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10 aziende da copiare su TikTok

10 aziende da copiare su TikTok

Dalle imprese di Red Bull alle sfide di Croc’s, dal dietro le quinte della Nba agli influencer per caso di Gucci: ecco i marchi che hanno conquistato il nuovo social network

La cosiddetta TikTok mania non riguarda soltanto i più giovani: il boom di questo social network interessa ormai fasce di età anche più alte dei millennial. Disponibile in oltre 150 paesi, ha più di 1 miliardo di utenti ed è stato scaricato 100 milioni di volte solo negli Stati Uniti. I brand hanno capito che la loro strategia di comunicazione deve passare anche da TikTok.

1. Washington Post

“We are a newspaper” recita il claim dell’account TikTok del Washington Post, che ogni giorno lancia video divertenti interpretati dai suoi giornalisti, che si sfidano tra canzoni e scene recitate. Dalla campagna elettorale americana fino alla vita quotidiana di redazione, sarcasmo e ironia si intrecciano in sketch davvero brillanti. “Gli utenti su TikTok cercano contenuti veri, e quando si parla di intrattenimento la parola chiave è essere genuini e non costruiti”, spiega Giuliano Ambrosio, direttore strategico dell’agenzia creativa Aquest: “Lo slogan della piattaforma recita: “Real People. Real Videos”. Questo denota quanto sia fondamentale entrare in empatia con le persone offrendo loro un momento vero, che sia di puro divertimento o informativo”.

L’unico rischio per un giornale storico come il Washington Post che ha un approccio così giocoso su TikTok, può essere che i ragazzi molto giovani non capiscano di che tipologia di testata si parla e lo sottovalutino credendo si tratti di un giornale ironico”, commenta Luca La Mesa, esperto di social media marketing e fresco di un’esperienza in Cina, culla di TikTokE aggiunge: “Mi sento di fare i complimenti per la volontà di sperimentare, ma allo stesso tempo sono sicuro che avranno nel tempo un approccio gradualmente più in linea con il loro storico posizionamento”.

2. Nba

La National basketball association (Nba) è stato uno dei primi ad adottare TikTok e oggi conta ben 9,8 milioni di follower. Condividono costantemente contenuti sulla piattaforma, anche seguendo le tendenze social. Anche in questo caso lavorano su un’ironia intelligente, oltre a cavalcare le passioni dei loro seguaci, proponendo, per esempio, i momenti salienti delle partite. “La Nba ha sempre fatto scuola in termini di comunicazione sui social media”, conferma La Mesa, “e i loro video su TikTok sono veramente ottimi per il loro target. Lo sport è uno dei mercati dove è più facile creare contenuti di intrattenimento. Si nota come cerchino di utilizzare alcune caratteristiche uniche di TikTok, come ad esempio i video “duetto”, nei quali associano alle riprese dal campo dei video con le stesse movenze, ma da parte dei loro fan. Una tecnica perfetta per intrattenere la propria community e premiare i video più belli che ricevono”.

Per Ambrosio è stata un’ottima mossa coinvolgere Charli D’Amelio, con altre top influencer, una sedicenne ad oggi superstar di TikTok a livello internazionale”.https://www.youtube.com/embed/CsoGscpoFAk?feature=oembed

3. Sephora

Consigli di look, presentazione dei nuovi prodotti e di come utilizzarli, prima e dopo, tutorial di make-up semplici da replicare: l’account TikTok di Sephora è il paradiso per le amanti di beauty e benessere. “Il caso di Sephora rappresenta il modo più corretto di presidiare un nuovo canale e offrire alle persone contenuti di valore utilizzando il linguaggio del canale stesso”, spiega Ambrosio: “Sarebbe stato semplice la condivisione di contenuti già realizzati per altri media, invece vediamo come i contenuti siano stati studiati in base al linguaggio e attraverso influencer per trasmettere empatia”.

4. Crocs

Crocs ha lavorato molto bene per il lancio del suo account TikTok nello scorso ottobre: in una settimana ha guadagnato oltre 100mila followers grazie a un concorso con il musicista Post Malone, ispirato alla sua canzone I’m Gonna Be, nel cui testo si citano i sabot per antomasia. È stata così lanciata la sfida #ThousandDollarCrocs, promossa anche da diverse influencer, che incoraggiava i fan a pubblicare contenuti che mostrassero come sarebbero state le loro Crocs da mille dollari.

Le challenge su TikTok sono fondamentali per far crescere il profilo in un periodo temporale davvero ristretto utili soprattutto in fase di lancio”, aggiunge Ambrosio: “Le hashtag challenge su TikTok possono stimolare in modo esponenziale contenuti generati dagli utenti basati su una linea guida del brand. Il caso di Crocs dimostra come le persone sono proattive sulla piattaforma e vogliono mettersi in gioco”.

5. Calvin Klein

Calvin Klein ha lanciato la sua scorsa campagna primaverile, chiamata #mycalvins (4,5M di visualizzazioni), sfruttandola per presentarsi anche su TikTok e per raggiungere nuovi target. Per farlo ha scelto protagonisti adatti al mezzo, come il cantante Shawn Mendes, l’attore Noah Centineo, la modella Kendall Jenner e il musicista A$AP Rocky. “TikTok permette ai brand di creare vere e proprie campagne pubblicitarie per offrire loro di arrivare a un’audience maggiore”, prosegue Ambrosio.

Stiamo assistendo”, commenta Luca La Mesa, “ad alcuni test molto interessanti nel mondo della moda, grazie ai quali le più importanti aziende si stanno interrogando come essere presenti su questo nuovo canale. Da una recente analisi di Blogmeter è emerso come, ad esempio, Charli D’Amelio sia stata la vera rivelazione dell’ultima Milan Fashion WeekÈ una giovane TikToker americana che ha aperto il suo profilo solo pochi mesi fa (giugno 2019) e ad oggi ha più di 40milioni di followers”.

