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Chi insegnerà educazione ambientale nelle scuole? Docenti formati da ENI. L’indignazione di insegnanti e associazioni

Chi insegnerà educazione ambientale nelle scuole? Docenti formati da ENI. L’indignazione di insegnanti e associazioni

È senz’altro importante che a scuola si parli di educazione ambientale ma è alquanto curioso che a formare i docenti italiani sul tema sia ENI. Lo hanno annunciato l’azienda e l’ANP, Associazione Nazionale Presidi, che hanno stipulato un accordo per l’avvio di un programma di incontri gratuiti, in collaborazione con l’ente formativo Dirscuola, su 4 macro-tematiche: cambiamento climatico, rifiuti, efficienza energetica e bonifica dei siti contaminati.

In breve Eni e Anp organizzeranno in tutta Italia dei seminari sulle tematiche ambientali, per affiancare le scuole e formare i docenti supportandone la capacità progettuale. Insomma anziché rilanciare la scuola, come modello di organizzazione che si basa sull’applicazione di un nuovo paradigma ecologico, ci sono Dirigenti Scolastici che consentono ad Eni addirittura di formare i docenti sulle tematiche ambientali.

Il programma è stato avviato perché la legge n.92 del 20 agosto 2019 prevede che l’anno scolastico 2020/2021 inserisca “l’insegnamento dell’educazione civica, comprensivo dell’educazione ambientale, nelle scuole di ogni ordine e grado in Italia“. Una decisione importante e significativa per il nostro paese, che è addirittura il primo al mondo ad aver introdotto la sostenibilità come materia scolastica, purtroppo del tutto vanificata dal coinvolgimento di un’azienda come l’Eni. Tanti buoni propositi che avrebbero potuto davvero fare la differenza, e renderci orgogliosi del nostro paese, e che invece, come al solito, si sono rivelati inutili. D’altronde è paradossale che a insegnare “sostenibilità” a scuola sia una delle aziende che inquinano di più, accusata di enormi disastri ambientali. Sarebbe come assegnare la cattedra di matematica a un docente che non sa contare fino a 10!

A denunciare per prime quello che può sembrare un grande ossimoro sono state le insegnanti di Teachers For Future Italia, collettivo facente parte del movimento Fridays for Future, che raggruppa insegnanti di ogni ordine e grado particolarmente sensibili ai temi ambientali. Lo hanno fatto con un comunicato in cui dichiarano di aver accolto positivamente la decisione dell’Italia di rendere obbligatorio lo studio dei cambiamenti climatici, chiarendo però da subito che

sarebbe stato necessario rivoluzionare totalmente il ruolo che ha la scuola nella nostra società, nel senso che essa non poteva più permettersi di riprodurre il modello di sviluppo dominante.

E invece, ecco arrivare la sconcertante notizia dell’accordo stipulato tra Anp ed Eni, appresa da un comunicato dell’Associazione Nazionale Presidi, secondo il quale

il Presidente Antonello Giannelli, e il chief services & stakeholder relations officer Eni, Claudio Granata, hanno presentato ieri presso la sede Eni di Roma, il programma congiunto di incontri sui temi della sostenibilità ambientale dedicato alle scuole italiane.”

Programma che prevede, come premesso, degli incontri gratuiti per docenti sui temi ambientali, da cui Teachers for Future Italia ha preso le distanze dato che Eni

continua a fare un uso sfrenato dei combustibili fossili” ed “è responsabile di immani devastazioni ambientali, dello sfruttamento dei paesi poveri, di corruzione e greenwashing“.

Le insegnanti del movimento hanno quindi invitato i docenti a boicottare l’iniziativa, sottolineando che

Eni è e resta il simbolo assoluto del sistema che il nostro movimento vuole cambiare per ottenere giustizia climatica e ambientale e per combattere l’ecocidio.”

Work in progress.💪TeachersforFuture Campania aderisce alla mobilitazione di Fridays For Future Italia contro il…

Pubblicato da Monica Capo su Venerdì 24 gennaio 2020

A Tachers for Future Italia hanno iniziato a fare eco anche varie associazioni ambientaliste, dichiarandosi molto preoccupate. Tra queste Greenpeace, Kyoto Club e Legambiente, che hanno a loro volta evidenziato il paradosso sottolineando che l’Eni è un’azienda privata che fa profitti sfruttando i fossili, tutt’altro che estranea all’inquinamento ambientale:

“Appare paradossale che sia proprio l’Eni, che ha responsabilità non irrilevanti proprio su due dei temi che riguarderanno le attività di insegnamento, “cambiamenti climatici” e “territori da bonificare“, ad essere chiamata dai Presidi a svolgere un ruolo chiave in questo percorso formativo. Percorso che, invece, dovrebbe essere svolto da soggetti terzi, rappresentanti degli interessi collettivi e non di un’azienda privata che, non solo fa profitti sfruttando i fossili – di cui si dovrebbe ridurre drasticamente il consumo, se vogliamo evitare l’aumento esponenziale delle temperature nel nostro Pianeta – ma che, in questi anni è stata responsabile di grandi impatti ambientali sul nostro territorio.  “

Basti pensare al diesel definito “green” di uno spot che lo spacciava per sostenibile nonostante fosse, come sottolineato dall’Antitrust, altamente inquinante. E al lungo dossier di Legambiente incentrato proprio su Eni che la definiva “nemica del clima” lanciando un allarme sul “pericolo che l’azienda rappresenta, se le sue politiche non cambieranno direzione di marcia”. L’ENI nel 2018, secondo il dossier, ha prodotto 1,9 milioni di barili al giorno, il numero più alto mai registrato dalla compagnia, (+5% di produzione rispetto al 2017). Per non parlare dei disastri ambientali di cui è stata accusata, come a Gela in Sicilia, e dello sfruttamento a suo carico di uno dei giacimenti on shore più grossi d’Europa, in Val d’Agri, Basilicata.

Oltre alle associazioni citate, anche Italian Climate Network, associazione da anni impegnata in percorsi di educazione con i ragazzi grazie al Progetto Scuola e nel programma gratuito #EmergenzaClima per docenti, ha espresso la stessa preoccupazione, sottolineando che l’educazione ambientale dovrebbe essere condotta da soggetti competenti, che rappresentino gli interessi collettivi.

Tutte queste associazioni chiedono che l’Eni venga rimpiazzata al più presto da esperti super partes, che di certo non mancano dato l’alto numero di associazioni e organizzazioni non governative che portano avanti, già da anni, programmi di educazione ambientale. E noi ci uniamo all’appello.




Così i ragazzini su TikTok hanno boicottato Trump a Tulsa

Così i ragazzini su TikTok hanno boicottato Trump a Tulsa

Gli utenti del social network in voga tra i più giovani, riferisce il New York Times, si sono registrati in massa all’evento “per fare uno scherzo” facendo prevedere agli organizzatori una grande affluenza, per poi non presentarsi. E hanno incoraggiato i loro follower a fare altrettanto

Non si sa quanto seriamente, il New York Times scrive che dietro il parziale insuccesso della kermesse di Donald Trump a Tulsa in Oklahoma, ci potrebbero essere almeno in parte anche centinaia di utenti adolescenti di TikTok e fan del K-pop, il pop coreano.

Così i ragazzini su TikTok hanno boicottato Trump a Tulsa

Gli utenti del social network in voga tra i più giovani, riferisce il New York Times, si sono registrati in massa all’evento “per fare uno scherzo” facendo prevedere agli organizzatori una grande affluenza, per poi non presentarsi, e hanno incoraggiato i loro follower a fare altrettanto. La tendenza si è rapidamente diffusa su Tik Tok, con i video in questione che hanno totalizzato milioni di visualizzazioni. A invitare a prenotare biglietti per poi non andare all’appuntamento elettorale anche i fans del K-Pop. Nella ricostruzione del NYT si ricorda che Brad Parscale, a capo del comitato per la rielezione di TheDonald, ha scritto lunedì su Twitter che c’era oltre un milione di richieste di biglietti, tanto da rendere necessario programmare eventi fuori dall’arena per consentire a tutti di partecipare.

donald trump tulsa

Gli utenti di TikTok e i fan dei gruppi di musica pop coreana hanno affermato di aver prenotato centinaia di migliaia di biglietti per il raduno . Dopo che l’account ufficiale della campagna Trump @TeamTrump ha pubblicato un tweet in cui chiedeva ai sostenitori di registrarsi per biglietti gratuiti utilizzando i loro telefoni l’11 giugno, gli account dei fan di K-pop hanno iniziato a condividere le informazioni con i follower, incoraggiandoli a registrarsi per l’appuntamento e poi dare buca. Anche la CNN aveva parlato nei giorni scorsi, ma un video in cui una donna aveva raccontato di aver prenotato ma di non avere intenzione di andare è stato reso privato sul social network cinese. Lo YouTuber Elijah Daniel ha confermato la storia, sostenendo però che molti utenti hanno cancellato i loro post dopo 24 a 48 ore per nascondere il loro piano: “La maggior parte delle persone che li ha creati li ha cancellati dopo il primo giorno perché non volevamo che la campagna di Trump se ne accorgesse”, ha dichiarato Daniel.

