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In Gran Bretagna apre la prima stazione di servizio elettrica: ricarica in 20 minuti e negozi e bar per ingannare l’attesa

L’Electric Forecourt si trova a Braintree, nell’Essex, ed è la prima di 100 che verranno installate nel Paese: “Iniziamo il passaggio verso la mobilità sostenibile”

Una stazione di servizio interamente dedicata alle auto elettriche: succede in Inghilterra, per la precisione nell’Essex, dove nei giorni scorsi è stata inaugurata la prima stazione di ricarica “green” del Paese.

L’Electric Forecourt è stata aperta a Braintree, e può fornire sino a 350 kW di potenza per un massimo di 36 auto alla volta, consentendo di allungare l’autonomia di 300 km di autonomia in 20 minuti (tra i 36 caricatori ci sono anche 6 supercharger di Tesla). L’energia proviene da uno dei primi parchi solari senza sovvenzioni del Regno Unito, realizzato a Clayhil, nel Bedfordshire, sfruttando pensiline solari e una batteria in grado di immagazzinare energia sufficiente per guidare quasi 40.000 chilometri.

La stazione di ricarica è firmata da Gridserve, una società specializzata in energia pulita che prevede di aprirne altre 100 nei prossimi cinque anni grazie a un investimento miliardario: una notizia, quella dell’inaugurazione, che arriva a poche settimane dall’annuncio del governo britannico dello stop alla vendita dei motori a combustione non più a partire dal 2040, ma già dal 2030.

“È nostra responsabilità collettiva impedire che le emissioni di gas serra aumentino ulteriormente, e i veicoli elettrici alimentati da energia pulita rappresentano gran parte della soluzione – ha spietato Toddington Harper, fondatore e amministratore delegato di Gridserve – Tuttavia, la ricarica deve essere semplice e priva di ansia, motivo per cui abbiamo progettato i nostri Electric Forecourt interamente intorno alle esigenze dei conducenti, aggiornando il modello di stazione di servizio tradizionale per un mondo a zero emissioni e offrendo la sicurezza di cui le persone hanno bisogno, iniziando il passaggio al trasporto elettrico oggi, un decennio prima del divieto del 2030 sulle auto a benzina e diesel”.

Gridserve ha approfittato dell’occasione per lanciare, inoltre, un nuovo servizio di noleggio di veicoli elettrici in collaborazione con Hitachi Capital: “Le persone ora hanno la fiducia necessaria per effettuare la transizione a un veicolo elettrico – ha concluso Harper – Questo perché sanno che la ricarica è a portata di mano, ed è un procedimento meno costoso rispetto a un’alternativa a benzina o diesel”.

©Giles Christopher

Il costo della ricarica è infatti di 24 centesimi a KWh, che si traduce in meno di 10 sterline per una ricarica che va dal 20 all’80%: la tariffa è quella di lancio, ma l’azienda ha in programma di inserire un listino prezzi variabile in futuro. Alle colonnine di ricarica, la stazione affianca diversi negozi e bar per ingannare l’attesa, wi-fi gratuito, una zona bambini, un’area benessere con cyclette che generano elettricità, e persino sale riunioni aziendali.

“Il nostro governo è impegnato ad aumentare la diffusione dei veicoli elettrici, per ripulire l’aria e consentirci di raggiungere le emissioni nette di carbonio zero il più rapidamente possibile, motivo per cui abbiamo appena anticipato il divieto di nuovi benzina o diesel al 2030 – ha commentato James Claverly, ex presidente dei Conservatori e oggi deputato per Braintree, che ha partecipato all’inaugurazione – L’Electric Forecourt è la struttura di ricarica più avanzata al mondo e sta sperimentando l’infrastruttura di livello mondiale necessaria per supportare le nostre politiche e promuovere la fiducia di cui abbiamo bisogno per passare al trasporto sostenibile nel Regno Unito “.




