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Aerei, la reputazione social delle compagnie: critiche alle low cost e accuse (politiche) ad Alitalia

L’indagine dell’azienda specializzata MR & Associati per il «Corriere» sugli ultimi tredici mesi: «Il Covid ha dominato il dibattito». I casi (e le gaffe) di easyJet ed Eurowings

Le critiche alle compagnie aeree spagnole per il servizio clienti e le misure anti-Covid, le accuse alle low cost sui voli cancellati e i ritardi nei rimborsi, gli attacchi ad Alitalia non per la qualità del prodotto offerto, ma per la gestione (politica) disastrosa degli ultimi trent’anni, tanto da arrivare a elogiare persino i miliardi di euro che il governo francese ha deciso di mettere in Air France pur di criticare la classe dirigente nostrana. Eccoli gli umori dei social italiani nei confronti delle aviolinee negli ultimi tredici mesi (da novembre 2019 a novembre 2020) secondo l’indagine che la società specializzata MR & Associati Comunicazione ha realizzato in esclusiva per il Corriere della Sera.

La metodologia

Il «web listening», spiega il documento di 26 pagine, «propone un’analisi qualitativa e quantitativa delle conversazioni su Twitter nel nostro Paese sulle principali compagnie aeree». Il Corriere ha fornito un elenco di 25 vettori — nazionali, continentali ed extraeuropei — da sottoporre a indagine. Gli esperti si sono concentrati sulle attività su Twitter perché «questo social consente di raccogliere tutti i dati di interesse a disposizione relativi ad ogni tema e di articolare un monitoraggio approfondito». Per ogni aviolinea, poi, l’analisi «fornisce una fotografia dell’andamento delle conversazioni, un’interpretazione del sentiment generato dai contenuti, i temi di discussione maggiormente associati al brand».

Aerei, la reputazione social delle compagnie: critiche alle low cost e accuse (politiche) ad Alitalia

I risultati

Nei tredici mesi analizzati Alitalia — che è la seconda compagnia aerea più utilizzata dagli italiani (21,29 milioni di passeggeri nel 2019 secondo l’Enac) — risulta la più citata con 283.400 menzioni. Per dare l’idea di quanto abbia quasi monopolizzato il dibattito social basti considerare che il secondo vettore più menzionato è Ryanair (41,4 milioni di passeggeri in Italia) con 32.900 riferimenti. Seguono easyJet (23.700 menzioni), Lufthansa (22.100) ed Emirates (12.800). «Non dimentichiamoci comunque la regola dell’80-20», sottolinea Pietro Raffa, partner e digital strategist di MR & Associati: «L’80% delle conversazioni social sono prodotte dal 20% degli utenti». Una minoranza decisamente chiassosa.

Il caso Alitalia

L’indagine spiega che la parola chiave «Alitalia» è stata utilizzata su Twitter da 15.100 autori diversi e da novembre 2019 a novembre 2020 ha prodotto 754.100 interazioni. Due i picchi rilevanti: a metà marzo e a metà maggio. La discussione virtuale sul vettore tricolore «riguarda principalmente gli investimenti del governo Conte» e il sentimento è «indubbiamente negativo», viene scritto. Ma «ancora più delle polemiche su brand e disservizi, nei contenuti Alitalia viene citata spesso per il significato che ha assunto nell’immaginario collettivo». «L’aviolinea risente meno del Covid-10 e più dell’aspetto politico», prosegue Raffa.

Aerei, la reputazione social delle compagnie: critiche alle low cost e accuse (politiche) ad Alitalia

Il confronto

E questo approccio lo si vede anche in altre aziende. Air France risulta citata a inizio 2020 nel caso del bambino trovato morto nel carrello di un Boeing 777 decollato dalla Costa d’Avorio e atterrato a Parigi. L’altro «picco» è a fine aprile-inizio maggio quando il governo ha dato l’ok a 7 miliardi di euro per salvare l’azienda in crisi per il coronavirus. Ma invece di criticare l’esecutivo transalpino — proprio come fatto con il governo Conte sul rilancio di Alitalia — «la classe dirigente francese è addirittura destinataria di elogi per questo intervento», prosegue Raffa. «Alitalia soffre il passato: ogni modello straniero è visto meglio di quello italiano e diventa uno dei pretesti per criticare la classe politica nazionale».