E la popolarità improvvisa su TikTok le ha regalto grande visibilità anche su altri social media. “Su Instagram ha più di 12milioni di followers ed è stata tra i 3 account con maggior engagement di tutta la fashion week, superando personaggi pubblici come Will Smith, Emily Ratajkowski, Giulia De Lellis e Georgina Rodriguez (nota anche come fidanzata di Cristiano Ronaldo)”, dice La Mesa. “Ciò che possiamo imparare da queste analisi è che oggi c’è grande spazio per chi si muove per primo nello sperimentare questi canali e che dobbiamo sempre studiare per rimanere aggiornati su questi trend”.

6. Red Bull

Ha 3,7 milioni di follower e nei suoi video riprende il concetto cardine del brand, #givesyouwings, il famoso “Ti mette le ali” che tutti ricordiamo dagli spot tv. Nei video dell’account vediamo diversi sportivi in azioni particolarmente pericolose e divertenti, perfettamente in target con la comunicazione del brand.

“Red Bull ha utilizzato il proprio ecosistema di comunicazione social per dirottare la maggior parte della propria base follower sul nuovo account TikTok”, illustra Ambrosio: “I contenuti sono in linea con l’intrattenimento che le persone si aspettano sulla piattaforma”.

7. Nickelodeon

L’account ufficiale dell’emittente per ragazzi ha 6,1 milioni di follower e riprende i programmi e le serie lanciate sui canali televisivi, attraverso sketch divertenti e mini clip. “L’aggiunta di chiamate all’azione nel testo del contenuto e sapiente uso di hashtag permette di coinvolgere le persone”, conclude Ambrosio.

8. Gucci

Non sono molti i video presenti sul canale TikTok di Gucci, che è relativamente recente, ma giocano su effetti, musica e balli al cui centro si trovano ovviamente gli abiti del brand, raccontati in maniera creativa. Uno degli hashtag usati è #accidentalinfluencer. “Ancora una volta Gucci denota il sapiente utilizzo dei canali media”, apprezza Ambrosio: “TikTok si basa su diversi aspetti che rendono il contenuto virale, come la musica e gli effetti video. La scelta di mostrare persone comuni, che creano maggiore empatia, permette di rendere il contenuto più facile da  condividere”.

9. Nfl

La National football league degli Stati Uniti e TikTok hanno annunciato lo scorso settembre una partnership pluriennale in vista della centesima stagione della federazione sportiva. L’account ufficiale condivide filmati dietro le quinte e lavora con meme e scene divertenti. L’account fa parte di una strategia per raggiungere un pubblico più giovane che guarda sempre meno calcio, oltre a “prevedere diverse opportunità, come strumenti e analisi per avere una governance del proprio account e contenuti in linea con le aspettative del pubblico”, conclude Ambrosio.

10. Espn

Anche il canale di sport Espn è sbarcato su TikTok per raggiungere un pubblico più giovane. Oggi ha quasi 4 milioni di follower, carica costantemente replay di azioni di gioco spettacolari e lavora su clip divertenti a ritmi hip hop.

Le persone su TikTok cercano un intrattenimento vero e rapido, lo scrolling nel feed è molto veloce ed ipnotico. Rispetto ad altre piattaforme, TikTok si rivela molto intrigante, grazie al formato verticale e tipologia del contenuto video. Il mix tra musica e clip basate sul mondo gaming rendono il tutto vincente”, conclude Ambrosio.




Quanto inquina una menzogna? La brutta storia dietro Cattive acque

Quanto inquina una menzogna? La brutta storia dietro Cattive acque

Il film Cattive acque racconta l’inchiesta dell’avvocato Rob Bilott contro la multinazionale Dupont, accusata di aver versato rifiuti pericolosi nell’acqua e di aver usato sostanze tossiche nei propri prodotti. 

Il 20 febbraio di quest’anno, è uscita nelle sale una delle ultime pellicole distribuite in Italia prima della chiusura dei cinema a causa dell’epidemia di coronavirus: Cattive acque, per la regia di Todd Haynes, tratta da una graffiante inchiesta giornalistica dell’attivista Mark Ruffalo. Il film è la storia, vera, dell’avvocato Rob Bilott, associato a un prestigioso studio legale di Cincinnati e con importanti aziende multinazionali come clienti, che gradatamente avvia, sempre più convinto, una vera e propria crociata contro Dupont.

Dupont de Nemours & co è uno dei colossi mondiali della chimica, coinvolta in una battaglia legale più che ventennale, nata grazie all’iniziale denuncia di un contadino della Virginia, Wilbur Tennant, che, notando la morte tra gravi sofferenze di un numero incomprensibilmente alto di sue bestie da reddito, sollecita l’avvocato Bilott a prendere in carico il caso. L’ipotesi è che l’acqua del ruscello da cui si abbeverano i bovini sia contaminata dalla Dupont, che da anni scarica rifiuti potenzialmente pericolosi in quell’area.

Il teflon: il cancro in casa

Dupont ha costruito un vero e proprio impero sull’utilizzo del teflon, il celebre materiale utilizzato in tutto il mondo per rendere anti-aderenti le padelle utilizzate da ogni massaia, ma anche in molti tessuti da arredamento, nell’abbigliamento, in schiume antincendio, lubrificanti, adesivi, cosmetici, insetticidi e altri oggetti di uso comune nelle case. Peccato che gli atomi di carbonio che si legano per creare i famigerati Pfoa, gli acidi di sintesi alla base del teflon – questa perlomeno è l’ipotesi dell’accusa – siano potenzialmente nocivi per il corpo umano.

In esito all’evolversi della battaglia legale, con una decisione in buona parte inattesa, la stessa agenzia Epa (l’Environmental protection agency, l’agenzia di protezione ambientale statunitense) ha poi chiesto a Dupont e altre sette aziende (3M dyneon, Arkema, Asahi, Ciba, Clariant, Daikin e Solvay solexis) di cessare l’utilizzo del Pfoa nei loro processi industriali, non solo negli Stati Uniti ma ovunque nel mondo.

Una scena del film Cattive acque con mark ruffalo
Una scena del film Cattive acque con Mark Ruffalo © Eagle Pictures

ll comitato scientifico dell’Epa concluse però, già anni fa, che il teflon è probabilmente cancerogeno”. Unici dissociati all’interno del comitato scientifico, rispetto ai risultati di probabile cancerogenicità del prodotto, due membri che sono consulenti scientifici retribuiti dell’American council on science and health (Acsh), organizzazione composta da esperti notoriamente vicini alle industrie chimiche.