Tik Tok ha battuto Trump a Tulsa?

Mary Jo Laupp, 51enne di Fort Dodge nell’Iowa ha pubblicato un video invitando a prenotare per l’appuntamento elettorale di Trump che è diventato virale con più di 700mila mipiace e 2 milioni di visualizzazioni. Secondo lei almeno 17mila biglietti sono stati prenotati e alcune persone l’hanno contattata per farle sapere che anche altri avevano fatto la stessa cosa.

https://www.tiktok.com/@maryjolaupp/video/6837311838640803078

Erin Hoffman, diciottenne che abita nello stato di New York, ha dichiarato di aver appreso da un amico su Instagram la campagna sui social media e di averla diffusa su Snapchat, ricevendo in cambio annunci di prenotazione di biglietti da parte dei suoi followers. Anche Mary Garcia, studentessa della California, ha dichiarato di aver utilizzato un numero Google Voice per iscriversi alla manifestazione, ma anche due delle sue amiche che si sono iscritte hanno utilizzato i loro numeri reali ed avevano ricevuto messaggi dalla campagna di Trump.

A saldare il tutto sarebbe intervenuto anche il gruppo di hacker Anonymous. L’ipotesi del complotto globale sembra, però, solo parte della spiegazione, spiega l’agenzia di stampa AGI. Negli Stati Uniti il sistema della partecipazione ai comizi + semplice: si prenotano on line i biglietti, che sono gratuiti ma possono anche costare dai 15 ai 40 dollari, e non vanno a esaurimento. Nell’arena, o nello stadio, entra chi arriva prima. Migliaia di persone, in passato, sono rimaste fuori dai comizi di Trump. Davanti a centinaia di migliaia di prenotazioni fantasma, una parte dei fan veri avrebbe dovuto trovare accesso con più facilità. Invece non c’era quasi nessuno neanche per strada. Nel pomeriggio gli organizzatori hanno lanciato l’appello per dire che c’era ancora posto, ma non è arrivato nessuno, nonostante Tulsa e Oklahoma siano feudi trumpiani. Non sarà un evento come Tulsa a cambiare la storia delle elezioni americane, dove Trump è strafavorito. Ma quella del trolling forse sì.




GESTIONE DELLA COMUNICAZIONE SULL’EMERGENZA COVID-19 IN ITALIA: PER LE FORZE ARMATE, “UN LAVORO ECCELLENTE”

GESTIONE EMERGENZA COVID-19 IN ITALIA: PER LE FORZE ARMATE, “UN LAVORO ECCEZIONALE”

L’Ammiraglio Fabio Agostini ha dichiarato: “Un esempio di successo recente è la gestione dell’informazione da parte delle entità pubbliche durante l’emergenza coronavirus”. Ma tutti gli specialisti, in Italia e all’estero, raccontano una storia completamente diversa.

La comunità nazionale
dei relatori pubblici e dei comunicatori si è interrogata a più riprese negli
ultimi 10 anni su quali potessero essere i pilasti
essenziali nella costruzione di una buona reputazione, e ha identificato –
tra le altre – alcune fondamentali parole
chiave,
inequivoche, tra le quali autenticità, coerenza e capacità di
ascolto. Nell’ampia dottrina del Reputation management, s’inserisce poi la più
specialistica disciplina del Crisis mangement, per la quale keyword come sincerità, schiettezza, capacità di chiedere
scusa e assumersi le proprie responsabilità,
sono valori imprescindibili,
confortati tra l’altro da una corposa letteratura in materia, a firma dei più
autorevoli ricercatori.

Ha destato quindi un certo stupore e sconcerto la dichiarazione di un alto funzionario delle nostre Forze Armate, l’Ammiraglio Fabio Agostini, attualmente comandante dell’Operazione “Irini” di Eunavfor-Med e già capo Dipartimento Pubblica informazione e comunicazione dello Stato Maggiore Difesa, il quale, ospitato agli “Avio Aero Talk”, ha affermato:

Per mitigare le fake news ed evitare crisi mediatiche in situazioni d’emergenza occorrono strategie di comunicazione integrate. Oggi è più che mai necessario utilizzare tutti i canali di comunicazione essenziali per raggiungere i propri stakeholder, utilizzandoli in maniera coordinata al fine di diffondere un messaggio coerente, coeso e comprensibile. Un esempio di successo recente è la gestione dell’informazione da parte delle entità pubbliche durante l’emergenza coronavirus. L’aver comunicato puntualmente, in maniera centralizzata e costante, l’andamento della situazione epidemiologica e gli interventi messi in atto ha permesso la diffusione di un messaggio univoco riducendo al minimo lo spazio per le fake news. La comunicazione ‘istituzionale’ ha quindi svolto bene il proprio lavoro”.