Il picco di easyJet

Un altro caso interessante è quello che riguarda easyJet, seconda low cost d’Europa e terzo vettore in Italia. L’attenzione social degli utenti nostrani verso il vettore britannico è costante nei tredici mesi analizzati. C’è un solo picco, il 23 giugno 2020: è il giorno della gaffe nei confronti della Calabria. La descrizione nel sito ufficiale descrive la Regione come terra che «soffre di un’evidente assenza di turisti a causa della sua storia di attività mafiosa e di terremoti e la mancanza di città iconiche come Roma o Venezia capaci di attrarre i fan di Instagram». La cronaca spinge le interazioni social anche per un’altra compagnia: Eurowings. La divisione a basso costo del gruppo Lufthansa il 23 maggio diventa uno degli argomenti di discussione quando un suo volo partito da Dusseldorf deve tornare indietro perché l’aeroporto di destinazione, Olbia, è chiuso per l’emergenza Covid.

L’evoluzione delle menzioni social su Alitalia e la «nuvola» dei termini più ricorrentiL’evoluzione delle menzioni social su Alitalia e la «nuvola» dei termini più ricorrenti

Le critiche ai vettori spagnoli

Il documento mostra anche un rapporto problematico tra utenti social (e clienti) italiani e le compagnie aeree spagnole. Iberia, per esempio, viene criticata per la gestione operativa «durante la pandemia: in particolare torna con frequenza il tema della mancata assistenza del servizio clienti, dei prezzi eccessivamente alti dei biglietti aerei». Non va meglio ad altre due aviolinee iberiche: le low cost Vueling (del gruppo che comprende Iberia) e Volotea. Anche loro finiscono nel mirino per la gestione del Covid-19, per i controlli Antitrust e per la decisione iniziale di dare i voucher al posto dei rimborsi per i voli cancellati per la pandemia.

I più (e meno) apprezzati

E così la top five delle compagnie che hanno suscitato un «sentiment particolarmente negativo» vede al primo posto Alitalia (come scritto più per la connotazione politica che per il servizio ai clienti), seconda Iberia, terza easyJet (per la gaffe calabrese), quindi Volotea e Vueling. I cinque vettori che raccolgono commenti positivi su Twitter sono — dal primo al quinto — l’olandese Klm («per le pratiche virtuose»), British Airways («per la tempestiva sospensione dei voli con la Cina»), la low cost Wizz Air (per il «dinamismo del brand» avendo passato questi mesi di Covid-19 ad aprire le basi in Italia ed Europa), la mediorientale Emirates e l’asiatica Korean Air.

Aerei, la reputazione social delle compagnie: critiche alle low cost e accuse (politiche) ad Alitalia

L’impatto del Covid-19

In generale l’analisi dei tweet mostra che il coronavirus «ha monopolizzato i contenuti delle conversazioni», ma anche una differenza tra compagnie tradizionali e low cost. Le prime — al netto di qualche caso — vengono apprezzate per «la capacità di gestire con efficacia ed efficienza la riorganizzazione delle attività». Le low cost, invece, sono quelle maggiormente criticate «soprattutto nel merito delle policy dei rimborsi e dell’organizzazione degli spazi a bordo durante la pausa estiva».

L’approccio

«La reputazione social delle compagnie aeree in Italia è stata generata dalla capacità informativa non dai trucchi comunicativi dei vettori», dice Raffa. «Emirates, per esempio, ha una reputazione elevata perché le nicchie che la usano sono soddisfatte del servizio». In generale, conclude, «le aviolinee non devono soffermarsi solo sui grandi numeri, su quelli che chiamiamo le metriche della vanità (like, condivisioni, visualizzazioni), ma devono vedere cosa il consumatore sta pensando per intercettare l’umore del cliente e agire di conseguenza».




Poste, il nuovo modello per calcolare il valore degli investimenti per collettività e ambiente

Uno strumento innovativo per calcolare il valore finanziario, sociale e ambientale generato dagli investimenti in sostenibilità. A offrirlo, riferisce una nota è un modello evoluto di analisi che Poste Italiane ha adottato per misurare sia l’impatto economico, sia il ritorno degli investimenti in termini di beneficio finanziario per la collettività e l’ambiente. I risultati complessivi dell’analisi sono stati pubblicati nel primo Report di Impatto, denominato «La Sostenibilità e i suoi Impatti».