Dupont ha sempre sostenuto di “non disporre di alcuno studio che colleghi specificamente gli attuali livelli di esposizione al Pfoa a effetti sulla salute umana”, ma improvvisamente, dopo le dure prese di posizione dell’Epa, Dupont dichiarò la propria adesione al programma proposto dalla stessa agenzia, affermando di aver già precedentemente ridotto del 94 per cento le emissioni di Pfoa dai propri processi produttivi.

Una scena del film Cattive acque con Anne Hathaway
Una scena del film Cattive acque con Anne Hathaway nei panni di Sarah Barlage © Mary Cybulski

Pericolo mortale: si, no, forse

L’azienda dichiara sul proprio sito web che “L’utilizzo di altri Pfas [la più ampia famiglia di elementi chimici siteniti dei quali sono parte anche gli Pfoa, ndr] da parte di Dupont è una piccola frazione del Pfas totale utilizzato nel mondo. Sebbene il nostro utilizzo sia estremamente ridotto, stiamo perseguendo attivamente alternative al Pfas ove possibile nei nostri processi produttivi, in quanto la sicurezza e la tutela dell’ambiente sono valori fondamentali di Dupont”

L’azienda ammette anche che “per diversi decenni, il business delle sostanze chimiche ad alte prestazioni di Dupont, come molti altri produttori industriali, ha acquistato, utilizzato e fabbricato Pfoa come ausilio alla lavorazione nella produzione di fluoropolimeri. Nel 2006, Dupont ha storicamente annunciato il suo impegno a interrompere la produzione, l’acquisto o l’uso di Pfoa”.

Una scena del film Cattive acque mark ruffalo
Bill Camp (a sinistra) nei panni di Wilbur Tennant e Mark Ruffalo (a destra) nei panni di Robert Bilott © Mary Cybulski

Le bugie hanno le gambe corte

In realtà, l’attività della Dupont nel settore delle sostanze chimiche ad alte prestazioni che includeva l’utilizzo di Pfoa è stata delegata a una società separata e completamente indipendente, chiamata The chemours company. Semplice, poter affermare che Dupont non utilizza più questi composti, senza timore di essere smentiti: è sufficiente creare una “bad company” che prosegua lei con questo tipo di lavorazioni.

Dupont inoltre si contraddice: dopo aver illustrato il proprio punto di vista “sull’assenza di prove di pericolosità del prodotto”, ammette la progressiva dismissione del composto chimico (ci chiediamo: perché dismettere un prodotto non pericoloso?), dichiarando il proprio impegno a eliminare l’uso del Pfas a catena lunga nonché l’uso di tutte le schiume antincendio prodotte con Pfas presso i propri siti.

Una scena del film Cattive acque con Mark Ruffalo e Tim Robbins
Tim Robbins (a sinistra) nei panni di om Terp e Mark Ruffalo (a destra) nei panni di Robert Bilott © Mary Cybulski / Focus Features

Incredibilmente, l’azienda ha anche dichiarato di voler supportare gli Stati Uniti, l’Epa e gli sforzi normativi globali per sviluppare linee guida scientifiche per gli Pfas, e finanziare sovvenzioni a università e altri istituti di ricerca per nuove, innovative tecnologie di bonifica dagli Pfas. Viene usato il termine incredibilmente perché la compagnia chimica è stata appunto oggetto di controversie giudiziarie proprio a causa dell’indisponibilità dimostrata nel rendere pubblicamente disponibili informazioni complete sulla pericolosità degli Pfas e sull’uso di questi composti nelle proprie produzioni, boicottando quanto più possibile l’iter giudiziario, come il film Cattive acque illustra con dovizia di particolari.

Una scena dal film Cattive acque
Mark Ruffalo in Cattive acque © Mary Cybulski

Il profitto prima di tutto

In buona sostanza, Dupont ha opposto una strenua resistenza finalizzata prima a negare ogni proprio coinvolgimento con gli Pfas; poi in un secondo momento ne ha negato con forza la pericolosità per gli esseri umani; infine – considerata l’impossibilità di negare oltre, e di sottrarsi al giudizio dell’opinione pubblica – ha dichiarato di aver già avviato le procedure di dismissione di queste sostanze.

Nelle more di questa decisione, non solo una procedura giudiziaria durata oltre 20 anni, contraddistinta dalla vergognosa reticenza dell’azienda a collaborare per l’affermazione della verità, ma soprattutto cittadini morti per cancro, o gravemente ammalati, sia tra gli operatori che negli stabilimenti del gruppo lavoravano questi prodotti, sia tra gli abitanti delle zone circostanti alle fabbriche.

La locandina del film Cattive acque
La locandina del film Cattive acque © Eagle Pictures

Oltre al danno, la beffa: in realtà per molte lavorazioni, degli Pfas è anche possibile fare a meno: da tempo, ad esempio, esistono pentole senza Pfoa, sulle quali vengono scelti metodi diversi per realizzare l’ultimo strato della padella, che è quello – è bene ricordarlo – direttamente a contatto con il cibo che mangiamo tutti i giorni.

Un ulteriore esempio, tra i tanti, purtroppo, di quasi totale insensibilità al tema della salute dei cittadini da parte di una multinazionale interessata soprattutto al profitto, e – come dimostrato – oltre che avida, soprattutto ipocrita. Se non fosse realtà, parrebbe un film.

Si ringrazia la Dott. sa Giorgia Grandoni per le ricerche sui documenti pubblicati da Dupont & Nemour sugli inquinanti chimici contenuti nelle loro produzioni



Lezioni di management da questi mesi (e da quelli che verranno)

Lezioni di management da questi mesi (e da quelli che verranno)

Suggerimenti per i leader (e non solo) dal MIT Sloan Management Review.


Immaginare il futuro senza il Covid-19 (o in compagnia del virus) appare, ancora oggi, una faccenda da futurologi più che da esperti. Le pubblicazioni scientifiche, nonché alcune politiche pubbliche, parlano apertamente della necessità di abbracciare un modello ‘trial-and-error’, e cioè di accettare l’idea che i decisori saranno esposti a scelte sbagliate, dovute alla necessità di esplorare l’ignoto. Di conseguenza l’obiettivo di questo post non è provare a spiegarvi come andranno le cose, perché non lo so. Piuttosto mi piacerebbe condividere ciò che mi ha colpito in questo approfondimento sulla rivista scientifica pubblicata dal Massachusetts Institute of Technology, perché potrebbe dare spunti interessanti per affrontare il presente in modo efficace, il che sarebbe già una gran cosa.


