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Oltre l’empatia, così il marketing entra nell’era della compassione

Oltre l’empatia, così il marketing entra nell’era della compassione

Da Burger King a Lavazza, da Sanpellegrino a Luxottica: i brand puntano su azioni concrete e di impatto reale Anche perché incoerenza, effetto vetrina e rischio “coronawashing” possono generare conseguenze pesanti

Oggi la strada del successo è ancora più impervia del passato. Paradossalmente nel tempo del distanziamento sociale e dei live sui social occorre macinarne tanti, di chilometri. Anche più di un migliaio. Così hanno fatto alcune star, salite a bordo di un torpedone per spostarsi da New York all’Indiana. «Non basta essere celebrità, dobbiamo diventare attivisti. E non bastano gli slogan, dobbiamo fare qualcosa di concreto», dice il volto tv James Corden, insieme a Meryl Streep, Nicole Kidman e Andrew Rannells su “The Prom”, musical lanciato pochi giorni fa su Netflix. Una sceneggiatura ispirata ad un fatto realmente accaduto una decina di anni fa e oggi rivisitato con l’amplificazione dettata da rete e social. Da Broadway le stelle si spostano verso una scuola dell’Indiana, dove ad una studentessa lesbica è stata negata la possibilità di partecipare al ballo di fine anno con la sua compagna. «Una pellicola che riabilita i buoni sentimenti andando oltre l’empatia e spingendosi all’azione. Un effetto della nuova era Biden», ha scritto il Guardian.

Il potere della compassione

Oltre le chiacchiere da bar social servono azioni concrete, autentiche, misurabili. Ecco perché secondo l’Harvard Business Review il 2021 è l’anno della “compassionate leadership”, ossia della leadership compassionevole: le guide dovranno capire l’importanza di portare avanti il business puntando su compassione e saggezza. In realtà se l’empatia è la capacità di condividere i sentimenti degli altri, la compassione è qualcosa di più, perché alza l’asticella verso quell’intenzione positiva che spinge alla mobilitazione. «La compassione è qualcosa di proattivo, in quanto ci permette di contribuire al benessere degli altri e quindi fornisce gli strumenti necessari per costruire campagne efficaci, squadre più solide e ambienti più sani. Il potere può corrompere i leader, la compassione può salvarli», ha scritto l’Harvard Business Review. Tra gli oltre mille Ceo e manager intervistati il 91% ha affermato che la compassione è basilare per la leadership e l’80% vorrebbe accrescerla perché nel tempo l’ha trascurata. Anche il marketing si è appropriato del concetto di compassione perché alle parole si associano fatti concreti e nuovi visual. Dopo ventidue anni Burger King ha annunciato il rebranding puntando sulla semplificazione, con un effetto retrò oltre i luccichii. Un rinnovamento dell’identità di marca con un look familiare che punta su trasparenza e sostenibilità, ha scritto AdWeek. Non è più il tempo degli effetti speciali, nemmeno sui loghi dei panini: non è un caso che il colosso della ristorazione abbia deciso in Francia di regalare ad oltre 500 bambini il compleanno nel fast food, superata la fase di restrizioni. «Il tema della compassione esercitata dalle aziende e dai loro leader non è nuovo, anche se il momento storico che stiamo affrontando lo rende fondamentale. In Italia abbiamo avuto in passato esempi di aziende e imprenditori illuminati come Adriano Olivetti, che dimostrò la concreta possibilità di un’economia capace di far convivere esigenze produttive, benessere materiale e pienezza umana», afferma Arianna Brioschi, lecturer del Dipartimento di Marketing dell’Università Bocconi e autrice di “White Space: idee non convenzionali sulla comunicazione”, edito da Egea. Azioni che hanno un impatto esterno che si riverbera anche all’interno della comunità di dipendenti, collaboratori, fornitori. «Dobbiamo riflettere sulla compassione aziendale oltre la semplice retorica: le azioni dirette al maggior bene sociale e ambientale portano a costruire attorno all’azienda stessa una condizione di maggior prosperità che porta un ritorno positivo su clima, reputazione e benessere collettivo. Pensiamo alla scelta di alcune aziende di ricompensare i lavoratori chiamati a garantire la presenza sulle linee produttive in questi mesi di pandemia. Lo ha fatto Lavazza, col bonus per i mesi di marzo e aprile 2020. Lo ha fatto Sanpellegrino, che ha garantito un extra per chi va in fabbrica. Lo ha fatto Luxottica, con un accordo di welfare che comprende un incentivo a chi garantisce i servizi essenziali. Azioni meritevoli di plauso e che permettono di mantenere attive la produzione e le vendite», precisa Brioschi.