Gli obiettivi di sostenibilità del piano strategico

Il Report misura gli effetti derivanti dalle azioni realizzate per raggiungere gli obiettivi di Sostenibilità fissati nel Piano Strategico Esg, e contribuisce ad indirizzare le decisioni aziendali e a valutare, con uno sguardo al futuro, il «vero valore» degli investimenti programmati, non solo nel loro ritorno finanziario ma anche della loro importanza in termini economici, sociali e ambientali. Il metodo ha permesso di calcolare, ad esempio, il beneficio netto della nuova flotta rispetto alla flotta tradizionale tenendo conto dei costi evitati grazie ai minori impatti ambientali (oltre 4,1 milioni di euro), alla minore congestione stradale (oltre 200 mila euro) e alla maggior sicurezza dei nuovi veicoli (700 mila euro), per un totale di 5 milioni di euro annui risparmiati.
Complessivamente, come evidenziato nel Report di Impatto, il modello ha permesso di stimare un incremento del valore per la collettività generato dalla flotta pari a 25 milioni di euro durante il suo totale periodo di operatività. Il Report, inoltre, illustra le attività di investimento responsabile promosse dal Gruppo a supporto dello sviluppo sostenibile del Paese.

Creare valore anche per la comunità

«Il nuovo modello di misurazione degli impatti – commenta Matteo Del Fante, amministratore delegato di Poste Italiane – fa emergere il fondamentale contributo di tutte le attività del Gruppo alla creazione di valore per l’intero Sistema Paese. I risultati ottenuti evidenziano l’impegno di Poste Italiane nel proprio percorso di sostenibilità e dimostrano che l’Azienda è in grado di creare valore per sé stessa e per la comunità in cui opera, generando un impatto positivo per l’intero territorio. Le attività e le iniziative intraprese dal gruppo – aggiunge l’Amministratore Delegato – contribuiranno al raggiungimento dell’obiettivo stabilito dall’Unione Europea di ridurre le emissioni interne di gas serra di almeno il 55% entro il 2030».
«I risultati pubblicati nel Report di Impatto – osserva Giuseppe Lasco, condirettore generale di Poste Italiane – sono una ulteriore dimostrazione del crescente impegno dell’Azienda nel promuovere una gestione integrata delle tematiche di sostenibilità, in linea con la crescente capacità del Gruppo di generare valore per la collettività, contribuendo al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite».




La moda e la guerra dell’e-commerce

La moda e la guerra dell’e-commerce

COME STANNO REAGENDO I MARCHI DEL LUSSO ALL’IMPENNATA DI ACQUISTI ONLINE DOVUTA ALLA PANDEMIA? E COSA STA ACCADENDO SUL FRONTE DEL RIUSO?

Solo un anno fa sarebbe sembrata una brutta fiction. Ma la pandemia ha rivelato quanto sia importante l’e-commerce per il futuro degli acquisti di moda. A differenza dell’industria musicale, che ha Spotify, o del settore alberghiero che ha Booking.com, l’industria della moda non ha un singolo attore online dominante. Tra Stati Uniti e Cina ora infuria la battaglia e in questo caso non sono i designer ma gli ingegneri high-tech e i finanzieri delle conglomerate quotate in borsa a fare da protagonisti. In occidente c’è Amazon in Oriente Alibaba. In mezzo i tre più potenti gruppi del lusso a mondo.

I MARCHI DI LUSSO E LE VENDITE ONLINE

Negli ultimi tre mesi Richemont (che include, fra gli altri, Cartier e Van Cleef & Arpels) e Alibaba hanno annunciato di voler investire 1,1 miliardi di dollari in Farfetch. Anche Kering (che include, fra gli altri, Gucci, Saint Laurent, Alexander McQueen) ha aumentato la sua partecipazione in Farfetch con ulteriori 50 milioni di dollari. In questo modo due tra i più grandi gruppi del lusso hanno potenziato due delle più potenti piattaforme di e-commerce: Farfetch e Yoox/Net-a-Porter, anch’esse di proprietà di Richemont.
I marchi di lusso sono arrivati ​​in ritardo ad abbracciare l’e-commerce. Tuttavia quando la pandemia ha costretto molti negozi a chiudere non hanno avuto altra scelta. Gli acquisti online hanno raggiunto i 58 miliardi di dollari nel 2020, rispetto ai 39 miliardi del 2019: dal 12 al 23% delle vendite globali di questo settore in meno di dodici mesi.

