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Le emozioni contano più nel marketing B2B che nel B2C

Le emozioni contano più nel marketing B2B che nel B2C

Ecco gli strumenti e l’approccio digitale da usare per orientare i clienti lungo il customer journey

  • Nel marketing B2B, 7 aziende su 9 hanno un rapporto emotivo con oltre il 50% dei propri clienti.
  • Fiducia, sicurezza, ottimismo e orgoglio sono le emozioni più rilevanti nel rapporto fornitore e azienda.
  • Buyer Personas, personalizzazione, storytelling e misurazione costante dei risultati aiutano a valorizzare le emozioni.

“Nel Marketing B2B il linguaggio e il tono è formale e freddo, il processo decisionale è lungo e razionale, conta il prodotto e servizio più che il brand che lo vende”, ancora oggi queste convinzioni  attanagliano il mondo B2B, contrapponendolo al marketing B2C, più veloce, impulsivo, empatico ed emotivo.

Come se nel mondo del B2B le persone fossero tutte incravattate, con la faccia di marmo e una barriera emotiva davanti al cliente.

Oltre il fatto che sarebbe costruttivo e utile accostarsi a tutto il marketing e la comunicazione come Human to Human (H2H), le emozioni nel B2B contano tantissimo.

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Nel B2B si investe più tempo nel creare relazioni durature e di fiducia con un numero più o meno ristretto di clienti. Molto spesso le relazioni vanno oltre l’automazione online, con telefonate, video call, incontri in presenza. Ogni contatto con il cliente o potenziale tale porta con sé delle emozioni determinanti per la continuazione del rapporto e per il passaparola.

Nei prossimi paragrafi approfondiremo il tema delle emozioni, capiremo insieme quanto pesano e come valorizzarle in una strategia di marketing B2B digitale.

Le emozioni nel marketing B2B

Uno studio di Google, Motista e Gartner ha confrontato il peso delle emozioni nel B2B e nel B2C con risultati che ribaltano ogni convinzione. Gli acquirenti nel B2B sono emozionalmente più legati ai brand rispetto al B2C.

Questi ultimi infatti hanno una connessione emotiva con i clienti dal 10% al 40%, mentre nel B2B per 7 brand su 9 la connessione emotiva sale a oltre il 50% dei clienti.

Marketing B2B

Il motivo principale è che nel B2B ci sono molteplici interazioni tra cliente e brand, in un processo decisionale più o meno lungo (a volte anche di anni), nel quale il potenziale cliente entra in contatto con il brand e diverse persone dell’azienda in molti touch point soprattutto one-to-one.

Per esempio può entrare in contatto prima con il marketing, poi con il commerciale, con l’amministrazione, con il tecnico, con l’assistenza e così via. Anche dalla parte dell’azienda cliente vengono solitamente coinvolte più persone, dai tecnici, ai responsabili, ufficio acquisti, ecc. Ogni persona ha un suo obiettivo da raggiungere, di status, carriera all’interno dell’azienda e la responsabilità di un acquisto giusto o sbagliato può influire emotivamente sul percorso professionale.

Facciamo un esempio pratico.

L’acquisto di un software complesso e con un costo alto per la gestione della documentazione in azienda. Il software promette di aumentare il controllo sui dati, l’organizzazione e la produttività. Le persone coinvolte nell’acquisto si prendono la responsabilità di spesa investendo per un ritorno economico di risparmio costi.  Se l’acquisto dovesse andare male, ne potrebbe risentire la loro reputazione e percorso di carriera, al contrario se andasse bene potrebbero ricevere una promozione. Entrambi sono stati emotivi, da considerare nel momento in cui si propone il prodotto e servizio.

Il referral

Un altro dato da tenere a mente nel marketing B2B è la potenza del referral. L’84% delle decisioni d’acquisto nel B2B iniziano proprio dal passaparola, che influisce con un Coversion Rate maggiore (circa 73%) e un tempo di chiusura acquisto minore (circa 69%). Il passaparola oltre chiaramente alla validità del prodotto e servizio è incentivato dalle emozioni, dall’esperienza positiva che il cliente vive, dal rapporto di fiducia che si viene a creare e lo fa consigliare ad altri, “mettendoci la faccia”.

referral

Il paradosso è che il passaparola è tanto potente quanto scarsamente utilizzato nel marketing B2B. Riprendendo le statistiche di Influive, solo il 30% delle aziende ha un referral program formalizzato.