1. Come prendere decisioni migliori

L’aumento del tasso di incertezza del contesto di riferimento e dello stress, e il conseguente sovraccarico emotivo, induce a una distorsione cognitiva assolutamente frequente, che gli esseri umani conoscono molto bene in situazioni di paura: fermarsi di scatto, congelarsi. Ma queste distorsioni, una volta isolate, possono essere combattute, ridotte se non addirittura eliminate. Cosa fare, dunque, per evitare che le emozioni primarie “negative” compromettano la qualità del processo decisionale?

a. Sfidare lo status quo. Non è detto che la soluzione ‘si è sempre fatto così’ sia la migliore durante una crisi di sistema. Anzi.

b. Sfuggire dai frame, dalle cornici di senso pre-codificate e spesso onnicomprensive che permettono agli esseri umani di semplificare il processo decisionale nella vita quotidiana (per esempio gli stereotipi o i pregiudizi) ma che potrebbero essere controproducenti ora. Serve un approccio da “esploratori” più che da “esperti”, e questo vale soprattutto per i decisori pubblici o per chi ha responsabilità di leadership, di qualsiasi natura.

c. Evitare di pensare che a un certo punto tutto tornerà sicuramente come prima.Questo atteggiamento potrebbe portare a non prendere decisioni rilevanti, a puntare tutto sul fattore tempo, a sperare che la pandemia finisca presto e che causi il minor numero possibile di trasformazioni. Così, però, si cede volontariamente il controllo delle operazioni a fattori esterni e non controllabili. Il “tutto tornerà come prima” è una scommessa molto rischiosa, e in certi comparti economici appare, ora come ora, un vero e proprio azzardo.

2. Come gestire i cambiamenti che ci saranno

Il virus è davvero una ‘livella’, che riguarda tutti e in modo indistinto? Probabilmente no. Una famiglia numerosa che vive in 50 metri quadri incontrerà difficoltà assai maggiori rispetto a una coppia che vive in 200 metri quadri. Ma questo esempio spiega il contesto attuale solo in parte: si parte infatti da una diseguaglianza pre-esistente, che la pandemia ha reso più evidente e che comporta scompensi proporzionali. C’è però un elemento che, almeno per il momento, appare sufficientemente “democratico”: la crisi economica colpirà (con intensità diverse) più o meno tutti, in modo diretto o indiretto, e non è detto che i ricchi si salveranno mentre i poveri no. Questo elemento non rappresenta però un alibi per i leader e per i manager, ma è esattamente vero il contrario: senza comprensione emotiva della situazione, senza consapevolezza che oggi non si può pensare di chiedere alle persone ciò che le persone al momento non possono dare, non ci sarà possibilità di ricevere in cambio la stessa comprensione da parte delle proprie comunità di riferimento quando la capacità (e la volontà) di spesa o di impegno tornerà a risalire. Cosa fare, dunque, per accompagnare i cambiamenti — che almeno per qualche tempo ci saranno — in modo corretto?

a. Porre le persone al centro del processo decisionale. Questo principio vale per i collaboratori (che mai come adesso andrebbero ascoltati, prima di tutto per aiutarli a ridurre ansia, stress e paura del contagio), come per i clienti, e allo stesso modo con la comunità nell’accezione più ampia del termine, dalle community sui social media ai contributi (economici, intellettuali, di empatia) che si possono dare al proprio territorio di riferimento per alleviare gli effetti della crisi pandemica.

b. Decentralizzare senza timori. Lo smart working forzato — nei comparti in cui è possibile farlo — ha improvvisamente fatto venire al pettine un nodo nel rapporto tra chi “comanda” e chi “riceve gli ordini”: quanto i primi si fidano dei secondi? Quanto la presenza fisica nello stesso ufficio rappresenta una reale esigenza gestionale e quanto è solo il tentativo di controllare le persone?Quanto spesso si pensa che un lavoratore in remoto, in fondo, sfrutti questa situazione per lavorare di meno? La questione è cruciale e andrebbe affrontata in qualsiasi organizzazione, per due motivi: 1. se si ritiene che i propri collaboratori lavorano meno se non controllati, bisognerebbe o poterlo dimostrare o al contrario sfruttare la situazione per provare a chiarire una volta per tutte la ragione del pregiudizio, anche perché 2. è possibile che i momenti di smart working, nei prossimi mesi, saranno molti. E governare un’organizzazione guidati dalla paranoia non è una strategia che può essere considerata efficace.

c. Accettare l’idea che si può lavorare bene anche viaggiando di meno. A questo punto del percorso si può iniziare a calcolare, con grande serenità, il numero di viaggi che nel recente passato si sarebbero potuti evitare per partecipare a riunioni e appuntamenti che in queste settimane sono stati tranquillamente surrogati in remoto. Di conseguenza ci si può anche chiedere se in futuro si tornerà a viaggiare come prima, come se niente fosse accaduto, o se questa pandemia può aver obbligato a comprendere che se da un lato la dimensione fisica di certi passaggi della vita sociale e lavorativa non sono sostituibili con le chat e le videocall, ce ne sono altri su cui invece si potrebbe in futuro risparmiare tempo e denaro, contribuendo anche a ridurre l’impronta inquinante (l’emergenza climatica resterà tra i temi in agenda per i prossimi decenni).

d. Superare la timidezza nelle relazioni istituzionali. La retorica “ne usciremo tutti insieme” è condivisibile? Allora bisogna essere conseguenti. Tutti possono aiutare tutti in questo momento, mettendo l’etica e le persone davanti a tutto (più che mai) ma non per questo rinunciando a un po’ di coraggio. Essere coraggiosi può voler dire tante cose, dal dire ai clienti ciò che non si aveva la forza di ammettere, al parlare coi politici in modo più radicale di quanto si è fatto in passato per timore di ritorsioni. Il futuro fa paura; un futuro anticipato da un presente in cui non sia stato fatto il possibile per renderlo meno spaventoso ne farebbe ancora di più.

