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Djokovic, gli sponsor vacillano. Lacoste chiede incontro urgente al tennista

Djokovic, gli sponsor vacillano. Lacoste chiede incontro urgente al tennista

Nei giorni scorsi, mentre il caso Djokovic prendeva forma, scrivevamo di come gli sponsor della stella serba non avessero preso posizione. Una situazione abbastanza anomala. Anche perché l’immagine di un brand, associata ad un personaggio catalogato ormai no vax a livello globale, non ne esce sicuramente rafforzata. Anzi.

Lacoste con Nole dal 2017

E allora il silenzio degli sponsor di Djokovic era sembrato a tutti abbastanza maldestro. Almeno fino a lunedì 17 gennaio. Perché proprio ieri, la Lacoste – azienda francese fra i main sponsor del tennista serbo – ha fatto sapere di voler parlare con Djokovic «il prima possibile».Il brand transalpino, fondato nel 1933 proprio da due tennisti, è con Djokovic dal 2017. Il tennista numero 1 al mondo indossa, in ogni competizione, il kit da gioco firmato Lacoste: maglia, polsini, pantaloncini e calzini. E anche il berretto, quando ne fa uso. Rimangono fuori solo le scarpe, per le quali Djokovic sceglie da sempre il marchio Asics.

Gli altri sponsor

Altri sponsor di Djokovic includono la casa automobilistica Peugeot, il marchio di orologi di lusso Hublot e il creditore austriaco Raiffeisen Bank International. Dalle sponsorizzazioni, secondo Forbes, il leader della classifica ATP incassa circa 30 milioni di euro all’anno. Ma la storia del vaccino e il caso Australian Open, adesso, potrebbero avere un impatto importante. Dopo l’imbarazzo dei primi giorni, come dicevamo, è stata la Lacoste a infrangere il muro del silenzio. «Il prima possibile, ci metteremo in contatto con Novak Djokovic per capire analizzare quanto successo in Australia» hanno fatto sapere dall’azienda, di proprietà della svizzera MF Brands. Non è chiaro quali possano essere le conseguenze, ma è un primo sasso nello stagno.

La vicenda australiana

Djokovic, giova ricordarlo, era entrato in Australia con un’esenzione medica dall’obbligo di vaccino, ma il suo visto iniziale era stato annullato. Successivamente aveva provato, con dei ricorsi, a rimanere nel Paese per poter competere per il 21esimo titolo del Grande Slam. Ma la sua battaglia legale, alla fine, l’ha persa. Ed è stato espulso dall’Australia, uscendone anche decisamente sconfitto dal punto di vista dell’immagine, con una serie di vicissitudini legate a mancate quarantene.

Anche il Roland Garros a rischio

Ora, la sua ferrea opposizione al vaccino contro il Covid-19 (espressa già nel 2020), diventa un bel dilemma per gli sponsor. Anche in virtù del fatto che l’Australian Open potrebbe non rimanere un caso isolato. Nelle ultime ore, infatti, sta prendendo quota l’ipotesi che Djokovic possa essere escluso anche dal Roland Garros. In Francia, infatti, potrebbero vietare l’ingresso ad atleti non vaccinati. E se dopo gli Australian Open, il tennista serbo fosse costretto a saltare anche il torneo parigino, per gli sponsor non sarebbe un grande affare.




Auto: l’Aci è la prima Pa per engagement su tutti i social

Auto: l'Aci è la prima Pa per engagement su tutti i social

 ROMA, 19 GEN – L’Automobile Club d’Italia è la prima PA nell’engagement su Facebook, Instagram, Linkedin e Twitter, mentre il numero di cittadini italiani iscritti ai servizi ACI della APP “IO” ha superato i 10 milioni: due risultati che dimostrano come l’ACI rappresenti una delle punte più avanzate dell’intero sistema della PA italiana, sia in tema di digitalizzazione, che di appeal e capacità di dialogo con i social media più diffusi.

