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Gli italiani trascorrono un quarto della loro giornata online

Gli italiani trascorrono un quarto della loro giornata online

A dirlo “Digital 2020”, il report annuale di We Are Social che analizza lo scenario social e digital a livello locale e globale, realizzato in collaborazione con Hootsuite.

l nostro paese registra ancora un trend di adozione in crescita per quanto riguarda Internet, piattaforme social e nuove tecnologie: sono quasi 50 milioni gli utenti che accedono a Internet ogni giorno.YouTube si conferma la piattaforma più attiva, seguita dalla famiglia di app di Facebook (WhatsApp, Facebook, Instagram e Messenger nell’ordine).

A dirlo “Digital 2020”. il report annuale di We Are Social che analizza lo scenario social e digital a livello locale e globale, realizzato in collaborazione con Hootsuite.

La ricerca – alla sua nona edizione – delinea un paese “maturo” nell’utilizzo di Internet e dei canali social: ogni giorno sono 45 milioni le persone che accedono a Internet da mobile e 35 milioni quelle attive sui canali social, utilizzati in maniera sempre più diversificata, a scopo di intrattenimento, informazione, condivisione e conversazione.

In linea con altri paesi occidentali, anche gli italiani stanno sviluppando grande attenzione per temi importanti legati alla vita online, come il controllo della propria privacy e la scelta di fonti di informazione affidabili: più di una persona su due ha espresso preoccupazione per la tematica del trattamento dei dati personali (59%) e per il fenomeno delle fake news (52%).

Le principali evidenze italiane:

Internet

  • sono quasi 50 milioni gli utenti Internet su base giornaliera che trascorrono 
online 6 ore al giorno; 

  • in crescita l’utilizzo della tecnologia voice: il 35% degli utenti Internet utilizza 
almeno un servizio controllato tramite la voce
  • gli italiani ricercano online intrattenimento ma anche “crescita” personale: il 
92% della popolazione guarda contenuti video e il 34% vlog, il 57% ascolta musica in 
streaming, il 39% web radio e il 23% podcast
  • 1 italiano su 7 possiede uno smartwatch o un dispositivo wearable (dato triplicato 
rispetto al 2019, dal 5% al 15%) 

  • in forte espansione il mondo del gaming: 4 italiani su 5 giocano e 1 su 8 segue il live 
streaming di altri giocatori

Social media

  • sono 35 milioni le persone attive sulle piattaforme social: il 98% di loro accede 
da mobile; 

    le persone trascorrono in media sui canali social 1 ora e 57 minuti del tempo 
giornaliero, in aumento rispetto al 2019
  • la piattaforma social più attiva si conferma YouTube, seguita dalla famiglia di app di Facebook. Instagram registra la crescita più evidente anno su anno, dal 55% al 64%
  • in media sono circa 8 gli account per ogni persona

Mobile

  • quasi tutti gli abitanti del nostro paese possiedono uno smartphone (94%)
  • da mobile gli italiani utilizzano soprattutto app di messaggistica (92%), per 
l’intrattenimento e la fruizione di contenuti video (73%), per l’ascolto di musica (52%), per lo shopping (68%) e il gaming (43%)

E-commerce

  • la crescita nell’utilizzo di Internet sta trainando anche l’e-commerce: l’87% degli utenti attivi ha dichiarato di aver cercato online prodotti e servizi da comprare, mentre il 77% ha acquistato online un prodotto nell’ultimo mese

E cosa succede nel mondo?

