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L’algoritmo di vetro

L’algoritmo di vetro

Ho sentito forte e chiara la reazione all’allontanamento della dr. Gebru: ha seminato dubbi e ha portato alcuni nella nostra comunità a mettere in dubbio il loro posto in Google. Voglio dire quanto mi dispiace per questo e accetto la responsabilità di impegnarmi per ripristinare la tua fiducia [a pie’ di pagina il testo completo*].

Èil passaggio centrale di una lettera di Sundar Pichai, amministratore delegato di Google, che dichiara senza infingimenti il proprio imbarazzo e anche l’esplicita contrarietà per quanto è accaduto con il licenziamento di Timnit Gebru, che fino a qualche giorno fa era la responsabile della sezione Etica di Mountain View. Come abbiamo spiegato in un precedente articolo, la Gebru, insieme a un gruppo di ricercatori, fra cui anche dipendenti di Google, aveva analizzato i sistemi semantici adottati dal principale motore di ricerca del mondo rilevando aspetti sia di discriminazione razziale sia di un’alterazione nelle valutazioni e nel conseguente linguaggio che era proposto per i bot o i risponditori automatici.

Una macchia che colpiva al cuore il gruppo nato con il motto don’t be evil, non essere cattivo.

Soprattutto stupiva la reazione disciplinare che colpiva la Gebru, estromettendola in malo modo, con l’immediata cancellazione del suo account aziendale.

Dopo 48 ore di riflessione entra in campo il gran capo Pichai, peraltro un massimo esperto di intelligenza artificiale, che non poteva certo ignorare un conflitto che coinvolgeva proprio il settore di sua provenienza. Pichai nella sua lettera dopo aver dichiarato il suo rincrescimento, ed è la prima volta che appare così evidente un’autocritica pubblica su un tema fondante della mission di Google, quale appunto la trasparenza dei sistemi di intelligenza artificiale, il CEO continua senza risparmiarsi e scrive: 

Dobbiamo assumerci la responsabilità del fatto che una dirigente di spicco nera, donna con immenso talento abbia lasciato Google. Ci rincresce. Questa perdita ha avuto un effetto a catena su alcune delle nostre comunità meno rappresentate, che hanno visto sé stesse e alcune delle loro esperienze riflesse in quella della Dr. Gebru. È stato anche molto sentito perché la Dr. Gebru è un’esperta in un’area importante dell’etica dell’IA su cui dobbiamo continuare a fare progressi – progressi che dipendono dalla nostra capacità di porci domande impegnative. 

Sundar Pichai

Assomiglia molto a una resa senza condizioni. Il vertice di Google fa intendere che, rispetto a precedenti accuse, soprattutto da parte di enti pubblici o direttamente da partner di autorità statali, che non hanno lasciato strascico sulla reputazione del gigante tecnologico, questa volta il segno è profondo e visibile. Si è tradotto in un calo brusco anche in borsa. Il punto che mette in rilievo la dichiarazione di Pichai riguarda quel sottile filo che ancora lega Google con miliardi di utenti, basato sullo scambio fra efficienza e identità, ma garantito, questo è il valore che rischia di dissolversi con il caso Gebru, su un’immagine ancora robusta di autonomia, libertà e soprattutto di buona fede accreditato da parte delle community digitali alla società fondata da Larry Oage e Sergey Brin. Si tratta del principale capitale immateriale della Silicon Valley: quell’aura di sostanziale irrilevanza del potere di controllo sui dati e soprattutto di quegli automatismi neurali che, mediante proprio i dispositivi automatici, orientano le nostre azioni. 

Questo specchio che riflette le nostre speranze più che la realtà era gia stato infranto da Cambridge Analytica, che aveva irrimediabilmente sbriciolato la credibilità di Facebook e aperto un varco nella credibilità dell’uso dei big data da parte dei sistemi profilanti, come appunto Amazon o lo stesso Google. Ma nonostante la gravità del caso di Cambridge Analytica, dove le inchieste negli USA o in UK avevano palesemente mostrato la manipolazione del consenso elettorale che quel sistema ha potuto esercitare impunemente, lo scandalo aveva manomesso la credibilità dei Data base e dei sistemi surrettizi di profilazione, prevalentemente usati ai fini commerciali. 