Le sfumature dell’azione

Vicinanza e autenticità che si leggono nelle narrazioni, negli stilemi, nei linguaggi. «La pandemia ha colto anche le aziende impreparate e le prime risposte sono state le più semplici e immediate. Poi sono arrivate le azioni concrete, con molti manager impegnati a scrivere in prima persona: tra questi Brian Chesky di Airbnb. Nel tempo i brand si sono resi conto che occorreva restare competitivi anche durante la crisi con spirito di adattamento. Il linguaggio usato dal marketing si è evoluto con toni più ottimisti: oggi Easyjet invia mail con un incoraggiante looking to the future», sottolinea Brioschi. Ma attenzione al rischio “coronawashing”. «Si tratta della finta compassione: brand che non hanno mai intrapreso un percorso guidato da mission e vision si scoprono impegnati a fare del bene. Un tentativo simile al “greenwashing” per sfruttare l’impatto di piccoli gesti occasionali o di dichiarazioni verbali alle quali non seguono azioni concrete», dice Brioschi. Così Primark ha donato dei “care packs” al Nightingale Hospital di Londra, ma allo stesso tempo ha cancellato ordini per 300 milioni di dollari negli stabilimenti produttivi in Bangladesh, lasciando centinaia di operai senza lavoro. Una decisione annullata dopo le proteste. Nel tempo degli stream continui l’incoerenza si paga a caro prezzo.


MULINO BIANCO

Una campagna per gli eroi contemporanei nel tempo della pandemia. Mulino Bianco, brand del gruppo Barilla, ha lanciato “Questi Abbracci sono per loro”, sostenendo l’iniziativa #NoiConGliInfermieri di Fnopi, la federazione che rappresenta oltre 450mila infermieri in Italia. Il ricavato del packaging in edizione limitata prodotto da Barilla – e in vendita a scaffale dai primi di gennaio 2021 – sarà donato al fondo di solidarietà Fnopi fino al raggiungimento di due milioni di euro. #NoiConGliInfermieri garantisce il supporto alle famiglie degli infermieri deceduti e sostiene quelli costretti a vivere in quarantena alle prese con spese e cure mediche non previste.

SALESFORCE

Mobilitarsi per il rimboschimento con un obiettivo ambizioso: ripristinare un trilione di alberi entro questo decennio per combattere il cambiamento climatico. L’iniziativa prende il nome di 1t.org ed è stata lanciata in occasione del World Economic Forum 2020. Una sfida promossa da Salesforce, colosso statunitense di cloud computing fondato nel lontano 1999 con headquarter globale in California e operativo in tutto il mondo. Piantando 1 trilione di alberi entro il 2030 possiamo aiutare a rallentare l’aumento delle temperature del pianeta, stimolare la biodiversità e ripristinare parte dell’ecosistema del pianeta, si legge nella mission del progetto.

P&G

Gesti d’amore per le comunità, tanti quanto l’anno appena iniziato. Con la nuova campagna globale “Lead with Love” Procter & Gamble, insieme ai suoi marchi, si è impegnata a compiere 2.021 atti positivi, nella convinzione che anche i più piccoli gesti di bene possano rendere il mondo un posto migliore. La campagna è stata lanciata sui social della multinazionale americana di beni di largo consumo. In Italia la prima azione per il bene del 2021 è stata dedicata a favore della Croce Rossa Italiana. Obiettivo: sostenere un progetto di telemedicina attraverso videostation e smartphone collegati all’app della Cri che consentiranno diagnostica e cure mediche a distanza.

TIM

Contenuti divertenti e per tutti i bambini, nessuno escluso. Sulla tv di Tim i beniamini più amati dal pubblico dei piccoli sono disponibili anche per i bambini sordi, con disabilità uditive o disabilità comunicative. Così Timvision ha reso disponibili nella lingua dei segni italiana Lis i cartoni animati dei personaggi più amati dai bambini. Obiettivo: offrire la programmazione anche ai piccoli spettatori con disabilità uditive. Il progetto, realizzato con il patrocinio dell’Ente Nazionale Sordi, nasce nell’ambito del programma di inclusione e valorizzazione delle diversità di Tim, per tre anni valutata prima tlc al mondo per il D&I Index di Refinitiv.




È il lusso a salvare gli alligatori della Louisiana, dice Richemont

È il lusso a salvare gli alligatori della Louisiana, dice Richemont

“E così il cliente del lusso, lo shopper apicale, permette la conservazione degli alligatori della Louisiana, predatori apicali”. Quella di Matthew Kilgariff, direttore del Corporate Social Responsibility di Richemont, sembra una battuta, ma non lo è. Il manager, dal palco del World Wildlife Day 2020 tenuto lo scorso 3 marzo presso le Nazioni Unite di Ginevra, conferma un dato che al pubblico generalista suona contro intuitivo. Lo sfruttamento economico degli alligatori, anche per la produzione dei cinturini in pelle dei marchi del gruppo elvetico, ne tutela la conservazione. In altre parole: è il lusso a salvare gli alligatori della Louisiana.