  • sono 4,54 miliardi le persone online, con quasi 300 milioni di utenti che hanno
  • avuto accesso ad internet per la prima volta nel corso del 2019
  • la metà della popolazione mondiale – 3,8 miliardi di persone – utilizza
  • regolarmente i social media
  • le piattaforme social più attive sono Facebook, YouTube e WhatsApp, e si registra
  • una crescita significativa nell’utilizzo di TikTok con 800 milioni di utenti attivi al mese, di cui 300 milioni fuori dalla Cina

“Il nostro paese registra ancora un trend positivo per quanto riguarda l’aumento delle persone che accedono a Internet e ai social media, ma in questa fase di maturità quello che cambia è l’utilizzo, sempre più diversificato e consapevole. Accanto a realtà come Facebook e Google, che mantengono la loro leadership, emergono nuovi canali che introducono nuove modalità di espressione e fruizione dei contenuti. Un contesto che lancia una sfida a chi si occupa di comunicazione e ai brand che dovranno conoscere profondamente le esigenze delle persone a cui si rivolgono e come si esprimono per stabilire una connessione positiva, a prescindere dalla piattaforma utilizzata”, commentano Gabriele CucinellaStefano Maggi e Ottavio Nava, CEO We Are Social.

I report completi sono disponibili ai seguenti link:
https://wearesocial.com/it/digital-2020-italia
https://wearesocial.com/digital-2020 




Sky Zero, l’impegno del gruppo ad azzerare le emissioni nette di carbonio entro il 2030

Sky Zero, l'impegno del gruppo ad azzerare le emissioni nette di carbonio entro il 2030

Il Gruppo Sky diventerà net zero carbon entro il 2030 tagliando le emissioni di carbonio prodotte dalle persone che usano Sky, dai suoi fornitori in tutti i territori in cui opera e da tutte le sue attività

ky diventerà dunque net zero carbon, rendendo più efficienti da un punto di vista energetico tutti i propri prodotti tecnologici presenti nelle case dei clienti; sviluppando gli studi televisivi e cinematografici più sostenibili al mondo. Rendendo net zero carbon tutte le produzioni originali Sky, i canali TV, gli show ed i film. Inoltre trasformando i 5000 veicoli aziendali in una flotta di veicoli a zero emissioni.

Ma non solo: supporterà le 11.000 aziende che lavorano con Sky, che siano produttori di set top box o della prossima serie TV di successo, al fine di metterli sul giusto percorso per il raggiungimento di emissioni nette di carbonio pari a zero. E poi, piantando alberi, mangrovie e alghe marine, affinché assorbano il carbonio che non possiamo tagliare… per ora. Sky infine richiederà la certificazione dei propri obiettivi al STBi (Science-Based Target Initiative) e pubblicherà il proprio impatto ambientale.

Sky Zero, ne parlano Jeremy Darroch e Maximo Ibarra

“Stiamo entrando in un decennio critico per il lungo percorso verso il miglioramento climatico e tutte le aziende hanno l’opportunità di accelerare il progresso e diventare parte della soluzione”, le parole di Jeremy Darroch, Sky Group Chief Executive. “Ogni business dipende dall’ambiente e abbiamo la responsabilità di proteggerlo. Dobbiamo agire adesso – perché il pianeta non può attendere.  Abbiamo intrapreso questo cammino e vogliamo portare tutti a bordo. Sky Zero trasformerà la nostra attività, promuoverà il cambiamento e ispirerà i nostri 24 milioni di clienti ridurre a zero l’impatto ambientale insieme a noi “.

“Quello della salvaguardia climatica è un obiettivo chiave per Sky” spiega Maximo Ibarra, Amministratore delegato di Sky Italia. “L’impegno contro il climate change rappresenta uno dei nostri valori identitari. Come media company abbiamo una grande responsabilità nel sensibilizzare le persone e da anni ormai la nostra informazione e la nostra programmazione sono impegnate a spiegare le implicazioni del tema ambientale sul futuro del nostro pianeta. Dopo gli ottimi risultati della campagna ‘Sky Ocean Rescue’, che solo in Italia ha impedito che 35.000 kg di plastica monouso finissero nei mari, abbiamo deciso ora di fare ancora di più. Sono orgoglioso degli obiettivi che ci siamo posti con ‘Sky Zero’ per sostenere il cambiamento non solo con campagne di informazione, ma anche attraverso le nostre azioni quotidiane”.