Questa volta la denuncia della professoressa Gebru, personaggio scientificamente al di sopra di ogni sospetto, colpisce al cuore l’intero sistema valoriale su cui un apparato di intelligenza artificiale, basato esclusivamente sulla fiducia che l’invisibile sia moralmente inattacabile, è radicato la fondatezza dell’attività di Google. Al centro della contesa non sono comportamenti disinvolti o furbeschi, o apertamente truffaldini dei gestori del sistema commerciale, fiscale o commerciale di Google, ma la struttura dei suoi algoritmi. È proprio il determinismo di quella sequenza numerica, la sua affermata neutralità e inevitabilità che diventa materia di una contestazione che prelude ad una contrattazione. Bisogna cambiare l’intelaiatura di quel sistema di intelligenza artificiale, afferma di fatto la Gebru, perché, come in ogni sistema esponenziale, anche negli automatismi intelligenti un errore o una manomissione per quanto minima nella matrice del sistema produce poi nei suoi funzionamenti seriali conseguenze ingovernabili e non arginabili.

È questa la base concettuale di quella metafora che fino ad oggi era considerata pura teoria, annoverata fra le cose auspicabili ma impossibili: la negoziazione dell’algoritmo.

L’accusa lanciata contro Google dai ricercatori coordinati dalla Gebru mostra come il re sia nudo: l’algoritmo che guida e orienta le relazioni fra noi e il motore di ricerca non è la massima ottimizzazione di un calcolo oggettivo, ma semmai, come sosteneva lo stesso Alan Turing in uno storico articolo del 1936, intitolato Sui numeri calcolabili ,con un’applicazione al problema della decisione, è sbagliata la speranza che tutti i calcoli siano possibili e siano unici. Se questo mondo torna ad essere parte della relatività generale, allora ogni dispositivo, esattamente come previsto perfino da sentenze del sistema giudiziario amministrativo italiano, deve poter essere trasparente e accessibile per ogni singolo utente. Si potrebbe aprire così una nuova fase di questa storia dell’innovazione, dove ogni algoritmo, così come ogni notizia o ogni affermazione in rete, è solo l’inizio di una relazione che si prolunga all’infinito in un gioco di rimbalzi, correzioni, adattamenti e negoziati.

Le Smart cities non sono più l’ambito di applicazione dei cataloghi delle corporation tecnologiche ma comunità che potranno contrattare i sistemi di gestione e organizzazione dei servizi pubblici, senza doverne perdere il controllo, come oggi accade. Lo stesso potrebbe proporsi per i giornalisti o i medici, che potrebbero ritrovare uno spazio di nuova centralità del proprio sapere e delle proprie esperienze nella riformattazione dei sistemi automatici che oggi stanno ridisegnando le professioni nelle redazioni e negli ospedali. 

Certo siamo all’inizio, ma solo fino a qualche giorno fa Google pensava di dover rendere conto a qualche authority anti trust , per il suo gigantismo, o a qualche ufficio fiscale per la sua elusione nel pagare le tasse. Oggi Picchiai si è accorto che la sassata di Davide ha colpito la fronte Golia e non si può più far finta di nulla. Sopratutto cadono anche gli alibi per chi si è nascosto dietro l’invincibilità dei samurai digitali. Siamo a un tornante in cui ritorna fondamentale la responsabilità dei sistemi pubblici e delle comunità sociali che vorranno ritrovare la via della propria autonomia e salvaguardare l’ambizione del proprio sviluppo tecnologico. Da oggi è più facile.

Timnit Gebru

*Il testo dell’email di Sundar Pichai 

To: Google@google.com

Subject: Committing to our work on racial equity and AI ethics

Hi everyone,

I’ve heard the reaction to Dr. Gebru’s departure loud and clear: it seeded doubts and led some in our community to question their place at Google. I want to say how sorry I am for that, and I accept the responsibility of working to restore your trust.