A proposito di fake news, il confine tra un’affermazione autoreferenzialmente rassicurante e la verità fattuale può apparire assai sdrucciolevole: al netto della propaganda filo Governativa alla quale i vertici delle nostre Forze Armate non sono certo nuove (a distanza di anni non si è ancora spenta la polemica per gli incomprensibili ‘silenzi’ della Marina all’epoca dell’improprio e sconcertante ‘sequestro’ dei nostri due Marò in India, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre), quale storia raccontano i più affidabili analisti esperti in gestione delle crisi?

Un’interessante e approfondita inchiesta pubblicata su Forbes, curiosamente poco ripresa dalla stampa italiana, ha presentato i risultati di un’analisi dei dati rilasciati da varie organizzazioni – OMS, CDC, Johns Hopkins University e Worldometers – su 200 paesi in tutto il mondo, ricerca nell’ambito della quale sono stati sviluppati alcuni quadri analitici avanzati per analizzare lo scenario delll’epidemia di Coronavirus, presentando poi l’output sotto forma di dettagliate “classifiche” che dovrebbero essere utili alle istituzioni pubbliche per inquadrare meglio le strategie realmente vincenti nel contenimento dei danni da Covid-19 e per la gestione efficace dell’impatto economico della pandemia: l’Italia è risultata clamorosamente “maglia nera” nella quasi totalità di quelle classifiche.

Le lacune e gli errori di gestione della comunicazione di crisi da parte del Governo italiano, d’altra parte, sono stati marchiani ed evidenti, come illustrato in articolate analisi ricche di riferimenti bibliografici, e ben altre sono state le nazioni efficaci, reattive e resilienti durante il periodo dell’emergenza: in considerazione della sua indubbia preparazione nella gestione della pubblica informazione, è quindi assai singolare che l’Ammiraglio Agostini non conoscesse questi dati, che paiono raccontare una storia esattamente opposta alla narrazione “compiaciuta” da lui costruita in occasione degli Avio-Talk.


Nel merito, ho intervistato Rosaria Talarico, Ufficiale della Riserva selezionata dell’Esercito Italiano, giornalista professionista ed esperta di media training in programmi di crisis management.

Lei ha vasta esperienza nel settore della comunicazione e informazione pubblica. Nella gestione dei flussi di comunicazione durante il periodo Covid, in sintesi, quali sono stati i più evidenti errori da parte delle Istituzioni?

La scia di errori è talmente lunga che purtroppo è difficile anche farne una sintesi, errori che rimangono tali anche considerando l’opera di Paesi che sono riusciti a fare ancor peggio di noi. Direi che i più devastanti sono stati l’assenza di un coordinamento e la mancanza di una strategia di comunicazione omogenea. Ha funzionato in parte la comunicazione tattica sui comportamenti da tenere durante il lockdown. A quanto pare serve ricordarlo, ma la comunicazione di crisi si fonda su autorevolezza, univocità e chiarezza: chi – in coscienza – può dire di aver apprezzato queste caratteristiche nella bagarre quotidiana sui numeri dei contagi, le liti tra gli esperti delle stesse task force governative, i vergognosi scaricabarile sulla responsabilità delle scelte tra governo e regioni? A ciò si aggiunga il rallentamento nel processo di decisione, motivato probabilmente da ragioni di opportunismo politico ed elettorale. Vergognosa anche quella che durante l’emergenza è divenuta una prassi assolutamente censurabile: l’annuncio dei decreti prima della loro approvazione in Consiglio dei Ministri, forse per testarne il gradimento presso il pubblico. Aver lasciato filtrare bozze di decreti prima che fossero ufficiali, disorientando i cittadini, resta tuttora un comportamento impunito e irresponsabile.  Alla comunicazione a flusso unico fanno da contraltare le buone prassi nella gestione di crisi, che deve essere multidisciplinare, mentre invece la selezione degli “esperti” è stata lenta, non trasparente e spesso non i grado di privilegiare le competenze.  L’inutile bollettino quotidiano della Protezione Civile era un amplificatore di ansia, con un bassissimo valore informativo: i numeri rischiano di apparire privi di senso, senza un valore di riferimento o l’inserimento in un sistema predittivo. È mai stato consultato dal Governo un ingegnere informatico o un esperto di sistemi? Ho assistito a eroici tentativi di fisici e matematici che si sono organizzati “in casa” per fornire curve logistiche sull’andamento della pandemia. Nelle pletoriche e, a quanto risulta finora, inconcludenti task force governative, non c’era posto per qualche competenza in grado di restituire senso ai numeri orientando le decisioni su basi scientifiche? Lo stesso vale per gli psicologi, assenti per tutto il periodo del lockdown e apparsi sulla scena governativa con molto ritardo. Poi vorrei ricordare i gravissimi episodi di rivolte nelle carceri con addirittura decine di evasi e di morti, e l’abbandono in cui sono sprofondate le famiglie con disabili gravi rimasti senza assistenza. Il livello di civiltà di un paese si misura proprio da aspetti come questi. Le crisi hanno un effetto domino quasi impossibile da arginare se si sbaglia l’impostazione nelle fasi iniziali, e la comunicazione ha un ruolo importante in queste dinamiche. E ormai è tardi per invocare il silenzio per non disturbare il manovratore: chi sta in silenzio è complice.