Le 4 emozioni rilevanti

Come abbiamo detto, nel B2B le emozioni sono legate alla sfera professionale. Una Survey condotta nel 2019 da B2B International su 2000 Decision maker in organizzazioni europee, statunitensi e cinesi, ha scavato proprio quali tra le principali emozioni che influenzano il processo decisionale nel B2B.

Marketing b2b produttività

L’affinità tra brand e acquirente è importante soprattutto all’inizio e alla fine del buyer journey. Per i fornitori è estremamente importante avere un brand forte nel quale i clienti possano riconoscersi e investire emotivamente.

Sono quattro le emozioni rilevanti, che aumentano per il 50% la scelta di un fornitore rispetto ad un altro:

  • la fiducia rispetto la credibilità del fornitore
  • la sicurezza sulla capacità del fornitore di consegna servizio e prodotto desiderato
  • l’ottimismo rispetto cosa il fornitore potrebbe fare per l’azienda cliente
  • l’orgoglio per la prospettiva di poter collaborare con il fornitore

Analizziamole una ad una.

Fiducia

I tre fattori per creare un senso di fiducia sono:

  • Affidabilità. Il fornitore dovrebbe essere percepito come affidabile, attenersi alle scadenze, essere reattivo, incontrare o superare gli standard del settore e mantenere sempre le promesse.
  • Competenza. Il fornitore dovrebbe mostrare competenza: far vedere che si intende del problema da una parte e fornire una soluzione esperta. La competenza dovrebbe essere rinforzata con contenuti e casi studio per mostrare come il fornitore ha aiutato le altre aziende del settore.
  • Customer experience. Il fornitore dovrebbe offrire un’esperienza “semplice”, senza interruzione e fluida all’acquirente in tutti i touch point.

Sicurezza

I decision maker hanno bisogno di sentirsi sicuri sul prodotto o servizio da acquistare. Vogliono qualcosa che incontri le aspettative, le superi e allo stesso tempo possa fargli fare bella figura con i propri superiori. Una scelta sbagliata influisce negativamente sulla reputazione della singola persona.

Una buona brand reputation come strategia di marketing B2B aiuta a creare sicurezza, oltre ad altri aspetti come il rapporto qualità-prezzo ed entrare in empatia con i problemi e bisogni del cliente.

sicurezza marketing B2B

Ottimismo

Cosa potrebbe fare il fornitore per l’azienda? Il business ne trarrà vantaggio? Il fornitore può aiutare a raggiungere gli obiettivi?

Un fornitore dovrebbe aiutare il cliente a sentirsi ottimista mostrando competenza e comprensione verso le sfide che l’azienda vuole affrontare. Nel marketing si dovrebbe quindi adottare un tono di voce esperto. Riprendendo la metafora del viaggio dell’eroe, il fornitore è la guida che accompagna azienda cliente (eroe) nel suo viaggio per il raggiungimento del tesoro.

Durante i primi step del buyer journey, il fornitore dovrebbe ascoltare attentamente i bisogni del cliente, i desideri e trovare un modo efficace per incontrarli, con un approccio di valore e distinguibile dai concorrenti.

Orgoglio

Un acquirente vuole sentirsi orgoglioso di collaborare con il fornitore e il brand. Naturalmente questo è possibile se il brand è un leader nel settore. Il sentimento di orgoglio può essere raggiunto quando un fornitore mantiene le promesse, è affidabile, rispetta gli accordi, è sempre professionale e dimostra una comprensione autentica del modo in cui l’azienda acquirente lavora.

Inoltre il fornitore dovrebbe essere proattivo e mettere in buona luce l’acquirente davanti all’organizzazione e ai colleghi. Un fornitore proattivo è colui in grado di anticipare i problemi che l’acquirente potrebbe incontrare e offrire soluzioni, anche quando non espressamente richieste.

Un modo per essere proattivi è quello di rimanere costantemente in contatto con i potenziali clienti e rispondere alle loro richieste in modo tempestivo.

L’aspetto emotivo delle Buyer personas

Ora che abbiamo individuato le emozioni, indaghiamo alcuni strumenti e canali per valorizzarle in una strategia digitale di marketing B2B.