First – we need to assess the circumstances that led up to Dr. Gebru’s departure, examining where we could have improved and led a more respectful process. We will begin a review of what happened to identify all the points where we can learn — considering everything from de-escalation strategies to new processes we can put in place. Jeff and I have spoken and are fully committed to doing this. One of the best aspects of Google’s engineering culture is our sincere desire to understand where things go wrong and how we can improve.

Second – we need to accept responsibility for the fact that a prominent Black, female leader with immense talent left Google unhappily. This loss has had a ripple effect through some of our least represented communities, who saw themselves and some of their experiences reflected in Dr. Gebru’s. It was also keenly felt because Dr. Gebru is an expert in an important area of AI Ethics that we must continue to make progress on — progress that depends on our ability to ask ourselves challenging questions. 

It’s incredibly important to me that our Black, women, and underrepresented Googlers know that we value you and you do belong at Google. And the burden of pushing us to do better should not fall on your shoulders. We started a conversation together earlier this year when we announced a broad set of racial equity commitments to take a fresh look at all of our systems from hiring and leveling, to promotion and retention, and to address the need for leadership accountability across all of these steps. The events of the last week are a painful but important reminder of the progress we still need to make.

This is a top priority for me and Google leads, and I want to recommit to translating the energy that we’ve seen this year into real change as we move forward into 2021 and beyond. 

— Sundar




La comunicazione del turismo durante la pandemia

La comunicazione del turismo durante la pandemia

La pandemia in corso ha portato molte destinazioni e brand del settore turistico a rivalutare il ruolo e gli obiettivi delle loro attività di relazioni pubbliche e comunicazione durante le diverse fasi della crisi sanitaria che ha fortemente limitato la possibilità di viaggiare. In generale, abbiamo assistito alla riscoperta, da parte di enti di promozione turistica e degli operatori, del ruolo fondamentale svolto dai canali di comunicazione digitale, che si sono rivelati tra gli strumenti più efficaci per mantenere aperto il dialogo e restare in contatto con gli utenti. Tuttavia, è stato necessario riconsiderare molti fattori: dalle modalità di comunicazione attraverso i canali digitali e social all’opportunità di veicolare campagne promozionali, dalla gestione delle media relationsall’influencer marketing, passando per la riprogrammazione di contenuti e calendari editoriali.

Ci sono state alcune realtà che non hanno saputo reagire alla crisi e per qualche tempo hanno continuato a comunicare come prima, proponendo messaggi e azioni promozionali che non avevano alcun senso, ottenendo feedback negativi o ironici da parte degli utenti, come nel caso di hotel che invitavano a prenotare nell’iniziale fase di lockdown. Altri hanno di fatto bloccato ogni attività di comunicazione in attesa che la situazione migliorasse. Tuttavia, molti sono stati quelli che hanno compreso fin da subito che serviva rimodulare il tono e i contenuti del discorso, rivolgendosi in modo aperto e onesto agli utenti per riconoscere e condividere il drammatico momento, e al contempo fornire alternative per scoprire e visitare virtualmente luoghi diventati irraggiungibili a causa delle limitazioni imposte dalla crisi sanitaria.

È emerso un nuovo modo di intendere la comunicazione turistica: non più unicamente diretta ad attrarre i visitatori sul posto, ma più attenta a intrattenere gli utenti online e allo stesso tempo portarli ad approfondire le tematiche legate al territorio, alle persone e ai valori. In un momento storico senza precedenti, contrassegnato da periodi di lockdown totale, la comunicazione si è reinventata evitando inviti a impossibili viaggi e puntando invece a far sognare i luoghi da visitare in futuro, accompagnando e ispirando le persone con contenuti digitali.