Trasformare il Business

L’impegno di Sky è in linea con l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale a 1.5 °C, ed è dimostrazione del sostegno dell’azienda all’iniziativa United Nations Global Compact per il raggiungimento di quel target. Fin dal 2006, Sky è un’azienda carbon neutral per quanto riguarda le emissioni dirette, ed è stata la prima media company a fare questo passo.

Adesso Sky inizierà la seconda fase del viaggio andando oltre quanto fatto fino ad oggi per raggiungere il net zero carbon entro il 2030 in tutta la value chain. La value chain di Sky include le emissioni dal suo business diretto, ma anche da quelle derivanti dai suoi 11.000 fornitori e dall’uso di prodotti Sky nelle case di milioni di abbonati.

Inoltre, Sky trasformerà i 5000 veicoli aziendali in una flotta di veicoli a zero emissioni, renderà i prodotti come Sky Q ancora più efficienti e si assicurerà che i nuovi studi, gli Sky Studios Elstree, diventino le strutture di produzione più sostenibili al mondo insieme a tutte le produzioni originali Sky, che saranno a loro volta net zero carbon.

Inspirare gli altri #GoZero

Sky userà i propri canali e la propria programmazione per ispirare gli altri a #GoZero parlando a milioni di persone ogni giorno. Sono ormai dieci anni che il gruppo Sky è attivo nella salvaguardia dell’ambiente, da Rainforest Rescue a Sky Ocean Rescue e, attraverso i propri canali, informerà i clienti spiegando loro come possono iniziare a ridurre il loro impatto ambientale e #GoZero. Sky Ocean Rescue continuerà a sostenere la salute degli oceani con WWF e chiamerà a raccolta le persone su #BeAnOceanHero per contribuire a salvare i nostri oceani e Sky Ventures (il nostro fondi di investimento a impatto da 25 milioni di sterline) continuerà a supportare le innovazioni che possono fermare il flusso della plastica negli oceani.

Sky Zero

L’ambasciatore Luis Alfonso de Alba, inviato speciale delle nazioni unite al 2019 Climate Action Summit ha commentato: “Abbiamo bisogno di piani concreti e realistici entro il 2020 per ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 45% nel prossimo decennio e raggiungere lo zero netto entro il 2050. Il cambiamento climatico richiede uno sforzo senza precedenti da parte di tutti i settori della società. La leadership dimostrata fissando obiettivi scientificamente provati a 1.5°C invierà un segnale forte al mercato mentre cerchiamo di identificare le soluzioni scalabili e replicabili necessarie per garantire un mondo sicuro dove nessuno viene lasciato indietro”. 

Anche il Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa ha commentato l’iniziativa di Sky:“Coloro che forniscono informazioni e parlano a un gran numero di persone, come Sky, hanno una grande responsabilità perché più di altri devono dare il buon esempio. Il piano della campagna Sky Zero è ambizioso, ma la sfida sul clima chiede a tutti di essere coraggiosi e puntare al meglio. Per questo motivo, come Ministero dell’Ambiente, saremo sempre al fianco di coloro che sono impegnati a preservare l’ambiente e comunicare la sostenibilità. Non faremo mancare il nostro sostegno e la nostra concreta partecipazione.”




Parte il cantiere per costruire il perimetro nazionale di cybersecurity

Parte il cantiere per costruire il perimetro nazionale di cybersecurity

Duecento persone al lavoro. Primo compito: scegliere asset e infrastrutture che hanno la priorità in caso di attacco hacker

Confidenzialità e integrità. Sono questi i due criteri con cui il governo sceglierà quali aziende e infrastrutture devono stare all’interno del perimetro nazionale di sicurezza cibernetica. Ossia gli asset da proteggere per primi dai rischi di attacchi informatici. A spiegare l’evoluzione della strategia cyber italiana è Roberto Baldoni, vicedirettore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis). A Itasec, la più grande conferenza italiana dedicata alla cybersecurity (che si è chiusa ad Ancona il 7 febbraio), il numero due dei servizi segreti con delega proprio alla galassia digitale traccia i prossimi passi dei piani nazionali.

