1

Sistemi neurali complessi: dagli oceani, una lezione per le aziende

Sistemi neurali complessi: dagli oceani, una lezione per le aziende

In un bell’articolo per la London Review of Book, Amia Srinivasan, filosofa specializzata in epistemologia della scienza e docente all’Università di Oxford, ha analizzato nel dettaglio la fisiologia di un affascinante protagonista del regno sottomarino, il polpo, concentrando in particolare le proprie riflessioni sul funzionamento del sistema nervoso di questo singolare animale.

Il polpo è un animale tanto straordinario quanto poco conosciuto nelle sue peculiari caratteristiche: il suo corpo è costituito esclusivamente da tessuti molli, senza ossa, e senza una forma fissa predefinita; il polpo gigante del pacifico, che è la più grande specie conosciuta, con un’apertura massima delle sue braccia di circa 6 metri e quasi 50 chili di peso, può passare da fessure larghe due centimetri e mezzo; il polpo può sollevare senza alcuno sforzo con ognuna delle sue 1.600 ventose pesi da oltre 10 chilogrammi; tutte le specie di polpi hanno tre cuori che pompano sangue di un curioso colore verde-azzurro; dispongono di un particolare sifone tubolare che usano per una specie di propulsione a getto, che permette all’animale di allontanarsi rapidamente da zone di pericolo, ma anche per difendersi con robusti schizzi di inchiostro scuro; il polpo non ama la cattività, prova ne sia che vi sono innumerevoli racconti di ricercatori scientifici che hanno documentato i tentativi di “evasione” di polpi dai laboratori, ad esempio attraverso i tubi di scarico dei servizi igienici, oppure tentativi di vero e proprio sabotaggio, tappando le valvole delle vasche e allagando così i laboratori stessi; inoltre, non hanno un colore stabile e fisso, nel senso che possono cambiare la propria dominante cromatica e mimetizzarsi agevolmente con qualunque superfice, fino a diventare quasi invisibili, ma altresì cambiano colore anche in base al proprio “umore” (ad esempio, alcune specie di polpi diventano bianchi se carezzati a lungo); inoltre, gli esperimenti dimostrano che il polpo prova sofferenza e angoscia e percepisce il dolore, ovvero protegge le parti del corpo ferite e non ama essere toccato vicino alle lesioni. Inoltre, i polpi sono a loro modo gourmand, ovvero hanno uno spiccato senso del gusto e dell’olfatto, per nulla comune negli organismi marini.

Ma gli aspetti più intriganti – scrive la Srinivasan – sono relativi al particolare cervello di questo cefalopode, alle sue caratteristiche e alle modalità di funzionamento. Contrariamente alla narrazione dominante in letteratura e in cinematografia, che oscilla tra piovre giganti assassine e viscidi polpi strangolatori, in realtà il carattere del polpo è tendenzialmente mite e curioso: sono documentati casi di polpi che si sono avvicinati a esploratori subacquei e li hanno “raggiunti” con una delle loro braccia, agganciati in modo delicato e stupefacente, e portati a fare una breve passeggiata nell’ambiente circostante, per poi lasciarli andare per la propria strada. In laboratorio, i polpi si adattano facilmente a situazioni inedite, riescono a orientarsi nei labirinti, usano la propria memoria per risolvere semplici rompicapi, imparano a svitare i coperchi dei barattoli per procurarsi del cibo (anche quelli testati “a prova di bambino”).

Il sistema nervoso centrale del polpo conta un totale di circa mezzo miliardo di neuroni, pochi rispetto ai 100 miliardi del cervello umano, ma allineato come massa a quello del miglior amico dell’uomo, tutt’altro che ottuso, il cane, e vanta inoltre un elevato rapporto tra volume cerebrale e volume corporeo: un indizio prezioso, dal punto di vista evoluzionistico, per comprendere quanto questo animale, ci ricorda la Srinivasan nel suo articolo, “investa sulla propria attività cognitiva”.

In realtà, il cervello del polpo ha poco a che vedere con la struttura del sistema nervoso degli altri animali: buona parte dei suoi neuroni e delle sue sinapsi, sorprendentemente, sono all’esterno della sua testa, ovvero sono sparsi sulle sue braccia, come anche nelle sue ventose, in quanto conta oltre 10.000 neuroni per ognuna di esse. Tramite le braccia, quindi, il polpo percepisce sapori e odori e vanta anche una memoria locale a breve termine. Le braccia vantano una notevole autonomia, prova ne sia che un braccio di polpo tagliato chirurgicamente può continuare a tendersi, cambiare colore per mimetizzarsi e anche afferrare oggetti; tuttavia, il suo sistema nervoso centrale può riprendere il controllo della situazione, all’occorrenza. Inoltre, i polpi hanno percezioni visive in tutto il proprio corpo, in quanto – sottolinea la Srinivasan – “si è scoperto che i polpi hanno fotorecettori non solo negli occhi ma anche nella pelle, che manda al cervello le informazioni ambientali ricevute ma è anche in grado di elaborarle da sé”.