Alexandria Ocasio-Cortez, la grande comunicatrice

Alexandria Ocasio-Cortez, la grande comunicatrice

Perché Alexandria Ocasio-Cortez comunica bene? Perché sa usare la retorica

Alexandria Ocasio-Cortez – tutti ormai se ne possono accorgere – è una convincente comunicatrice. Lo spot, della durata di due minuti e otto secondi, realizzato nella campagna per le primarie democratiche (da lei vinte), in vista delle elezioni di midterm del 6 novembre 2018, nel 14° distretto di New York (da lei vinte), ne costituisce un’importante prova. Alla base è l’impiego degli elementi fondamentali della retorica.

Parliamo inizialmente dell’ethos, cioè “il carattere che – lo ricorda Olivier Reboul – deve assumere l’oratore per accattivarsi l’attenzione e guadagnarsi la fiducia dell’uditorio”, giacché “quali che siano i suoi argomenti logici, essi non hanno alcun potere senza questa fiducia” (1).

Nello specifico, tale mezzo persuasivo di ordine affettivo è associato all’Erlebnis. La parola tedesca indica precisamente “la somma delle esperienze assimilate e vissute da un autore, in quanto diventano parte essenziale della sua sensibilità e materia d’arte o di poesia; il termine si rende per lo più in italiano con l’espressione ‘esperienza vissuta’” (Vocabolario online Treccani). Nondimeno all’“esperienza vissuta”, fattore che esercita un’influenza sulla loro personalità e sulla loro attività, si riferiscono spesso i politici.

Mentre scorrono le immagini, la ventottenne esponente dei Democratic Socialists of America si presenta:

“Le donne come me non dovrebbero candidarsi alle cariche pubbliche. Non sono nata in una famiglia ricca o potente. Madre di Porto Rico, papà del South Bronx. Sono nata in un luogo in cui il tuo codice postale determina il tuo destino […] Sono un’educatrice, un’organizzatrice, una newyorkese della classe lavoratrice. Ho lavorato con le future mamme, ho servito ai tavoli e ho guidato le classi ed entrare in politica non era nei programmi (2).

Non è stata l’unica circostanza, da lei sfruttata per manifestare fierezza per le sue umili origini:

“L’America non è grande perché una persona ricca e privilegiata può fare politica, ma perché anche una bambina nata povera può diventare quel che vuole” (3) (addirittura componente della Camera).

“Credo che per Trump sia davvero insopportabile che una donna, giovane e figlia di una collaboratrice domestica stia contribuendo alla battaglia per accedere ai suoi documenti finanziari. Al danno si aggiunge la beffa” (4) (per spiegare gli attacchi del presidente nei suoi confronti).

Nei brani appena menzionati, oltre che alla personalizzazione si ricorre all’eziologia. Secondo Armando Plebe e Pietro Emanuele, “si tratta del dirigere la propria argomentazione nella direzione dell’attribuire uno o più fatti accaduti alle cause che si ritiene opportuno evidenziare in luogo di altre possibili cause degli stessi effetti” (5). Si segue dunque un ragionamento imperniato sulla relazione di causa ed effetto, consistente – l’ha rilevato Olivier Reboul – nel “mostrare il valore dell’effetto a partire da quello della causa, o l’inverso” (6).

Un ulteriore esempio di “evidenziazione delle cause” si trova nel messaggio pubblicitario realizzato per le primarie. Nel caso particolare, l’emittente pone una domanda, alla quale risponde immediatamente, allo scopo di stimolare l’attenzione e favorire l’interesse del ricevente (è la peculiarità della figura della soggiunzione o subiectio). Così, per affermare fondatamente la sua credibilità, AOC (le sue iniziali sono ormai diventate quasi il logo di una marca) motiva la decisione di partecipare alle votazioni:

“Ma dopo vent’anni della stessa rappresentanza, dobbiamo chiederci: per chi è cambiata New York? Ogni giorno diventa più difficile per le famiglie che lavorano come la mia cavarsela. L’affitto aumenta, l’assistenza sanitaria copre di meno e il nostro reddito rimane lo stesso. È chiaro che questi cambiamenti non sono stati per noi e ci meritiamo un difensore. È ora di lottare per una New York che le famiglie che lavorano possono permettersi. Ecco perché mi candido al Congresso”.