Il perimetro nazionale oggi è un grande cantiere”, spiega l’accademico oggi ai piani alti di piazza Dante. Il primo lavoro è esaminare asset e funzioni dello stato, valutare l’impatto che potrebbero avere se fossero vittime di un attacco e stabilire le priorità: chi ha la precedenza a entrare nel perimetro. “Applicheremo un criterio di gradualità – spiega Baldoni -. Si parte con un numero ragionevole di asset e soggetti ict”. Già nove gruppi sono al lavoro per fare questa scrematura: intorno ai tavoli sono riuniti duecento tra tecnici e giuristi di 20 amministrazioni.

A differenza della direttiva europea Nis, sempre sulla cybersecurity, che ha come principio base per stabilire gli asset da proteggere il blocco del servizio (e ha già portato in Italia a censire 465 operatori dei servizi essenziali), il perimetro sarà più restrittivo. Non si ragionerà solo in termini di danni che un attacco hacker può provocare se mette ko un servizio fondamentale per la vita quotidiana, come l’energia elettrica. Ma anche di quelli causati dalla violazione della confidenzialità e dell’integrità di un asset. Che sono condizioni sufficienti per finire nel perimetro. È il caso, per esempio, di infrastrutture legate allo spazio o delle industrie high-tech.

In parallelo, per Baldoni occorre sviluppare una rete di laboratori di certificazione. Non solo a supporto del ministero dello Sviluppo economico, per effettuare nei tempi gli scrutini tecnologici che il rafforzato golden power impone su tecnologie come il 5G. Ma anche, secondo il cyberzar, per arruolare esperti da spedire a Bruxelles a lavorare a standard produttivi per l’high tech adatti alle aziende italiane. Per Baldoni “ora occorre ragionare su un’autonomia nazionale strategica digitale: è chiaro che ci sono tante tecnologie, ma dobbiamo capire quelle fondamentali per il nostro Paese e portarle avanti”.

Il 2020 sarà l’anno della costruzione dei cyberteam nei ministeri, dalla Difesa agli Interni. Ma tra le sfide Paolo Prinetto, professore del Politecnico di Torino e presidente del Laboratorio nazionale di cybersecurity, espressione del Consorzio interuniversitario nazionale per l’informatica (Cini), elenca la costruzione di centri di cybersecurity regionali, sull’esempio di quello toscano, per il sostegno alle amministrazioni locali. E la costituzione di cyber range, “poligoni di tiro” per le esercitazioni. Oltre alla scommessa di portare in Italia il centro europeo di ricerca e competenza sulla cybersecurity, previsto dalla direttiva Nis.




Moda? È ora di mettersi il vestito buono (cioè green)

Per le aziende del fashion non impegnarsi sui principi della sostenibilità oggi significa perdere profitti. Gli investitori guardano ai bilanci «verdi» e i Millennial cominciano a preferire i capi etici