Un corpo fisico “di per sé intelligente e pensante” nella sua totalità, ci ricorda Peter Godfrey-Smith – filosofo, professore all’Università di Sidney e scrittore di un affascinante volume sull’origine profonda della coscienza di sé nel mondo animale, nonché esperto sommozzatore che da molti anni studia proprio i polpi – e non un mero esecutore degli ordini del cervello: una struttura neurale assai interessante da analizzare, specie per chi si occupa di studiare sistemi e comportamenti complessi. Inoltre, una chiave di lettura anche per chi studia medicina dei sistemi, ovvero le regole che governano la sinergica correlazione che esiste tra tutti – nessuno escluso – gli organi che compongono il corpo umano, nonché la funzione del microbiota intestinale in grado di condizionare il funzionamento del nostro cervello. Tematiche queste che incrociano l’affascinante disciplina dell’epigenetica, che studia lo stretto rapporto esistente tra l’intero organismo umano e l’ambiente, e, per contro, vorrei aggiungere, il ruolo del genere umano come fattore di condizionamento – culturale e non solo – dell’intero Pianeta, in circolo virtuoso dagli anelli così strettamente concatenati da risultare semplicemente inscindibile.

Un particolare filo rosso mi pare colleghi la fisiologia del sistema nervoso del polpo con i meccanismi di funzionamento delle organizzazioni complesse, le aziende in particolare, che tanta importanza hanno nel mantenimento dell’omeostasi della nostra società e dal cui corretto funzionamento dipende anche il grado di entropia della stessa.

La già citata medicina dei sistemi è l’ applicazione della Teoria dei sistemi alla più moderna medicina, e assimila la complessità degli organismi viventi a una rete di reti, composta da genoma, molecole, cellule, organi, andando oltre, fino all’ ambiente che circonda l’ organismo e alla potenziale influenza sul corpo umano delle reti create dagli individui nelle società.

I sistemi biologici, e i percorsi e gli elementi al loro interno, sono infatti dotati di una miriade di connessioni organizzate in reti tipiche; nel rispetto dei modelli validati da Ludwig Von Bertalanffy, padre di questa teoria, l’ organismo umano andrebbe appunto interpretato come un sistema complesso le cui parti sono fortemente dipendenti l’ una dall’ altra.

Come ho ricordato nel mio recente saggio dal titolo Apri la tua mente, il celebre biologo austriaco ne diede una definizione a mio avviso straordinaria: “L’organismo vivente è un sistema di flusso in equilibrio dinamico”, ovvero è un network aperto in comunicazione diretta con l’ambiente esterno, all’interno del quale fluiscono continuamente fattori perturbatori e stressori, ma che è in grado di adattarsi in continuazione agli stimoli endogeni o esogeni, mantenendo appunto un proprio equilibrio, che in medicina chiameremmo stato di salute.

I ricercatori si sono chiesti a lungo come avvenisse la “conversazione” fra le cellule, domanda alla quale è stato possibile rispondere solo recentemente, rivalutando l’importanza del tessuto connettivo, la matrice cellulare, nella quale i microtuboli delle cellule sono immersi, embedded. Matrice che è appunto fondamentale, perché se essa rimane plastica, morbida e permeabile, facilmente le molecole messaggere – ormoni, neuropeptidi, citochine, etc. – potranno attraversarla; se – viceversa – la matrice è rigida, ovvero anziché una “gelatina idratata” diventa, per usare una metafora, un “gomitolo infeltrito”, le molecole che da una cellula dovranno arrivare a un’ altra, come una parola che viaggia nell’ aria, non riusciranno a muoversi con la necessaria velocità ed efficacia, e non giungeranno alla cellula destinataria, stimolandola come desiderato.

Una domanda allora potrebbe sorgere spontanea: serve “urlare”, per inviare messaggi in modo adeguato? A livello cellulare certamente no, il “volume” con cui comunicano tra loro le cellule è molto basso: le cellule “sussurrano” tra loro, grazie a quantità infinitesimali – picogrammi – di ormoni e molecole messaggere. Aspetto, questo, assai interessante perché un’azienda comunica costantemente al proprio interno con le persone, e poi con gli stakeholder esterni a essa, ma se lo spazio attraverso il quale viaggia la comunicazione, che connette le varie sezioni dell’organigramma di un’organizzazione e poi le varie organizzazioni tra loro, non è plastico e non è pulito, il miglior messaggio, per quanto più accattivante e motivante, non verrà correttamente percepita dal ricevente.

È bene ribadirlo: la vita stessa – in effetti – è comunicazione, principio di stingente attualità anche all’interno delle organizzazioni sociali e aziendali. Non solo le singole cellule di un organismo – biologico o sociale – dialogano fra loro, ma esse dialogano anche con l’esterno, esattamente come, all’interno di un organigramma aziendale, ogni singolo componente deve essere posto in condizione di dialogare sia verticalmente che orizzontalmente con gli altri membri del gruppo, secondo un modello più vicino a un modello sociometrico di Moreno, nel quale ogni punto è connesso anche con gli altri, che non a una stella tradizionale che prevede connessioni solo con il proprio centro, intuizione questa che si scontra con la quali totalità dei tradizionali paradigmi che regolano il fluire delle informazioni, dei pesi e dei rapporti di forza all’interno delle aziende.

Proseguendo nell’analisi delle analogie tra i sistemi biologici e quelli sociali come le aziende, possiamo affermare che un tessuto umano sottoposto a continui fattori stressori, competitivo, fortemente gerarchizzato, vittima di stili di gestione vecchia maniera, centralizzati, ossessivamente controllati fin nei minimi dettagli a totale detrimento della creatività del singolo componente del gruppo, vedrà ridursi la capacità di sopravvivenza dell’intera organizzazione, che trae linfa vitale anche dell’espressione delle peculiari competenze di ognuno dei suoi membri.