In occasione di un’intervista, rilasciata dopo le elezioni del 3 novembre, Alexandria Ocasio-Cortez ha nuovamente associato tale strategia retorica all’ethos.

DOMANDA: “Si potrà parlare di una sua corsa al Senato tra un paio d’anni?”

RISPOSTA: “Non so nemmeno se vorrò continuare a essere impegnata in politica. Nei primi sei mesi del mio mandato non sapevo neppure se quest’anno mi sarei ricandidata”

D.: “Davvero? Perché?”

R.: “Per lo stress, l’aggressività, la mancanza di sostegno da parte del tuo stesso partito. Perché è il tuo stesso partito a pensare che sei il nemico. Ho scelto di ricandidarmi perché ho sentito di dover dimostrare che io faccio sul serio. Ma sono molto sincera anche quando dico che le probabilità che io mi candidi a una carica più alta o me ne vada altrove sono quasi le stesse” (7).

Si percepisce una certa amarezza, che potrebbe coinvolgere, al di là della cerchia dei suoi attivisti e simpatizzanti, la sensibilità di vari lettori, spingendoli ad assumere un atteggiamento benevolo e perfino a schierarsi con lei. Un simile genere di captatio benevolentiae si attua attraverso il pathos, il mezzo persuasivo di ordine affettivo costituito – ricordiamo la definizione classica di Olivier Reboul – dall’“insieme di emozioni, passioni e sentimenti che l’oratore deve suscitare nel suo uditorio grazie al suo discorso” (8).

Nel telecomunicato di cui stavamo parlando, ha aggiunto:

“Ciò di cui il Bronx e il Queens hanno bisogno è un’università pubblica gratuita, Medicare-for-all, una garanzia federale di posti di lavoro e una riforma della giustizia penale”.

Conclusione:

“Possiamo farlo adesso. Non ci vogliono cento anni per farlo. Ci vuole coraggio politico. Una New York per molti è possibile. È il momento per uno di noi” (9).

Nell’ultimo estratto si richiama implicitamente l’idea della “urgenza appassionata dell’adesso” di Martin Luther King (“Non ci vogliono cento anni per farlo”), si utilizza la strategia della seduzione con la creazione di un’immagine positiva, sia della parlante, sia del pubblico (“Possiamo farlo”) e si compie un’identificazione tra loro (“È il momento per uno di noi”).

Uno strumento retorico di tipo razionale è il logos, giacché caratterizzato – citiamo ancora Reboul – dalla “attitudine a convincere grazie alla sua apparenza di logicità” e che quindi “concerne l’argomentazione propriamente detta” (10).

A giudizio di Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, “l’argomentazione non potrebbe procedere di molto senza ricorrere a paragoni, nei quali diversi oggetti siano posti a confronto per essere valutati l’uno in rapporto all’altro” (11).

Nello spot per le primarie del 2018, la militante dei D.S.A. ha sostenuto:

Noi abbiamo la gente. Loro hanno i soldi. È ora che riconosciamo che non tutti i democratici sono uguali. Che un democratico che prende i soldi dalle aziende, guadagna dai pignoramenti, non vive qui, non manda i suoi figli nelle nostre scuole, non beve la nostra acqua né respira la nostra aria, non può assolutamente rappresentarci” (12).

Il 23 ottobre 2019, si è tenuta, davanti alla commissione servizi finanziari della Camera, l’audizione di Mark Zuckerberg a proposito di una nuova attività economica della sua società. La deputata dem ha confermato l’abilità dialettica fin dall’introduzione del suo intervento:

“Io penso che lei non disdegni di usare il comportamento passato di una persona per determinare quello futuro. Ecco perché, per prendere decisioni su Libra [una criptovaluta e un sistema di pagamento digitale globale], dobbiamo scavare nel comportamento passato di Facebook riguardo al rispetto della democrazia” (13).