Questi gli ID delle pagine ACI: FB @acisocialclub, IG @automobileclubditalia, TW @ACI_Italia, LI Automobile Club d’Italia.

    “Le persone – ha dichiarato Ludovico Fois, Consigliere per le Relazioni Esterne e Istituzionali Responsabile della Comunicazione ACI – sono al centro della nostra strategia di comunicazione ed è per questo che ci siamo impegnati sempre di più sulla presenza digitale, semplificando il linguaggio e ampliando il numero di canali, social e app in particolare”.
    “Vogliamo parlare alla gente in modo chiaro – ha spiegato Fois – coinvolgere tutti nelle nostre campagne di sicurezza stradale, chiedere la loro opinione sui cambiamenti della mobilità.
    Vogliamo sapere, in tempo reale, come la pensano, per portare avanti i loro interessi”.
    “L’ACI ha sposato con entusiasmo il programma europeo e nazionale dell’agenda digitale – ha dichiarato Vincenzo Pensa, Direttore Sistemi Informativi e Innovazione ACI. Ha completato ancor più velocemente un percorso di trasformazione avviato con l’obiettivo di contribuire al progetto strategico del Paese, offrendo ai cittadini servizi digitali puntuali e di qualità”.
    “L’adesione a questo ambizioso programma – ha sottolineato Pensa – ha portato ad una forte presenza sulle piattaforme di servizi digitali nazionali, come l’app IO, che l’ACI, con la quantità e capillarità dei propri contatti, ha contribuito a lanciare e far crescere”




Francia: Grenoble è ufficialmente la Capitale verde europea del 2022

Francia: Grenoble è ufficialmente la Capitale verde europea del 2022

La città francese di Grenoble è diventata ufficialmente la Capitale verde europea del 2022, prendendo il posto della città finlandese di Lahti. La cerimonia di apertura ha avuto luogo alla presenza del commissario per l’ambiente, gli oceani e la pesca Virginijus Sinkevičius, di Barbara Pompili, ministro francese della transizione ecologica e di Eric Piolle, sindaco di Grenoble, tra gli altri.

Il commissario Sinkevičius ha detto: “Grenoble ha guadagnato il titolo di Capitale Verde grazie al suo impegno incrollabile per creare una città più sana per e con i suoi cittadini. Spero che l’anno di Capitale verde di Grenoble dia un’ulteriore spinta alla sua leadership verde e ispiri altre città in Europa a sfruttare le opportunità dell’European Green Deal”.

Grenoble si è guadagnata il titolo di capofila nella transizione sostenibile, in particolare come prima autorità locale francese ad adottare un piano per il clima. Grenoble ha messo in atto politiche urbane per mitigare l’inquinamento e la perdita di biodiversità, come un limite di velocità di 30 km in tutta la città, rendendola la più grande zona a basse emissioni della Francia. Durante il suo anno di Capitale Verde, Grenoble sfiderà gli attori locali a impegnarsi ad agire su uno o più dei 12 indicatori per la transizione verde.

Perché Grenoble? Grenoble è stata la prima autorità locale francese ad adottare un piano per il clima, nel 2005. La città ha ridotto le emissioni di gas serra del 25% dal 2005 al 2016 e sta lavorando per una riduzione del 50% entro il 2030. Nel 2022, la città produrrà l’equivalente del consumo dei suoi abitanti in energia rinnovabile, a zero carbonio e zero nucleare. Inoltre, Grenoble affronta l’inquinamento acustico con aree tranquille designate in città e riducendo i limiti di velocità in città. Dopo aver applicato il limite di velocità di 30 km in tutta la città, la metropoli di Grenoble è diventata la più grande zona a basse emissioni della Francia. In aggiunta, è anche la prima città francese per il pendolarismo in bicicletta. La città ha raggiunto tassi di utilizzo della bicicletta impressionanti attraverso incentivi, rimborsi e pedonalizzazione. Le mense scolastiche della città di Grenoble acquistano almeno il 60% dei loro prodotti localmente o da aziende biologiche (95% per i vivai). Ogni anno, il centro orticolo di Grenoble produce 3,5 tonnellate di verdure per le varie cucine del dipartimento dell’Isère.