Gli alligatori della Louisiana

“Il fatto che gli alligatori depositino le uova solo nella natura permette alle paludi di rimanere paludi – sono le parole di Kilgariff diffuse da una nota stampa –. Se così non fosse, i proprietari terrieri della Louisiana convertirebbero i fondi, non ne conserverebbero le condizioni naturali. Così facendo, distruggerebbero i biotopi da cui dipendono 8.000 specie, incluse gli alligatori”. È un argomento contro intuitivo per l’opinione pubblica, dicevamo. Ma è un concetto che conoscono bene gli addetti ai lavori. La promessa di una ricompensa economica, inserita in un contesto normativo che garantisce l’equilibrio tra attività umana e biodiversità, ha consentito alla popolazione di alligatori della Louisiana di crescere esponenzialmente negli ultimi decenni.

L’importanza delle zone umide

Oltretutto, ci ha tenuto a sottolineare il manager di Richemont, le zone umide “trattengono una quantità fenomenale di anidride carbonica, ma scompaiono più rapidamente delle foreste”. L’intervento antropico va tenuto in considerazione: “In un mondo ideale, le paludi della Louisiana e tutte le zone umide sarebbero preservate per sempre, senza nessun intervento umano. All’estremo opposto, c’è la possibilità che queste zone siano prosciugate. Gli amici del Crocodile Specialist Group di IUCN mi dicono che questo sistema è quasi troppo buono: abbiamo posto l’asticella molto in alto per i restanti progetti mondiali”. Così è e, adesso, così rimane.




Pasta La Molisana: lo storytelling dal sapore littorio funziona?

Pasta La Molisana: lo storytelling dal sapore littorio funziona?

Siamo abbastanza nostalgici per lo storytelling dal “sapore littorio” della pasta La Molisana? Probabilmente no, a giudicare dalle polemiche e dal retrofront dell’azienda.

Ma che buono, il sapore littorio della pasta. Lo sentite anche voi quell’inconfondibile retrogusto di quando c’era lui che vi sale in bocca quando mangiate le Abissine rigate 25 de La Molisana? No? Non c’è problema, a ricordarvelo c’è lo “storytelling” preparato ad hoc dall’azienda. O almeno, c’era, prima che qualcuno facesse notare lo scivolone comunicativo e si decidesse di rimediare con una descrizione più soft e politicamente corretta.https://f010caeb114c13c5eb362ae9551599ce.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-37/html/container.html

Ma procediamo con ordine. Non siamo nuovi a cibi dalla nomenclatura nostalgica. In Italia come altrove, visto che certamente ricorderete il caso dei Moretti, ritirati da una catena di supermercati svizzera perché considerati razzisti. I casi di questo genere sono innumerevoli, e nell’era del politically correct e delle sacrosante proteste antirazziste negli Usa stanno venendo fuori come funghi dopo la pioggia. Certo, certi nomi andrebbero contestualizzati: gli anni Trenta e Quaranta, con la loro spinta colonialista, sono dietro l’angolo, e ancora negli anni Ottanta si poteva ridere di cose che oggi farebbero inorridire (avete presente il jingle delle caramelle Tabù, o lo sculettare della modella di colore delle Morositas?).

La molisana polemica

Insomma: su alcune cose si può chiudere un occhio, in nome di una contestualizzazione storica che probabilmente non andrebbe eliminata con un colpo di spugna, ma che è lì anche per ricordarci chi eravamo. Così non vediamo il problema di mangiare una pasta che si chiama Abissina.

Semmai, il problema è insistere volutamente sullo “storytelling” (citiamo testualmente) che il nome di questo formato rievoca, e magari elogiarlo più del dovuto, soffermandosi sul “sapore littorio” di quella pasta (che all’estero si trasforma in “shells”, nome decisamente più neutro) o sul fatto che “la pasta di semola diventa un elemento aggregante” “per la stagione del colonialismo”, commentando il tutto con un “perché no!” finale.

Una scelta di comunicazione quantomeno discutibile, ma su cui La Molisana ha puntato con convinzione. Prova ne è la descrizione delle Tripoline che, spiega l’azienda, hanno un “sapore coloniale”.

Accortasi del corto circuito dopo qualche segnalazione sui social, l’azienda ha provveduto a cambiare le descrizioni, eliminando ogni frase dal sapore nostalgico.

Ma gli screenshot rimangono (e soprattuto, la wayback machine non sbaglia, lei si che è parecchio nostalgica) lasciando in bocca un sapore che non sapremmo definire: che dite, è il caso di chiedere aiuto al copywriter de La Molisana?