La premessa ha l’obiettivo di giustificare il vero e proprio interrogatorio successivo sulla tutela dei dati personali e sulla comunicazione politica. Al di là dell’impiego dell’eziologia, della “evidenziazione delle cause” (“Ecco perché…”), di cui abbiamo già parlato, AOC riconosce l’importanza del “precedente”. Per Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, “si può presumere, fino a prova contraria, che l’atteggiamento precedentemente adottato – opinione espressa, condotta prescelta – continuerà in  avvenire”. Questo meccanismo costituisce un presupposto della persuasione: è un “oggetto di accordo” dell’uditorio, ossia si basa su “quanto si ritiene ammesso da parte degli ascoltatori” (14). Effettivamente – lo abbiamo appena visto – così l’emittente del messaggio si rivolge al ricevente: “Io penso che lei non disdegni…”.

L’ignoratio elenchi è la diversione che consiste nel trascurare la confutazione o, addirittura, nell’allontanarsi dal tema in discussione. Per impedire al miliardario fondatore del social network di utilizzarla, Alexandria Ocasio-Cortez l’ha incalzato con una formula lineare:

“Non eliminerete le bugie o eliminerete le bugie? Penso che sia solo un sì o no piuttosto semplice” (15).

Un tipo di attiva argomentazione è anche il cosiddetto avvelenamento del pozzo. Essa – ha rilevato Paola Cantù – “viene messa in campo preventivamente, quando la discussione ancora non è iniziata. Come una guerra difensiva preventiva, può essere intrapresa per stroncare i presunti rivali prima che diventino pericolosi e possano muovere all’attacco, o per evitare obiezioni e critiche a cui non si intende rispondere né ora né mai, vale a dire, per evitare una volta per tutte di entrare in discussione con l’interlocutore”. La denominazione “deriva da un caso storico eclatante e particolarmente odioso, cioè l’accusa di untori mossa nel Medioevo agli ebrei, indicati come i responsabili dell’inquinamento dei pozzi e di conseguenza della diffusione della peste in Europa” (16).

Il rifiuto di dibattere appoggiandosi su un ragionamento è dunque in relazione con la teoria del capro espiatorio. Nella già menzionata intervista, rilasciata dopo le elezioni del 3 novembre, la parlamentare democratica ha rimarcato un simile operato all’interno del suo stesso Partito:

“Prima ancora di avere numeri certi, c’era già chi puntava il dito dicendo che era tutta colpa dei progressisti e del Movimento Black Lives Matter” (17).

Note

(1) Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, pp. 21 e 69.

(2) YouTube – The Courage to Change | Alexandria Ocasio-Cortez.

(3) Riportato in la Repubblica, 6 novembre 2018, p. 3.

(4) Riportato in Huffpost, 6 marzo 2019.

(5) Armando Plebe, Pietro Emanuele, Manuale di retorica, Universale Laterza, 1988, pp. 123-124.

(6) Olivier Reboul, op. cit., p. 211.

(7) Riportato in la Repubblica, 10 novembre 2020, p. 14.

(8) Olivier Reboul, op. cit., p. 70.

(9) YouTube – The Courage …

(10) Olivier Reboul, op. cit., pp. 36 e 70.

(11) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 262.

(12) YouTube – The Courage …

(13) Riportato in An. Man., “Facebook, Ocasio-Cortez fa a pezzi Zuckerberg su privacy e pubblicità elettorale”, in ilsole24ore.com, 24 ottobre 2019. Il titolo dell’articolo rende l’idea della distanza incolmabile, nell’oratoria, tra la “stella newyorkese della politica dal grande fascino mediatico” e la controparte “quasi balbettante”.

(14) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., pp. 71 e 114-115.

(15) Riportato in An. Man., op. cit.

(16) Paola Cantù, E qui casca l’asino. Errori di ragionamento nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, 2011, p. 147.