Essendo il target di potenziali clienti più “ristretto” nel B2B, possono crearsi delle buyer personas molto più centrate sul cliente tipo, quasi delle vere e proprie persone reali.

Nel momento in cui si individuano le buyer personas è importante concentrarsi sulle aspetto emotivo, le motivazioni del potenziale cliente, i suoi limiti, le sue paure e avversioni. Questo è il modo in cui possiamo creare empatia con i nostri clienti e portare valore in una strategia di inbound marketing B2B.

Buyer personas

Un altro aspetto da tenere a mente è che le buyer personas sono dinamiche, quello che abbiamo individuato un anno fa potrebbe oggi non valere più. Il consiglio è restare sempre all’ascolto dei clienti, dei commerciali in campo, dell’assistenza, dei tecnici per aggiornare e arricchire i profili delle nostre bujer personas.

Non dimenticare la personalizzazione

Nell’inbound marketing attraiamo le persone sul nostro sito individuando i loro problemi, mostrando una comprensione verso di essi e successivamente accompagnandole passo passo nella loro risoluzione. Questo soprattutto attraverso il content marketing, per esempio in post all’interno del blog aziendale, sulle pagine social, nelle newsletter settimanali, ecc.

Tramite i contenuti offriamo quindi comprensione, fiducia, sollievo, sicurezza e ottimismo al potenziale acquirente in cerca di risoluzioni.

La sfida è saper bilanciare queste emozioni e direzionarle per ogni step del customer journey. Un modo per farlo è studiare il comportamento del persone sul sito web attraverso strumenti come la marketing automation.

marketing b2b

Per esempio quando un prospect inizia a esplorare il sito web in fase di scoperta, potresti creare una campagna automatizzata che mostra un contenuto informativo rilevante (ebook gratuito, post,messaggio chatbot, ecc.) rispetto al bisogno e preoccupazione che l’utente sta cercando di risolvere trovandosi proprio sulla pagina del tuo prodotto o servizio. Questo mostra al potenziale cliente che è compreso, valorizzato e che il tuo prodotto potrebbe “sollevarlo” dalle sue preoccupazioni.

Un esempio lo troviamo sul sito di Hubspot. Navigando nella sezione Marketing Hub, man mano che scorriamo la pagina, appare sulla destra il chatbot, con questo semplice messaggio “A great marketing strategy starts with the right tools. I can help make sure you’re on the right track. What would you like to do next?” e poi a seconda della risposta fornisce il contenuto desiderato.

Acquisendo il contatto del prospect e utilizzando sempre la marketing automation, è possibile poi sviluppare un percorso su misura del potenziale cliente, con flussi di email, comunicazioni e contenuti altamente personalizzati sul comportamento dell’utente, che passo dopo passo viene accompagnato lungo tutto il customer journey.

Usa lo storytelling, anche nel B2B

Il fornitore è la guida, l’azienda acquirente l’eroe che deve raggiungere il suo obiettivo. Lo storytelling, come metodologia che attraverso la narrazione suscita emozioni, può essere utilizzato anche nel marketing B2B. La difficoltà e l’opportunità di utilizzarlo è capire realmente quali sono le emozioni del prospect.

Un esempio semplice di utilizzo dello storytelling nel B2B è quello di Intercom, azienda software statunitense.

Marketing B2B Intercom

Nella vignetta abbiamo un prima, che mostra un problema con caos, tante persone e strumenti utilizzati per comunicare e un dopo con la soluzione, una comunicazione ordinata, volti sereni e sorridenti. L’eroe ha raggiunto il suo obiettivo grazie a Intercom.

Misura e sperimentazione

Come capiamo se la strategia di marketing B2B che abbiamo messo in piedi sta facendo leva sulle giuste emozioni?

Semplicemente misurando e sperimentando. Cambiare totalmente il proprio sito web, investire molto budget su campagne, o iniziare una nuova strategia di contenuti quando non si hanno ancora a disposizione dati concreti per supportare le azioni può causare grandi perdite di budget e risultati deludenti.

Una strategia di marketing dovrebbe valutare l’impatto di ogni azione con metriche rilevanti e test minuziosi, che spostando elementi e inserendo piccoli cambiamenti aiuta a comprendere cosa porta alla conversione o meno. Un pulsante messo nel posso sbagliato? Un messaggio che non ricalca il il problema?