Come le tossine, inquinando la matrice extracellulare limitano la funzionalità delle cellule e la corretta comunicazione all’ interno dei sistemi biologici, egualmente varie male pratiche nella gestione della risorse umane, della comunicazione interna e della costruzione di relazioni tra i vari settori dell’organigramma aziendale, possono alterare la corretta circolazione delle informazioni all’ interno delle imprese, limitando la loro capacità di raggiungere gli scopi per i quali sono state all’origine create.

Mi piace ricordare che le più recenti scoperte scientifiche dimostrano che un ruolo chiave nella gestione di questo complesso tipo di relazioni è ricoperto – sorprendentemente – dalle emozioni, che potrebbero essere classificate come molecole sine materia. Le cellule infatti non sono sensibili solamente al contatto con una molecola, ma anche agli stimoli generati delle emozioni, che possono stimolare a loro volta la produzione di molecole messaggere. Nel 2006, la rivista scientifica PsycoNeuroEndocrinology ha pubblicato a tal proposito un lavoro molto interessante, che ha dimostrato come aumentati livelli plasmatici di NGF – il Nerve Grown Factor, il fattore di crescita scoperto da Rita Levi Montalcini, che mantiene giovane e plastico il cervello – sono associati con condizioni di amore romantico passionale negli stati precoci; il passaggio a un livello d’ interazione superiore, da micro a macro, con l’ ipotesi di oltre sette miliardi di esseri umani interdipendenti che comunicano tra loro armonicamente anche grazie alle molecole sine materia costituite dalle emozioni, è assai affascinante come ipotesi di studio. D’ altra parte, il banale stato di collera e irritazione tra individui o tra gruppi d’individui porta con sé modificazioni fisiologiche negative – confermate da innumerevoli studi scientifici – come la produzione di cortisolo e altri ormoni dello stress.

A tal proposito, un altro lavoro assai interessante è quello pubblicato nel 2013 sulla rivista Brain, Behaviour and Immunity, in cui un gruppo di ricercatori nippo-americani ha messo in correlazione l’aumentare di intensità di un’emozione negativa (rabbia, rancore, o tristezza) con l’aumentata produzione di un marker di infiammazione: questo marker è l’Interleuchina 6, che indica appunto la presenza di infiammazioni croniche nell’ organismo. È ormai sempre più solida la letteratura che tende a estendere questo genere di fenomeni, inizialmente rilevati nei singoli organismi biologici, anche alle reti sociali complesse, e le aziende in tal senso non fanno certamente eccezione.

Siamo tutti, appunto, parte di un sistema di flusso in continua relazione al nostro interno e con gli altri esseri umani, e non solo, anche in contatto virtuoso/vizioso con l’ambiente. La salute allora probabilmente significa tanto buona comunicazione fra le cellule, quanto, in senso più esteso, buona comunicazione tra l’essere umano e ciò che lo circonda, nonché buona comunicazione all’interno e tra gruppi sociali.

Un concetto che pare assai attuale, e che i comunicatori di professione dovrebbero tener presente: spesso ci concentriamo sull’atto, sul fatto che trasmittente e ricevente inviino segnali e messaggi, presi come siamo dal bulimico stimolo a raggiungere risultati quantitativamente più elevati del periodo precedente al fine di giustificare il nostro ruolo all’interno dell’azienda, o ancor più spesso sul mero volume del messaggio, senza considerare quel che c’ è in mezzo: mentre è proprio quello spazio, pulito e plastico o al contrario infiammato e rigido, che realmente può rivelarsi decisivo nel favorire o meno la comunicazione e quindi il raggiungimento degli scopi ultimi dell’organizzazione, tra i quali, legittimamente, il profitto.

Se il passaggio dal piano dei sistemi biologici a quelli dei sistemi sociali pare a questo punto del tutto naturale, è viva la necessità di tentare di immaginare a una forma di “drenaggio” che possa ripulire al meglio la matrice che connette tutti i membri di un’organizzazione al proprio interno e poi essa con le altre organizzazioni che la circondano; l’attività di efficace depurazione dall’inquinamento comunicativo ed emozionale effettuata limitando la circolazione di messaggi inutili o dannosi all’ interno e all’ esterno dell’azienda, ed evitando di adottare modelli disfunzionali e contrari ai principi che ho richiamato in questo articolo, pare quindi essere fondamentale.

Quali variabili occorre allora prendere in considerazione per valutare il grado di funzionalità ed efficacia dei modelli adottati da un certo ambiente umano, come un’impresa orientata al raggiungimento di fini di carattere economico, ed eventualmente intervenire a fini correttivi? Innanzitutto, il raggio d’azione, che è anche un metodo elementare per determinare il grado di “complessità” del network; l’incertezza della rete: relativa (distanza tra input e feedback) e assoluta (di “missione”, che ha a che fare con la totale, o meno, chiarezza e accessibilità per tutto il gruppo delle policy interne), laddove un basso grado di “incertezza” è funzionale a garantire la capacità di “ammortizzare” cambiamenti e mutazioni; il grado di “formalizzazione”: esiste un rischio di “gerarchizzare” delle risorse spontanee di un modello orizzontale? (conta l’intenzione dei promotori, ma anche la percezione soggettiva da parte dei soggetti coinvolti); inoltre, il grado di connettività: il ruolo del/dei leader, “centralità” versus “centralizzazione”, il leader come broker, mediatore equidistante tra tutte le parti in gioco, perché solo così al leader viene riconosciuto un qualche ruolo, ed il potere in un network sociale è dato dal ruolo che viene riconosciuto, da ciò derivano il prestigio e la leadership; infine, la densità dei rapporti: chi è connesso con chi, il leader deve sempre essere un “via” o esistono connessioni indipendenti da esso?