(17) Riportato in la Repubblica, 10 novembre 2020, p. 14




Green influencer, chi sono i 10 protagonisti che usano i social per promuovere la sostenibilità

Raccontare nuove modalità di consumo e orientare gli acquisti per clienti più consapevoli: da Giorgia Pagliuca a Teresa Agovino ecco chi sono i dieci protagonisti che conquistano più consensi sulle piattaforme web

In queste ore c’è una foto che ha scaldato i social di mezzo mondo, diventando una delle più condivise dell’anno. Al centro della scena due elefanti che si sfiorano con le loro proboscidi. Dietro quello scatto c’è però una storia di attivismo che affonda le radici in anni di battaglie. Uno dei due esemplari nell’immagine è Kaavan, noto come l’elefante più solo al mondo perché rinchiuso nello zoo di Islamabad da trentacinque anni in completa solitudine. Tutto questo almeno fino a qualche giorno fa. Nell’anno che ci ha costretti all’isolamento per via dell’emergenza sanitaria, la liberazione di Kaavan è suonata quasi come una rivincita. In prima linea nell’operazione si è schierata Cher, che ha addirittura accompagnato l’elefante nel suo viaggio aereo dallo zoo del Pakistan al santuario cambogiano, dove da alcune ore vive insieme ad altri suoi simili. Per la missione sono stati mobilitati un cargo russo e un team di veterinari che hanno trascorso tre mesi nella capitale del Pakistan. «I nostri desideri si sono avverati. Abbiamo fatto il conto alla rovescia per questo momento e l’immagine di Kaavan trasportato fuori dallo zoo ci accompagnerà per sempre. Dobbiamo prenderci cura del nostro pianeta e di tutte le specie che lo abitano», ha dichiarato l’icona della musica pop, che ha condotto questa campagna per liberare Kaavan con l’imprenditore Eric Margolis e con l’organizzazione animalista Four Paws, arrivando addirittura a pagare per il trasferimento.

Tutti pazzi per l’oro verde

Kaavan trending topic sui social. D’altronde queste storie scalano l’attenzione globale in un momento di forte disorientamento. E in fondo declinano l’attenzione al pianeta con gesti concreti: così la narrazione dell’ambiente – e tutto ciò che lega l’emergenza pandemica a quella ambientale, climatica e sociale – diventa una leva differenziante. Perché i consumatori sono maggiormente orientati a fare la differenza anche nel loro quotidiano. È la riscossa dell’oro verde, con la sostenibilità diventata business per le marche: così ha titolato pochi giorni fa il Financial Times. Dalle carte di credito in plastica riciclata alle scarpe biodegradabili, i prodotti eco-compatibili hanno invaso i mercati. Si moltiplicano salviette riciclabili, preparati per dolci fatti con olio di palma sostenibile, detergenti in bottiglie riutilizzate. «I corridoi dei market londinesi raccontano la storia del boom verde in atto negli acquisti. In un settore estremamente competitivo, le credenziali eco-compatibili sono diventate la chiave per attirare l’attenzione di consumatori preoccupati per il futuro del pianeta», hanno scritto Judith Evans e Camilla Hodgson.