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Durante questo 2020 Amazon ha intrapreso due iniziative. Ha aperto specifiche vetrine virtuali negli Stati Uniti e in Europa tra maggio e ottobre. In secondo luogo, ha introdotto la app Luxury Stores orientata ai 150 milioni di suoi abbonati Prime. Qui i marchi presenti controllano direttamente il modo in cui i loro prodotti vengono presentati, dissipando i timori sulla mancanza di selettività dei prodotti proposti. Sull’altro versante l’alleanza di Richemont-Alibaba in Farfetch sottolinea come il colosso cinese dell’high-tech sia stato in grado di aggirare alcuni dei problemi che i marchi di lusso hanno con Amazon. Il suo Tmall Luxury Pavilion ha attirato con successo quasi 200 nomi di fascia alta. A causa delle recenti restrizioni sui viaggi internazionali, i consumatori cinesi (rappresenteranno 178 miliardi di dollari di spesa nel lusso entro il 2025) che erano soliti concedersi il lusso di acquisti all’estero ora lo fanno da casa. Ora che Richemont (insieme a Kering) si sono alleati con Alibaba, si fa concreta la possibilità di creare un gruppo di e-commerce di lusso di enorme massa critica che lega questi conglomerati con l’Asia.
E tuttavia la fibrillazione continua. Amazon, passo dopo passo, sta affilando le armi. Inoltre l’alleanza di Richemont con Alibaba potrebbe cannibalizzare i fatturati di Farfetch. E ancora molti marchi di lusso desiderano controllare i canali digitali che li collegano ai consumatori ovunque si trovino nel mondo, senza che siano coinvolte terze parti. Come accade ad esempio con LVMH (che include Louis Vuitton, Dior, Celine, tra gli altri), il più grande gruppo di lusso al mondo per cui l’e-commerce rappresenta dal 2020 oltre il 10% dei suoi 53,7 miliardi di euro di entrate. Il suo presidente Arnault ha preferito investire nella piattaforma all’ingrosso 24 Sèvres, creata nel 2017, che però continua a perdere denaro.

La Home page di Mytheresa
La Home page di Mytheresa

GLI “OUTSIDER” CHE SI STANNO FACENDO NOTARE

La partita per il dominio miliardario dell’online si gioca dunque sulle due sponde del Pacifico. Ma un settore estremamente dinamico come questo non esclude a priori che in futuro possano emergere altri competitor. La piattaforma tedesca Mytheresa, ad esempio, ha registrato un fatturato netto consolidato di 450 milioni di euro per il 2020, in crescita del 19%. Mentre Farfetch offre più di 3500 marchi, Mytheresa ne ha 250 appena. Il numero “ristretto” le conferisce una configurazione agile: Mytheresa non è il più grande tra i competitor, ma è sicuramente tra i più influenti. Altro player con “piccoli” assortimenti è MatchesFashion, che ha dimensioni paragonabili a Mytheresa: già tre anni fa, la sua valutazione si aggirava intoro al miliardo di dollari. Alla stessa categoria appartengono poi app come The Yes e il motore di ricerca di moda tedesco Lyst.
E per fortuna c’è dell’altro. GenZ e Millennial hanno sviluppato un modo diverso di guardare al “bling-bling” del fashion da fine Novecento. Così accade che ovunque spuntino iniziative difficilmente controllabili anche dai miliardi cinesi, da fondi di investimento o azioni di private equity. Così è accaduto per Menage Modern Vintage. Da quando la quarta stagione di The Crown è apparsa su Netflix, i social si sono popolati di dichiarazioni di desiderio per i colletti pie-crust, gli abiti floreali con maniche a sbuffo e le power jacket degli Anni Ottanta, immortalate dalla principessa Diana. La costumista della serie li ha reperiti in una casa di Fitzroy Square a Londra, dove Chiara Menage, un’elegante ex produttrice cinematografica di 54 anni, gestisce uno shop online di abbigliamento vintage dal suo tavolo di cucina. Per alcuni item della collezione il 100% del ricavato viene devoluto a sostenere persone che soffrono di abusi domestici. Solo un caso virtuoso e fortunato? Certamente una nicchia, ma il resale nel suo complesso è velocemente diventato molto più che di nicchia. Persino LVMH si sta avvicinando rapidamente. Interpellata in proposito dal New York Times Antoine Arnault (figlio del magnate e responsabile dell’immagine, delle comunicazioni e dell’ambiente di LVMH) ha risposto. “È un’economia che esiste, che sta crescendo in importanza, quindi la stiamo esaminando attentamente… È qualcosa che integreremo progressivamente perché è un altro modo per prolungare la vita dei nostri prodotti”.
Sino a ora il resale era stato avvicinato dall’industria del lusso solo attraverso peer-to-peer, come accade per The RealReal. Ma la crescita – specie tra i giovani consumatori ‒ velocissima di nuove iniziative come l’inglese Depop, la francese Vestiaire Collective o l’americana Thredup lo rendono sempre più attraente.




