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Il rapporto OCSE sulla lobby fra partecipazione e trasparenza

Il rapporto OCSE sulla lobby fra partecipazione e trasparenza

L’OCSE nell’ultimo rapporto – “Lobbying in the 21st Century, Transparency, Integrity and Access” – afferma senza mezzi termini che la lobby è un modo per informare e influenzare i governi: la lobby è parte integrante della democrazia da almeno due secoli, ed è uno strumento legittimo per influenzare le politiche pubbliche. E l’attività di lobby, e il suo insieme più vasto del public affairs, è una delle discipline delle relazioni pubbliche. Scrive l’Ocse: “Il lobbying può favorire la partecipazione democratica e fornire dati e analisi utili direttamente ai responsabili decisionali. Tuttavia, l’assenza di trasparenza e integrità, potrebbe distanziare le politiche pubbliche dall’interesse pubblico, in particolare se un piccolo gruppo che rappresenta interessi forti utilizzasse la sua ricchezza, il suo potere d’influenza o i suoi privilegi per ottenere vantaggi in modo sleale”.

Il nostro auspicio è che venga presto analizzato il testo unificato delle tre proposte di legge sulla rappresentanza di interessi. Agli inizi di agosto 2021, infatti, la I Commissione Affari costituzionali, in sede referente, ha adottato il testo unificato, proposto dalla relatrice Vittoria Baldino, unificando appunto i progetti di legge degli Onorevoli Francesco Silvestri, Silvia Fregolent e Marianna Madia in materia di “Disciplina dell’attività di rappresentanza di interessi”.

I punti fondamentali ai quali la legge dovrà ispirarsi saranno: l’adozione di una normativa generale che permetta un’implementazione trasversale alle diverse istituzioni realizzando un registro di lobbisti cui possano aderire sia le istituzioni centrali e locali; l’introduzione di una struttura premiale per favorire l’iscrizione al registro dando così riconoscimento alla professionalità del lobbista; la definizione di cosa sostanzi la professione del lobbista e quindi l’identificazione della stessa; la necessità di trasparenza sia per i lobbisti sia per il decisore pubblico; l’indicazione di un’autorità preposta a gestire la normativa sull’attività di lobbying; l’introduzione del divieto di revolving doors che impedisce a chi ha svolto funzioni pubbliche di esercitare l’attività di lobby per i due anni successivi. Durante l’audizione della Ferpi alla I Commissione Affari Costituzionali del 30 giugno del 2020, avevamo suggerito il CNEL come autorità preposta alla gestione del registro. La casa dei corpi intermedi e della rappresentanza, nonché organo di rilievo costituzionale, ci sembra essere il luogo più efficace dove gestire il registro della rappresentanza e delle relazioni istituzionali. Ed è quanto mai urgente regolare la materia anche in vista dell’implementazione del PNRR che per essere efficace ha bisogno di avere il massimo supporto della rappresentanza.

Il valore strategico delle relazioni pubbliche

Adam Smith nella “Teoria dei sentimenti morali” scrisse nel 1759: «La preoccupazione per la nostra personale felicità ci raccomanda la virtù della prudenza: cioè la preoccupazione per la felicità degli altri». Per paradossale che possa sembrare, le relazioni pubbliche sono tutte quelle attività che i professionisti della materia pongono in essere per rendere felici le organizzazioni e le persone che ne fanno parte. Hanno a che fare con il benessere e la bellezza, entrambe basate sulla competenza. Durante la Lectio Magistralis all’Università Cattolica, nell’ottobre del 2019, il Presidente Mario Draghi disse: «La competenza fondata sulla conoscenza è essenziale per capire la complessità». E la complessità è l’alveo fondamentale delle relazioni pubbliche e della comunicazione. 

Le relazioni pubbliche creano la struttura cognitiva per analizzare la complessità e la comunicazione, con le sue tecniche e i suoi flussi può essere considerata la risposta “oggettiva” (?), strumentale e operativa, delle soluzioni immaginate e disegnate nella fase di analisi. “Le relazioni pubbliche sono la gestione della comunicazione tra un’organizzazione e i suoi pubblici”, scriveva James Grunig nel 1984. Ed ancora: “Le relazioni pubbliche sono l’insieme più vasto della comunicazione d’impresa e fanno parte della scienza del management, che si occupa della gestione delle organizzazioni complesse” secondo la definizione di Toni Muzi Falconi del 2005. 