Il suo giudizio complessivo sull’operato del Governo e della maggior parte degli Enti Locali sulla gestione dell’emergenza Covid?

A macchia di leopardo, direi un effetto tipico
dell’improvvisazione e della mancanza di una pianificazione a monte. In assenza
di procedure “metabolizzate” (e con ciò intendo il loro ripasso
costante, non direttive chiuse per anni nel cassetto di qualche funzionario
ministeriale) il successo o il fallimento è demandato alla genialità o
incapacità dei singoli. Un evento ad alto impatto come una pandemia non si
affronta senza avere persone capaci nei ruoli chiave. Non è colpa di Covid-19
se in Italia la meritocrazia è poco diffusa a qualsiasi livello, ma
l’incompetenza ha dei costi, anche in vite umane, come purtroppo abbiamo visto.
Se i responsabili sanitari, dirigenti amministrativi e relativi staff vengono
scelti per fedeltà politica invece che con un’analisi puntuale del loro
curriculum, dopo cosa ci si può aspettare? L’incompetenza provoca danni enormi
e morti, come abbiamo visto, nonostante lo sforzo eroico di chi si è trovato
senza strumenti a fronteggiare l’emergenza in corsia. Sull’accertamento delle responsabilità
è al lavoro la Magistratura, che purtroppo interviene quasi sempre dopo, a
tragedia consumata. Diverse inchieste giornalistiche hanno già messo in luce
scelte dissennate, quando non apertamente criminali.

A suo avviso, una nazione straniera – oltre alla precitata Taiwan – che abbia fatto un buon lavoro nella gestione dell’emergenza Covid?

La Germania, tanto odiata da certi populisti, è
un buon esempio di tutto quello che dicevo prima: comunicazione autorevole,
centralizzata e catena di comando corta nonostante una situazione di
frammentazione dei lander, simile a quella italiana con le regioni. Unita
ovviamente a caratteristiche preesistenti come l’efficienza e la competenza
delle burocrazie intermedie. Magari in Germania non avrebbero mai avuto il
guizzo creativo di trasformare una maschera da sub in un respiratore, ma il
punto è che a loro non serviva farlo, poiché ne avevano a sufficienza, grazie a
una corretta pianificazione e impiego oculato delle risorse.

Perché questo scostamento tra la “scena reale”, in Italia, e la “scena ideale”, nel Paese che lei ha citato? Quali i motivi, a suo avviso?

Ministri, virologi, epidemiologici, governatori
delle regioni, sindaci, da noi hanno
parlato tutti e più o meno a casaccio, ognuno “dava i numeri”
con bollettini locali ancora più inutili di quelli nazionali, e che spesso generato
un clima da caccia all’untore nelle realtà più piccole, dove il controllo
sociale è più serrato. La scarsa preparazione durante un’emergenza diventa letale,
perché acuisce i problemi già esistenti, non li fa sparire per magia. Il dramma
è che non mi pare ci sia una riflessione seria per un cambio di paradigma.
Senza competenze non solo non si affrontano le crisi, ma neanche si
ricostruisce dopo. Nel nostro Paese dall’indole chiacchierona, sono caduti in questa
trappola anche virologi ed epidemiologi, gente ben lontana finora dall’agone
mediatico. Il passaggio dagli oscuri laboratori ai meme pop dei social network
non è stato però indolore. Purtroppo non ci si improvvisa comunicatori, e la
normale dialettica del mondo scientifico, esposta senza filtri a un pubblico
sostanzialmente ignorante, è stata scambiata per cialtronaggine, adesso è
diventato normale insultare un virologo, come fosse un allenatore di calcio.

Perché – a suo avviso – questa discutibile interpretazione della realtà da parte di alcuni alti esponenti delle Forze Armate? A chi giova?