Cosa deve insegnare la vicenda Guzzini agli imprenditori

Cosa deve insegnare la vicenda Guzzini agli imprenditori

La giornata del 15 dicembre non deve essere stata facile per Domenico Guzzini, neo Presidente di Confindustria Marche ed organizzatore dell’evento “made for Italy per la moda”.

Una sua dichiarazione prontamente ribattuta su twitter (presumibilmente, ci dicono i nostri “insider” sul luogo) da un giornalista di Sky presente all’evento (e anche piuttosto pratico con lo strumento da aver protetto il tweet da possibili cancellazioni) ha fatto in breve il giro del web scalando la classifica dei TrendTopic della giornata. Con conseguenze tutt’altro che irrilevanti sia per la Persona, per il ruolo e soprattutto per l’azienda che rappresenta (e per la responsabilità nei confronti dei propri dipendenti).

Dalla nostra analisi emerge che le citazioni online sono state relativamente poche, circa 6 mila, convolgendo direttamente [like + commenti + condivisioni] oltre 42 mila persone. Elevatissima però l’amplificazione mediatica, e infatti, come mostra l’infografica sottostante, tali volumi hanno generato una portata potenziale, o meglio un numero di “opportunity to be seen”, di più di 13.6 miliardi di impression, che stimiamo ragionevolmente essere pari a 684 milioni di impression effettive, al lordo delle duplicazioni.

Fonte: Data Media Hub

La Persona, l’azienda.

Domenico Guzzini è imprenditore di terza generazione. Una laurea in economia e una storia mono aziendale lo portano nel 2005 ad essere direttore marketing e Presidente di Fratelli Guzzini. Un marchio (solo uno dei tanti fiori all’occhiello di una regione di cui troppo poco si parla ma che ha nascosto per anni eccellenze come Indesit, Poltrona Frau, Elica e tante altre portate alla storia industriale dai nonni e dai padri di origine contadina per vederle poi svilire da figli laureati col macchinone nel parcheggio) che nel corso del tempo ha conseguito tantissimi premi di design compreso due Compasso d’Oro nel 1991 e nel 2004, nonché la presenza al Moma di NewYork e all’ Albert Museum di Londra.

L’imprenditore, a gennaio di quest’anno, in piena pandemia vince il titolo di Presidente di Confindustria con il discorso minestrone standard: “contaminazione, condivisione, fare sistema e inclusione, economia circolare, digitalizzazione dell’impresa, credito alle imprese, internazionalizzazione, infrastrutture e pubblica amministrazione” le parole ricorrenti e confortanti per il pubblico dei suoi elettori industriali.

Persone semplici a cui piace ascoltare sempre la stessa sinfonia che parla di un futuro da guardare il più possibile di schiena, per lasciare tutto com’è.

Ma se da una parte anche chi lo conosce bene lo tratteggia come una Persona senza particolari doti intellettuali e spesso incline a qualche discorso da bar, non si può dire che di fronte a un contraddittorio minimamente più strutturato ritorni sui suoi passi e ammetta la sua inadeguatezza su certi temi.