Solo una corretta analisi e contemperazione del peso di tutti questi elementi darà come risultato una “rete perfetta”, dove la comunicazione potrà fluire in modo realmente efficace, priva di rallentamenti e d’inutile e fastidioso rumore di fondo.

Da questo punto di vista, la fiducia e la cooperazione nel lungo periodo paiono rappresentare il capitale sociale di maggior valore per garantire equilibrio, funzionalità ed efficacia all’interno di un gruppo umano organizzato qual è un’impresa, fattori che sono veri generatori di profitto.

Per tentare di giungere a questi risultati, quale migliore modello di riferimento se non quello dei polpi, che – lungi dall’adottare un sistema verticistico di controllo degli impulsi neurali, si fanno forti di un sistema nervoso diffuso, dove ogni parte del corpo, ogni singola ventosa, ha una propria dignità, un proprio ruolo, una propria autonomia, e nel contempo una correlazione con le altre parti, e infine, armonicamente, con il sistema nervoso centrale? Esattamente come dovrebbe essere all’interno di sistema sociale in equilibrio dinamico, composto d’individui strettamente in correlazione tra loro, qual è un’azienda.

Un modello di pensiero – e poi necessariamente di azione – che rompe i tradizionali schemi aziendali rigidi e gerarchizzati e ri-pone al centro l’Uomo, con un approccio non dialogico-sequenziale, bensì necessariamente circolare e complesso.

Mi piace concludere ricordando – come scrive la Scrinivasan nel suo bell’articolo – che la maggior parte dei polpi ha una vita molto stimolante e ricca di esperienze ma nel contempo assai breve: muoiono mediamente in soli due o tre anni, generalmente dopo essersi riprodotti; le organizzazioni sociali umane hanno invece sempre l’ambizione di sopravvivere ai propri stessi creatori, come dimostra – per citare un lovemark – la Apple di Steve Jobs.

Forse il mondo della natura, una volta di più, nella sua serena relativa immutabilità, può essere autorevole suggeritore e ispiratore di buone prassi e di nuovi modelli centrati innanzitutto sulla consapevolezza e sul pensiero complesso, utili da applicare in questo nuovo millennio nei processi di management delle aziende, al fine di valorizzare al meglio il più importante, prezioso e insostituibile dei capitali: quello Umano.

Luca Poma

Breve bigliografia/sitografia:

  • Bocchi G., Ceruti M., “La sfida della complessità”, Bruno Mondadori, Milano (2007)
  • Emanuele, E.; Geroldi, D. et al., “Raised plasma nerve growth factor levels associated with early stage romantic love”, in PNEC Psiconeuroendocrin.ology, (2006), 31, pp. 288-294
  • Fano, R.M., “Transmission of information; a statistical theory of communications”, Cambridge (Massachusetts), M.I.T. Press, 1961
  • Fromm J., “The emergence of complexity”, Kassel University Press (2004)
  • Gandolfi A., “Formicai, imperi, cervelli: introduzione alla scienza della complessità”, Bollati Boringhieri (1999)
  • Gandolfi A., “Vincere la sfida della complessità”, Franco Angeli (2008)
  • Godfrey-Smith, P; “Other minds: the octopus and the evolution od intelligent life”, Collins, 255 pp., marzo 2017;
  • Ludwig von Bertalanffy, 1968, “General System Theory. Development, Applications, George Braziller”, New York, trad. it. Teoria generale dei sistemi, Oscar saggi Mondadori, 2004
  • Mella, P., “Dai sistemi al pensiero sistemico”, Milano, Franco Angeli,1997
  • Miyamoto, Yuri, et al. “Negative emotions predict elevated interleukin-6 in the United States but not in Japan.” Brain, behavior, and immunity 34 (2013): 79-85.
  • Moreno J.L., “Sociometry, Experimental Method and the Science of Society. An Approach to a New Political Orientation”, Beacon House, 1951, New York
  • Morowitz, J.H., “The Emergence of Everything: How the World Became Complex”, Oxford, Oxford University Press, 2002
  • Parodi, F; “Sistemi, teoria dei”, Enciclopedia delle scienze sociali”, 1998, consultato il 28/12/20 su Treccani.it
  • Poma, L., “Human Social Responsibility: una nuova prospettiva per la CSR”, Milano, Ferpi News, 2010
  • Poma, L; “Apri la tua mente – Pensiero circolare e nuovi percorsi all’interno delle organizzazioni sociali complesse”, Libreria Universitaria, Padova, maggio 2020, ISBN 8833591980
  • Redazione Treccani.it, “Bertalanffy, Ludwig von”, consultato online il 28/12/20
  • Shannon C. E., “A Mathematical Theory of Communication, Bell system Technical Journal”, vol 27, lug e ott 1948
  • Simonetta, B; “Com’è cambiata Apple 8 anni dopo la morte di Steve Jobs”, articolo su Il Sole 24 Ore, Milano, 05/10/19, consultato online il 28/12/20 su ilsole24ore.com
  • Srinivasan, A; “The sucker, the sucker!”, London Review of Book, Vol. 39, n. 17, 07/09/17



Macerata, bufera su Guzzini: “Le persone sono stanche, pazienza se qualcuno muore”. Confindustria apre un procedimento

Possibili sanzioni nei confronti del presidente dell’associazione marchigiana. Lui si scusa: “Ho sbagliato”. ll video viene rimosso dai canali social

Le scuse non sono bastate. Dopo la bufera scatenata da quel video diventato virale sui social, Confindustria ha deciso di aprire una procedura nei confronti del presidente dell’associazione di Macerata Domenico Guzzini. L’iniziativa è del consiglio di indirizzo etico e dei valori associativi. La procedura prelude a possibili sanzioni o a un passo indietro da parte dello stesso Guzzini.