Alcune destinazioni hanno scelto di comunicare con modalità anche molto creative, proponendo visite virtuali, film, serie TV, musica, letteratura, ricette di cucina, podcast e altre forme di entertainment. È il caso di “Experience Sweden from home” di Visit Sweden che propone addirittura brand e prodotti di design per scoprire la way of life svedese. In molti casi, lo slogan delle campagne di comunicazione è stato “Dream now, travel later” adottato da diversi enti del turismo, declinato nei video dell’ente svizzero, che sulla home di MySwitzerland utilizza anche il claim “Ho bisogno di Svizzera. Lasciati ispirare” – e nei contenuti di VisitScotland che comprendono video con suggestivi suoni della Scozia e visite ad alcuni luoghi emblematici.

La comunicazione turistica attraverso i social media

Durante l’anno 2020 gli utenti dei social media sono aumentati del 13% (490 milioni di persone in più rispetto al 2019) portando a 4,20 miliardi gli utenti a livello globale che utilizzano le piattaforme social. L’utente medio trascorre circa 7 ore al giorno online con un aumento di oltre un quarto d’ora al giorno nell’ultimo anno. I dati del Digital 2021 Global Overview Report di We Are Social e Hootsuite non attestano solo l’incremento di tempo trascorso sui social, influenzato dal fatto che la pandemia abbia costretto la maggior parte di noi a trascorrere molto più tempo in casa, ma anche un uso preponderante dei social come strumento per ricercare brand e fruire di contenuti testuali, video, audio e gaming.

Molte destinazioni e operatori turistici hanno deciso di sfruttare meglio il potenziale della
comunicazione digitale per continuare a comunicare con i propri utenti e superare la distanza fisica imposta dalle misure di contenimento della pandemia, veicolando messaggi coinvolgenti e interattivi. Tra gli esempi, citiamo la campagna di social media marketing dell’ente del turismo svedese “Meet the king 360” disponibile sul sito Visit Sweden, che attraverso video VR ha reso possibile per l’utente vivere un’esperienza immersiva a 360 gradi della natura svedese. Sulla stessa linea, si è mossa anche la Moldova con la campagna Virtual Moldova, della quale ho scritto nell’articolo Viaggio virtuale in Moldova. Numerose le destinazioni che hanno cercato di ispirare gli utenti e di confortarli con contenuti davvero emozionanti tra le quali Abu Dhabi, Canada, Maldive, Kenya, Norvegia e il Regno Unito, oltre ai già citati Scozia e Svizzera. Alcune delle migliori campagne all’insegna degli hashtag #DreamNowVisitLater, #DreamNowTravelLater e simili sono elencate nell’articolo “13 brilliant tourism campaigns reminding us to ‘dream not, visit later” pubblicato su The National in pieno lockdown.

Il ruolo svolto dai territori nella comunicazione turistica

Molto interessante da analizzare è il modo in cui turismo e territorio hanno saputo reagire alla crisi imposta dalla pandemia globale, sapendo cogliere le nuove opportunità offerte dalla situazione. Un sondaggio condotto da IZI in collaborazione con Comin & Partners sul turismo degli italiani nell’estate post Covid-19 rilevava che il 93% di italiani sarebbero rimasti in Italia per le vacanze, prediligendo territori vicini alla propria residenza e che non presentassero il rischio di sovraffollamento. In quest’ottica hanno beneficiato della situazione i borghi, la montagna e le aree naturali caratterizzate da una minore affluenza turistica.

Molti territori hanno dunque colto l’opportunità di promuoversi come mete di prossimità in chiave undertourism con campagne di comunicazione turistica che hanno puntato sui visitatori nazionali o addirittura regionali. Un esempio in tal senso è la campagna promozionale promossa da Milano, Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova con lo slogan “Quest’estate voglio andare vicino. Why not?” che ha coinvolto instagrammer delle diverse città per offrire ispirazioni di viaggio ai turisti locali raccolte sul portale dedicato www.andiamovicini.it. Sulla stessa onda, PromoTurismo FVG ha lanciato la campagna di restart “Il Friuli Venezia Giulia… a braccia aperte” con un messaggio declinato per ogni prodotto – mare, montagna, cultura ed enogastronomia – con uno slogan ad hoc. L’obiettivo era di intercettare i nuovi bisogni dei visitatori (ricerca di rassicurazione, esperienze “reload”) con i concetti di riapertura ad accogliere i turisti, spazi aperti, aria aperta, mare aperto e occhi aperti, per ammirare le bellezze del territorio.