3. Come gestire lo stress

La separazione degli spazi di vita da quelli di lavoro (e viceversa) rappresenta per molti una piccola salvezza psicologica. La presenza di una routine, la divisione della giornata in fasi, la possibilità di introdurre elementi di rilassamento tra una fase e l’altra (dalla palestra al volontariato ai mille modi di gestire il proprio tempo libero) è cruciale per il proprio benessere. Tutto questo oggi è stato ridotto a quasi-zero — e non si ha ancora un orizzonte temporale chiaro sulla durata di questa compressione — e quindi è abbastanza inevitabile fare fatica. Come provare a farne un po’ di meno?

a. Chiedendo — e tenendo conto — delle specifiche esigenze di ciascuno. Affrontare questa pandemia da soli comporta elementi di complessità diversi rispetto a chi è invece in casa con i figli che magari devono seguire la didattica online proprio nel momento in cui c’è un’importante riunione a cui presenziare. Fare un piccolo sforzo in più per armonizzare le esigenze di tutti può essere prezioso a ridurre il senso di stress o di sovraccarico dei tempi e degli spazi.

b. Ritagliarsi tempo per conversazioni informali con le persone con cui si lavora. La separazione forzata porta inevitabilmente a sentirsi molto meno per questioni che non hanno a che fare col lavoro. Manca il caffè, la pausa pranzo, la chiacchierata sul balcone, il cazzeggio. Ricostruire in parte quella dimensione può far bene al morale, alla coesione e può ridurre l’effetto “catena di montaggio”.

c. Fare qualcosa di piacevole dopo il lavoro. Esattamente come la birra al pub o la palestra post-ufficio, può essere utile trovare modalità di auto-gratificazione alla fine della giornata.

d. Fare estrema attenzione a come si usa la forma scritta nei messaggi. Lo smart working è anche, in buona sostanza, il primato della forma scritta su quella verbale e paraverbale. Questa inversione rispetto all’ordinario comporta però una sfida ulteriore: è necessario essere molto precisi, attenti e competenti emotivamente per far arrivare il proprio pensiero ai destinatari senza che questi ultimi possano fraintenderlo, non comprenderne il livello di importanza o anche rimanerci male per qualche espressione un po’ tranchant. Non bisogna dimenticarsi che la dimensione scritta dello scambio lavorativo fa perdere in alcuni casi il tono di voce, la possibilità di un botta e risposta immediato (e dunque di chiarirsi in meno tempo). I passaggi più delicati potrebbero dunque richiedere una telefonata o una videochiamata: ci si fa del bene a vicenda.




PNR: Ue e Programmazione Integrata per crescita e sviluppo sostenibile

PNR: Ue e Programmazione Integrata per crescita e sviluppo sostenibile

La Conferenza delle Regioni e delle province autonome ha approvato nella riunione del 7 maggio, svoltasi in videoconferenza, il documento al Programma Nazionale di Riforma 2020, intitolato “Le Regioni e la programmazione integrata per la crescita e lo sviluppo sostenibile dell’Italia e dell’Europa”.
Il documento è stato quindi inviato per via telematica ai ministri competenti,  il Ministro per gli Affari europei, Roberto Gualtieri (Ministro dell’Economia e delle Finanze) e al ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Francesco Boccia.
Nel documento consegnato al Governo si sottolinea in particolare il contributo che la Conferenza delle Regioni ha condiviso in merito al Programma Nazionale di Riforma 2020.
Quindi si chiede al Governo di tenere conto di questo contributo e pertanto del suo inserimento nel Programma Nazionale di Riforma che il Governo dovrà presentare alla Commissione europea nei prossimi giorni.
Allegato al documento, vi è un quadro sinottico dei provvedimenti di riforma adottati dalle Regioni e dalle Province autonome dal gennaio 2019 al febbraio 2020, articolato combinando gli obiettivi tematici dell’attuale e della prossima programmazione dei fondi europei con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile.
Infine si segnala che quest’anno le Regioni predisporranno un “Contributo regionale al Programma Nazionale di Riforma 2020”.Di seguito il documento della Conferenza delle Regioni.