“Le persone sono un po’ stanche e vorrebbero venirne fuori, anche se qualcuno morirà, pazienza”. Questa la frase choc, della quale poi si è scusata, pronunciata dal presidente di Confindustria Macerata, Domenico Guzzini, parlando di Covid durante un evento on line dedicato alla moda.

All’evento “Made for Italy per la Moda”, organizzato dall’associazione degli industriali, hanno partecipato, tra gli altri, il presidente della Regione Marche, Francesco Acquaroli, il sindaco di Macerata Sandro Parcaroli ed esponenti di Confindustria Moda. Guzzini stava parlando della ricadute economiche della pandemia, indicando nella moda e nel turismo i settori che hanno sofferto di più. “Come sapete ci aspetta un Natale molto magro perché stanno pensando addirittura di restringere ulteriormente – ha aggiunto -. Questo significa andare a bloccare anche un retail che si stava rialzando per la seconda volta da una crisi e lo stanno rimettendo nuovamente in ginocchio. Io penso che le persone sono un po’ stanche di questa situazione e vorrebbero, alla fine, venirne fuori. Anche se qualcuno morirà, pazienza. Ma così, secondo me, diventa una situazione impossibile per tutti”.

“La paura per la malattia, lo stress provocato dalla mancanza di socialità, la pesantissima crisi economica che sta colpendo tante imprese: tutto vero e reale ma nulla può giustificare o attenuare la gravità di una frase del genere. È anzi un’aggravante che a pronunciarla non sia l’ultimo analfabeta digitale su un qualsiasi social network ma il più alto rappresentante di una associazione di categoria sul territorio, in un evento ufficiale”. È il commento del presidente Cna Macerata, Giorgio Ligliani. “La disumanità di quella frase non è tollerabile, faccio fatica solo ad ascoltarla – aggiunge -. Tutti siamo stanchi di questa situazione e, aggiungo, anche di questo tira e molla su ciò che si può e ciò che è vietato fare. Le imprese chiedono chiarezza e preferiscono magari aspettare ma per poi riaprire definitivamente e senza limitazioni”.

“Sinceramente chiedo scusa a tutti e in particolare alle famiglie toccate dal dramma del Covid, per la frase che ho pronunciato ieri nel corso del Forum Made For Italy. Ho sbagliato nei contenuti e nei modi. Parlavo della vita aziendale e delle prospettive del lavoro e invece, preso dalla discussione, ho fatto un’affermazione sbagliata, che non raffigura il mio pensiero né tantomeno quello dell’Associazione che rappresento”, spiega Guzzini. “Sono molto addolorato per la mia dichiarazione che, quando ho riascoltato, ho realizzato quanto fosse grave e distante da ciò che penso, cioè che il bene più importante della vita di ognuno di noi siano la salute e la famiglia”, aggiunge.

Confindustria Macerata ha deciso di chiudere la propria pagina Facebook, che ora appare “non disponibile”. Il video con l’intervento del presidente Domenico Guzzini è stato rimosso dai canali social e Youtube.




Aerei, la reputazione social delle compagnie: critiche alle low cost e accuse (politiche) ad Alitalia

L’indagine dell’azienda specializzata MR & Associati per il «Corriere» sugli ultimi tredici mesi: «Il Covid ha dominato il dibattito». I casi (e le gaffe) di easyJet ed Eurowings

Le critiche alle compagnie aeree spagnole per il servizio clienti e le misure anti-Covid, le accuse alle low cost sui voli cancellati e i ritardi nei rimborsi, gli attacchi ad Alitalia non per la qualità del prodotto offerto, ma per la gestione (politica) disastrosa degli ultimi trent’anni, tanto da arrivare a elogiare persino i miliardi di euro che il governo francese ha deciso di mettere in Air France pur di criticare la classe dirigente nostrana. Eccoli gli umori dei social italiani nei confronti delle aviolinee negli ultimi tredici mesi (da novembre 2019 a novembre 2020) secondo l’indagine che la società specializzata MR & Associati Comunicazione ha realizzato in esclusiva per il Corriere della Sera.

La metodologia

Il «web listening», spiega il documento di 26 pagine, «propone un’analisi qualitativa e quantitativa delle conversazioni su Twitter nel nostro Paese sulle principali compagnie aeree». Il Corriere ha fornito un elenco di 25 vettori — nazionali, continentali ed extraeuropei — da sottoporre a indagine. Gli esperti si sono concentrati sulle attività su Twitter perché «questo social consente di raccogliere tutti i dati di interesse a disposizione relativi ad ogni tema e di articolare un monitoraggio approfondito». Per ogni aviolinea, poi, l’analisi «fornisce una fotografia dell’andamento delle conversazioni, un’interpretazione del sentiment generato dai contenuti, i temi di discussione maggiormente associati al brand».