Analytics Marketing B2B

Uno strumento che può aiutare a tracciare i test e raccogliere i dati è l’Experiment Card, utilizzato nel processo del Growth Hacking per validare le ipotesi e scalare quelle vincenti.

Un altro consiglio per capire se stiamo facendo leva sulle emozioni giuste è tenere sotto controllo i canali non direttamente controllati dal brand con la sentiment analysis come forum, gruppi e profili social, siti di opinione.

Se si stanno ottenendo opinioni negative significa allora che qualcosa sta andando storto. Inoltre puoi acquisire feedback da clienti e prospect inviando periodicamente delle survey nei diversi step del customer journey.




A Monza apre il primo supermercato accessibile alle persone autistiche

A Monza apre il primo supermercato accessibile alle persone autistiche

Coop Lombardia ha aperto a Monza un punto vendita pensato per far sentire a proprio agio le persone autistiche e attento all’impatto ambientale.

Insegnare l’autonomia alle persone autistiche e affinare le loro abilità sociali, a Monza, è più semplice dal 10 settembre, da quando il nuovo supermercato Coop di via Marsala è diventato il primo in Italia a essere “autism friendly”. All’esterno dello store, un’area dismessa e abbandonata da anni è stata recuperata con un’operazione di riqualificazione urbana nel segno della sostenibilità ambientale, il tutto mentre, all’interno, il supermercato accoglie al meglio le persone autistiche, grazie alla collaborazione con due associazioni del territorio: PizzAut e Alla3.

Come nasce il progetto del supermercato inclusivo

Ad ispirare il progetto di Coop Lombardia è  stata una spiacevole avventura accaduta all’associazione PizzAut nell’autunno del 2019: “Qualche buontempone ci ha rubato tutti i panettoni solidali che avevamo preparato per il Natale. Coop, appresa la notizia dai giornali, ce li ha forniti. Da lì è nata prima l’intesa e poi la collaborazione che ha portato all’inaugurazione il 10 settembre di questo punto vendita autism friendly. Un supermercato attento alle esigenze delle persone autistiche ma che va oltre l’inclusione. Permette che anche le persone autistiche siano autonome nel fare la spesa, senza dipendere dai familiari o da altri sostegni esterni”, racconta Nico Acampora presidente e fondatore di PizzAut.

supermercato per persona autistiche monza
Il punto vendita Coop permette che anche le persone autistiche siano autonome nel fare la spesa © Coop Lombardia

Immagini, luci e suoni attenuati

Il centro commerciale sorge tra via Marsala e via Solferino a Monza, un’ex area industriale dismessa dove un tempo sorgeva l’azienda fondata da Camillo Olivetti che produceva strumenti elettronici. Ora dopo un intervento di riqualificazione urbana il punto vendita Coop, per essere autism friendly si è attrezzato di luci basse, assenza di suoni forti, priorità alle casse per le persone con autismo.

Pittogrammi inclusivi persone autistiche
Nel centro commerciale di Monza ci sono pittogrammi che seguono i criteri della “comunicazione aumentativa alternativa” © Coop Lombardia

Neshat Asgari, architetto iraniana, ha realizzato i pittogrammi che sono stati usati nelle corsie del supermercato Coop, seguendo i criteri della Comunicazione aumentativa alternativa, Caa. Questo tipo di comunicazione consiste in un insieme di strategie, strumenti e tecniche – come i pittogrammi di Asgari – usati per rendere accessibile la comunicazione alle persone che non possono esprimersi verbalmente o che faticano a farlo, come gli autistici. La Caa non si propone di sostituire il linguaggio verbale: al contrario, in quanto aumentativa, prevede la simultanea presenza di strumento alternativo e linguaggio verbale orale. In questo modo il pittogramma diventa il supporto alternativo che accompagna lo stimolo orale e rende accessibile il centro commerciale alle persone con autismo.

Il cuore dell’iniziativa è il personale del centro commerciale, circa settanta donne e uomini che hanno ricevuto una formazione durante il mese di agosto da Nico Acampora e PizzAut: “Sono stati tutti molto attenti e partecipi e hanno dimostrato una grande sensibilità – sottolinea il presidente di PizzAut -. Abbiamo insegnato loro come interagire con le persone autistiche e con le loro famiglie. Nel caso in cui un bambino autistico abbia una crisi e inizi a urlare o a saltare in mezzo a una corsia, per esempio, è fondamentale concentrarsi su chi lo accompagna, in modo che l’adulto in primis non venga messo a disagio dagli sguardi giudicanti delle altre persone”.