Le ragioni di una scelta

Più che una scelta, ormai è una necessità. Non impegnarsi sui principi della sostenibilità ambientale può far perdere denari alle aziende della moda: 45 miliardi di euro i profitti a rischio entro il 2030, ha calcolato Barclays nel report «Green is the new black» di gennaio. Messa così, la svolta verde può diventare concreta. «Oggi anche un pubblico diverso guarda da vicino alla sostenibilità finanziaria: investitori e analisti», dice Marie-Claire Daveu, a capo della Sostenibilità e e degli affari istituzionali di Kering, il gruppo guidato da François-Henri Pinault che raduna marchi come Gucci e Yves Saint Laurent, Bottega Veneta e Balenciaga, Alexander McQueen e Brioni e che per il terzo anno di fila, il 26 gennaio scorso, è stato incluso nella «A list», la lista delle celebrità, dell’organizzazione non profit Cpd per il cambiamento climatico. Ma in Italia si stanno muovendo anche aziende come Ferragamo, Moncler e Y-Nep (Yoox), ex startup come la Wrap di Matteo Ward o aziende innovative come Aquafil che ricicla reti da pesca raccolte in mare. «Il rischio socio-ambientale incide sulla capacità di crescita – dice Lorenzo Solimene, partner associato di Kpmg – . Se vuoi essere competitivo nel tempo e dare continuità alla tua azienda devi avere un modello di business orientato a questi principi». Solimene indica tre ragioni che spingono le imprese della moda a impegnarsi sull’ambiente: l’interesse crescente degli investitori, l’attenzione dei Millennial e la regolamentazione. Capitolo investimenti: quelli nei settori della responsabilità sociale ormai coprono il 49% di tutti gli investimenti finanziari (fondi, Borsa) in Europa, nota il rapporto «La sostenibilità nel settore fashion» di Kpmg. Nel mondo sono aumentati del 34% nel 2016-2018 a 31 trilioni di dollari. Per essere scelti, bisogna essere sostenibili. A essere buoni si può anche risparmiare, in prospettiva: basti pensare ai costi futuri dei cambiamenti climatici, a partire dall’acqua che è essenziale nel tessile e potrà scarseggiare. Attrezzarsi per tempo riduce il danno. Capitolo Millennial: le nuove generazioni di consumatori sono sempre più attente alla sostenibilità. Il 72% dei ragazzi fra 15 e 20 anni (la Generazione Z) e il 73% di quelli fra i 21 e i 34 anni sono disposti a pagare un sovrapprezzo pur di avere un capo etico, dice un’indagine Nielsen dell’ottobre 2019 su 30 mila consumatori in 60 Paesi. Le regole, infine: sono più stringenti. Per esempio, il bilancio sociale (impatto su ambiente, occupazione, territorio) dal 2018 è obbligatorio per le società d’interesse pubblico o con più di 500 dipendenti. Una spinta viene anche da Ursula von der Layen, la neopresidente della Commissione Ue che ha lanciato il suo Green new deal, con tanto di fondo da 100 miliardi per la transizione equa. Restano alcuni nodi, in generale: in testa la tracciabilità dei capi e la filiera non sempre chiara del low cost.

Gucci, un bilancio «senza carbone»

Non solo abiti per Sanremo 2020. Il direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, ha vestito da santi e regine l’eccentrico cantante Achille Lauro. Ma non sono previsti travestimenti negli ultimi bilanci del marchio, uno dei big della moda che sulla sostenibilità si sta impegnando di più. Tre mesi fa l’amministratore delegato Marco Bizzarri (nella foto) ha scritto una lettera aperta ai suoi omologhi delle grandi aziende per chiamarli a misurare, evitare, ridurre ed eventualmente compensare le emissioni di Co2. Un invito a riunirsi nella «Carbon neutral challenge», la sfida della produzione senza emissioni di anidride carbonica. «Abbiamo introdotto pratiche come l’uso di fibre organiche, di nylon rigenerato, la rinuncia alla pelliccia – dice Antonella Centra, capo della sostenibilità – . E il 12 settembre Gucci ha annunciato che compenserà tutte le emissioni di gas serra generate dalle proprie attività e dalla catena di fornitura». Il 30 gennaio il gruppo Kering, di cui Gucci fa parte, ha presentato il Rapporto di sostenibilità con i primi risultati: -14% gli impatti sull’ambiente complessivi nel conto economico ambientale nel 2015-2018. L’obiettivo è ridurli del 40% entro il 2025.

