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I produttori cinesi sfruttano i social media per ampliare il proprio mercato

I produttori cinesi sfruttano i social media per ampliare il proprio mercato

Con una crisi economica nazionale, i produttori cinesi stanno intensificando gli sforzi per assicurarsi nuove fette di mercato all’estero complice la concorrenza dei paesi emergenti. Il nuovo trend su TikTok e Instagram riguarda le aziende cinesi che utilizzano queste piattaforme per rivendere i propri prodotti: dai componenti elettronici agli articoli per l’illuminazione e ai prodotti chimici industriali.

Le potenzialità del web

Emblematico è il racconto di Tony Zhu a Rest of world, venditore di una fabbrica cinese che produce light-box, con una pagina Instagram con quasi 450.000 follower. Dietro la scelta di promuovere i prodotti industriali sui social c’è un progetto di marketing preciso volto a rendere ogni video virale ma senza mettere a repentaglio la serietà dell’azienda ed allontanare potenziali clienti: ”Cerchiamo di trovare un equilibrio tra intrattenimento e business in ogni contenuto“, ha dichiarato Tony Zhu. Per ogni video che l’azienda pubblica su TikTok riescono a convertire dal 3% al 10% delle visualizzazioni in ordini.

 

 
 
 
 
 
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Un mercato oltre gli e-commerce

In passato, i produttori cinesi entravano in contatto con i clienti stranieri tramite fiere, mercati all’ingrosso e agenti di commercio. Con l’avvento dei siti di e-commerce alla fine degli anni ’90, gli importatori stranieri e le fabbriche cinesi hanno potuto connettersi tramite piattaforme come Alibaba.com e Made-in-China.com, investendo decine di migliaia di dollari.

Sebbene la maggior parte dei social media sia bloccata in Cina, gli esportatori utilizzano reti private (VPN) per promuovere i propri prodotti all’estero riuscendo a bypassare il blocco. Timmy Tang, 27 anni, che realizza video per la fabbrica di scatole di carta della sua famiglia nel Guangdong, ha dichiarato di aver recentemente spedito campioni a un utente di TikTok in Sudafrica e di aver raggiunto un accordo con un acquirente indiano che ha scoperto la sua attività tramite i suoi video sul profilo di WeChat.

Cambiare mercato e pubblico di riferimento

La potenza dei social media che stanno sperimentando i produttori cinesi li ha portati a guadagnare popolarità al di fuori del loro pubblico di riferimento attraverso modalità inaspettate. 

Il rallentamento dell’economia cinese sta spaventando parecchio le aziende le quali sono pronte ad accedere a nuovi modelli di business pur di rimanere competitivi a livello globale. Certo alcuni restano scettici sulla reale efficienza delle piattaforme social come base economica di un’azienda. Tuttavia questi strumenti rappresentano senza dubbio un metodo alternativo valido al di fuori delle costose fiere e degli stand degli expo internazionali per far conoscere il proprio lavoro e raggiungere nuovi clienti.




Milano, scontro Procura/Comune: l’inchiesta sui progetti di “rigenerazione urbana”

In questa video-inchiesta, condotta dal giornalista Massimiliano Rigano, approfondiamo una situazione estremamente controversa che sta avendo un forte impatto sulla città di Milano, motore economico del Paese, portando alla ribalta questioni di legalità e di prassi amministrative nel settore dell’edilizia: oltre centocinquanta cantieri in corso sono bloccati, la manovalanza, operai e artigiani sono a casa senza lavoro. E non solo: secondo Scenari Immobiliari, che ha presentato un rapporto dal titolo “Osservatorio sull’Abitare”, i cantieri bloccati sono circa 150, ed a rischio sono nei prossimi dieci anni investimenti per ben 38 miliardi di euro, 12 miliardi per il solo settore residenziale e 26 miliardi di indotto. Se i nodi sull’edilizia non si sciolgono in fretta, saranno questi i danni per il sistema Milano.

I fatti: apparentemente siamo dinnanzi a un conflitto di competenze e di interpretazioni giuridiche tra pubblici poteri, ovvero la Procura di Milano da un lato, e il Comune di Milano, dall’altro, con implicazioni che però vanno ben oltre le mura della città, influenzando l’economia e la fiducia degli investitori, italiani e stranieri.

L’interpretazione delle norme che viene contestata dalla Procura riguarda, in estrema sintesi, la tipologia di permessi edilizi da rilasciare per le operazioni di recupero immobliare sul territorio milanese: secondo la Procura, per i progetti di “rigenerazione urbana” – che prevedono il riutilizzo del patrimonio edilizio esistente con la demolizione di vecchi fabbricati – sarebbe necessario qualificare gli interventi come “Nuova Costruzione” e non come “Ristrutturazione”, che richiedere un più complesso iter autorizzativo. 