Le Forze Armate sono inserite a pieno titolo nel sistema della
burocrazia nazionale. Nella gestione di crisi però in genere hanno una marcia
in più, rispetto ad altri settori dello Stato: un po’ perché è nella loro
missione, e un po’ perché l’addestramento è parte integrante della formazione e
del percorso lavorativo di ogni militare, fino alla pensione. Durante l’emergenza
hanno avuto un ruolo essenziale, anche se poco enfatizzato dal governo e poco
valorizzato dalla stessa comunicazione istituzionale. Anzi, c’è stata una fase
in cui nel contenimento delle zone rosse, l’esercito ad esempio è stato visto
come uno spauracchio e un sintomo di deriva autoritaria, quando invece il
contributo dato con strutture, mezzi e competenze dal personale in divisa è
stato realmente prezioso. Ma chi lo ha raccontato nel dettaglio? Sta
funzionando abbastanza bene la comunicazione social che cerca di smarcarsi da
certi stilemi insopportabilmente paludati, retorici e autocelebrativi.
L’impostazione gerarchica e rigida spesso non è di aiuto nell’individuare con
trasparenza e onestà intellettuale le pur evidenti criticità. Questo porta a un
abbassamento del livello delle prestazioni. Si pensa a torto che nascondere i
problemi aiuti le carriere, ma è l’opposto di quel che accade nel mondo civile,
dove è ingente (anche in termini di parcelle!) il contributo di consulenti che
in maniera spietata – ma intelligente – elencano i difetti di un’organizzazione
e il modo in cui superarli. Le Forze Armate potevano essere un asset prezioso
in una crisi come questa, ma la verità è che non sono state utilizzate e
raccontate al massimo delle loro potenzialità.


Ecco quindi un’altra
occasione purtroppo persa, in Italia, in questa delicata fase di recovery post
crisi, per dare un contributo prezioso a identificare le criticità nel processo
di crisis management dell’emergenza Covid-19, così da far tesoro degli errori,
discuterne pubblicamente nel rispetto dei migliori principi di accountability,
e sollecitare le necessarie modifiche organizzative e culturali affinché la
prossima crisi pandemica non ci trovi, nuovamente, impreparati.




Pride month 2020: ecco i brand che celebrano l’amore con i colori dell’arcobaleno

Pride month 2020: ecco i brand che celebrano l’amore con i colori dell’arcobaleno

I grandi marchi danno sfogo a tutta la loro creatività, a favore della comunità LGBTQIA+

  • In un Pride Month 2020 all’insegna del social distancing, senza eventi e parate, i grandi brand danno sfogo alla loro creatività con limited edition a tema.
  • Molte delle collezioni per il mese del Pride sono parte di più ampi progetti per il sostegno attivo da parte delle aziende alla lotta per i diritti della comunità LGBTQIA+.

Inizia il mese dedicato ai diritti della comunità LGBTQ+, che per la prima volta dopo anni non vedrà le strade delle grandi città riempirsi di persone per celebrare l’orgoglio omosessuale, nel rispetto del social distancing.

Ma come ogni anno, anche in questo giugno 2020 i brand tornano a celebrare l’amore in tutte le sue forme tingendosi dei colori dell’arcobaleno.

Abbigliamento, accessori, scarpe: sono tantissime le creazioni in edizione limitata lanciate dai grandi nomi del fashion e dello sportswear a supporto della comunità omo-lesbo-bi-trans.

Il Pride month 2020 visto dai brand

Adidas

Il colosso tedesco di abbigliamento sportivo apre il Pride month 2020 con il lancio di un Pride Pack contenente una rivisitazione arcobaleno delle sue calzature best seller: Superstar, NMD R1, Ultra Boost S&L, Nite Jogger, Stan Smith e Carrera Low, quest’ultima in duplice versione.

Pride-month-2020-adidas

Sulla soletta, è riportato il testo:

Siamo orgogliosi e impenitenti e vi incoraggiamo a essere come noi. L’amore unisce.

Alle sneakers, Adidas aggiunge una release delle amatissime ciabatte Adilette, in versione nera e con il logo Trefoil con texture colorata.

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Lo stesso logo lo ritroviamo sulle t-shirt della collezione clothing a tema Pride, composta anche da shorts, calzini, felpe e leggings, molti dei quali già disponibili sull’e-commerce ufficiale, altri coming sono.

Con la Pride Collection, Adidas riconferma il suo impegno a favore della comunità LGBTQIA+; il brand, infatti, sostiene regolarmente da anni il Trevor Project, la più grande organizzazione mondiale di prevenzione del suicidio e di supporto psicologico per i giovani della comunità.