Marina Spadafora, l’equità nell’armadio

Coordinatrice di Fashion Revolution in Italia, consulente di moda etica pluripremiata, Marina Spadafora (nella foto) ha in cantiere un libro, coautrice Luisa Ciuni: «La rivoluzione comincia dal tuo armadio». Uscita prevista il 19 marzo con Solferino Libri. «Tre le regole per un armadio sostenibile – dice la stilista -. Uno, prima di fare un acquisto informarsi sulle pratiche di responsabilità sociale dell’azienda che lo produce; due, comperare vintage e dare una seconda possibilità ai capi d’abbigliamento; tre, andare dai piccoli sarti portando il tessuto». Ma come capire se il produttore è etico? Il 29 aprile Fashion Revolution, che quel mese compirà sette anni, presenterà la Mappa della sostenibilità. «Sarà sul sito di Fashion Revolution Italia, con i negozi di abbigliamento che vendono prodotti certificati», dice Spadafora. Che in questo periodo è impegnata in Africa, fra l’Etiopia e l’Egitto dove lavora al progetto Cottonforlife con Filmar, azienda cotoniera italiana, e l’Unido. Insieme, stanno trasformando campi di cotone in campi di cotone organico. «Al Cairo, poi, con Unido teniamo corsi di perito tessile ai ragazzi, per sensibilizzarli sui temi della sostenibilità».

Matteo Ward, blockchain in etichetta

Ha portato le sue magliette alla Starbucks di Milano, Chicago, New York e al Museo Ferragamo. Ha stretto accordi con Yoox, Biffi e 10 Corso Como. Matteo Ward (nella foto), con la sua Wrad, è l’enfant prodige della moda sostenibile. Ha inventato con Perpetua un sistema per recuperare la grafite scartata dalla lavorazione industriale, usandola per tingere i tessuti. Ora studia una blockchain per calcolare e comunicare l’impatto ambientale dei capi: il progetto gli ha dato accesso al fondo dalla Regione Lombardia, con il Politecnico di Milano e partner come Mood, 1TrueID, White Milano. Lavora poi a una fibra in grafite e spalmabile per tessuti tech ecologici. «In tre anni abbiamo raggiunto ricavi per quasi mezzo milione e il pareggio – dice – . L’obiettivo è toccare il milione entro il 2022, stiamo raccogliendo nuovi soci». Altre mete: coinvolgere 12 mila studenti quest’anno in un progetto educativo. E portare in tutti i reparti di terapia intensiva neonatale in Italia il progetto Me&Te con Tm Project. Lanciato in novembre, prevede «l’uso di fibre sostenibili che riducono dell’85% la proliferazione batterica».

Lanificio Leo, i plaid di design dalla Sila

Il Lanificio Leo ha 147 anni, è nella Calabria della Sila ed è guidato da Emilio Leo, architetto di 45 anni (nella foto). La quarta generazione. La sua sostenibilità si misura nell’esserci rimasto, in quella terra, e «non abbiamo cercato subito l’utile ma l’aggregazione culturale», dice Leo, amministratore delegato e azionista: «Abbiamo fatto ripartire la fabbrica nel 2008 recuperando ciò che c’era, come i telai dalla fine dell’800 agli Anni 60». Ci sono anche macchine innovative, qui, ma la produzione, di nicchia e design con filati certificati – plaid, sciarpe, arazzi – segue il tempo che ci vuole. Fondata dal nonno Antonio, la fabbrica è rimasta ferma 15 anni. Emilio Leo l’ha rilanciata superando «difficoltà burocratiche e locali, come quella di far capire il messaggio». Ora il Lanificio partecipa alla Design Week e a progetti della Triennale di Milano, in gennaio è stato a Parigi alla fiera del décor Maison et objet, è stato finalista al Premio Guggenheim Impresa e cultura. Ha aperto cinque negozi al Sud, ma il 20% dei ricavi viene già da clienti stranieri. Finanziato da Banca Etica, ha un piano al 2023: diventare grande, sostenibilmente.