Non per niente, durante la pandemia Guzzini è stato fra le Persone più generose (e silenziose) nei confronti degli ospedali e nei confronti di ONG di medici e infermieri. Oltre al fatto di aver perso dei cari per colpa del Covid, il che rende la sua frase ancor più inspiegabile.

Nelle ore immediatamente successive alla brutta dichiarazione, con evidente ingenuità al netto di qualsiasi suggeritore di professione, si è reso conto della gravità della dichiarazione. E se ne è scusato.

Non c’è giustificazione, ma almeno gli va dato atto di aver evitato il patetico teatrino dei “fraintendimenti” o dell’”estrapolazione di frasi dal contesto” con cui spesso si sono difesi imprenditori o politici. A dimostrazione di un “background” molto terrestre e poco incline agli arzigogoli da comunicatori.

La rete, che non cambia mai.

Chi da questa storia ne esce altrettanto male, come sempre è la rete. La violenza con cui ci si schiera contro (o a favore) del politico di turno fa rabbrividire. Madri di famiglia, studenti modello, consulenti in cerca di visibilità si trasformano in bestie affamate di sangue. E qui non si capisce più quale sia il labile confine fra accusato e accusatori.

Purtroppo, ci siamo dovuti sorbire anche la paternale del virologo Galli, che come ormai è noto, ha un’opinione praticamente su tutto che ogni sera dispensa su vari canali, dove sembra aver trasferito il suo ambulatorio.

I franchi tiratori: Confindustria

La posizione di Confindustria è a mio avviso ancora più disonesta. Abituati a difendere anche il peggiore dei propri rappresentanti, alcuni dei quali con pesantissimi problemi di legalità (vedi alla voce Marcegaglia, solo per fare un esempio) o di legittimità (come il neo presidente Bonomi, imprenditore senza impresa alcuna), Confindustria non si è minimamente posta il problema di ergersi a paladino dell’etica e della responsabilità sociale.

Per fortuna non tutti in Italia hanno la memoria del pesce rosso e qualcuno si è ricordato quanto ben indagato da Report nei mesi caldi del lockdown.

Molto sospetti – e sarebbe opportuno indagare – gli account twitter con 1-2 follower di rappresentanza, particolarmente attivi nella giornata di ieri.

Il boicottaggio

E infine, la richiesta di boicottaggio. Fratelli Guzzini, come tantissime aziende del nostro Paese sta soffrendo la crisi dovuta alla pandemia. Grazie ad alcune fortunate iniziative di co-marketing con la GDO, l’impresa è riuscita a tenere testa al difficile momento.

Il tema di alcuni tweet di queste ore riguarda il boicottaggio nei confronti dell’azienda, che in quanto tale, è composta da dipendenti e dalle loro famiglie (150 per la precisione) che con le dichiarazioni del loro imprenditore credo che poco abbiano a che spartire.

Credo sia il caso di immedesimarsi e immaginarci quante cazzate dice il nostro Capo nell’arco di una settimana e cosa succederebbe se quelle frasi arrivassero alla stampa e qualcuno ne chiedesse riscontro.

La dura legge del Web (e della scarsa cultura d’impresa)

Alla fine, questa è l’ennesima pessima storia di comunicazione che farà scuola nelle lezioni dei socialmediacosi che almeno dai tempi di Dolce e Gabbana (e prima ancora Barilla), attendevano qualcosa di succoso con cui riempire le slide. A proposito, ve ne regalo una. La pagina Facebook di Confindustria Macerata da due giorni si presenta così:

Per non parlare del servizio di checkup che Confindustria Macerata propone ai suoi iscritti per la valutazione del processo di comunicazione aziendale!

Le risorse impiegate nel processo di comunicazione aziendale rappresentano un investimento sicuro, tangibile e permette un ritorno in termini di stabilità, affidabilità e notorietà.
Questo check up aiuta ad analizzare gli aspetti negativi e positivi che determinano il proprio processo di comunicazione aziendale, valutandone l’adeguatezza con lo scopo di aiutare le aziende a definire piani di miglioramento in modo pratico ed attento all’utilizzo delle risorse disponibili.