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Le Regioni e le Province autonome, mediante l‘annuale Contributo delle Regioni al PNR, hanno attivato negli anni un percorso virtuoso, a supporto della programmazione integrata verso una crescita e uno sviluppo sostenibili, raccordando il Semestre europeo con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (SDGs), la politica di coesione (programmazione 2014-20 e 2021-27) e i principi del Pilastro europeo dei diritti sociali (PEDS). Dopo l’accordo per la crescita europea (The European Green Deal) la Commissione europea ha reimpostato il processo del coordinamento macroeconomico del Semestre europeo per incorporare gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, per mettere al centro della politica economica la sostenibilità e il benessere dei cittadini, nonché per fare degli SDGs il cuore del sistema di policy making europeo. Il Covid-19 ha sospeso il processo, essendo le istituzioni europee, nazionali e subnazionali impegnate a risolvere la pandemia. Tuttavia il quadro delle politiche strategiche necessiterà ancora delle analisi sulle criticità, i risultati e gli sviluppi conseguiti sulla base delle Raccomandazioni specifiche per Paese (CSR) del luglio 2019, le previsioni della Strategia annuale della crescita sostenibile (ASGS) del 17 dicembre 2019, nonché delle valutazioni e delle indicazioni contenute nella Comunicazione comune del Pacchetto d’Inverno (COM 2020 150 finale del 26 febbraio 2020), introduttiva del Country report per l’Italia. A questo scopo, le Regioni forniscono la fotografia degli interventi di riforma effettuati a livello regionale nel periodo gennaio 2019 – febbraio 2020 a supporto di una programmazione strategica sempre più finalizzata e integrata. Il Contributo delle Regioni al PNR 2020 propone una risposta coerente delle Regioni alle CSR per l’Italia, seguendo l’impianto della ASGS europea, incentrata su quattro Pilastri (sostenibilità ambientale, incrementi di produttività, equità, stabilità macroeconomica), destinati a sottendere a riforme strutturali, politiche occupazionali, politiche d’investimento e di bilancio responsabili, volte a costruire un’economia al servizio delle persone e del pianeta in tutti gli Stati membri. Il “Pacchetto d’inverno” del Semestre europeo chiede agli Stati membri di comunicare i progressi compiuti nel perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU 2030 (evidenziato nello specifico Annex E). Dal 2016, l’analisi offerta dall’annuale Contributo delle Regioni al PNR declina gli interventi di riforma regionali secondo gli SDGs.Elementi costitutivi della programmazione integrata del Contributo delle Regioni al PNR 2020Il Contributo delle Regioni al PNR 2020 collega il Semestre europeo con le programmazioni dei fondi SIE 2014-2020 e 2021-2027. Quest’anno la visione è stata ampliata con il confronto con altre programmazioni e indicatori, in un’ottica funzionale ai Documenti di Economia e Finanza regionali. E’ stato, infatti, elaborato un quadro sinottico (allegato) per l’individuazione delle misure e sottomisure che compongono il Contributo regionale al PNR 2020, che includono i seguenti elementi di programmazione integrata: i RA (Risultati Attesi) della programmazione dei fondi SIE 2014-2020; i Target degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU 2030 (SDGs); gli Obiettivi di Policy (OP) e i relativi Obiettivi Specifici (OS) come previsti nelle bozze di Regolamenti UE della programmazione 2021-2027 e le indicazioni contenute nell’Annex D del Country Report 2019 e del Country Report 2020 relativamente alla parte “Fattori per un’attuazione efficace della politica di coesione”; i 20 Principi del PEDS; i 12 domini del Benessere equo e Sostenibile dell’ISTAT (BES); nonché gli obiettivi strategici contenuti nella Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile del 2017 (SNSvS) e i vettori di sostenibilità.Considerato che le CSR 2019 fanno riferimento a macro settori di policy, gli interventi di riforma regionali sono stati catalogati secondo i Target della strategia Europa 2020, riferiti alle medesime CSR. Gli strumenti di rilevazione utilizzati per costruire il Contributo regionale sono stati organizzati accorpando Target e CSR come segue: CSR2-T1-T6-T7-T8 (Mercato del lavoro, Promozione dell’occupazione, Istruzione e competenze, Inclusione sociale); CSR3-T2-T3-T4-T5 (Investimenti in R&I, Decarbonizzazione dell’economia, Investimenti sulla qualità delle infrastrutture, Competitività territoriale, Efficienza della Pubblica Amministrazione, Concorrenza, Appalti); sarà comunque possibile effettuare una riconduzione dei risultati raggiunti per una futura lettura dei dieci anni dei Target EU2020. In considerazione dei temi trattati, CSR 1 (Politiche di bilancio, Interventi fiscali), CSR 4 (Efficienza della giustizia, Lotta contro la corruzione), CSR 5 (Accesso al credito, Finanziamento non bancario) non sono direttamente riconducibili ai Target EU2020, ma concorrono comunque alla lettura dei 4 pilastri del ASGS e del Country Report 2020.Le azioni intraprese dalle Regioni e Province autonome sono sintetizzate con riferimento alle 5 Raccomandazioni per l’Italia del 2019, ai 17 SDGs dell’ONU e ai loro target, nonché ai Risultati attesi e agli Obiettivi di policy della politica di coesione attuale e futura, ai BES/ISTAT e al Pilastro europeo dei diritti sociali (PEDS) (in allegato un quadro sinottico).Il testo integrale del contributo delle Regioni e delle Province autonome al PNR sarà pubblicato sul sito della Conferenza delle Regioni (www.regioni.it).

Fonte: http://www.regioni.it/newsletter/n-3839/del-12-05-2020/pnr-ue-e-programmazione-integrata-per-crescita-e-sviluppo-sostenibile-21194/




Fase 3 Il design per ripensare le relazioni nell’era post Covid-19

Fase 3Il design per ripensare le relazioni nell’era post Covid-19

Il mondo di colpo si è ristretto: sono tornati i confini, sono state recuperate differenze e barriere, ma è allo stesso tempo più largo, perché siamo tutti nella stessa situazione. In questa nuova normalità la gestione degli spazi sarà un strumento cruciale nella trasformazione della realtà

Il coronavirus, all’improvviso, ha cambiato la nostra percezione del Mondo. Il Pianeta è diventato in pochi giorni più stretto e più largo, più piccolo e più grande.

Il Mondo di colpo si è ristretto: sono tornati i confini, sono state recuperate differenze e barriere. Gli Stati hanno riscoperto la necessità di avere un apparato produttivo autonomo, completo e resiliente, capace di dare risposta a tutte le esigenze della propria comunità. È andata in crisi l’idea del Pianeta come un unico “distretto industriale”, con le sue diverse componenti sparpagliate per il globo terracqueo; giocando sul filo del paradosso: la zona per la manifattura in Cina o in India, l’area della creatività e della cultura in Europa, l’ufficio ricerca, sviluppo e innovazione negli Stati Uniti.

Ma il Mondo al tempo stesso si è fatto più largo: ci siamo riscoperti abitanti di uno stesso “villaggio”. La malattia non ha fatto differenze di razza, stato economico, genere o collocazione geografica. Ci ha accomunato tutti, nella stessa tragedia e nel bisogno di dare una risposta solidale allo stato di emergenza.

In questa situazione, così complessa e sfidante, il Design si conferma cruciale strumento di trasformazione della realtà, per metterla in sintonia con le aspettative e le esigenze della persona.

Il Design, in un tale contesto, rileva per quelle che sono le sue funzioni e le sue applicazioni più avanzate e contemporanee, in quanto non solo strumento di progettazione di Beni e Servizi, ma anche prezioso mezzo per la definizione e la modulazione di Reti e Sistemi.

Nell’attuale e drammatico frangente, si è così tacitamente attivata e si sta sviluppando – in Italia e nel Mondo – una grande operazione di design, con la riprogettazione di sistemi di relazioni, assetti di alleanze, modalità di interazione.

Su scala nazionale, emergono con chiarezza due interessanti e innovative linee di tendenza, che incidono in modo positivo sulle antiche attitudini del tessuto produttivo italiano all’individualismo e all’egocentrismo.