PizzAut forma il personale del supermercato per persone autistiche
Il cuore dell’iniziativa è il personale, a cui è stata fatta un’apposita formazione per gestire le persone con autismo © PizzAut

L’inclusione passa dalla comprensione 

Un’idea, quella che i supermercati potessero essere accessibili alle persone con autismo, che attinge anche dall’esperienza personale di Nico, che è padre di un ragazzo autistico: “Una volta invece che portare a nostro figlio Leo i pantaloni nuovi da provare a casa siamo andati in un negozio in un centro commerciale”. Camerino stretto, neon che disturbata la vista, Leonardo ha avuto una crisi e ha iniziato a urlare. “Alla fine la commessa ci ha invitati ad andare via perché disturbavamo i clienti. Ecco ora i dipendenti Coop sono stati formati per affrontare la situazione”. Rendere autonome le persone con autismo è una questione di civiltà oltre che di inclusione. In questa visione si riconoscono anche le altre tre protagoniste del progetto monzese, tre mamme con figli con autismo che hanno fondato l’associazione onlus Alla3.

Inaugurazione supermercato persone autistiche
L’inaugurazione del supermercato Coop accessibile a persone autistiche dal 10 settembre 2020 © Coop Lombardia

Accoglienza ma anche sostenibilità ambientale

Il progetto di Coop ha pensato alla creazione di ambienti adatti alle persone autistiche migliorando la qualità della loro vita e di quella dei familiari. “Accorgimenti semplici come l’eliminazione del bip alla cassa, per esempio”, spiega Andrea Pertegato di Coop Lombardia. Inoltre i criteri della comunicazione aumentativa alternativa, “sono stati sottoposti a neuropsicomotricisti esperti in autismo e fatti visionare, nella loro funzionalità, a persone autistiche allo scopo di offrire loro la possibilità di comunicare tramite canali che si affiancano a quello verbale”, continua Pertegato.

L'area su cui sorge il supermercato autism friendly è recuperata con un’operazione di riqualificazione  urbana nel segno della sostenibilità ambientale © Coop Lombardia
L’area su cui sorge il supermercato autism friendly è recuperata con un’operazione di riqualificazione  urbana nel segno della sostenibilità ambientale © Coop Lombardia

Il progetto del supermercato sono si ferma qui: “L’intero complesso strutturale è dotato delle più innovative tecnologie per il risparmio energetico e il rispetto dell’ambiente, come l’utilizzo delle lampade a led, dei sensori di presenza per la gestione dell’illuminazione esterna e di un impianto fotovoltaico. Inoltre l’ampio parcheggio coperto per circa trecento auto è dotato di colonnine per la ricarica delle automobili elettriche”, conclude Pertegato.
Una testimonianza concreta, quella monzese, del fatto che fare inclusione sociale e tutela dell’ambiente è possibile, anche nella quotidianità. E facile, come fare la spesa.




Oltre l’empatia, così il marketing entra nell’era della compassione

Oltre l’empatia, così il marketing entra nell’era della compassione

Da Burger King a Lavazza, da Sanpellegrino a Luxottica: i brand puntano su azioni concrete e di impatto reale Anche perché incoerenza, effetto vetrina e rischio “coronawashing” possono generare conseguenze pesanti

Oggi la strada del successo è ancora più impervia del passato. Paradossalmente nel tempo del distanziamento sociale e dei live sui social occorre macinarne tanti, di chilometri. Anche più di un migliaio. Così hanno fatto alcune star, salite a bordo di un torpedone per spostarsi da New York all’Indiana. «Non basta essere celebrità, dobbiamo diventare attivisti. E non bastano gli slogan, dobbiamo fare qualcosa di concreto», dice il volto tv James Corden, insieme a Meryl Streep, Nicole Kidman e Andrew Rannells su “The Prom”, musical lanciato pochi giorni fa su Netflix. Una sceneggiatura ispirata ad un fatto realmente accaduto una decina di anni fa e oggi rivisitato con l’amplificazione dettata da rete e social. Da Broadway le stelle si spostano verso una scuola dell’Indiana, dove ad una studentessa lesbica è stata negata la possibilità di partecipare al ballo di fine anno con la sua compagna. «Una pellicola che riabilita i buoni sentimenti andando oltre l’empatia e spingendosi all’azione. Un effetto della nuova era Biden», ha scritto il Guardian.