Rimettere al centro del dibattito il valore e l’efficacia delle relazioni pubbliche ci consente di “rallentare” lo sguardo, non lasciandoci ingabbiare dalla tentazione del breve termine e ci consente di dare all’ascolto, all’analisi – alla valutazione ex ante e alla rendicontazione ex post – lo spazio corretto. Porre al centro la costruzione di senso e di significato e non le urla scomposte, la velocità della comunicazione che invade, ma non crea, le tecniche ispirate solo dal profitto e non dalla creazione di valore. L’obiettivo delle relazioni pubbliche, come funzione di management, è di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione con un’attività continuativa, consapevole e programmata di gestione e di coordinamento dei sistemi di relazione che si attivano fra la stessa organizzazione e i suoi diversi stakeholder: orientare opinioni, atteggiamenti, comportamenti e decisioni degli stakeholder influenti e di tutti i soggetti che a vario titolo interagiscono con l’organizzazione. Soggetti che possono ostacolare o agevolare il raggiungimento degli obiettivi di management e di governance perché dotati di specifici poteri decisionali o perché in grado di creare influenza. Non si annichilisce il dialogo o il rispetto fra le parti ma si creano i presupposti per una negoziazione sostenibile ed inclusiva. E da questo punto di vista gioca un ruolo cruciale il pensiero critico e l’intelligenza contestuale, una intelligenza emotiva che il relatore pubblico pone in essere in quanto “ingegnere delle relazioni” e dei processi di cambiamento: analisi di contesto/scenario; definizione degli obiettivi di governance; sviluppo e implementazione della strategia; creazione e attivazione della tattica; valutazione costante e miglioramento continuo. Le relazioni pubbliche diventano una parte fondamentale della strategia complessiva dell’azienda. 

Se consideriamo le relazioni pubbliche come espressione di molteplici funzioni di management – Corporate Reputation, Corporate branding e Identity, Brand Management, Public Affairs, Lobbying, Advocacy, Public Policy, Risk management, Issue Management, Crisis Management, Cause related marketing, e tante altre – forse è possibile capire allo stesso tempo la complessità della materia e le sue intersezioni strategiche in tutti gli ambiti di governance.

Le relazioni pubbliche sono una liturgia che sta al centro, tra leadership e potere, e procede per la risoluzione dei problemi complessi affinché il gioco non sia a somma zero, o che comunque ci possa essere, anche se in parte, soddisfazione per tutte le parti in gioco: una visione olistica, o forse, anche ingenua, ma certamente auspicabile. 

Il testo che sarà approvato in Parlamento sarà uno spartiacque per il mondo delle relazioni pubbliche: una delle discipline più pregnanti e sistemiche per tutta la professione, – relazioni istituzionali e lobby – sarà regolamentata. Potremo così provare ad uscire dall’equivoco di considerare le relazioni pubbliche una attività diversa dalla comunicazione, e riportare anche il nostro paese, nel percorso dell’eccellenza delle relazioni pubbliche come avviene a livello internazionale.

Le relazioni pubbliche sono la disciplina, la comunicazione è la tecnica: tecnica per lo sviluppo della rappresentanza di interessi e come funzione ancillare per determinazione della strategia di lungo periodo e per la strutturazione della governance. E questo processo non può e non deve restare un auspicio ma un percorso di creazione di valore e di benessere diffuso.




Modello PERMA

Modello PERMA

Martin Seligman, psicologo e scrittore statunitense, è considerato il fondatore e il padre della Psicologia Positiva e, in questo post, vedremo nel dettaglio la teoria del benessere, conosciuta anche come Modello Perma; il suo contributo più recente in questa disciplina, che rappresenta una vera e propria evoluzione della sua prima proposta è “Le 3 strade verso la felicità”, pubblicato nel 1999.

Il Modello PERMA o Teoria del benessere è, essenzialmente, una teoria di scelta non forzata. Si tratta di una descrizione di ciò che le persone scelgono liberamente per aumentare il proprio benessere. Questo modello raccoglie le basi e gli indicatori del benessere per riuscire a sentirsi bene, essere positivi e mantenere quest’atteggiamento e sensazione più a lungo possibile nel corso della vita.