La crisi come opportunità

Considerando le drammatiche difficoltà affrontate durante l’emergenza da Coronavirus, risulta significativo il ruolo svolto da parte dei diversi attori dell’industria del turismo per mantenere vivo l’interesse degli utenti verso destinazioni turistiche, proposte di viaggio e luoghi di soggiorno. La comunicazione si è dimostrata strategica per continuare a coltivare relazionicon gli utenti sfruttando tutte le potenzialità dei canali digitali e social. La crisi ha spinto a ideare e adottare innovative modalità di comunicazione, messaggi e contenuti che hanno cercato di cogliere opportunità, come quelle legate ai viaggi di prossimità e all’undertourism, e a intercettare i nuovi bisogni dei viaggiatori.




Draghi chiama Paola Ansuini per la comunicazione di Palazzo Chigi: stop ai social, si parla solo se c’è qualcosa da dire

Draghi chiama Paola Ansuini per la comunicazione di Palazzo Chigi: stop ai social, si parla solo se c'è qualcosa da dire

Torna una donna alla guida della comunicazione di Palazzo Chigi. Dopo Betty Olivi, portavoce di Mario Monti, il nuovo presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha scelto Paola Ansuini direttamente dalla Banca d’Italia. E cambia lo stile della comunicazione dopo la lunga e discussa stagione di Rocco Casalino. Niente (o quasi) social, niente gruppi su whatsApp, pochi spin. Comunicazione istituzionale, rigorosa, fredda. Un po’ Banca d’Italia, un po’ Commissione europea dove non si commentano i rumors e soprattutto non si creano. La missione, d’altra parte, l’ha indicata Draghi durante la prima riunione del Consiglio dei ministri: si comunica solo quando si ha qualcosa da comunicare. Le parole legate ai fatti. Ansuini punta a riorganizzare in tempi rapidi la struttura perché per comunicare i dossier bisogna avere anche le competenze.

La carriera di Ansuini – quattro figli, un cane, tanti libri e amante di Johann Sebastian Bach –  si è svolta tutta all’interno della Banca centrale dove è entrata nel 1988. Laurea in Scienze politiche alla Luiss Guido Carli di Roma (l’università della Confindustria). Fino al 2000 è vice capo della delegazione di Bankitalia a Bruxelles. Ritorna a Roma per coordinare, nel 2001, la delicata e importante campagna di informazione per l’introduzione dell’euro. Poi, dopo le clamorose dimissioni di Antonio Fazio da governatore della Banca d’Italia a Palazzo Koch (siamo nel 2006) arriva Mario Draghi per rilanciare l’Istituto e fargli riconquistare la credibilità incrinata dallo scandalo Antonveneta. Al suo fianco, per la comunicazione, Draghi sceglie Ansuini che avrà lo stesso compito nel Financial stability board presieduto sempre dall’allora governatore.

Tra i due rapporti di stima, decisamente formali, si danno sempre del lei.




Dall’intelligenza artificiale ologrammi 3D in tempo reale

Dall'intelligenza artificiale ologrammi 3D in tempo reale

Creare ologrammi tridimensionali in tempo reale, perfino sullo smartphone: è quanto consente di fare il nuovo sistema di intelligenza artificiale sviluppato nel Massachusetts Institute of Technology (MIT). Pubblicato sulla rivista Nature, potrebbe rendere più veloce e precisa la stampa 3D, oltre che migliorare i visori di realtà virtuale offrendo immagini più realistiche senza stress per gli occhi o senso di nausea.

Gli ologrammi, infatti, offrono una prospettiva variabile in base alla posizione dello spettatore e permettono all’occhio di focalizzarsi alternativamente su ciò che si trova in primo piano o sullo sfondo. I ricercatori provano da anni a generare ologrammi con il computer, ma il processo è talmente lungo e complesso da richiedere dei supercomputer. Sono stati fatti diversi tentativi per cercare di ottenere risultati simili con macchine meno potenti, ma questo è spesso andato a scapito della qualità delle immagini.