Grenoble ha piantato più di 5500 alberi dal 2014. L’obiettivo è ora di piantare 10 000 alberi prima del 2030. La rete di calore metropolitana, la seconda in Francia dopo Parigi, utilizza l’80% di energie rinnovabili e di recupero di energia con l’ambizione di utilizzare il 100% entro il 2030. Più di 200.000 abitanti riciclano già i loro rifiuti alimentari, o lo fanno a casa per fare il compost. Infine, un marchio agroalimentare locale, ISHERE, è stato lanciato dal dipartimento dell’Isère, che garantisce un pagamento equo ai produttori locali, un approvvigionamento locale e metodi di produzione rispettosi dell’ambiente.

Leggi il documento originale su: Grenoble starts as 2022 European Green Capital




Open Innovation 2022, 5 cose che faranno le prime 50 aziende al mondo

Open Innovation 2022, 5 cose che faranno le prime 50 aziende al mondo

Tra i più grandi benefici dall’avere organizzato lo scorso dicembre a Parigi i Corporate Startup Stars Awards (che sono l’equivalente degli Oscar dell’Open Innovation) c’è stata l’opportunità di sedersi con i responsabili dell’innovazione delle prime 50 aziende al mondo e poter chiedere loro che piani avessero per il 2022. Questo ci ha permesso di consolidare la sensazione di dove gli innovation leader stiano andando (che peraltro è anche dove tutte le altre aziende che sono partite più tardi più o meno convergeranno). Quindi merce preziosa di cui vi condivido alcuni highlight (Mind the Bridge ha prodotto un report più strutturato, qui il link per chi volesse scaricarlo).

1. Open innovation 2022, crescono i budget

Gli Innovation budgets avevano subito un modesto ridimensionamento nel 2021 con tagli effettuati anche dal 20% delle Corporate Startup Stars, le aziende più avanti sul fronte dell’open innovation. Ma per il 2022 solo il 7% pianifica un ridimensionamento.

Dall’altro lato, il 43% aumenterà i propri innovation budgets (dato in aumento rispetto al 37% dello scorso anno) e il 50% terrà lo stesso level of spending (vs. 43% nel 2021).

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2. Innovazione 2022, è l’anno dei venture builder.

Da acceleratori a venture building, il trend è chiaro. Molte aziende hanno deciso di (o sono in procinto di) abbandonare/ridimensionare i propri startup accelerators. In parallelo assistiamo ad una crescita di venture builders e studios.

Venture Client e CVC confermano essere il modo prevalente con cui gli innovation leader fanno open innovation e mettono a terra risultati.

I programmi di Intrapreneurship restano diffusi, sebbene molti siano in corso di radicale ristrutturazione data la loro scarsa efficacia dimostrata, come approfondito in questo mio articolo su Sifted.

Lo Startup M&A (almeno in Europa) resta una attività occasionale a differenza di quanto invece avviene negli Stati Uniti e in modo crescente in Asia dove è una modalità strutturata di innovazione.

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3. Il Covid non frena l’Open Innovation (piuttosto le procedure interne)

Nessuno dei corporate innovators con cui abbiamo parlato ha indicato la pandemia o altri fattori esterni (come instabilità politica e crisi economica) tra le barriere in grado di influenzare i propri piani di innovazione (sebbene alcuni abbiano segnalato come un’evoluzione regolamentare in termini restrittivi e protezionistici possa tuttavia complicarli; al riguardo vi invito a seguire il dibattito in corso guidato da The Entrepreneurship Network nel Regno Unito).

I principali ostacoli segnalati restano tuttavia interni. Mentre gli innovation leaders hanno trovato un modo per coinvolgere le business unit (nel 93% dei casi – qui si vede il gap con le aziende più indietro su questo fronte), indicano invece tra i problemi la rigidità dei processi interni (procurement, legal, procedure, …) e le risorse dedicate (gli innovation teams rimangono di piccola dimensione anche nelle Fortune 500 companies). Il 43% segnala ancora un gap di cultura (in particolare più sotto il profilo dell’avversione al rischio rispetto alla propensione imprenditoriale che sembra in miglioramento).