Inoltre, sempre secondo la Procura, autorizzare i lavori di ristrutturazione in assenza di un Piano Attuativo completo, causerebbe una perdita per l’erario, perché i benefici per il Comune, ovvero gli incassi per gli oneri di urbanizzazione e le varie tasse da versare, sarebbero maggiori con un Piano Attuativo che con una “semplice” SCIA.

Secondo il Comune, invece, rilasciare un Permesso di Costruire o una Scia permette di sveltire molto le pratiche, e quindi di autorizzare, far partire e concludere molti più cantieri ogni anno, aumentando quindi il montante complessivo e cumulativo degli oneri di urbanizzazione incassati.

E ancora: la Procura contesta il fatto che autorizzando i lavori  senza un completo Piano Attuativo, il Comune non si assicurerebbe che i servizi sociali di prossimità ai palazzi (asili, ambulatori, negozi, etc.) siano adeguati, perché una cosa è servire un palazzotto di 4 piani, altra cosa è servire una costruzione che, venendo spesso sopraelevata rispetto alla vecchia, potrebbe arrivare anche a 25 piani, con incremento quindi della popolazione residente. Obiezione alla quale il Comune risponde dicendo che laddove ha autorizzato l’edificazione in “modalità diretta”, ovvero senza Piano Attuativo, lo ha fatto a ragion veduta, e a seguito di una puntuale e minuziosa verifica della consistenza dei servizi sul territorio, e che Milano – inoltre – vanta i servizi alla popolazione tra i migliori d’Italia.  

Stretti nella morsa tra Procura e Comune, ci sono gli sviluppatori immobiliari e gli investitori, i costruttori, le imprese edili, tutti costretti, nell’attesa che le pubbliche autorità facciano chiarezza, e già si parla di un’iniziativa legislativa a livello nazionale, come vi racconteremo in questa inchiesta: attraverso un’analisi dettagliata della documentazione, interviste con esperti legali e urbanistici e contributi da parte delle associazioni di settore, sveleremo la complessità di questa vicenda legale e amministrativa, fornendo una volta per tutte una visione chiara e approfondita delle dinamiche in gioco, delle decisioni giudiziarie e delle ripercussioni sul tessuto urbano e sociale della più importante e dinamica metropoli italiana, accendendo i riflettori sulle sfide che anche altre città d’Italia potrebbero dover affrontare nel prossimo futuro…


La video inchiesta (45′ circa)




Rendicontazione di sostenibilità e valutazione delle performance ESG

Rendicontazione di sostenibilità e valutazione delle performance ESG

Redatto dal Prof. Luca Poma e Giorgia Grandoni, del Centro Studi di Reputation Management Srl, e pubblicato da OIBR – Organismo Italiano di Business Reporting, il documento ripropone i dati della ricerca condotta nel 2023 (coinvolte 100 aziende italiane e con interviste a 500 cittadini), per conto del Parlamento Europeo.

Il testo integrale del documento, con tutti il dettaglio del razionale della ricerca, l’analisi e commento dei risultati e tutti i dati raccolti, è scaricabile in .pdf a questo link.




Le chiavi della comunicazione aziendale del futuro

Le chiavi della comunicazione aziendale del futuro

Le tendenze emergenti nella comunicazione aziendale includono autenticitàcomunicazione multigenerazionale, gestione della reputazione e trasparenza. Le aziende devono personalizzare i messaggi, prevedere i rischi reputazionali e gestire efficacemente i social media, che possono sia costruire che distruggere reputazioni. La trasparenza e l’etica sono cruciali per il successo a lungo termine. Di tutto questo abbiamo parlato con Luca Poma, professore di Reputation Management all’Università LUMSA di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino

Quali sono le tendenze emergenti nella comunicazione aziendale che ritiene più rilevanti per il futuro?

«Sicuramente il tema dell’autenticità emerge sempre più prepotentemente, soprattutto le nuove generazioni sono stufe dell’agiografia e dei maquillage tipici del marketing. I casi Ferragni, distrutta proprio dall’assenza di autenticità, e Armani e Dior, entrambe in commissariamento giudiziario con l’accusa di sfruttare la manodopera quando fino al giorno prima incassavano a mani basse premi per la sostenibilità, sono solo gli ultimi di una lunga serie, e ci confermano che l’attitudine al lifting, a lustrarsi l’immagine per vendere di più a scapito della sostanza, sta mostrando la corda. Essere inautentici semplicemente rischia di distruggere valore».

Come può un’azienda comunicare in modo efficace con diverse generazioni di consumatori?