Banana Republic

Dagli abiti alle calze, passando anche per le t-shirt, la collezione Pride di Banana Republic conta in tutto 19 pezzi disponibili sull’e-commerce ufficiale, riconfermando l’impegno del brand nella difesa dei diritti delle persone omosessuali, bisessuali e transgender.

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La Pride Collection non è l’unica iniziativa del brand a favore della comunità LGBTQIA+: Banana Republic ha fatto una donazione di 60 mila dollari ad una campagna d’informazione delle Nazioni Unite Free & Equal per la promozione del progresso in fatto di diritti umani.

Nike

Con la collezione di sneaker e abbigliamento Nike BETRUE, disponibile a partire dal 19 giugno su nike.com e presso rivenditori selezionati, anche il colosso americano supporta la comunità LGBTQIA+.

Le calzature rivisitate in chiave BETRUE sono le Nike Air Max 2090, le Nike Air Deschutz e, sopratutto, le Nike Air Force 1, vere protagoniste della collezione, con il marchio sul tallone dei 10 colori della bandiera More Color, More Pride.

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Come annunciato dall’azienda, Nike dichiara pubblicamente il suo impegno a supporto di più di 20 associazioni locali e nazionali, per promuovere l’inclusione e combattere le discriminazioni degli atleti LGBTQIA+ nel mondo dello sport.

New Balance

Fuori dal 22 maggio, la Pride collection di New Balance, composta da due versioni delle sue FuelCell Echo, una da uomo in blu e una da donna verde acqua, e da una coloratissima release della sua iconica 327.

Entrambi i modelli FuelCell Echo sono caratterizzati da pannelli oleografici sul tallone e i colori dell’arcobaleno sulla metà posteriore.

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Anche New Balance non si limita alle scarpe, ma affianca alla collezione di sneaker, ciabatte e t-shirt dal logo arcobaleno.

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Chiara Ferragni

“Love Fiercely” è il nome della Pride Collection dell’influencer made in Italy e amata in tutto il mondo.

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L’intera linea è un vero e proprio inno all’amore e un’esortazione ad amare oltre ogni pregiudizio o discriminazione.

Puoi amare chi vuoi. Puoi scegliere di essere chiunque ti renda orgogliosa di te stessa. – Chiara Ferragni Collection x Pride. 

https://www.instagram.com/p/CApOgdPgjI0/?utm_source=ig_embed

Oltre ai capi casual più iconici della Chiara Ferragni Collection, con il logo stampato su un arcobaleno glitterato, la linea Love Fiercely propone anche polo-shirt e polo-dress, tutti abbinabili con le sneackers disponibili nei colori bianco e nero.

Converse

Per il quinto anno di fila, Converse lancia la sua Pride Collection, ispirata ai colori della bandiera “More Color, More Pride”, per celebrare la diversità e l’inclusione estendendo l’arcobaleno con l’aggiunta di una linea marrone e una nera che rappresentano rispettivamente la comunità Latin e Black LGBTQIA+.

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La piattaforma Converse By YOU offrirà la possibilità di customizzare i prodotti del marchio a proprio piacimento, come ulteriore celebrazione della libera espressione individuale.

Sarà possibile creare modelli personalizzati, le cui opzioni di design sono ispirate alle bandiere bisessuali, transgender, pansessuali.

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Vans

Anche il brand di scarpe e abbigliamento da skate non ci fa mancare la sua Pride Collection, con una vasta gamma di sneaker, dall’iconica checkerboard, il “mocassino” con il motivo a scacchiera che si colora d’arcobaleno, alle sneaker kids con la chiusura a strappo a tema pride flag.

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Ma la vera chicca di quest’anno, però, sono le ciabatte vans, sempre con motivo a scacchiera coloratissime e glitterate.

Vans

Dr. Martens

Anche il Re indiscusso degli stivali stringati si colora per il Pride Month, ma lo fa in modo più discreto, con una bandiera cucita sul tallone e la linguetta colorata, senza stravolgere troppo la sua identità.

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In associazione con il lancio del Pride Boot, Dr. Martens donerà 25 mila dollari alla fondazione The Trevor Project, una delle più grandi organizzazioni mondiali dedicate al supporto psicologico e alla prevenzione di suicidi di giovani gay, bisex e transgender.

Levi’s

“Use your voice” è il tema centrale della Pride Collection 2020 di Levi’s, un messaggio che incita la libera espressione di sé, l’uguaglianza e l’inclusione.

La collezione Pride di quest’anno è sia un incoraggiamento che una celebrazione di coloro che usano la propria voce per cambiare il mondo.