Per superare questa difficoltà, i ricercatori del MIT hanno pensato di sfruttare una rete neurale che mima il modo in cui il cervello umano processa le informazioni visive: l’hanno poi addestrata con oltre 4.000 immagini create al computer (con informazioni su colore e profondità per ogni singolo pixel) insieme ai corrispettivi ologrammi. Studiando questi dati, la rete neurale ha imparato a calcolare il modo migliore per generare gli ologrammi: riesce così a produrli nel giro di pochi millisecondi usando meno di un megabyte di memoria, un’inezia rispetto alle decine e centinaia di gigabyte disponibili sugli ultimi smartphone arrivati in commercio.




Facebook è sotto accusa per aver “bypassato” il Gdpr

Facebook è sotto accusa per aver "bypassato" il Gdpr

Facebook è di nuovo sotto accusa per una violazione del Regolamento generale per la protezione dei dati personali dell’Unione europea (Gdpr). Max Schrems, che ha portato avanti due più grandi cause sul trattamento dei dati personali in Unione europea, i cosiddetti casi Schrems I e II, con la sua associazione per i diritti digitali Noyb ha fatto ricorso in appello contro Facebook per aver aggirato il Gdpr, dopo che una Corte regionale di Vienna si era espressa a favore del social network. Il caso, che sarà esaminato dalla Corte suprema austriaca, sarà sottoposto anche alla Corte di giustizia dell’Unione europea per ulteriori verifiche.

Il regolamento, approvato nel 2018, stabilisce, tra le altre cose, che l’utilizzo dei dati personali sia permesso solo tramite l’esplicito consenso degli utenti e che le richieste di consenso debbano essere chiare. Il ricorso tuttavia sostiene che Facebook starebbe aggirando questo obbligo inserendo il trattamento dei dati per le pubblicità personalizzate all’interno delle condizioni di servizio contrattuali, che gli utenti non possono rifiutare per poter accedere alla piattaforma.

Oltre all’esplicito consenso, il Gdpr prevede cinque situazioni in cui le aziende possano trattare i dati. Una di queste è che il trattamento sia “necessario per l’esecuzione di un contratto”. Così, il giorno dell’entrata in vigore del Gdpr, Facebook ha inserito gli annunci personalizzati all’interno dei suoi termini e condizioni contrattuali, sostenendo di avere il “dovere di fornire pubblicità personalizzata” agli utenti. In questo modo, per Schrems, la compagnia di Mark Zuckerberg ha evitato di chiedere il consenso del trattamento dei dati, forniti a terzi per la creazione degli annunci.

Secondo il Regolamento, gli utenti devono essere pienamente informati e avere libera scelta su ogni tipo di trattamento specifico dei propri dati. Inoltre gli utenti devono essere liberi di poter revocare il consenso in qualunque momento e senza costi. Questi diritti non valgono invece nel caso dei contratti che, in quanto sottoposti alle leggi nazionali, non hanno un’uniformità giuridica, non devono obbligatoriamente essere chiari e possono presentare dettagli nascosti.

Secondo l’eurodeputata olandese Sofie In’t Veld, che ha partecipato ai lavori del Gdpr, “l’obbligo di chiedere il consenso deve restare fermo. I termini contrattuali non possono essere utilizzati come una clausola di evasione di questo requisito, o per qualsiasi altra base giuridica che riguardi il trattamento dei dati. Il Gdpr è progettato per dare agli utenti il controllo sui propri dati. Non si deve permettere a Facebook di truffare gli utenti in questo modo”.

In un sondaggio affidato all’istituto Gallup, mille utenti austriaci sono stati interrogati sulla loro comprensione dei termini contrattuali di Facebook. Due terzi hanno interpretato la pagina in questione come una richiesta di consenso da parte di Facebook, solo il 10% come un contratto e solo 16 su 1000 hanno capito che comportava l’obbligo di cedere i propri dati personali per ricevere annunci personalizzati. Il social network si dichiara pienamente conforme al regolamento. La palla ora passa ai giudici.