Aerei, la reputazione social delle compagnie: critiche alle low cost e accuse (politiche) ad Alitalia

I risultati

Nei tredici mesi analizzati Alitalia — che è la seconda compagnia aerea più utilizzata dagli italiani (21,29 milioni di passeggeri nel 2019 secondo l’Enac) — risulta la più citata con 283.400 menzioni. Per dare l’idea di quanto abbia quasi monopolizzato il dibattito social basti considerare che il secondo vettore più menzionato è Ryanair (41,4 milioni di passeggeri in Italia) con 32.900 riferimenti. Seguono easyJet (23.700 menzioni), Lufthansa (22.100) ed Emirates (12.800). «Non dimentichiamoci comunque la regola dell’80-20», sottolinea Pietro Raffa, partner e digital strategist di MR & Associati: «L’80% delle conversazioni social sono prodotte dal 20% degli utenti». Una minoranza decisamente chiassosa.

Il caso Alitalia

L’indagine spiega che la parola chiave «Alitalia» è stata utilizzata su Twitter da 15.100 autori diversi e da novembre 2019 a novembre 2020 ha prodotto 754.100 interazioni. Due i picchi rilevanti: a metà marzo e a metà maggio. La discussione virtuale sul vettore tricolore «riguarda principalmente gli investimenti del governo Conte» e il sentimento è «indubbiamente negativo», viene scritto. Ma «ancora più delle polemiche su brand e disservizi, nei contenuti Alitalia viene citata spesso per il significato che ha assunto nell’immaginario collettivo». «L’aviolinea risente meno del Covid-10 e più dell’aspetto politico», prosegue Raffa.

Aerei, la reputazione social delle compagnie: critiche alle low cost e accuse (politiche) ad Alitalia

Il confronto

E questo approccio lo si vede anche in altre aziende. Air France risulta citata a inizio 2020 nel caso del bambino trovato morto nel carrello di un Boeing 777 decollato dalla Costa d’Avorio e atterrato a Parigi. L’altro «picco» è a fine aprile-inizio maggio quando il governo ha dato l’ok a 7 miliardi di euro per salvare l’azienda in crisi per il coronavirus. Ma invece di criticare l’esecutivo transalpino — proprio come fatto con il governo Conte sul rilancio di Alitalia — «la classe dirigente francese è addirittura destinataria di elogi per questo intervento», prosegue Raffa. «Alitalia soffre il passato: ogni modello straniero è visto meglio di quello italiano e diventa uno dei pretesti per criticare la classe politica nazionale».

Il picco di easyJet

Un altro caso interessante è quello che riguarda easyJet, seconda low cost d’Europa e terzo vettore in Italia. L’attenzione social degli utenti nostrani verso il vettore britannico è costante nei tredici mesi analizzati. C’è un solo picco, il 23 giugno 2020: è il giorno della gaffe nei confronti della Calabria. La descrizione nel sito ufficiale descrive la Regione come terra che «soffre di un’evidente assenza di turisti a causa della sua storia di attività mafiosa e di terremoti e la mancanza di città iconiche come Roma o Venezia capaci di attrarre i fan di Instagram». La cronaca spinge le interazioni social anche per un’altra compagnia: Eurowings. La divisione a basso costo del gruppo Lufthansa il 23 maggio diventa uno degli argomenti di discussione quando un suo volo partito da Dusseldorf deve tornare indietro perché l’aeroporto di destinazione, Olbia, è chiuso per l’emergenza Covid.

L’evoluzione delle menzioni social su Alitalia e la «nuvola» dei termini più ricorrentiL’evoluzione delle menzioni social su Alitalia e la «nuvola» dei termini più ricorrenti

Le critiche ai vettori spagnoli

Il documento mostra anche un rapporto problematico tra utenti social (e clienti) italiani e le compagnie aeree spagnole. Iberia, per esempio, viene criticata per la gestione operativa «durante la pandemia: in particolare torna con frequenza il tema della mancata assistenza del servizio clienti, dei prezzi eccessivamente alti dei biglietti aerei». Non va meglio ad altre due aviolinee iberiche: le low cost Vueling (del gruppo che comprende Iberia) e Volotea. Anche loro finiscono nel mirino per la gestione del Covid-19, per i controlli Antitrust e per la decisione iniziale di dare i voucher al posto dei rimborsi per i voli cancellati per la pandemia.

I più (e meno) apprezzati

E così la top five delle compagnie che hanno suscitato un «sentiment particolarmente negativo» vede al primo posto Alitalia (come scritto più per la connotazione politica che per il servizio ai clienti), seconda Iberia, terza easyJet (per la gaffe calabrese), quindi Volotea e Vueling. I cinque vettori che raccolgono commenti positivi su Twitter sono — dal primo al quinto — l’olandese Klm («per le pratiche virtuose»), British Airways («per la tempestiva sospensione dei voli con la Cina»), la low cost Wizz Air (per il «dinamismo del brand» avendo passato questi mesi di Covid-19 ad aprire le basi in Italia ed Europa), la mediorientale Emirates e l’asiatica Korean Air.

Aerei, la reputazione social delle compagnie: critiche alle low cost e accuse (politiche) ad Alitalia

L’impatto del Covid-19

In generale l’analisi dei tweet mostra che il coronavirus «ha monopolizzato i contenuti delle conversazioni», ma anche una differenza tra compagnie tradizionali e low cost. Le prime — al netto di qualche caso — vengono apprezzate per «la capacità di gestire con efficacia ed efficienza la riorganizzazione delle attività». Le low cost, invece, sono quelle maggiormente criticate «soprattutto nel merito delle policy dei rimborsi e dell’organizzazione degli spazi a bordo durante la pausa estiva».