Jennifer Sey, a capo della divisione marketing dell’azienda.

Levi's-UYV
levis-uyv

All’interno della collezione, una vasta e coloratissima gamma di magliette grafiche, giacche di jeans e accessori. Oltre al logo su sfondo arcobaleno, molti pezzi della collezione riportano anche lo slogan “Use Your Voice”.

Per il secondo anno consecutivo, Levi Strauss & Co si unisce all’organizzazione no-profit OutRight Action International, a cui ha annunciato che devolverà il 100% dei proventi netti della Pride Collection.

Nordstrom

Disponibile da giugno, la “BP. Be Proud” Collection di Nordstrom spazia dall’abbigliamento, agli occhiali da sole, ai fermagli per capelli.

Il 10% delle vendite della collezione sarà devoluto all’organizzazione no profit True Colours United, che opera nello sviluppo di soluzioni innovative per i giovani homeless, concentrandosi sulle esperienze delle giovani lesbiche, gay, bisessuali e transgender, che in America costituiscono il 40% della popolazione giovanile senzatetto.




Green Deal anche l’Europa verso sostenibilità e biodiversità

Green Deal anche l’Europa verso sostenibilità e biodiversità

Anche l’Europa ha dal 2019 il suo Green Deal, una tabella di marcia voluta per rendere sostenibile l’economia sull’intero territorio europeo.

Ora la Commissione Europea ha approvato due strategie volte, da un lato, a tutelare la biodiversità e, dall’altro, ad aumentare la sostenibilità dell’intera filiera agricola produttiva.

Azioni concrete che lavorando sinergicamente tra loro assicurino un futuro sostenibile.

La nuova strategia per la biodiversità

La nuova strategia per la biodiversità è pensata per riportare la natura nella vita dei cittadini europei e parte dall’analisi delle principali cause della perdita di biodiversità, come l’uso insostenibile della superficie terrestre e del mare, lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, l’inquinamento e le specie esotiche invasive.

Tra le azioni concrete al centro di questa strategia sulla biodiversità:

  • stabilire obiettivi vincolanti per ripristinare gli ecosistemi e i fiumi che hanno subito danni;
  • migliorare la salute degli habitat e delle specie protetti dell’Unione Europea;
  • riportare gli impollinatori nei terreni agricoli;
  • ridurre l’inquinamento;
  • rinverdire le città;
  • rafforzare l’agricoltura biologica e altre pratiche agricole rispettose della biodiversità;
  • rendere più sane le foreste europee;
  • trasformare almeno il 30% della superficie terrestre e dei mari d’Europa in zone protette efficacemente gestite;
  • destinare almeno il 10% delle superfici agricole ad elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità.

Tutte azioni che non solo porteranno un beneficio all’ecosistema ambientale europeo, ma anche al sistema economico, sia grazie a finanziamenti dell’Unione Europea sia grazie alla creazione di nuovi posti di lavoro; il tutto sempre, però, in un’ottica sostenibile.

La strategia per la sostenibilità

La strategia denominata «Dal produttore al consumatore» mira, invece, al raggiungimento di un sistema alimentare sostenibile, che salvaguardi la sicurezza alimentare, che promuova ed assicuri l’accesso a regimi alimentari sani e che, contestualmente si preoccupi dell’impatto ambientale e climatico.

Anche in questo caso molteplici sono le azioni concrete previste e tra queste:

  • la riduzione del 50% dell’uso di pesticidi;
  • la riduzione del 20% dell’uso di fertilizzanti;
  • la riduzione del 50% della vendita di antimicrobici per animali;
  • la destinazione di almeno il 25% dei terreni all’agricoltura biologica;
  • il miglioramento dell’etichettatura dei prodotti alimentari all’insegna di maggior chiarezza e trasparenza per il consumatore;
  • nuovi flussi di finanziamenti per agricoltori, pescatori ed allevatori ittici;
  • il sostegno a politiche ecologiche improntate alla sostenibilità.

Tutto ciò anche qui con il duplice obiettivo di migliorare il dialogo tra l’uomo e l’ecosistema e di trasformare nuovi processi sostenibili in fonti di reddito per l’agricoltura, la pesca e l’acquacoltura

Le due strategie, per la biodiversità e per la sostenibilità, sono quindi adottate e promosse dalla Commissione Europea per combattere l’impatto sul clima, gli incendi di boschi e foreste, l’incertezza alimentare e l’insorgenza di malattie, nonché favorire l’adozione di pratiche agricole e di allevamento sostenibili e sempre più bio e, infine, favorire la protezione delle specie selvatiche, contrastando il fenomeno del commercio illecito proprio di specie selvatiche.