Fare la cosa giusta attraverso consumi quotidiani consapevoli: è quanto fanno sui social i nuovi testimonial di questa rivoluzione. Lo certifica la nuova classifica degli influencer legati alla sostenibilità emersa dall’Osservatorio Alkemy- Il Sole 24 Ore. «La ricerca è stata affrontata tenendo in considerazione un perimetro piuttosto ampio che include varie declinazioni dei concetti di green, sostenibilità e ambientalismo. Questo approccio ci ha portati a identificare influencer caratterizzati da sensibilità e professionalità differenti, ma tutti accomunati dall’obiettivo di difendere l’ambiente in cui viviamo», racconta Matteo Menin, Managing Director di Alkemy. Una classifica che esclude le metriche meramente quantitative e si concentra sui profili più relazionali, svincolandosi dalla notorietà televisiva. Nei primi dieci posti si va dal divulgatore scientifico alla blogger di moda sostenibile. Sul fronte dei canali ad imporsi è Instagram. Salvo alcuni casi isolati – come Francesca Della Giovampaola o Alex Bellini – Facebook, pur presidiato da tutti con almeno un profilo, generalmente non viene aggiornato, mentre YouTube resta centrale per quegli influencer che fanno del video il formato più incisivo. «Abbiamo rilevato inoltre un potenziale interessante su questi temi in TikTok, un buon segno se interpretiamo il fenomeno come una crescente sensibilità sul tema ambientale da parte delle nuove generazioni. E poi sette delle prime dieci posizioni in classifica sono occupate da donne, più un’ulteriore presenza di una coppia uomo-donna: un fenomeno, quello dell’attivismo ambientale sui social, che quindi risulta prevalentemente femminile, almeno per quanto riguarda i profili che propongono le narrative più efficaci», precisa Menin.

La sfida delle eco-marche

Dai testimonial ai brand: un’alleanza che intercetta realtà grandi e piccole nel segno dell’attenzione alle materie prime e al packaging. Tra i colossi ci sono E.ON, Nivea, Coop, Sephora. Con queste eco-marche i green influencer entrano spesso in contatto. «Oggi la comunicazione sui temi della sostenibilità non è più un lusso, è una necessità. Nessuna azienda pensa ormai di essere competitiva senza dimostrare il proprio impegno verso la sostenibilità. Ma lo si fa ancora in modo superficiale o tecnico. Oggi pochissimi consumatori si lasciano convincere da pubblicità green generiche», afferma Fabio Iraldo, professore ordinario di management alla Scuola Sant’Anna di Pisa e autore di “Oltre il Greenwashing” per Edizioni Ambiente. Per competere bisogna scommettere su concretezza ed efficacia. «Serve dare credibilità ai messaggi, dimostrando con dati e indicatori, meglio se certificati, che il proprio impatto ambientale è inferiore rispetto ad altri e trovando il modo giusto per tradurre quei numeri complessi in un messaggio che abbia un appeal emotivo», precisa Iraldo.

La sfida è per le aziende, ma anche per le agenzie di marketing e comunicazione impegnate a disegnare le nuove campagne. «La sostenibilità è un bellissimo viaggio, non semplice da compiere. La soluzione è quella di ragionare circolarmente e non linearmente, pensare per inclusione e non per esclusione, con un approccio che sia in grado di integrare ragione ed emotività, fatti dimostrati e misurabili con la passione», dice Davide Andrea Sicolo, senior vice president di Edelman. La società ha partecipato ad uno spin-off con la Scuola Sant’Anna e ha creato EPIC. Si tratta di un modello racchiuso in un acronimo: evocatività, prossimità, indicatori, coinvolgimento. «Questi elementi vengono misurati tecnicamente per rendere la comunicazione scientificamente sostenibile, ma allo stesso tempo di impatto», precisa Sicolo. Ancora una volta per i brand la sfida per imporsi sui mercati globali sta nel difficile equilibrio tra misurabilità delle azioni e la loro narrazione.




La classifica di Reputation Science sui virologi in tv: chi fa più share, chi si contraddice meno. L’accusa: «La confusione crea notorietà» – Lo studio

La classifica di Reputation Science sui virologi in tv: chi fa più share, chi si contraddice meno. L’accusa: «La confusione crea notorietà» – Lo studio

Secondo uno studio di Reputation Science, molti professionisti hanno sfruttato l’onda mediatica per tornaconto personale. E questo ha creato solo confusione tra i cittadini

La sovraesposizione mediatica dei virologi non ha aiutato a fare chiarezza sul Coronavirus. Anzi, secondo uno studio del Reputation Science, la società italiana di analisi e gestione della reputazione, ha contribuito ad alimentare l’infodemia – cioè la messa in circolo di una quantità eccessiva di informazioni poco chiare che contribuisce alla confusione. A dimostrarlo è una loro analisi sulle dichiarazioni di virologi, medici ed esperti che hanno avuto visibilità sul web dal 1° febbraio al 20 novembre 2020 in materia di Covid-19.