L’approccio

«La reputazione social delle compagnie aeree in Italia è stata generata dalla capacità informativa non dai trucchi comunicativi dei vettori», dice Raffa. «Emirates, per esempio, ha una reputazione elevata perché le nicchie che la usano sono soddisfatte del servizio». In generale, conclude, «le aviolinee non devono soffermarsi solo sui grandi numeri, su quelli che chiamiamo le metriche della vanità (like, condivisioni, visualizzazioni), ma devono vedere cosa il consumatore sta pensando per intercettare l’umore del cliente e agire di conseguenza».




Poste, il nuovo modello per calcolare il valore degli investimenti per collettività e ambiente

Uno strumento innovativo per calcolare il valore finanziario, sociale e ambientale generato dagli investimenti in sostenibilità. A offrirlo, riferisce una nota è un modello evoluto di analisi che Poste Italiane ha adottato per misurare sia l’impatto economico, sia il ritorno degli investimenti in termini di beneficio finanziario per la collettività e l’ambiente. I risultati complessivi dell’analisi sono stati pubblicati nel primo Report di Impatto, denominato «La Sostenibilità e i suoi Impatti».

Gli obiettivi di sostenibilità del piano strategico

Il Report misura gli effetti derivanti dalle azioni realizzate per raggiungere gli obiettivi di Sostenibilità fissati nel Piano Strategico Esg, e contribuisce ad indirizzare le decisioni aziendali e a valutare, con uno sguardo al futuro, il «vero valore» degli investimenti programmati, non solo nel loro ritorno finanziario ma anche della loro importanza in termini economici, sociali e ambientali. Il metodo ha permesso di calcolare, ad esempio, il beneficio netto della nuova flotta rispetto alla flotta tradizionale tenendo conto dei costi evitati grazie ai minori impatti ambientali (oltre 4,1 milioni di euro), alla minore congestione stradale (oltre 200 mila euro) e alla maggior sicurezza dei nuovi veicoli (700 mila euro), per un totale di 5 milioni di euro annui risparmiati.
Complessivamente, come evidenziato nel Report di Impatto, il modello ha permesso di stimare un incremento del valore per la collettività generato dalla flotta pari a 25 milioni di euro durante il suo totale periodo di operatività. Il Report, inoltre, illustra le attività di investimento responsabile promosse dal Gruppo a supporto dello sviluppo sostenibile del Paese.

Creare valore anche per la comunità

«Il nuovo modello di misurazione degli impatti – commenta Matteo Del Fante, amministratore delegato di Poste Italiane – fa emergere il fondamentale contributo di tutte le attività del Gruppo alla creazione di valore per l’intero Sistema Paese. I risultati ottenuti evidenziano l’impegno di Poste Italiane nel proprio percorso di sostenibilità e dimostrano che l’Azienda è in grado di creare valore per sé stessa e per la comunità in cui opera, generando un impatto positivo per l’intero territorio. Le attività e le iniziative intraprese dal gruppo – aggiunge l’Amministratore Delegato – contribuiranno al raggiungimento dell’obiettivo stabilito dall’Unione Europea di ridurre le emissioni interne di gas serra di almeno il 55% entro il 2030».
«I risultati pubblicati nel Report di Impatto – osserva Giuseppe Lasco, condirettore generale di Poste Italiane – sono una ulteriore dimostrazione del crescente impegno dell’Azienda nel promuovere una gestione integrata delle tematiche di sostenibilità, in linea con la crescente capacità del Gruppo di generare valore per la collettività, contribuendo al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite».




La moda e la guerra dell’e-commerce

La moda e la guerra dell’e-commerce

COME STANNO REAGENDO I MARCHI DEL LUSSO ALL’IMPENNATA DI ACQUISTI ONLINE DOVUTA ALLA PANDEMIA? E COSA STA ACCADENDO SUL FRONTE DEL RIUSO?

Solo un anno fa sarebbe sembrata una brutta fiction. Ma la pandemia ha rivelato quanto sia importante l’e-commerce per il futuro degli acquisti di moda. A differenza dell’industria musicale, che ha Spotify, o del settore alberghiero che ha Booking.com, l’industria della moda non ha un singolo attore online dominante. Tra Stati Uniti e Cina ora infuria la battaglia e in questo caso non sono i designer ma gli ingegneri high-tech e i finanzieri delle conglomerate quotate in borsa a fare da protagonisti. In occidente c’è Amazon in Oriente Alibaba. In mezzo i tre più potenti gruppi del lusso a mondo.