«Mettendosi l’anima in pace e accettando la complessità nella quale siamo immersi: non può esistere un solo piano di comunicazione, esiste una pluralità di pubblici e con ognuno di essi l’azienda dovrebbe dialogare con linguaggi messi a punti sartorialmente e su canali dedicati. Non possiamo chiedere a tutti i pubblici indifferentemente di raggiungere l’hub informativo dove l’azienda si parla magari addosso con un linguaggio univoco: dev’essere l’azienda ad andare a caccia dei suoi pubblici, dove essi già normalmente dialogano, costruendo una narrazione e personalizzando quanto più possibile i linguaggi, perché è anche tramite la semiotica che possiamo sintonizzarci sulla stessa frequenza del nostro interlocutore e risvegliare e catturare la sua attenzione, e poi conquistarci – con i fatti – la sua fiducia».

Quali sono le principali sfide che le aziende devono affrontare nella gestione della loro reputazione oggi?

«La previsione e mitigazione dei rischi. Un completo assesment reputazionale ha costi molto contenuti, io stesso con il mio team di ricerca ne ho messo a punto uno molto efficace: il perché le aziende italiane non mappino i rischi reputazionali, potenzialmente devastanti per la business continuity, e non facciano nulla per prevederli e mitigarli, arrivando così puntualmente impreparati all’ora “x” della crisi di reputazione, resta per me un mistero».

Qual è il ruolo dei social media nella costruzione e nella distruzione della reputazione aziendale?

«Rilevante, perché oggigiorno le persone sono sempre più libere di manifestare le proprie opinioni, si sentono “parte dell’equazione”, e possono influire sulla reputazione di aziende, istituzioni finanziarie, imprenditori e manager, e internet può rendere ogni crisi “globale”, un evento di portata locale può danneggiare un brand su scala planetaria, eventi poco significativi possono essere ingigantiti e situazioni che nulla hanno a che fare con l’organizzazione possono avere riflessi molto negativi sulle vendite e sul valore delle aziende. I social – grande conquista per la libertà di espressione – sono però anche i veicoli di contagio di questo “virus”. Eclatante il caso di BioOn, la straordinaria start up della plastica biodegradabile, arrivata a valere più di 1 miliardo di euro in Borsa Milano, distrutta proprio da un video diffamatorio veicolato sui social – ne parla BioOn Unfair Game, un interessante video-inchiesta pubblicata poche settimane fa, guardatela, dice tutto su come i meccanismi di visibilità social possono rivelarsi un’arma a doppio taglio».

In che modo la trasparenza e l’etica influenzano la reputazione aziendale?

«In tutti i modi, è acclarato da ormai 15 anni che introdurre preoccupazioni di carattere etico nel business fa guadagnare più soldi, e che per contro essere puramente marketing-oriented non necessariamente aumenta sul lungo termine il valore delle aziende. Gli imprenditori dovrebbero saper guardare oltre la trimestrale di bilancio, se desiderano lasciare una traccia: come diceva Francois Michelin, tra assemblare pietre e costruire cattedrali c’è una bella differenza».




Dietro lo “scoop” il memorabile “PR disaster” del Principe Andrea

Dietro lo "scoop" il memorabile "PR disaster" del Principe Andrea

In queste settimane, sono molti ad aver visto “Scoop”, il film – diretto da Philip Martin e distribuito da Netflix (qui il trailer: https://youtu.be/cZcHc3zEEoc?si=VRhkBNbkhPQ8rdX0) – che racconta la storia (vera) di Sam McAlister, la giornalista della BBC che è riuscita a ottenere un’intervista esclusiva al Principe Andrea sulla sua controversa amicizia con Jeffrey Epstein, il finanziere statunitense arrestato nel luglio 2019, con l’accusa di abusi sessuali e traffico internazionale di minorenni, e morto suicida in carcere il mese successivo. Un’intervista (la versione integrale si trova qui: https://youtu.be/QtBS8COhhhM?si=FMetyZMrKXgU_0cy) che – per le molte reticenze, l’autoreferenzialità delle risposte e l’imbarazzo dimostrato dal principe – ha scatenato reazioni negative nel pubblico e nei media ed è costata al duca di York la rinuncia – pochi giorni dopo – a tutti gli incarichi reali.

I fatti sono noti. Andrew – terzogenito della regina Elisabetta – grazie all’amicizia dei tempi dell’università con Ghislaine Maxwell, la compagna di Epstein, negli anni ‘90 inizia a frequentare le feste e le dimore del controverso finanziere: proprio lì nel 2001 avrebbe avuto – il condizionale è la chiave di tutta la vicenda – tre incontri sessuali con Virginia Roberts Giuffre, all’epoca diciassettenne. Sebbene il fratello minore dell’attuale re Carlo III abbia sempre negato di avere mai incontrato la ragazza, una foto compromettente, che lo ritrae con un braccio attorno alla vita di lei, è stata sufficiente per costringerlo – nel 2022 – ad un accordo informale da 14 milioni di euro per evitare un processo il cui solo annuncio gli era già costato la revoca dei suoi titoli reali e dei gradi militari.