Sistemi neurali complessi: dagli oceani, una lezione per le aziende

Sistemi neurali complessi: dagli oceani, una lezione per le aziende

In un bell’articolo per la London Review of Book, Amia Srinivasan, filosofa specializzata in epistemologia della scienza e docente all’Università di Oxford, ha analizzato nel dettaglio la fisiologia di un affascinante protagonista del regno sottomarino, il polpo, concentrando in particolare le proprie riflessioni sul funzionamento del sistema nervoso di questo singolare animale.

Il polpo è un animale tanto straordinario quanto poco conosciuto nelle sue peculiari caratteristiche: il suo corpo è costituito esclusivamente da tessuti molli, senza ossa, e senza una forma fissa predefinita; il polpo gigante del pacifico, che è la più grande specie conosciuta, con un’apertura massima delle sue braccia di circa 6 metri e quasi 50 chili di peso, può passare da fessure larghe due centimetri e mezzo; il polpo può sollevare senza alcuno sforzo con ognuna delle sue 1.600 ventose pesi da oltre 10 chilogrammi; tutte le specie di polpi hanno tre cuori che pompano sangue di un curioso colore verde-azzurro; dispongono di un particolare sifone tubolare che usano per una specie di propulsione a getto, che permette all’animale di allontanarsi rapidamente da zone di pericolo, ma anche per difendersi con robusti schizzi di inchiostro scuro; il polpo non ama la cattività, prova ne sia che vi sono innumerevoli racconti di ricercatori scientifici che hanno documentato i tentativi di “evasione” di polpi dai laboratori, ad esempio attraverso i tubi di scarico dei servizi igienici, oppure tentativi di vero e proprio sabotaggio, tappando le valvole delle vasche e allagando così i laboratori stessi; inoltre, non hanno un colore stabile e fisso, nel senso che possono cambiare la propria dominante cromatica e mimetizzarsi agevolmente con qualunque superfice, fino a diventare quasi invisibili, ma altresì cambiano colore anche in base al proprio “umore” (ad esempio, alcune specie di polpi diventano bianchi se carezzati a lungo); inoltre, gli esperimenti dimostrano che il polpo prova sofferenza e angoscia e percepisce il dolore, ovvero protegge le parti del corpo ferite e non ama essere toccato vicino alle lesioni. Inoltre, i polpi sono a loro modo gourmand, ovvero hanno uno spiccato senso del gusto e dell’olfatto, per nulla comune negli organismi marini.

Ma gli aspetti più intriganti – scrive la Srinivasan – sono relativi al particolare cervello di questo cefalopode, alle sue caratteristiche e alle modalità di funzionamento. Contrariamente alla narrazione dominante in letteratura e in cinematografia, che oscilla tra piovre giganti assassine e viscidi polpi strangolatori, in realtà il carattere del polpo è tendenzialmente mite e curioso: sono documentati casi di polpi che si sono avvicinati a esploratori subacquei e li hanno “raggiunti” con una delle loro braccia, agganciati in modo delicato e stupefacente, e portati a fare una breve passeggiata nell’ambiente circostante, per poi lasciarli andare per la propria strada. In laboratorio, i polpi si adattano facilmente a situazioni inedite, riescono a orientarsi nei labirinti, usano la propria memoria per risolvere semplici rompicapi, imparano a svitare i coperchi dei barattoli per procurarsi del cibo (anche quelli testati “a prova di bambino”).

Il sistema nervoso centrale del polpo conta un totale di circa mezzo miliardo di neuroni, pochi rispetto ai 100 miliardi del cervello umano, ma allineato come massa a quello del miglior amico dell’uomo, tutt’altro che ottuso, il cane, e vanta inoltre un elevato rapporto tra volume cerebrale e volume corporeo: un indizio prezioso, dal punto di vista evoluzionistico, per comprendere quanto questo animale, ci ricorda la Srinivasan nel suo articolo, “investa sulla propria attività cognitiva”.

In realtà, il cervello del polpo ha poco a che vedere con la struttura del sistema nervoso degli altri animali: buona parte dei suoi neuroni e delle sue sinapsi, sorprendentemente, sono all’esterno della sua testa, ovvero sono sparsi sulle sue braccia, come anche nelle sue ventose, in quanto conta oltre 10.000 neuroni per ognuna di esse. Tramite le braccia, quindi, il polpo percepisce sapori e odori e vanta anche una memoria locale a breve termine. Le braccia vantano una notevole autonomia, prova ne sia che un braccio di polpo tagliato chirurgicamente può continuare a tendersi, cambiare colore per mimetizzarsi e anche afferrare oggetti; tuttavia, il suo sistema nervoso centrale può riprendere il controllo della situazione, all’occorrenza. Inoltre, i polpi hanno percezioni visive in tutto il proprio corpo, in quanto – sottolinea la Srinivasan – “si è scoperto che i polpi hanno fotorecettori non solo negli occhi ma anche nella pelle, che manda al cervello le informazioni ambientali ricevute ma è anche in grado di elaborarle da sé”.