In primo luogo, l’emergenza spinge molte aziende ad avere un approccio più coraggioso e aperto in merito al proprio patrimonio conoscitivo, abbassando in qualche modo le paratie che le divideva dal mondo esterno e sperimentando inedite forme di collaborazione.

Questo senza rinunciare al proprio prezioso know-how e senza ammainare il vessillo della propria specifica identità, ma trovando anzi il modo di valorizzarli mediante modi nuovi di interagire e fare rete con altre imprese.

In secondo luogo, le aziende rendono più forti e più evidenti le connessioni tra la propria attività e l’interesse pubblico, manifestando in modo esplicito la volontà di conciliare i propri interessi con quelli della collettività.

Questo in un quadro di crescente e doverosa sensibilità verso i temi della sostenibilità ambientale, economica e sociale, nonché di pronunciata attenzione ai paradigmi dell’economia circolare.

Quanto sopra, naturalmente, per le imprese non significa venire meno alla propria ontologica mission di creare ricchezza, ma semplicemente farlo in modo più moderno, nella consapevolezza del rapporto di osmosi tra i risultati aziendali e il bene pubblico.

Significativa appare in questa ottica la vicenda di Isinnova, giovane azienda di Brescia fondata da Alvise Mori e Christian Fracassi, meritatamente salita di recente agli onori della cronaca.

L’impresa, nel momento in cui l’Ospedale Chiari lamenta una drammatica carenza di valvole per le macchine di rianimazione, mette in campo il proprio know-how e – rispondendo alle sollecitazioni in particolare del Dr. Renato Favero, primario in pensione dell’Ospedale di Gardone Valtrompia – modifica in tempi brucianti la maschera da snorkeling Easybreath di Decathlon in una maschera per la respirazione da ospedale, realizzando un innovativo componente per il raccordo al respiratore, battezzato come valvola Charlotte.

Ha dichiarato Marco Ruocco, Project Officer & Analist, in una intervista su www.economy.up del 16 aprile 2020: “La valvola è stata brevettata per evitare future speculazioni, ma tutto il progetto è disponibile on line e chiunque può scaricare la documentazione e stampare liberamente la valvola, purché non la utilizzi con finalità commerciale”.

Isinnova, tra l’altro, aderisce all’iniziativa di Orgoglio Bresciano, consistente in un inedito coordinamento – nato su impulso di Nereo Mariotto (ABL Automazione) – tra diverse aziende dell’area.

Le imprese partecipanti al cluster, pur restando realtà rigorosamente autonome e forti della propria identità, hanno messo da parte gli eccessi di individualismo e hanno iniziato ad operare in modo organizzato, conciliando gli interessi aziendali con le esigenze del territorio.

Orgoglio Bresciano compare nel film documentario “Brescia 02 mesi 2020”, progetto curato e realizzato da Nicola Lucini, Ale Milini ed Albatros Film, di cui all’articolo di Gian Paolo Laffranchi su Brescia Oggi dell’8 maggio 2020, con le testimonianze di Francesco Buffoli (Buffoli Transfer), Flavio Ventura (Conf Industries), Marco Ruocco e Alessandro Romaioli (Isinnova).

Continuando lungo questo percorso di vasi comunicanti, Orgoglio Bresciano ha anche preso contatto con il progetto CURA – Connected Units for Respiratory Ailments, un innovativo sistema di utilizzo di container per creare unità ospedaliere di terapia intensiva.

Il progetto, guidato dallo Studio CRA – Carlo Ratti Associati, vede coinvolti medici, architetti, ingegneri, ONG, con il supporto di Humanitas Research Hospital, Policlinico di Milano, MIT Senseable City Lab, Studio FM Milano, Squint/Opera, IEC Engineering, Alex Neame di Team Rubicon, Ivan Pavanello di Projema, Maurizio Lanfranco dell’Ospedale Cottolengo, Gruppo Boero.

L’iniziativa è gestita interamente in open innovation; bella e significativa, ai fini del presente scritto, è la definizione che Italo Rota ne ha fornito in una intervista a Milano Finanza dell’1 aprile 2020: “Il progetto è nato dalla necessità di capire subito cosa mancasse. L’abbiamo individuato e ci siamo messi in cammino”.

Di sicuro interesse è anche il caso di Vetraria Sacilese, che – a fronte delle nuove esigenze determinate dall’emergenza sanitaria – ha rapidamente riconvertito parte della propria storica produzione, passando dai box doccia ai pannelli di protezione antivirus.

L’azienda di Montereale Valcellina non ha condotto l’operazione singolarmente, ma in tempestivo coordinamento con la propria controllante: la Duka di Bressannone.

Secondo il filo del discorso che qui si sta svolgendo, significativa risulta una dichiarazione di Emanuele Parpinelli, Direttore Generale dell’azienda friulana, in una intervista a www.ilgazzettino.it del 9 maggio 2020: “Aiutare l’Italia anche così può essere un’emozione”.

Gli esempi, naturalmente, potrebbero proseguire.

L’emergenza sanitaria, in buona sostanza, nel nostro Paese ha dato un impulso formidabile ad un nuovo design dei rapporti tra le aziende e tra le aziende e la realtà circostante.

Le imprese, pur continuando a tutelare il proprio know-how e a valorizzare la propria identità, si sono aperte in modo nuovo, sperimentando inedite forme di cooperazione (si veda il caso delle valvole di Isinnova, ovvero dei pannelli di Vetraria Sacilese, ovvero dei moduli CURA), nonché esplorando innovativi meccanismi organizzativi reticolari (si prendano ad esempio le esperienze di Orgoglio Bresciano e del team capitanato dallo Studio CRA, etc.).

Le aziende, spinte dalla crisi da Covid-19, hanno inoltre compiuto ulteriori  passi in avanti nella consapevolezza delle ricadute nel sociale della propria attività, del proprio essere sempre componenti – preziose e fondamentali – di un sistema più complesso, parti di una collettività unita dalle medesime esigenze di sviluppo e di sostenibilità (significative le dichiarazioni citate, diverse e complementari, di Italo Rota e Emanuele Parpinelli).