Basta pulizie in hotel: la scelta ‘ecologica’ delle grandi catene fa bene ai conti, ma taglia migliaia di posti di lavoro

Basta pulizie in hotel: la scelta ‘ecologica’ delle grandi catene fa bene ai conti, ma taglia migliaia di posti di lavoro

Prima c’è stato il ‘riciclo’ degli asciugamani, ora la rinuncia alle pulizie (quotidiane). Gli hotel del Nord America fanno un altro passo verso l’”ospitalità sostenibile” con programmi come ‘Make a Green Choice‘, ‘Greener Stay‘ e ‘Green for Green‘, che tengono sempre in maggiore considerazione il rispetto dell’ambiente.

e strutture alberghiere di Stati Uniti e Canada che aderiscono alle iniziative, infatti, hanno deciso di premiare con incentivi, voucher e punti fedeltà i clienti che rinunciano alle pulizie in camera durante la loro permanenza. Un’ulteriore mossa verso una filosofia ‘verde’, dopo quella di riutilizzare gli asciugamani per tutto il soggiorno, invece di riceverne di puliti ogni giorno.

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In realtà tali programmi sono presenti nel settore da anni: Starwood ad esempio, che ora è parte del gruppo Marriott International, ha puntato su questa scelta ecologica già nel 2009. Tuttavia, come spiegano gli osservatori, la pratica si è  diffusa molto nell’ultimo periodo anche alle strutture di fascia media. “Potremmo essere arrivati all’inizio di un passaggio culturale che prende le distanze dalle pulizie come pratica quotidiana”, afferma al Washington Post Paul Bagdan, docente di gestione del turismo alla Johnson & Wales University: “Le persone stanno iniziando a dire ‘ok, non ne ho bisogno‘”.

Secondo Bagdan, incoraggiare gli ospiti a rinunciare alle pulizie giornaliere ha diversi vantaggi per gli hotel. Anzitutto consente di adottare misure rispettose dell’ambiente utilizzando meno acqua, elettricità e prodotti per la pulizia. Ma li aiuta anche a risparmiare sui costi della manodopera, e incoraggia gli ospiti a iscriversi a programmi a premi, che hanno un valore per le catene.

Nel colosso Marriott International, ad esempio, 23 dei 30 marchi del gruppo ora aderiscono al programma ‘Make a Green Choice‘. A seconda del marchio, gli ospiti ricevono tra i 250 e i 500 punti al giorno se rinunciano alle pulizie. Per il portavoce Jeff Flaherty in totale  – in Usa e Canada – sono oltre 2.800 hotel ad offrire tale opzione. “Il programma è cresciuto in popolarità nel corso degli anni e continuiamo a fare passi avanti, ad esempio con il lancio della scelta di piantare alberi in collaborazione con la Arbor Day Foundation”, sottolinea.

Se questi piani permettono di fare passi avanti nella protezione dell’ambiente, però, rischiano pure di avere effetti negativi sul fronte dei dipendenti degli alberghi. A segnalarlo è il sindacato Unite Here in un rapporto dove si afferma che il personale che si occupa delle pulizie ha perso ore di lavoro a causa di questi programmi. Inoltre, si evidenzia come le camere dei clienti che aderiscono alle iniziative ‘verdi’ sono molto più sporche di quelle pulite quotidianamente e richiedono più tempo e prodotti per essere sistemate. E si parla anche di una questione di sicurezza, visto che gli addetti alle pulizie sono i primi ad accorgersi di eventuali problemi. Timori a cui il Walt Disney World Resort della Florida, che ha introdotto il piano ‘Service Your Way’ negli ultimi due anni, risponde avvertendo gli ospiti che i lavoratori possono comunque entrare nelle stanze per questioni di “manutenzione, sicurezza o altro“, anche se loro decidono di rifiutare le pulizie.