Un corpo fisico “di per sé intelligente e pensante” nella sua totalità, ci ricorda Peter Godfrey-Smith – filosofo, professore all’Università di Sidney e scrittore di un affascinante volume sull’origine profonda della coscienza di sé nel mondo animale, nonché esperto sommozzatore che da molti anni studia proprio i polpi – e non un mero esecutore degli ordini del cervello: una struttura neurale assai interessante da analizzare, specie per chi si occupa di studiare sistemi e comportamenti complessi. Inoltre, una chiave di lettura anche per chi studia medicina dei sistemi, ovvero le regole che governano la sinergica correlazione che esiste tra tutti – nessuno escluso – gli organi che compongono il corpo umano, nonché la funzione del microbiota intestinale in grado di condizionare il funzionamento del nostro cervello. Tematiche queste che incrociano l’affascinante disciplina dell’epigenetica, che studia lo stretto rapporto esistente tra l’intero organismo umano e l’ambiente, e, per contro, vorrei aggiungere, il ruolo del genere umano come fattore di condizionamento – culturale e non solo – dell’intero Pianeta, in circolo virtuoso dagli anelli così strettamente concatenati da risultare semplicemente inscindibile.

Un particolare filo rosso mi pare colleghi la fisiologia del sistema nervoso del polpo con i meccanismi di funzionamento delle organizzazioni complesse, le aziende in particolare, che tanta importanza hanno nel mantenimento dell’omeostasi della nostra società e dal cui corretto funzionamento dipende anche il grado di entropia della stessa.

La già citata medicina dei sistemi è l’ applicazione della Teoria dei sistemi alla più moderna medicina, e assimila la complessità degli organismi viventi a una rete di reti, composta da genoma, molecole, cellule, organi, andando oltre, fino all’ ambiente che circonda l’ organismo e alla potenziale influenza sul corpo umano delle reti create dagli individui nelle società.

I sistemi biologici, e i percorsi e gli elementi al loro interno, sono infatti dotati di una miriade di connessioni organizzate in reti tipiche; nel rispetto dei modelli validati da Ludwig Von Bertalanffy, padre di questa teoria, l’ organismo umano andrebbe appunto interpretato come un sistema complesso le cui parti sono fortemente dipendenti l’ una dall’ altra.

Come ho ricordato nel mio recente saggio dal titolo Apri la tua mente, il celebre biologo austriaco ne diede una definizione a mio avviso straordinaria: “L’organismo vivente è un sistema di flusso in equilibrio dinamico”, ovvero è un network aperto in comunicazione diretta con l’ambiente esterno, all’interno del quale fluiscono continuamente fattori perturbatori e stressori, ma che è in grado di adattarsi in continuazione agli stimoli endogeni o esogeni, mantenendo appunto un proprio equilibrio, che in medicina chiameremmo stato di salute.

I ricercatori si sono chiesti a lungo come avvenisse la “conversazione” fra le cellule, domanda alla quale è stato possibile rispondere solo recentemente, rivalutando l’importanza del tessuto connettivo, la matrice cellulare, nella quale i microtuboli delle cellule sono immersi, embedded. Matrice che è appunto fondamentale, perché se essa rimane plastica, morbida e permeabile, facilmente le molecole messaggere – ormoni, neuropeptidi, citochine, etc. – potranno attraversarla; se – viceversa – la matrice è rigida, ovvero anziché una “gelatina idratata” diventa, per usare una metafora, un “gomitolo infeltrito”, le molecole che da una cellula dovranno arrivare a un’ altra, come una parola che viaggia nell’ aria, non riusciranno a muoversi con la necessaria velocità ed efficacia, e non giungeranno alla cellula destinataria, stimolandola come desiderato.

Una domanda allora potrebbe sorgere spontanea: serve “urlare”, per inviare messaggi in modo adeguato? A livello cellulare certamente no, il “volume” con cui comunicano tra loro le cellule è molto basso: le cellule “sussurrano” tra loro, grazie a quantità infinitesimali – picogrammi – di ormoni e molecole messaggere. Aspetto, questo, assai interessante perché un’azienda comunica costantemente al proprio interno con le persone, e poi con gli stakeholder esterni a essa, ma se lo spazio attraverso il quale viaggia la comunicazione, che connette le varie sezioni dell’organigramma di un’organizzazione e poi le varie organizzazioni tra loro, non è plastico e non è pulito, il miglior messaggio, per quanto più accattivante e motivante, non verrà correttamente percepita dal ricevente.