Secondo l’indagine condotta sugli ultimi dieci mesi – quelli dell’emergenza Covid-19 in Italia- solo sul web gli utenti sono entrati ogni «giorno in contatto con oltre 230 contenuti generati dagli esperti di virologia, per un totale di oltre 70.000 contenuti». Ogni dichiarazione, infatti, ha generato in media 586 contenuti online. Questo mix di voci – spesso «incoerenti» tra loro – ha creato principalmente incertezza, poiché, come si legge nel report, «le indicazioni sulla gravità della pandemia e sulle misure di contenimento sono state fortemente contrastanti tra i diversi esperti».

Chi è intervenuto e quando

Stando al report, alcuni virologi hanno scelto di parlare pubblicamente nei momenti in cui il trend dei contagi era in aumento – è il caso, ad esempio, di Roberto Burioni – mentre altri hanno concentrato i propri interventi nei giorni in cui si registravano contagi minori, come nel caso di Alberto Zangrillo. Gli altri 10 esperti hanno mantenuto tempistiche di intervento pressoché costanti. I nomi dei virologi ed esperti presi in considerazione sono 12:

Fonte: Reputation Science

L’indice di allerta e l’indice di coerenza

A questo dato è collegato anche “l’indice di allerta”, attraverso cui viene valutata l’opinione media dell’esperto in merito alle soluzioni per contenere la pandemia secondo una scala che parte da –5 (misure di contenimento minime) a +5 (misure di contenimento massime). Accanto al numero sull’allerta, gli autori del report hanno inserito anche l’indice di coerenza, cioè la coerenza delle dichiarazioni pubbliche di ciascun esperto nel corso del periodo (in una scala da 1 a 10).

Fonte: Reputation Science

«Dalle analisi emerge in modo molto chiaro come il flusso di comunicazione innescato dagli esperti sia stato eccessivo e incoerente», ha dichiarato Auro Palomba, Presidente della società. «Purtroppo, stiamo assistendo a molti singoli professionisti che stanno utilizzato la ribalta mediatica per promozione personale e ad un gruppo di esperti che sta progressivamente perdendo la propria capacità di svolgere un ruolo di guida».




Esg, ecco gli indicatori utili per verificare se un’azienda è veramente sostenibile

Esg, ecco gli indicatori utili per verificare se un’azienda è veramente sostenibile

Fra i fattori chiave i bonus dei manager agganciati a parametri di lungo periodo e l’integrazione del piano di sostenibilità in quello industriale. I dati del tradizionale report Kpmg-Nedcommunity sulle dichiarazioni non finanziarie

Bonus dei manager e integrazione della sostenibilità nei piani industriali. Ecco quello che guardano i gestori di fondi (che investono soldi) e gli analisti finanziari (che suggeriscono come investirli) quando si trovano tra le mani la dichiarazione non finanziaria di una azienda quotata. Al netto delle discussioni su standard, metrica e tutti gli altri temi di dibattito sul tavolo delle authority di mezzo mondo, chi non vuole incorrere nel greenwashing verifica prima se il management crede o meno nel mondo Esg.

Sono dunque importanti e interessanti i dati che emergono dal tradizionale rapporto di Kpmg e Nedcommunity che hanno mappato le dichiarazioni non finanziarie (Dnf) di quotate e non quotate obbligate alla pubblicazione. La ricerca, giunta al terzo anno, ha analizzato le Dnf di 200 aziende; soltanto 13 sono i documenti redatti in maniera volontaria nonostante il pressing della Consob.Noi no: quindi abbiamo scritto in italiano il contratto, il sito e le bollette.Tu lo parli l’alienese?about:blank

