle aziende di riferire sui cambiamenti climatici e l’Ue ha adottato un sistema di classificazione universale. “Le organizzazioni dovranno probabilmente affrontare un mosaico di requisiti fino a quando non emergeranno standard globali chiari”, evidenzia Gartner.

Sebbene i requisiti normativi Esg rappresentino una sfida per i dirigenti e le organizzazioni, a differenza di molti altri rischi “ad alta velocità” – come i fallimenti del controllo della sicurezza informatica – l’Esg è un “rischio” che si muove più lentamente. Ciò offre alle organizzazioni proattive e ai loro team di gestione del rischio aziendale (Erm) la possibilità di trasformare quest’area di rischio in un’opportunità organizzativa. I dirigenti senior intervistati nell’ultimo sondaggio hanno concordato su questa linea, classificando il rischio normativo Esg come il secondo rischio più praticabile da considerare come un’opportunità.

“Esg può essere un’area stimolante e amorfa con cui i team Erm possono impegnarsi pienamente”, evidenzia Shinkman. “Esg può presentare alle organizzazioni e ai loro team Erm opportunità legate all’essere tra i primi a muoversi, potenzialmente attraendo nuovi investitori e riducendo il costo del capitale”.

Shinkman raccomanda ai team Erm il coordinamento tra le funzioni di assicurazione e delle relazioni con gli investitori per identificare le lacune nelle attività di gestione del rischio legate ai fattori Esg. Una recente ricerca di Gartner ha evidenziato un potenziale divario, mostrando che solo l’8% delle metriche Esg di riferimento tra le società S&P 500 riguardava problemi di governance.

Pur continuando a coinvolgere e monitorare le aspettative degli stakeholder per le divulgazioni Esg, Shinkman sottolinea che le organizzazioni dovrebbero cercare opportunità per diventare i primi ad adottare misure come il reporting di sostenibilità.