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4. Silicon Valley sempre in testa per lo scouting di innovazione e startup

Silicon Valley e Israele rimangono i principali bacini nella “pesca” all’innovazione. Il 90% delle Corporate Startup Stars è attivo in questi due ecosistemi, mentre il rimanente 10% pianifica di aprirvi un Innovation Outpost.

A distanza seguono Europa (il 75%, anche se con presenza dispersa tra molti hub nazionali, rectius grandi metropoli) e Cina (il 60%, anche se con grandi difficoltà a operarvi con efficienza).

L’America Latina e l’India sono ancora aree di nicchia (50%), ancora meno Middle-East e Africa. Tra i poli emergenti sono segnalati Corea del Sud e Dubai.

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5. Innovazione 2022, quali le next big challenges?

Nessuna sorpresa qui. La sostenibilità (climate e green energy) è menzionata da tutti. AI e mobility sono altri hot topics, seguiti da cybersecurity e agritech.

Il report di Mind the Bridge “Open Innovation Outlook 2022. Macro-Trends for 2022 in Corporate-Startup Engagement” è disponibile per il download qui.




Perché non dobbiamo smettere di chiederci cosa vogliamo fare da grandi: l’importanza del purpose personale

Perché non dobbiamo smettere di chiederci cosa vogliamo fare da grandi: l’importanza del purpose personale

Con il ritorno in ufficio e l’auspicato rilancio dell’economia dopo la lunga crisi causata dal Covid-19, si sarebbe temuto il contrario. Parliamo dell’aumento dei licenziamenti nel mondo del lavoro, anche in virtù dello sblocco che, in ultima istanza, ha riguardato le piccole e medie imprese. E invece, come abbiamo visto parlando di Yolo Economy, non sono poche le persone che decidono di mollare tutto e darsi una chance come liberi professionisti. 

In tutto questo, qualcosa a cui si pensa raramente – e a cui le stesse aziende dovrebbero invece prestare attenzione – è il purpose personale. Parola inglese, purpose, che tradotta alla lettera vuol dire “scopo” e che, accostata all’aggettivo “personale”, identifica chi si è e chi si vuole essere nel mondo, e non tanto – o non solo – il proprio lavoro o la propria professionalità. Domande come “Chi vorresti diventare da grande?” o “Come vorresti che fosse la tua vita?” non sono infatti da porre e da porsi solo quando si è giovani, ma dovrebbero guidare ogni momento della propria esistenza. Ancor di più in un periodo delicato come quello che stiamo vivendo, contrassegnato da una costante incertezza.

Non basta quindi puntare su una versione di se stessi accuratamente progettata per il personal branding sui social e per convincere il mondo esterno di essere content creator, giornalisti, imprenditori, influencer, startupper e così via. Il purpose è lo scopo che guida la storia personale di ognuno di noi e che dovrebbe stare alla base di qualsiasi scelta e percorso intendiamo intraprendere. Un po’ come la vision di un’azienda, ma andando molto più in profondità. Se poi il purpose coincide con l’headline su LinkedIn o su Instagram, ben venga. Ma questo deve avvenire solo in seguito. 

Perché cercare il contesto giusto

Il fotografo keniano Boniface Mwangi, durante un Ted Talk intitolato The day I stood alone, ha fatto notare come siano due i giorni più “potenti” nella nostra vita: quello in cui nasciamo e quello in cui scopriamo perché siamo nati. E il purpose è legato a questo: avere uno scopo personale, o anche più di uno, porta a uscire dalla propria zona di comfort, a superare i propri limiti e a cercare il contesto giusto in cui poter raggiungere il proprio obiettivo. E, di conseguenza, ad abbandonare quelle realtà che non permettono di essere ciò che si vuole e cercarne di nuove, come dipendenti o come freelance. 