Bonus sostenibili ma di breve periodo

Partiamo dalle remunerazioni. Il team di ricercatori ha realizzato un focus sul Ftse-Mib40, l’indice delle blue chip di Piazza Affari, quelle che fanno da battistrada per le altre quotate. Ebbene il 74% delle aziende Ftse-Mib definisce obiettivi specifici legati alla
sostenibilità: sembra dunque essere entrato anche nei bonus dei manager l’aggancio con l’ambiente e il sociale. Sembra però. Perché del gruppo di società che ha inserito i criteri Esg nelle remunerazioni, l’84% ha utilizzato parametri specifici ma di breve periodo. Se infatti annunci di voler tagliare le emissioni da qui al 2030 o al 2050, non puoi premiarti poi su un arco temporale di uno o due anni.

Gli indicatori a cui vengono agganciati i bonus dei manager, per il 28% sono legati all’impatto ambientale e per il 22% alla gestione del personale e alle diversità. Via via a scendere vi sono gli altri temi. Soltanto nel 6% dei casi, però, le remunerazioni sono legate al tema sociale (supporto alla comunità e sviluppo del territorio).

Integrazione nei piani industriali

Il secondo indicatore che consente di “contenere” il dilagante greenwashing è verificare se il piano sostenibilità sia integrato o meno nel piano industriale.

Dal rapporto Kpmg-Nedcommunity, si scopre che sono 34 (il 45%) le aziende ad aver realizzato tale integrazione, con un balzo del 140% rispetto al 2017. Poco, tanto? Certamente indicativo del dna di un’azienda. Senza dimenticare però che questi risultati sono stati raggiunti in breve tempo e che 105 aziende hanno comunque una strategia di sostenibilità e 76 hanno formalizzato un piano di sostenibilità strutturato.

Il confronto con i portatori di interesse (stakeholder)

Il nuovo codice di autodisciplina delle società quotate in Piazza Affari «sottolinea il ruolo
del consiglio d’amministrazione nel promuovere il dialogo con gli stakeholder, al fine
di perseguire il successo sostenibile», si legge nel report. Ecco quindi l’importanza del confronto con i portatori di interessi interni ed esterni.

E qui c’è qualche nota dolente. Il 93% ha coinvolto gli stakeholder nell’aggiornamento della materialità, ovvero dei temi considerati rilevanti per l’azienda: buono l’incremento dell’8% rispetto al 2018. Allo stesso tempo però è soltanto il 64% che ha coinvolto anche gli “esterni” in questo confronto con questionari, workshop e forum; nonostante un forte incremento (+53%) il coinvolgimento degli stakeholder esterni non riguarda ancora tutte le società obbligate alla Dnf. I feedback da comunità e consumatori sono invece fondamentali.

I trend

Quali sono allora i trend che si intravedono in base alla ricerca? «La terza edizione della survey – ha sottolineato Pier Mario Barzaghi, partner Kpmg – evidenzia un crescente impegno delle imprese italiane a contribuire al raggiungimento dell’Agenda 2030: 114 aziende del campione, +88% rispetto al 2017, hanno preso in considerazione gli impatti del proprio business sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), illustrando le azioni e gli obiettivi attraverso cui contribuiscono alla realizzazione dell’Agenda 2030. Nei prossimi anni ci aspettiamo un’ulteriore crescita di questo fenomeno con particolare attenzione anche ai processi di pianificazione».

Altra tendenza è quella di considerare la Dnf come un’opportunità e non un semplice obbligo. «Grazie all’ingresso dei temi Esg nei consigli d’amministrazione – ha dichiarato Patrizia Giangualano, consigliere indipendente e membro del consiglio direttivo di Nedcommunity – le aziende confermano il percorso intrapreso di progressiva integrazione, definendo sistemi di gestione dei rischi integrati e formalizzando le proprie politiche di gestione sui diversi ambiti considerati maggiormente rilevanti, trasformando la rendicontazione non finanziaria da obbligo di compliance a strumento di comunicazione del valore condiviso che ciascun business è in grado di generare e distribuire».