È bene ribadirlo: la vita stessa – in effetti – è comunicazione, principio di stingente attualità anche all’interno delle organizzazioni sociali e aziendali. Non solo le singole cellule di un organismo – biologico o sociale – dialogano fra loro, ma esse dialogano anche con l’esterno, esattamente come, all’interno di un organigramma aziendale, ogni singolo componente deve essere posto in condizione di dialogare sia verticalmente che orizzontalmente con gli altri membri del gruppo, secondo un modello più vicino a un modello sociometrico di Moreno, nel quale ogni punto è connesso anche con gli altri, che non a una stella tradizionale che prevede connessioni solo con il proprio centro, intuizione questa che si scontra con la quali totalità dei tradizionali paradigmi che regolano il fluire delle informazioni, dei pesi e dei rapporti di forza all’interno delle aziende.

Proseguendo nell’analisi delle analogie tra i sistemi biologici e quelli sociali come le aziende, possiamo affermare che un tessuto umano sottoposto a continui fattori stressori, competitivo, fortemente gerarchizzato, vittima di stili di gestione vecchia maniera, centralizzati, ossessivamente controllati fin nei minimi dettagli a totale detrimento della creatività del singolo componente del gruppo, vedrà ridursi la capacità di sopravvivenza dell’intera organizzazione, che trae linfa vitale anche dell’espressione delle peculiari competenze di ognuno dei suoi membri.

Come le tossine, inquinando la matrice extracellulare limitano la funzionalità delle cellule e la corretta comunicazione all’ interno dei sistemi biologici, egualmente varie male pratiche nella gestione della risorse umane, della comunicazione interna e della costruzione di relazioni tra i vari settori dell’organigramma aziendale, possono alterare la corretta circolazione delle informazioni all’ interno delle imprese, limitando la loro capacità di raggiungere gli scopi per i quali sono state all’origine create.

Mi piace ricordare che le più recenti scoperte scientifiche dimostrano che un ruolo chiave nella gestione di questo complesso tipo di relazioni è ricoperto – sorprendentemente – dalle emozioni, che potrebbero essere classificate come molecole sine materia. Le cellule infatti non sono sensibili solamente al contatto con una molecola, ma anche agli stimoli generati delle emozioni, che possono stimolare a loro volta la produzione di molecole messaggere. Nel 2006, la rivista scientifica PsycoNeuroEndocrinology ha pubblicato a tal proposito un lavoro molto interessante, che ha dimostrato come aumentati livelli plasmatici di NGF – il Nerve Grown Factor, il fattore di crescita scoperto da Rita Levi Montalcini, che mantiene giovane e plastico il cervello – sono associati con condizioni di amore romantico passionale negli stati precoci; il passaggio a un livello d’ interazione superiore, da micro a macro, con l’ ipotesi di oltre sette miliardi di esseri umani interdipendenti che comunicano tra loro armonicamente anche grazie alle molecole sine materia costituite dalle emozioni, è assai affascinante come ipotesi di studio. D’ altra parte, il banale stato di collera e irritazione tra individui o tra gruppi d’individui porta con sé modificazioni fisiologiche negative – confermate da innumerevoli studi scientifici – come la produzione di cortisolo e altri ormoni dello stress.

A tal proposito, un altro lavoro assai interessante è quello pubblicato nel 2013 sulla rivista Brain, Behaviour and Immunity, in cui un gruppo di ricercatori nippo-americani ha messo in correlazione l’aumentare di intensità di un’emozione negativa (rabbia, rancore, o tristezza) con l’aumentata produzione di un marker di infiammazione: questo marker è l’Interleuchina 6, che indica appunto la presenza di infiammazioni croniche nell’ organismo. È ormai sempre più solida la letteratura che tende a estendere questo genere di fenomeni, inizialmente rilevati nei singoli organismi biologici, anche alle reti sociali complesse, e le aziende in tal senso non fanno certamente eccezione.

Siamo tutti, appunto, parte di un sistema di flusso in continua relazione al nostro interno e con gli altri esseri umani, e non solo, anche in contatto virtuoso/vizioso con l’ambiente. La salute allora probabilmente significa tanto buona comunicazione fra le cellule, quanto, in senso più esteso, buona comunicazione tra l’essere umano e ciò che lo circonda, nonché buona comunicazione all’interno e tra gruppi sociali.

Un concetto che pare assai attuale, e che i comunicatori di professione dovrebbero tener presente: spesso ci concentriamo sull’atto, sul fatto che trasmittente e ricevente inviino segnali e messaggi, presi come siamo dal bulimico stimolo a raggiungere risultati quantitativamente più elevati del periodo precedente al fine di giustificare il nostro ruolo all’interno dell’azienda, o ancor più spesso sul mero volume del messaggio, senza considerare quel che c’ è in mezzo: mentre è proprio quello spazio, pulito e plastico o al contrario infiammato e rigido, che realmente può rivelarsi decisivo nel favorire o meno la comunicazione e quindi il raggiungimento degli scopi ultimi dell’organizzazione, tra i quali, legittimamente, il profitto.