Il potere della compassione

Oltre le chiacchiere da bar social servono azioni concrete, autentiche, misurabili. Ecco perché secondo l’Harvard Business Review il 2021 è l’anno della “compassionate leadership”, ossia della leadership compassionevole: le guide dovranno capire l’importanza di portare avanti il business puntando su compassione e saggezza. In realtà se l’empatia è la capacità di condividere i sentimenti degli altri, la compassione è qualcosa di più, perché alza l’asticella verso quell’intenzione positiva che spinge alla mobilitazione. «La compassione è qualcosa di proattivo, in quanto ci permette di contribuire al benessere degli altri e quindi fornisce gli strumenti necessari per costruire campagne efficaci, squadre più solide e ambienti più sani. Il potere può corrompere i leader, la compassione può salvarli», ha scritto l’Harvard Business Review. Tra gli oltre mille Ceo e manager intervistati il 91% ha affermato che la compassione è basilare per la leadership e l’80% vorrebbe accrescerla perché nel tempo l’ha trascurata. Anche il marketing si è appropriato del concetto di compassione perché alle parole si associano fatti concreti e nuovi visual. Dopo ventidue anni Burger King ha annunciato il rebranding puntando sulla semplificazione, con un effetto retrò oltre i luccichii. Un rinnovamento dell’identità di marca con un look familiare che punta su trasparenza e sostenibilità, ha scritto AdWeek. Non è più il tempo degli effetti speciali, nemmeno sui loghi dei panini: non è un caso che il colosso della ristorazione abbia deciso in Francia di regalare ad oltre 500 bambini il compleanno nel fast food, superata la fase di restrizioni. «Il tema della compassione esercitata dalle aziende e dai loro leader non è nuovo, anche se il momento storico che stiamo affrontando lo rende fondamentale. In Italia abbiamo avuto in passato esempi di aziende e imprenditori illuminati come Adriano Olivetti, che dimostrò la concreta possibilità di un’economia capace di far convivere esigenze produttive, benessere materiale e pienezza umana», afferma Arianna Brioschi, lecturer del Dipartimento di Marketing dell’Università Bocconi e autrice di “White Space: idee non convenzionali sulla comunicazione”, edito da Egea. Azioni che hanno un impatto esterno che si riverbera anche all’interno della comunità di dipendenti, collaboratori, fornitori. «Dobbiamo riflettere sulla compassione aziendale oltre la semplice retorica: le azioni dirette al maggior bene sociale e ambientale portano a costruire attorno all’azienda stessa una condizione di maggior prosperità che porta un ritorno positivo su clima, reputazione e benessere collettivo. Pensiamo alla scelta di alcune aziende di ricompensare i lavoratori chiamati a garantire la presenza sulle linee produttive in questi mesi di pandemia. Lo ha fatto Lavazza, col bonus per i mesi di marzo e aprile 2020. Lo ha fatto Sanpellegrino, che ha garantito un extra per chi va in fabbrica. Lo ha fatto Luxottica, con un accordo di welfare che comprende un incentivo a chi garantisce i servizi essenziali. Azioni meritevoli di plauso e che permettono di mantenere attive la produzione e le vendite», precisa Brioschi.

Le sfumature dell’azione

Vicinanza e autenticità che si leggono nelle narrazioni, negli stilemi, nei linguaggi. «La pandemia ha colto anche le aziende impreparate e le prime risposte sono state le più semplici e immediate. Poi sono arrivate le azioni concrete, con molti manager impegnati a scrivere in prima persona: tra questi Brian Chesky di Airbnb. Nel tempo i brand si sono resi conto che occorreva restare competitivi anche durante la crisi con spirito di adattamento. Il linguaggio usato dal marketing si è evoluto con toni più ottimisti: oggi Easyjet invia mail con un incoraggiante looking to the future», sottolinea Brioschi. Ma attenzione al rischio “coronawashing”. «Si tratta della finta compassione: brand che non hanno mai intrapreso un percorso guidato da mission e vision si scoprono impegnati a fare del bene. Un tentativo simile al “greenwashing” per sfruttare l’impatto di piccoli gesti occasionali o di dichiarazioni verbali alle quali non seguono azioni concrete», dice Brioschi. Così Primark ha donato dei “care packs” al Nightingale Hospital di Londra, ma allo stesso tempo ha cancellato ordini per 300 milioni di dollari negli stabilimenti produttivi in Bangladesh, lasciando centinaia di operai senza lavoro. Una decisione annullata dopo le proteste. Nel tempo degli stream continui l’incoerenza si paga a caro prezzo.