Perma è un acronimo e racchiude i 5 fattori principali su cui si basa questa teoria. In questo modo, lo sviluppo e il miglioramento di ciascuno di essi sarà di grande aiuto per incrementare nuovi livelli di soddisfazione e motivazione.

Ogni elemento del modello PERMA deve rispettare alcune proprietà per poter essere considerato parte della teoria:

  1.  Deve contribuire al benessere. .
  2. Le persone devono sceglierlo per il proprio bene e non solo come metodo per ottenere una qualsiasi delle altre variabili.
  3. Deve essere definito e misurato in maniera indipendente rispetto alle altre variabili del modello. .

Dunque, i 5 fattori del modello PERMA sono i seguenti:

  • P: “Positive Emotions”. Emozioni Positive. Presuppone l’aumento delle emozioni positive, non scambiandole con quelle negative o con la loro trasposizione, bensì come strumento per gestirle. Le emozioni positive ci permettono di sperimentare il benessere. Esempi possono essere la pace, la gratitudine, la soddisfazione, il piacere, l’ispirazione, la speranza, la curiosità o l’amore.
  • EEngagement. Impegno. Si tratta di una specie di patto o accordo con noi stessi e con i nostri punti di forza, al fine di raggiungere una certa sintonia che ci permette di situarci in uno stato di armonia, di affinità, di flusso di coscienza. Si tratta di impegno nella ricerca di quelle attività che ci permettono di entrare nel “flow”, o stato ottimale di attivazione. Quando ci impegniamo in un compito o un progetto, sperimentiamo uno stato di flusso in cui il tempo sembra fermarsi e perdiamo la percezione di noi stessi, concentrandoci intensamente nel presente.
  • RRelationships. Relazioni positive. Sotto la nostra innegabile condizione di esseri sociali, risulta ovvio affermare che questo fattore è indispensabile per il raggiungimento del nostro benessere. In maggiore o minor misura, tutti noi abbiamo relazioni con gli altri, più o meno intense ma che presuppongono un fattore di protezione e appoggio estremamente potente e, pertanto, importante e necessario. Perciò, promuovere quest’aspetto può favorire in modo importante la nostra felicità. Questo fattore si basa nel migliorare le nostre relazioni interpersonali, ciò implica anche un miglioramento delle nostre abilità personali.
  • MMeaning and purpose. Scopo e significato.  Questo fattore fa riferimento alla ricerca dell’appartenenza a qualcosa di più grande di noi stessi. Comporta l’idea che il senso della nostra vita va oltre il concetto di noi sessi. In questo modo, per ogni obiettivo raggiunto, per ogni meta, per ogni scopo ottenuto, sottostà un significato rilevante che lo pervade di un significato trascendentale. Tutti abbiamo bisogno di dare un senso alle nostre vite per ottenere un senso di benessere.
  • AAccomplishment. Successo e senso di riuscita. Implica lo stabilire mete, le quali una volta raggiunte, serviranno a farci sentire competenti, promuovendo la nostra autonomia. Si riferisce al raggiungimento degli obiettivi in relazione al miglioramento delle nostre abilità.

Quando riusciamo a coprire tutti questi ambiti, possiamo dire di aver raggiunto un benessere totale e sostenibile. In questo senso, Seligman, afferma che non dobbiamo cercare di coltivare né promuovere tutti i fattori del modello Perma in maniera uguale e nemmeno in maniera obbligatoria o impositiva. Bensì, dobbiamo cercare di promuovere i fattori con i quali ci identifichiamo e ci sentiamo a nostro agio, senza il bisogno di ipotecare il nostro benessere. In fin dei conti, questo modello è direttamente connesso al potenziamento nel nostro comfort; obiettivo che, d’altra parte, non sarà raggiunto in maniera forzata.

È lo stesso Seligman ad affermare, in maniera esplicita, che il modello Perma costituisce una “descrizione” di ciò che fa la gente disponendo di una felicità e un benessere autentici, e non una “prescrizione”; ciò vuol dire che non esiste una formula esatta valida per tutti.