I MARCHI DI LUSSO E LE VENDITE ONLINE

Negli ultimi tre mesi Richemont (che include, fra gli altri, Cartier e Van Cleef & Arpels) e Alibaba hanno annunciato di voler investire 1,1 miliardi di dollari in Farfetch. Anche Kering (che include, fra gli altri, Gucci, Saint Laurent, Alexander McQueen) ha aumentato la sua partecipazione in Farfetch con ulteriori 50 milioni di dollari. In questo modo due tra i più grandi gruppi del lusso hanno potenziato due delle più potenti piattaforme di e-commerce: Farfetch e Yoox/Net-a-Porter, anch’esse di proprietà di Richemont.
I marchi di lusso sono arrivati ​​in ritardo ad abbracciare l’e-commerce. Tuttavia quando la pandemia ha costretto molti negozi a chiudere non hanno avuto altra scelta. Gli acquisti online hanno raggiunto i 58 miliardi di dollari nel 2020, rispetto ai 39 miliardi del 2019: dal 12 al 23% delle vendite globali di questo settore in meno di dodici mesi.

https://www.youtube.com/embed/eRKFsS3i_pQ

Durante questo 2020 Amazon ha intrapreso due iniziative. Ha aperto specifiche vetrine virtuali negli Stati Uniti e in Europa tra maggio e ottobre. In secondo luogo, ha introdotto la app Luxury Stores orientata ai 150 milioni di suoi abbonati Prime. Qui i marchi presenti controllano direttamente il modo in cui i loro prodotti vengono presentati, dissipando i timori sulla mancanza di selettività dei prodotti proposti. Sull’altro versante l’alleanza di Richemont-Alibaba in Farfetch sottolinea come il colosso cinese dell’high-tech sia stato in grado di aggirare alcuni dei problemi che i marchi di lusso hanno con Amazon. Il suo Tmall Luxury Pavilion ha attirato con successo quasi 200 nomi di fascia alta. A causa delle recenti restrizioni sui viaggi internazionali, i consumatori cinesi (rappresenteranno 178 miliardi di dollari di spesa nel lusso entro il 2025) che erano soliti concedersi il lusso di acquisti all’estero ora lo fanno da casa. Ora che Richemont (insieme a Kering) si sono alleati con Alibaba, si fa concreta la possibilità di creare un gruppo di e-commerce di lusso di enorme massa critica che lega questi conglomerati con l’Asia.
E tuttavia la fibrillazione continua. Amazon, passo dopo passo, sta affilando le armi. Inoltre l’alleanza di Richemont con Alibaba potrebbe cannibalizzare i fatturati di Farfetch. E ancora molti marchi di lusso desiderano controllare i canali digitali che li collegano ai consumatori ovunque si trovino nel mondo, senza che siano coinvolte terze parti. Come accade ad esempio con LVMH (che include Louis Vuitton, Dior, Celine, tra gli altri), il più grande gruppo di lusso al mondo per cui l’e-commerce rappresenta dal 2020 oltre il 10% dei suoi 53,7 miliardi di euro di entrate. Il suo presidente Arnault ha preferito investire nella piattaforma all’ingrosso 24 Sèvres, creata nel 2017, che però continua a perdere denaro.

La Home page di Mytheresa
La Home page di Mytheresa

GLI “OUTSIDER” CHE SI STANNO FACENDO NOTARE

La partita per il dominio miliardario dell’online si gioca dunque sulle due sponde del Pacifico. Ma un settore estremamente dinamico come questo non esclude a priori che in futuro possano emergere altri competitor. La piattaforma tedesca Mytheresa, ad esempio, ha registrato un fatturato netto consolidato di 450 milioni di euro per il 2020, in crescita del 19%. Mentre Farfetch offre più di 3500 marchi, Mytheresa ne ha 250 appena. Il numero “ristretto” le conferisce una configurazione agile: Mytheresa non è il più grande tra i competitor, ma è sicuramente tra i più influenti. Altro player con “piccoli” assortimenti è MatchesFashion, che ha dimensioni paragonabili a Mytheresa: già tre anni fa, la sua valutazione si aggirava intoro al miliardo di dollari. Alla stessa categoria appartengono poi app come The Yes e il motore di ricerca di moda tedesco Lyst.
E per fortuna c’è dell’altro. GenZ e Millennial hanno sviluppato un modo diverso di guardare al “bling-bling” del fashion da fine Novecento. Così accade che ovunque spuntino iniziative difficilmente controllabili anche dai miliardi cinesi, da fondi di investimento o azioni di private equity. Così è accaduto per Menage Modern Vintage. Da quando la quarta stagione di The Crown è apparsa su Netflix, i social si sono popolati di dichiarazioni di desiderio per i colletti pie-crust, gli abiti floreali con maniche a sbuffo e le power jacket degli Anni Ottanta, immortalate dalla principessa Diana. La costumista della serie li ha reperiti in una casa di Fitzroy Square a Londra, dove Chiara Menage, un’elegante ex produttrice cinematografica di 54 anni, gestisce uno shop online di abbigliamento vintage dal suo tavolo di cucina. Per alcuni item della collezione il 100% del ricavato viene devoluto a sostenere persone che soffrono di abusi domestici. Solo un caso virtuoso e fortunato? Certamente una nicchia, ma il resale nel suo complesso è velocemente diventato molto più che di nicchia. Persino LVMH si sta avvicinando rapidamente. Interpellata in proposito dal New York Times Antoine Arnault (figlio del magnate e responsabile dell’immagine, delle comunicazioni e dell’ambiente di LVMH) ha risposto. “È un’economia che esiste, che sta crescendo in importanza, quindi la stiamo esaminando attentamente… È qualcosa che integreremo progressivamente perché è un altro modo per prolungare la vita dei nostri prodotti”.
Sino a ora il resale era stato avvicinato dall’industria del lusso solo attraverso peer-to-peer, come accade per The RealReal. Ma la crescita – specie tra i giovani consumatori ‒ velocissima di nuove iniziative come l’inglese Depop, la francese Vestiaire Collective o l’americana Thredup lo rendono sempre più attraente.