MULINO BIANCO

Una campagna per gli eroi contemporanei nel tempo della pandemia. Mulino Bianco, brand del gruppo Barilla, ha lanciato “Questi Abbracci sono per loro”, sostenendo l’iniziativa #NoiConGliInfermieri di Fnopi, la federazione che rappresenta oltre 450mila infermieri in Italia. Il ricavato del packaging in edizione limitata prodotto da Barilla – e in vendita a scaffale dai primi di gennaio 2021 – sarà donato al fondo di solidarietà Fnopi fino al raggiungimento di due milioni di euro. #NoiConGliInfermieri garantisce il supporto alle famiglie degli infermieri deceduti e sostiene quelli costretti a vivere in quarantena alle prese con spese e cure mediche non previste.

SALESFORCE

Mobilitarsi per il rimboschimento con un obiettivo ambizioso: ripristinare un trilione di alberi entro questo decennio per combattere il cambiamento climatico. L’iniziativa prende il nome di 1t.org ed è stata lanciata in occasione del World Economic Forum 2020. Una sfida promossa da Salesforce, colosso statunitense di cloud computing fondato nel lontano 1999 con headquarter globale in California e operativo in tutto il mondo. Piantando 1 trilione di alberi entro il 2030 possiamo aiutare a rallentare l’aumento delle temperature del pianeta, stimolare la biodiversità e ripristinare parte dell’ecosistema del pianeta, si legge nella mission del progetto.

P&G

Gesti d’amore per le comunità, tanti quanto l’anno appena iniziato. Con la nuova campagna globale “Lead with Love” Procter & Gamble, insieme ai suoi marchi, si è impegnata a compiere 2.021 atti positivi, nella convinzione che anche i più piccoli gesti di bene possano rendere il mondo un posto migliore. La campagna è stata lanciata sui social della multinazionale americana di beni di largo consumo. In Italia la prima azione per il bene del 2021 è stata dedicata a favore della Croce Rossa Italiana. Obiettivo: sostenere un progetto di telemedicina attraverso videostation e smartphone collegati all’app della Cri che consentiranno diagnostica e cure mediche a distanza.

TIM

Contenuti divertenti e per tutti i bambini, nessuno escluso. Sulla tv di Tim i beniamini più amati dal pubblico dei piccoli sono disponibili anche per i bambini sordi, con disabilità uditive o disabilità comunicative. Così Timvision ha reso disponibili nella lingua dei segni italiana Lis i cartoni animati dei personaggi più amati dai bambini. Obiettivo: offrire la programmazione anche ai piccoli spettatori con disabilità uditive. Il progetto, realizzato con il patrocinio dell’Ente Nazionale Sordi, nasce nell’ambito del programma di inclusione e valorizzazione delle diversità di Tim, per tre anni valutata prima tlc al mondo per il D&I Index di Refinitiv.




È il lusso a salvare gli alligatori della Louisiana, dice Richemont

È il lusso a salvare gli alligatori della Louisiana, dice Richemont

“E così il cliente del lusso, lo shopper apicale, permette la conservazione degli alligatori della Louisiana, predatori apicali”. Quella di Matthew Kilgariff, direttore del Corporate Social Responsibility di Richemont, sembra una battuta, ma non lo è. Il manager, dal palco del World Wildlife Day 2020 tenuto lo scorso 3 marzo presso le Nazioni Unite di Ginevra, conferma un dato che al pubblico generalista suona contro intuitivo. Lo sfruttamento economico degli alligatori, anche per la produzione dei cinturini in pelle dei marchi del gruppo elvetico, ne tutela la conservazione. In altre parole: è il lusso a salvare gli alligatori della Louisiana.