Se il passaggio dal piano dei sistemi biologici a quelli dei sistemi sociali pare a questo punto del tutto naturale, è viva la necessità di tentare di immaginare a una forma di “drenaggio” che possa ripulire al meglio la matrice che connette tutti i membri di un’organizzazione al proprio interno e poi essa con le altre organizzazioni che la circondano; l’attività di efficace depurazione dall’inquinamento comunicativo ed emozionale effettuata limitando la circolazione di messaggi inutili o dannosi all’ interno e all’ esterno dell’azienda, ed evitando di adottare modelli disfunzionali e contrari ai principi che ho richiamato in questo articolo, pare quindi essere fondamentale.

Quali variabili occorre allora prendere in considerazione per valutare il grado di funzionalità ed efficacia dei modelli adottati da un certo ambiente umano, come un’impresa orientata al raggiungimento di fini di carattere economico, ed eventualmente intervenire a fini correttivi? Innanzitutto, il raggio d’azione, che è anche un metodo elementare per determinare il grado di “complessità” del network; l’incertezza della rete: relativa (distanza tra input e feedback) e assoluta (di “missione”, che ha a che fare con la totale, o meno, chiarezza e accessibilità per tutto il gruppo delle policy interne), laddove un basso grado di “incertezza” è funzionale a garantire la capacità di “ammortizzare” cambiamenti e mutazioni; il grado di “formalizzazione”: esiste un rischio di “gerarchizzare” delle risorse spontanee di un modello orizzontale? (conta l’intenzione dei promotori, ma anche la percezione soggettiva da parte dei soggetti coinvolti); inoltre, il grado di connettività: il ruolo del/dei leader, “centralità” versus “centralizzazione”, il leader come broker, mediatore equidistante tra tutte le parti in gioco, perché solo così al leader viene riconosciuto un qualche ruolo, ed il potere in un network sociale è dato dal ruolo che viene riconosciuto, da ciò derivano il prestigio e la leadership; infine, la densità dei rapporti: chi è connesso con chi, il leader deve sempre essere un “via” o esistono connessioni indipendenti da esso?

Solo una corretta analisi e contemperazione del peso di tutti questi elementi darà come risultato una “rete perfetta”, dove la comunicazione potrà fluire in modo realmente efficace, priva di rallentamenti e d’inutile e fastidioso rumore di fondo.

Da questo punto di vista, la fiducia e la cooperazione nel lungo periodo paiono rappresentare il capitale sociale di maggior valore per garantire equilibrio, funzionalità ed efficacia all’interno di un gruppo umano organizzato qual è un’impresa, fattori che sono veri generatori di profitto.

Per tentare di giungere a questi risultati, quale migliore modello di riferimento se non quello dei polpi, che – lungi dall’adottare un sistema verticistico di controllo degli impulsi neurali, si fanno forti di un sistema nervoso diffuso, dove ogni parte del corpo, ogni singola ventosa, ha una propria dignità, un proprio ruolo, una propria autonomia, e nel contempo una correlazione con le altre parti, e infine, armonicamente, con il sistema nervoso centrale? Esattamente come dovrebbe essere all’interno di sistema sociale in equilibrio dinamico, composto d’individui strettamente in correlazione tra loro, qual è un’azienda.

Un modello di pensiero – e poi necessariamente di azione – che rompe i tradizionali schemi aziendali rigidi e gerarchizzati e ri-pone al centro l’Uomo, con un approccio non dialogico-sequenziale, bensì necessariamente circolare e complesso.

Mi piace concludere ricordando – come scrive la Scrinivasan nel suo bell’articolo – che la maggior parte dei polpi ha una vita molto stimolante e ricca di esperienze ma nel contempo assai breve: muoiono mediamente in soli due o tre anni, generalmente dopo essersi riprodotti; le organizzazioni sociali umane hanno invece sempre l’ambizione di sopravvivere ai propri stessi creatori, come dimostra – per citare un lovemark – la Apple di Steve Jobs.

Forse il mondo della natura, una volta di più, nella sua serena relativa immutabilità, può essere autorevole suggeritore e ispiratore di buone prassi e di nuovi modelli centrati innanzitutto sulla consapevolezza e sul pensiero complesso, utili da applicare in questo nuovo millennio nei processi di management delle aziende, al fine di valorizzare al meglio il più importante, prezioso e insostituibile dei capitali: quello Umano.