Allargando lo sguardo ai rapporti di natura internazionale, appare evidente che anche su questo piano si sono attivati movimenti di largo respiro, ancora ad uno stadio decisamente embrionale, ma incontrovertibilmente riconoscibili.

Borge Brende, Presidente del World Economic Forum, afferma in un intervento pubblicato su Business Insider del 26 marzo 2020: “È nella natura umana sentirsi più minacciati da ciò che si sente più vicino. Tuttavia, il pericolo potenziale esiste quando un rischio si annida lontano dalla nostra visione collettiva, perché può non essere affrontato, e noi possiamo essere impreparati ad affrontarlo quando si manifesta.

Da più parti si sottolinea che la risposta a questa ambivalenza, amplificata dall’emergenza del Covid-19, vada ricercata nella riscoperta di una solidarietà internazionale. Nel suo intervento per i 70 anni dalla Dichiarazione Schuman, Ursula Von der Leyen, ad esempio, ha riaffermato l’opportunità di riscoprire questo principio come requisito per sconfiggere il virus, rilanciare l’economia ed affrontare la sfida climatica.

Nessuno ce la fa da solo. Occorre dunque elaborare nuovi modi di lavorare. Vale per le imprese, impegnate a ripensare le catene globali del valore, in ottica di accorciamento e di reshoringFenomeni generati dalle nuove tecnologie digitali, per la verità, e dunque riferibili alla Quarta Rivoluzione Industriale, che la crisi accelera in maniera esponenziale. Ma vale anche per i governi. Un mondo asimmetrico, incerto, volatile va affrontato adeguando gli strumenti in nostro possesso, o creandone di nuovi.

Anche le relazioni internazionali subiranno un restyling, con ogni probabilità definito attraverso gli assi dell’innovazione e della sostenibilità. Ancora non conosciamo i dettagli, ma è lecito immaginare che stia per aprirsi una fase di relazioni internazionali “sperimentali”, riorganizzate sulla base di un nuovo design. Come ogni “spazio”, anche quello della solidarietà internazionale dev’essere pensato, disegnato e arredato in funzione del bisogno di chi lo “abiterà”. Sbagliare questa fase di progettazione, o di co-progettazione come sembrerebbe più corretto definirla, significherebbe perdere l’occasione offerta dalla crisi e gettare le basi per un futuro segnato da spinte egemoniche, o da individualismi di Stato. Un pericoloso ritorno al passato.

Il Design esprime sempre un’idea di futuro. Un pensiero creativo che diventa progetto. Lo stesso, mutatis mutandis, dovrebbe avvenire nelle relazioni internazionali. Ripensare taluni loro aspetti significherà affidarsi ad un approccio più aperto e collaborativo, per rendere la loro governance sempre più solida e affidabile. Il rischio è che la solidarietà invocata oggi in risposta alla crisi si esaurisca con la fine dell’emergenza. La speranza, viceversa, è recuperare la vitalità del nesso fra tutela dei diritti individuali e solidarietà internazionale. Per dirne una, da ora in poi sarà difficile considerare il diritto alla salute come una questione del tutto personale o come un interesse esclusivo di uno o più Stati.

Nel settore pubblico-istituzionale è più difficile realizzare una cultura creativa. Ma non sembra vi siano molte alternative. Anche le relazioni internazionali, presumibilmente, andranno incontro ad una fase trasformativa, resa indifferibile dalle conseguenze economiche e sociali della crisi. Intorno alla sfida climatica, ad esempio, potrebbero coagularsi risorse e intelligenze per rilanciare crescita e sviluppo. Passare da un’economia linearead una circolare, in fondo, significa ripensare il design dell’intero sistema.

La creatività richiesta per pensare e gestire nuovi modelli nasce dall’incontro di competenze, culture e profili diversi. La componente multi-stakeholder sarà una direttrice fondamentale per le relazioni internazionali del futuro. Il contributo di soggetti diversi aiuta a trasformare la semplice co-operazione, cioè lo svolgimento congiunto di talune attività o funzioni, in una cum-laborazione, cioè nella condivisione dell’intero processo di pianificazione strategica ed esecuzione operativa.

Il Design insegna che un prodotto o un servizio di qualità sono sempre il frutto di un’anticipazione della realtà, grazie alla quale è possibile adattare il processo creativo alle mutate esigenze del consumatore o della società. La riconfigurazione di un sistema complesso come quello internazionale di solito avviene in maniera progressiva. Questa volta lo sarà meno di altre, perché il presente è molto veloce e il futuro è accelerato da una pandemia non ancora sconfitta. Se vogliamo anticipare il domani, bisogna iniziare a sperimentare, pur nei limiti del consentito, perché ormai è certo che “il battito di una farfalla in Brasile”, per dirla con Edward Lorenz, “può scatenare un uragano in Texas”.

La comunità internazionale deve occuparsi delle sfide che attendono l’umanità. Per farlo, occorre affidarsi ad un nuovo design degli strumenti e delle relazioni necessarie a gestire un destino comune. Un sistema più condiviso, multi-attoriale e human centered. Sostenibile perché innovativo, e innovativo per essere sempre più sostenibile. Come quello degli spazi urbani, ad esempio, nei quali già vive la maggior parte della popolazione mondiale.

I mesi dell’emergenza sanitaria hanno “prodotto” una grande quantità di futuro. Per lo meno, a livello di previsioni e analisi. Ora tocca trasformare le lezioni apprese in progetti, come alcuni stanno già facendo. Per raggiungere nuovi traguardi, ci aspettano cambiamenti tutt’altro che facili e lineari, dall’esito incerto. Impossibili da realizzare senza processi innovativi interni voluti dai Paesi e dai loro governi. Soprattutto, poco durevoli se non accompagnati dalla formazione di persone dotate di visione creativa e di strumenti manageriali adatti a superare le zavorre del passato.

Il Coronavirus ci consegna un Mondo al tempo stesso più largo e più stretto, un Pianeta contemporaneamente più piccolo e più grande.

L’essere umano, anche in questa nuova dimensione, grazie al Design continua a modificare la Realtà, a disegnare il Futuro, perché progettare – Prodotti, Servizi, Relazioni e Sistemi – significa in fondo “confrontarsi con la Storia” (Trabucco, Design, 2015).