Un concetto, quello di purpose personale, su cui dovrebbe puntare anche chi si occupa di hr in questo momento. Se la pandemia ha sconvolto tutti, mettendo in discussione certezze consolidate, è anche vero che questo cambiamento riguarda le persone da un punto di vista molto più profondo e può portarle a compiere scelte inaspettate.  

Come individuare il proprio purpose

Come individuare il proprio scopo personale? Partendo dalle domande giuste. Non tanto “Cosa vuoi fare nella vita?”, quanto “Quali sono le cose che ti fanno davvero stare bene?”. E per rispondere a questa domanda bisogna liberarsi dalla propria routine e da quello che gli altri si aspettano da noi. Il consiglio è di rispondere in maniera istintiva e poi aggiustare il tiro. 

Facciamo un esempio: se una cosa che fa stare bene è aiutare i bambini in maniera concreta, ma questo non è centrale nel proprio lavoro né tantomeno nella propria giornata, riconoscerlo è comunque già un buon punto di partenza. Rispondere a questa domanda, poi, potrebbe portarci a stilare un elenco di cose su cui riflettere e da far maturare dentro di noi. Una lista da riguardare successivamente e capire se quelle cose ci rendono sempre felici. 

Un’altra domanda, successiva alla prima, potrebbe essere: “Se potessi scegliere adesso il mio lavoro e i miei impegni, sceglierei ciò che faccio attualmente?”. Il consiglio è di rispondere solo dopo aver pensato alle cose che si ama fare e aver già immaginato un proprio scopo personale. Alla luce di questo, quali impegni attuali aumentereste? Quali ridurreste? E cosa, invece, dovreste eliminare per darvi la possibilità di raggiungere il vostro scopo? E su quali nuove attività puntereste?

Queste domande non sono affatto banali: spesso riduciamo le cose che ci piace fare ai cosiddetti “tempi morti” o “ore buche”, finendo così per non farle perché la giornata si conclude, oppure perché siamo sopraffatti dalla stanchezza e dagli impegni familiari. E ciò genera molta frustrazione. Ragionare per aumentare la parte di giornata dedicata alle cose piacevoli è un ottimo modo per venire incontro al proprio purpose.

In questa ricerca si può chiedere anche il supporto altrui. Si può provare a chiedere alle persone di cui ci si fida, una volta individuato il proprio scopo: “Secondo voi lo sto mettendo in atto o mi sto prendendo in giro?”. Anche perché quello che è interessante analizzare è come gli altri percepiscono non tanto le vostre attività, ma come le portate avanti. E anche il perché. 

Infine, un’altra domanda che però potrebbe lasciare spiazzati è chiedersi la mattina: “Oggi perché mi sto alzando dal letto?”. Se da un lato può far entrare in crisi, dall’altro la risposta può dare una forte motivazione. Anche se si lavora in un supermercato o come revisore dei conti. Nel primo caso una risposta potrebbe essere: “Per regalare un sorriso alle persone che vengono a fare la spesa”. Nel secondo: “Per cercare di aiutare aziende in crisi e, magari, fare felici le loro famiglie”. Certo, non è sempre detto sia così, ma ci si prova.

Storie di purpose personale

Infine, qualche esempio di purpose personale tratto da una conversazione su Reddit: “Il mio purpose personale è aggiungere valore al mondo quando ho l’opportunità di farlo. Crescere come un emarginato mi ha portato a essere una persona che non si preoccupa molto di ciò che pensano gli altri. Penso che la mia capacità di farmi avanti, quando tutti gli altri hanno paura di farlo a causa del potenziale rifiuto, sia uno dei doni più grandi che possa fare agli altri”. 

E ancora: “Il mio scopo nella vita è non smettere mai di imparare e di cercare e impegnarmi sempre in opportunità che mi portino a raggiungere questo scopo”. Ora non resta che trovare il proprio scopo personale che ci aiuti a superare anche i momenti più difficili e, qualora sia necessario, ci faccia fare quel salto in più.