La prima sconfitta elettorale di Twitter (e di Salvini)

La prima sconfitta elettorale di Twitter (e di Salvini)

Nel 2017 Jonathan Bright, un ricercatore dell’Istituto di Internet di Oxford esperto nel combinare le scienze sociali con un approccio computazionale, pubblicò una ricerca destinata a divenire una pietra miliare negli studi fra social network e politica. Si intitola: “Fare campagna elettorale sui social media può fare la differenza?”. Prendeva in esame due campagne elettorali piuttosto ravvicinate nel Regno Unito, nel 2015 e nel 2017, confrontandole; e i risultati erano netti: un politico poteva aspettarsi un 1 per cento in più di voti aumentando il numero di tweet di un certo fattore. Era automatico, vinceva chi twittava di più.

Nel 2016 c’erano stati l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca e il referendum della Brexit a indicare una forte correlazione fra tweet e risultati elettorali, ma quella ricerca diceva di più. Diceva: non è un caso, con i social si vincono le campagne elettorali. In realtà era vero anche il contrario: attraverso i social si capiva chi avrebbe vinto una campagna elettorale. Dal 2013, anno dell’exploit del M5s, in Italia i vincitori non li abbiamo previsti sui giornali o tramite i sondaggi ma seguendo le timeline di Twitter. A volerla dire tutta non era chiarissimo quale fosse la causa e quale l’effetto e fino a che punto: ovvero se twittare molto portasse voti, o se le conversazioni su Twitter fossero indicative delle opinioni degli elettori. Ma questa cosa esisteva, ha funzionato per sette anni e moltissime tornate elettorali. Fino a lunedì scorso. 

Il 21 settembre per la prima volta Twitter ha perso. Intanto ha perso il referendum. Nettamente. Se uno avesse dovuto fare una previsione a partire dai tweet dell’ultimo mese il No avrebbe vinto 78 a 22. In realtà, qualcuno lo ha fatto: i ricercatori di KPI6, una società specializzata in queste ricerche (ma anche Matteo Flora). E’ finita esattamente al contrario. Strano, no? Per la prima volta Twitter non ha funzionato come fotografia degli elettori, ma come una bolla. Quelli del No twittavano, gli altri, zitti, votavano. Molto strano. Di solito si diceva che sui social ci stavano i populisti, ma il No era raccontato da partiti e leader interpreti di una linea opposta. 

La rottura non deve essere stata casuale perché, secondo i dati di KPI6, si è replicata alle regionali. Fra i candidati, solo in Liguria ha vinto il candidato che ha twittato di più (Toti, 430 tweet in un mese). Per esempio Giani, che con la sua rimonta in Toscana ha sorpreso tutti, nello stesso periodo ha fatto appena 20 tweet contro i 101 della rivale leghista. La cosa si fa ancora più interessante se guardiamo ai cinque leader politici che si sono molto spesi in campagna elettorale. Per loro KPI6 ha costruito un Twitter Impact, un indice che tiene conto del numero di tweet, dei retweet, dei like e dei voti ottenuti dal rispettivo partito. E’ qui insomma che si misura davvero come sono andate le cose e che si vede che Twitter non ha funzionato né come portatore e né come indicatore di voti. Prendiamo Salvini: 1230 tweet, più di 40 al giorno, una media alla Trump: Twitter Impact, 722. Ultimo posto. Risalendo la classifica troviamo Renzi: 80 tweet, con un “impact” di 2832. Poi la Meloni, 114 tweet, “impact” 6430; Di Maio, 31 tweet, uno al giorno, “impact” 17659; al primo posto Zingaretti, 58 tweet, meno di due al giorno, “impact” oltre 20 mila. 

Sono solo i dati delle elezioni del 20 e 21 settembre 2020, potrebbero essere una eccezione, dalla prossima tornata elettorale tutto potrebbe tornare come prima. Oppure no. Oppure Twitter è diventata una bolla, come i centri storici delle grandi città che votano sempre in modo differente dalle periferie, il famoso fattore ZTL. O magari stiamo crescendo e dopo qualche anno ci siamo iniziati a immunizzare dalle campagne a tappeto sui social. Non ci facciamo più sedurre da chi twitta di più, ma da chi ha qualcosa da dire. Se così fosse si spiegherebbe perché il primo partito in questo momento sia guidato da un segretario che sui social ha la stessa disinvoltura che ho io quando ballo lo Schiaccianoci sulle punte. E che negli Stati Uniti il 3 novembre potrebbe diventare presidente un signore che si fa aiutare dalla nipotina ad usare lo smartphone. Non è un ritorno al passato, forse è un passo avanti.