Luca Poma

Breve bigliografia/sitografia:

  • Bocchi G., Ceruti M., “La sfida della complessità”, Bruno Mondadori, Milano (2007)
  • Emanuele, E.; Geroldi, D. et al., “Raised plasma nerve growth factor levels associated with early stage romantic love”, in PNEC Psiconeuroendocrin.ology, (2006), 31, pp. 288-294
  • Fano, R.M., “Transmission of information; a statistical theory of communications”, Cambridge (Massachusetts), M.I.T. Press, 1961
  • Fromm J., “The emergence of complexity”, Kassel University Press (2004)
  • Gandolfi A., “Formicai, imperi, cervelli: introduzione alla scienza della complessità”, Bollati Boringhieri (1999)
  • Gandolfi A., “Vincere la sfida della complessità”, Franco Angeli (2008)
  • Godfrey-Smith, P; “Other minds: the octopus and the evolution od intelligent life”, Collins, 255 pp., marzo 2017;
  • Ludwig von Bertalanffy, 1968, “General System Theory. Development, Applications, George Braziller”, New York, trad. it. Teoria generale dei sistemi, Oscar saggi Mondadori, 2004
  • Mella, P., “Dai sistemi al pensiero sistemico”, Milano, Franco Angeli,1997
  • Miyamoto, Yuri, et al. “Negative emotions predict elevated interleukin-6 in the United States but not in Japan.” Brain, behavior, and immunity 34 (2013): 79-85.
  • Moreno J.L., “Sociometry, Experimental Method and the Science of Society. An Approach to a New Political Orientation”, Beacon House, 1951, New York
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  • Parodi, F; “Sistemi, teoria dei”, Enciclopedia delle scienze sociali”, 1998, consultato il 28/12/20 su Treccani.it
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Macerata, bufera su Guzzini: “Le persone sono stanche, pazienza se qualcuno muore”. Confindustria apre un procedimento

Possibili sanzioni nei confronti del presidente dell’associazione marchigiana. Lui si scusa: “Ho sbagliato”. ll video viene rimosso dai canali social

Le scuse non sono bastate. Dopo la bufera scatenata da quel video diventato virale sui social, Confindustria ha deciso di aprire una procedura nei confronti del presidente dell’associazione di Macerata Domenico Guzzini. L’iniziativa è del consiglio di indirizzo etico e dei valori associativi. La procedura prelude a possibili sanzioni o a un passo indietro da parte dello stesso Guzzini.

“Le persone sono un po’ stanche e vorrebbero venirne fuori, anche se qualcuno morirà, pazienza”. Questa la frase choc, della quale poi si è scusata, pronunciata dal presidente di Confindustria Macerata, Domenico Guzzini, parlando di Covid durante un evento on line dedicato alla moda.

All’evento “Made for Italy per la Moda”, organizzato dall’associazione degli industriali, hanno partecipato, tra gli altri, il presidente della Regione Marche, Francesco Acquaroli, il sindaco di Macerata Sandro Parcaroli ed esponenti di Confindustria Moda. Guzzini stava parlando della ricadute economiche della pandemia, indicando nella moda e nel turismo i settori che hanno sofferto di più. “Come sapete ci aspetta un Natale molto magro perché stanno pensando addirittura di restringere ulteriormente – ha aggiunto -. Questo significa andare a bloccare anche un retail che si stava rialzando per la seconda volta da una crisi e lo stanno rimettendo nuovamente in ginocchio. Io penso che le persone sono un po’ stanche di questa situazione e vorrebbero, alla fine, venirne fuori. Anche se qualcuno morirà, pazienza. Ma così, secondo me, diventa una situazione impossibile per tutti”.

“La paura per la malattia, lo stress provocato dalla mancanza di socialità, la pesantissima crisi economica che sta colpendo tante imprese: tutto vero e reale ma nulla può giustificare o attenuare la gravità di una frase del genere. È anzi un’aggravante che a pronunciarla non sia l’ultimo analfabeta digitale su un qualsiasi social network ma il più alto rappresentante di una associazione di categoria sul territorio, in un evento ufficiale”. È il commento del presidente Cna Macerata, Giorgio Ligliani. “La disumanità di quella frase non è tollerabile, faccio fatica solo ad ascoltarla – aggiunge -. Tutti siamo stanchi di questa situazione e, aggiungo, anche di questo tira e molla su ciò che si può e ciò che è vietato fare. Le imprese chiedono chiarezza e preferiscono magari aspettare ma per poi riaprire definitivamente e senza limitazioni”.

“Sinceramente chiedo scusa a tutti e in particolare alle famiglie toccate dal dramma del Covid, per la frase che ho pronunciato ieri nel corso del Forum Made For Italy. Ho sbagliato nei contenuti e nei modi. Parlavo della vita aziendale e delle prospettive del lavoro e invece, preso dalla discussione, ho fatto un’affermazione sbagliata, che non raffigura il mio pensiero né tantomeno quello dell’Associazione che rappresento”, spiega Guzzini. “Sono molto addolorato per la mia dichiarazione che, quando ho riascoltato, ho realizzato quanto fosse grave e distante da ciò che penso, cioè che il bene più importante della vita di ognuno di noi siano la salute e la famiglia”, aggiunge.

Confindustria Macerata ha deciso di chiudere la propria pagina Facebook, che ora appare “non disponibile”. Il video con l’intervento del presidente Domenico Guzzini è stato rimosso dai canali social e Youtube.