Gli alligatori della Louisiana

“Il fatto che gli alligatori depositino le uova solo nella natura permette alle paludi di rimanere paludi – sono le parole di Kilgariff diffuse da una nota stampa –. Se così non fosse, i proprietari terrieri della Louisiana convertirebbero i fondi, non ne conserverebbero le condizioni naturali. Così facendo, distruggerebbero i biotopi da cui dipendono 8.000 specie, incluse gli alligatori”. È un argomento contro intuitivo per l’opinione pubblica, dicevamo. Ma è un concetto che conoscono bene gli addetti ai lavori. La promessa di una ricompensa economica, inserita in un contesto normativo che garantisce l’equilibrio tra attività umana e biodiversità, ha consentito alla popolazione di alligatori della Louisiana di crescere esponenzialmente negli ultimi decenni.

L’importanza delle zone umide

Oltretutto, ci ha tenuto a sottolineare il manager di Richemont, le zone umide “trattengono una quantità fenomenale di anidride carbonica, ma scompaiono più rapidamente delle foreste”. L’intervento antropico va tenuto in considerazione: “In un mondo ideale, le paludi della Louisiana e tutte le zone umide sarebbero preservate per sempre, senza nessun intervento umano. All’estremo opposto, c’è la possibilità che queste zone siano prosciugate. Gli amici del Crocodile Specialist Group di IUCN mi dicono che questo sistema è quasi troppo buono: abbiamo posto l’asticella molto in alto per i restanti progetti mondiali”. Così è e, adesso, così rimane.




Pasta La Molisana: lo storytelling dal sapore littorio funziona?

Pasta La Molisana: lo storytelling dal sapore littorio funziona?

Siamo abbastanza nostalgici per lo storytelling dal “sapore littorio” della pasta La Molisana? Probabilmente no, a giudicare dalle polemiche e dal retrofront dell’azienda.

Ma che buono, il sapore littorio della pasta. Lo sentite anche voi quell’inconfondibile retrogusto di quando c’era lui che vi sale in bocca quando mangiate le Abissine rigate 25 de La Molisana? No? Non c’è problema, a ricordarvelo c’è lo “storytelling” preparato ad hoc dall’azienda. O almeno, c’era, prima che qualcuno facesse notare lo scivolone comunicativo e si decidesse di rimediare con una descrizione più soft e politicamente corretta.https://f010caeb114c13c5eb362ae9551599ce.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-37/html/container.html

Ma procediamo con ordine. Non siamo nuovi a cibi dalla nomenclatura nostalgica. In Italia come altrove, visto che certamente ricorderete il caso dei Moretti, ritirati da una catena di supermercati svizzera perché considerati razzisti. I casi di questo genere sono innumerevoli, e nell’era del politically correct e delle sacrosante proteste antirazziste negli Usa stanno venendo fuori come funghi dopo la pioggia. Certo, certi nomi andrebbero contestualizzati: gli anni Trenta e Quaranta, con la loro spinta colonialista, sono dietro l’angolo, e ancora negli anni Ottanta si poteva ridere di cose che oggi farebbero inorridire (avete presente il jingle delle caramelle Tabù, o lo sculettare della modella di colore delle Morositas?).

La molisana polemica

Insomma: su alcune cose si può chiudere un occhio, in nome di una contestualizzazione storica che probabilmente non andrebbe eliminata con un colpo di spugna, ma che è lì anche per ricordarci chi eravamo. Così non vediamo il problema di mangiare una pasta che si chiama Abissina.

Semmai, il problema è insistere volutamente sullo “storytelling” (citiamo testualmente) che il nome di questo formato rievoca, e magari elogiarlo più del dovuto, soffermandosi sul “sapore littorio” di quella pasta (che all’estero si trasforma in “shells”, nome decisamente più neutro) o sul fatto che “la pasta di semola diventa un elemento aggregante” “per la stagione del colonialismo”, commentando il tutto con un “perché no!” finale.

Una scelta di comunicazione quantomeno discutibile, ma su cui La Molisana ha puntato con convinzione. Prova ne è la descrizione delle Tripoline che, spiega l’azienda, hanno un “sapore coloniale”.

Accortasi del corto circuito dopo qualche segnalazione sui social, l’azienda ha provveduto a cambiare le descrizioni, eliminando ogni frase dal sapore nostalgico.

Ma gli screenshot rimangono (e soprattuto, la wayback machine non sbaglia, lei si che è parecchio nostalgica) lasciando in bocca un sapore che non sapremmo definire: che dite, è il caso di chiedere aiuto al copywriter de La Molisana?