Sfruttava i braccianti africani, sequestrata l’azienda da 7,5 milioni fondata dal nobile bocconiano

Sfruttava i braccianti africani, sequestrata l'azienda da 7,5 milioni fondata dal nobile bocconiano

L’azienda pluripremiata da Coldiretti, modello di start up fondata da un giovane bocconiano di nobili origini, Guglielmo Stagno d’Alcontres, sfruttava i braccianti africani a una quindicina di chilometri di Milano. E’ l’ipotesi che emerge dall’inchiesta ‘Corsa contro il tempo’: quella che, secondo i finanzieri del comando provinciale di Milano, dovevano fare i lavoratori per raccogliere le fragole il più in fretta possibile, minacciati altrimenti di licenziamento o di essere messi in ‘pausa di riflessione’ per un paio di giorni a casa.

Le fragole ‘da Oscar’ dei milanesi 

Frutti succosi e brillanti che da qualche anno spuntano agli angoli di Milano sui camioncini dell’azienda di Cassina de’ Pecchi, la cui sede è nel Parco agricolo Sud, vincitrice dell’Oscar Green di Coldiretti nel 2013 e 2014 e di altri riconoscimenti in tema di sostenibilità ambientale, oltre che seguita su Instagram da sei milioni di follower attratti dalle immagini bucoliche.

.Ora i finanzieri hanno messo sotto sequestro, su disposizione di un giudice, tutti i beni della società, consistenti in 53 immobili, tra terreni e fabbricati, 25 veicoli e 3 conti correnti e hanno nominato un amministratore giudiziario ai fini della continuità aziendale. Valore complessivo, 7,5 milioni di euro. Sette i denunciati per intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera, tra cui d’Alcontres,un altro amministratore, due sorveglianti, due impiegati amministrativi e il consulente dell’azienda che predisponeva le buste paga.

Nessun rispetto delle norme anti-Covid, potenziale “bomba a orologeria”

Agli investigatori i braccianti, provenienti da centri di accoglienza tra Milano e la Brianza, con regolare permesso di soggiorno, hanno detto tutti la stessa cosa: “Dovevamo raccogliere e confezionare le fragole a 4,5 euro all’ora per più di nove ore al giorno in tempi impossibili altrimenti alla sera, quando si faceva il bilancio della giornata, ci sgridavano. Nei casi peggiori ci mettevano in punizione a casa due giorni o non ci facevano più lavorare”. “Condizioni degradanti per un salario misero”, aggravate dal mancato rispetto delle misure anti-Covid. “Una potenziale ‘bomba a orolgeria’”, spiega una fonte all’AGI, “decine di lavoratori gli uni vicini agli altri, senza mascherine, bagni, docce. Per fortuna, dai primi riscontri non sono emersi casi di positività”. L’indagine, durata due mesi, era partita dall’analisi delle banche dati a disposizioni dei finanzieri, insospettiti dal fatto che la StraBerry prendesse e mandasse a casa nel giro di due giorni numerosi lavoratori. Per il momento gli indagati non sono stati ancora sentiti in Procura.

“Costretti a usare i diserbanti senza protezione”

Stando ai loro racconti, i braccianti sarebbero stati anche costretti ad utilizzare i diserbanti e i fitofarmaci che rendono ‘più rosse’ le fragole senza dispositivi di protezione,come tute, occhiali e guanti, né il patentino previsto dalla legge per effettuare questo tipo di attività. Del tutto inapplicate, secondo i riscontri di Ats e Vigili del Fuoco, le più elementari norme igieniche.

C’era un solo  un bagno chimico che, da un punto all’altro dei terreni di raccolta, distava una ventina di minuti a piedi. Inoltre, non era previsto neanche un piano antincendi. Durante le operazioni di raccolta, i braccianti hanno spiegato agli inquirenti che non potevano parlare tra di loro perché anche quella era considerata una ‘distrazione’ rispetto all’obbiettivo primario di produrre senza sosta. 