Ma ancor di più è la sconfitta dei self-made-man, degli imprenditori (soprattutto di aziende familiari) e di una cultura imprenditoriale che si confronta poco con l’esterno, che si ritiene impermeabile alla formazione e agli aggiornamenti, autoreferenziale al punto tale da ritenersi essa stessa l’unica fonte di informazioni valide ed utili alla concimazione del “si è sempre fatto così”.

Oggi, Domenico Guzzini si è dimesso. Questo tuttavia non ci assolve dal dovere di mantenerci umani, sia quando parliamo, sia quando ascoltiamo.




In Gran Bretagna apre la prima stazione di servizio elettrica: ricarica in 20 minuti e negozi e bar per ingannare l’attesa

L’Electric Forecourt si trova a Braintree, nell’Essex, ed è la prima di 100 che verranno installate nel Paese: “Iniziamo il passaggio verso la mobilità sostenibile”

Una stazione di servizio interamente dedicata alle auto elettriche: succede in Inghilterra, per la precisione nell’Essex, dove nei giorni scorsi è stata inaugurata la prima stazione di ricarica “green” del Paese.

L’Electric Forecourt è stata aperta a Braintree, e può fornire sino a 350 kW di potenza per un massimo di 36 auto alla volta, consentendo di allungare l’autonomia di 300 km di autonomia in 20 minuti (tra i 36 caricatori ci sono anche 6 supercharger di Tesla). L’energia proviene da uno dei primi parchi solari senza sovvenzioni del Regno Unito, realizzato a Clayhil, nel Bedfordshire, sfruttando pensiline solari e una batteria in grado di immagazzinare energia sufficiente per guidare quasi 40.000 chilometri.

La stazione di ricarica è firmata da Gridserve, una società specializzata in energia pulita che prevede di aprirne altre 100 nei prossimi cinque anni grazie a un investimento miliardario: una notizia, quella dell’inaugurazione, che arriva a poche settimane dall’annuncio del governo britannico dello stop alla vendita dei motori a combustione non più a partire dal 2040, ma già dal 2030.

“È nostra responsabilità collettiva impedire che le emissioni di gas serra aumentino ulteriormente, e i veicoli elettrici alimentati da energia pulita rappresentano gran parte della soluzione – ha spietato Toddington Harper, fondatore e amministratore delegato di Gridserve – Tuttavia, la ricarica deve essere semplice e priva di ansia, motivo per cui abbiamo progettato i nostri Electric Forecourt interamente intorno alle esigenze dei conducenti, aggiornando il modello di stazione di servizio tradizionale per un mondo a zero emissioni e offrendo la sicurezza di cui le persone hanno bisogno, iniziando il passaggio al trasporto elettrico oggi, un decennio prima del divieto del 2030 sulle auto a benzina e diesel”.

Gridserve ha approfittato dell’occasione per lanciare, inoltre, un nuovo servizio di noleggio di veicoli elettrici in collaborazione con Hitachi Capital: “Le persone ora hanno la fiducia necessaria per effettuare la transizione a un veicolo elettrico – ha concluso Harper – Questo perché sanno che la ricarica è a portata di mano, ed è un procedimento meno costoso rispetto a un’alternativa a benzina o diesel”.

©Giles Christopher

Il costo della ricarica è infatti di 24 centesimi a KWh, che si traduce in meno di 10 sterline per una ricarica che va dal 20 all’80%: la tariffa è quella di lancio, ma l’azienda ha in programma di inserire un listino prezzi variabile in futuro. Alle colonnine di ricarica, la stazione affianca diversi negozi e bar per ingannare l’attesa, wi-fi gratuito, una zona bambini, un’area benessere con cyclette che generano elettricità, e persino sale riunioni aziendali.

“Il nostro governo è impegnato ad aumentare la diffusione dei veicoli elettrici, per ripulire l’aria e consentirci di raggiungere le emissioni nette di carbonio zero il più rapidamente possibile, motivo per cui abbiamo appena anticipato il divieto di nuovi benzina o diesel al 2030 – ha commentato James Claverly, ex presidente dei Conservatori e oggi deputato per Braintree, che ha partecipato all’inaugurazione – L’Electric Forecourt è la struttura di ricarica più avanzata al mondo e sta sperimentando l’infrastruttura di livello mondiale necessaria per supportare le nostre politiche e promuovere la fiducia di cui abbiamo bisogno per passare al trasporto sostenibile nel Regno Unito “.