Basato sul libro-intervista Scoops. Behind the Scenes of the BBC’s Most Shocking Interviews (Oneworld, 2022) della stessa Sam McAlister, il film segue passo passo la strategia di negoziazione (qui una sintesi dell’autrice: https://youtu.be/I88aZvrqNmM?si=iyg0RX5O6GDfr_g-) – tanto abile quanto unilaterale – per ottenere quei famosi 58 minuti di intervista registrati a Buckingham Palace e andati in onda il 16 novembre 2019 su “Newsnight”, il seguitissimo programma serale dell’emittente inglese.

A chi si occupa di relazioni pubbliche, però, non interessa tanto l’abilità negoziale della McAlister (oggi ha lasciato la BBC e insegna tecniche di negoziazione alla London School of Economics) o la magistrale conduzione dell’intervista da parte di Emily Maitlis (brillantemente interpretata nel film da Gillian Anderson, la famosa agente Scully di X-Files e una convincente Margaret Thatcher in The Crown). Per capire perché questa intervista si sia rivelata uno dei peggiori “PR disaster” (il copyright è di Buckingham Palace) della storia recente, va analizzato il ruolo di Amanda Thirsk – la segretaria personale del principe che conduce (ma dovremmo dire “subisce”) la negoziazione informale con la McAlister – e, soprattutto, di Jason Stein: il consulente ingaggiato da Andrea nel settembre 2019 come “communications secretary” per gestire le media relations dopo l’arresto e il suicidio di Epstein, che – dopo una breve parentesi come advisor del primo ministro Liz Truss – oggi ricopre il ruolo di Managing Director di FGS Global, la decima società di relazioni pubbliche al mondo per fatturato.

Quella proposta da Stein, infatti, è la classica – forse noiosa, ma tecnicamente impeccabile – strategia di crisis communication per leader, top manager e celebrity. Basata su tempi lunghi (“There’s no quick fix to a story like this”, ribadisce senza mezzi termini al principe in una delle prime scene del film) e su una serie di incontri informali a carattere relazionale (“off-the-record tea”) con alcuni giornalisti della carta stampata particolarmente affidabili (“friendly journalists”) mira a restaurare la reputazione del duca di York promuovendo alcune uscite di qualità sulle attività benefiche da lui promosse. La strategia, però, richiede una decisa inversione di rotta rispetto al passato e – soprattutto – la gestione centralizzata nelle mani del professionista di media relations di tutte le attività di comunicazione: “My instinct is that you haven’t had the right strategy. Epstein and the whole ‘playboy Prince’ thing should’ve been put to bed a long time ago – and I can make it go away. But you have to let me control it”.

Quando, infatti, Stein scopre la trattativa parallela della segretaria con Sam McAlister, le chiede – preoccupato – se almeno ha posto alcune condizioni prima di concedere l’intervista: “Conditions, Amanda? You discussed conditions?”. Di fronte al suo candido diniego, palesa tutto il suo sconcerto (“Oh my god”) e rassegna immediatamente le sue dimissioni dall’incarico: “I can’t do this. I’m out”.

Al di là della ricostruzione cinematografica, cosa ci insegna questo caso? Da un lato c’è la soluzione apparentemente facile e liberatoria (nel suo libro Sam McAlister racconta come dopo l’intervista il principe fosse particolarmente esuberante (“ebullient”) e soddisfatto) – ma estremamente pericolosa – di un’intervista televisiva con un giornalista (preconcetto, se non apertamente ostile) e senza avere negoziato domande, temi da evitare, tempi, etc., nella quale l’intervistato pensa di poter raccontare liberamente (e impunemente) la “sua” verità. Dall’altro si contrappone un lento ma incessante percorso di reputation management, basato sulla progressiva modifica della percezione dell’opinione pubblica grazie al ricorso a mass media meno “emotivi” come la carta stampata (in ogni caso destinata ad essere ripresa da tv e social network), alla diffusione di tematiche positive alternative alla issue in questione e – in caso di intervento diretto sul tema – prediligendo messaggi chiari e univoci e mostrando empatia (fino alle scuse per l’imbarazzo creato) pur senza ammettere responsabilità dirette.

Ma, si sa, quando a gestire la comunicazione sono – anche in buona fede – “non professionisti” come segretarie e altre figure organizzative, il disastro reputazionale è dietro l’angolo. E i giornalisti ringraziano per lo scoop.