La storia della StraBerry  dall’inizio

“Un esempio riuscito di agricoltura che valorizza il territorio nel segno dell’eco‐sostenibilità”, così Coldiretti nel 2014 laureava con l’’Oscar Green’ Guglielo Stagno d’Alcontres, fondatore della Straberry, l’azienda agricola da 7, 5 milioni di euro sequestrata ieri dalla Guardia di Finanza di Milano per sfruttamento dei braccianti, per lo più africani.

  Un riconoscimento vinto per due anni di seguito, assieme ad altri che celebravano il sogno della fragole pure e lucenti cresciute a “15 chilometri dal Duomo”, come si legge sul profilo istagram dell’azienda, che conta oltre sei milioni di follower.

Tutti incantati dalla narrazione del frutto incontaminato e dalla ricette multicolori per valorizzarne gli aromi.  A 24 anni il giovane messinese con nobili radici (ora  ne ha 31) aveva deciso di investire  2 ettari e mezzo dei terreni di famiglia a Cassina de’ Pecchi, periferia nord est di Milano, per la costruzione di cinque serre fotovoltaiche di 5 mila metri quadrati l’una dove coltivare circa 200 mila piantine di fragole e seimila lamponi.  

Dopo sono arrivati i mirtilli, le more, i succhi e i frullati e e perfino le fragoline di bosco, una vera rarità, che faceva brillare gli occhi ai milanesi quando le vedevano spuntare da una delle tante Ape car col marchio StraBerry disseminate in città. E anche le visite didattiche, l’orto comune “per portarvi a casa tutto il sapore di StraBerry”, l’area picnic, le aperture domenicali alla famiglia.

Insomma, la creazione di una clientela che si identificava nel sogno incontaminato alle porte della grande città.  L’ultimo progetto confidato ai media da d’Alcontres era “un franchising perché il nostro modello potrebbe essere esportabile”. Per adesso l’azienda è nelle mani di un amministratori giudiziario, in attesa degli sviluppi dell’indagine.




Sostenibilità: da Winni’s nuovo ecoformato in plastica monomateriale

Sostenibilità: da Winni's nuovo ecoformato in plastica monomateriale

Un packaging in plastica monomateriale completamente riciclabile che si aggiunge ad un risparmio fino all’84% di plastica rispetto a un flacone di pari formato. Sono i nuovi Ecoformati Pouch di Winni’s, linea ecologica di Madel S.p.a. Il nuovo pack è già disponibile per i formati da 1 litro e verrà introdotto entro la fine del 2020 anche nei formati da 1,5l e da 500ml.

“Il dipartimento di Ricerca&Sviluppo di Winni’s – fa sapere l’azienda in una nota – ha creato per primo una nuova pouch interamente in Polipropilene (PP) capace di garantire gli stessi standard qualitativi e la robustezza della versione precedente. Sia la busta sia il tappo, termosaldato, sono dello stesso materiale, così da rendere l’intera confezione completamente riciclabile nella plastica. Inoltre queste confezioni permettono un minore utilizzo di plastica rispetto ai flaconi di pari formato”.

“L’ecologia per Madel S.p.a. è un progetto globale, che parte dall’azienda e arriva al prodotto – spiega Mattia Testa Direttore Tecnico dell’azienda – e l’implementazione di un packaging di così facile smaltimento nella plastica è un ulteriore passo avanti in questa direzione. Come marchio leader della categoria, siamo stati i primi a lanciarlo per i liquidi detergenti e questo non è che una delle novità in campo di packaging ecologico su cui stiamo lavorando”.

Madel spa, si legge, in tutti i suoi processi produttivi prevede “il massimo impegno nella salvaguardia dell’ambiente con attività che vanno dallo smaltimento differenziato dei rifiuti al riutilizzo degli scarti di produzione, sia plastici che liquidi, fino al riciclo dell’acqua calda proveniente dal processo industriale per riscaldare il reparto di produzione”.

E il sito produttivo, “grazie all’impiego di un impianto fotovoltaico di 2.6 MW su una superficie complessiva di 58mila metri quadri e un cogeneratore di ultima generazione, che offre il suo contributo di 0.65 MW, è in grado di raggiungere così la completa autonomia elettrica. Anche l’illuminazione dell’azienda è sostenibile, grazie alla sostituzione di tutte le luci al neon con quelle al led, per un risparmio del 40%”.