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Il Collegio dei Probiviri della FERPI – Federazione Relazioni Pubbliche Italiana: un incrollabile presidio a tutela della dignità della professione dei relatori pubblici

l Collegio dei Probiviri della FERPI - Federazione Relazioni Pubbliche Italiana: un incrollabile presidio alla tutela della dignità della professione dei relatori pubblici

Al Presidente del Collegio dei Probiviri
FERPI – Federazione Relazioni Pubbliche Italiana
p.c. ai membri del Collegio dei Probiviri
p.c. al Presidente della FERPI
Federazione Relazioni Pubbliche Italiana
(trasmissione in formato elettronico a mezzo PEC)

Caro Presidente,
     ho ricevuto la lettera del Collegio dei Probiviri con la quale il Collegio stesso ha ritenuto di archiviare per “insussistenza” la mia richiesta di “richiamo” al socio Alessandro Papini, e ringrazio Te e tutti gli altri membri del collegio per il gentile riscontro e per l’eccellente lavoro svolto nell’accurata e imparziale disamina del dossier.

     In particolare, il Collegio ha ritenuto di classificare come “legittimo invito positivo” e “libere espressioni di opinioni” i contenuti dell’articolo del collega Papini, il quale, a partire dal titolo del Suo scritto, “Gli avvoltoi della comunicazione”, riferendosi probabilmente a ben più modesti articoli di vari altri iscritti Ferpi, richiamati nel testo con diverse allusioni, certamente intendeva con tale raffinata, indiretta e tenue espressione confermare l’incondizionata stima che lui stesso riserva ai Suoi consoci, e ai contenuti delle loro analisi sulla gestione dell’emergenza Covid-19.

     Apprezzamenti genuini e sinceri, densi di rispetto per la professione e per i colleghi, che d’altra parte risultano ancor più che evidenti da altri passaggi dell’articolo del Papini, come ad esempio le accuse – sempre apparentemente rivolte ai consoci – di adottare “atteggiamenti da primi della classe, con una ricerca di visibilità che mal si addice a un approccio serio alla professione”.

     Sempre distinguendosi per la costruttività dei propri legittimi “inviti positivi” ai colleghi (come il Collegio dei Probiviri FERPI li ha giustamente definiti…) il collega Papini prosegue nel suo articolo etichettando amorevolmente il punto di vista dei consoci come “generalista e qualunquista, facile e d’immediata comprensione, popolare e buonista, ma inutile a chi operi sul campo, completamente inefficace rispetto al terreno dei bisogni reali, e inadeguato rispetto alla complessità delle questioni trattate”. e via discorrendo con altri apprezzamenti a cavallo tra i bonariamente paternalistico e il sinceramente amicale.

     A margine, sarebbe un peccato anche trascurare la frase del Papini che recita, richiamando il pezzo di un altro articolista, “Nei momenti di crisi sociale prendersela con le istituzioni è il peggior lavoro che può fare la comunicazione”, punto di vista peraltro limpidamente confortato da tutta la letteratura nazionale e internazionale sulla comunicazione dell’emergenza Covid, e soprattutto utile per dare il quadro della giusta equidistanza del Papini stesso – Dirigente per la comunicazione istituzionale presso la Regione Lombardia, qualifica solo incidentalmente omessa dal suo articolo – da ogni possibile conflitto d’interesse, equidistanza che peraltro, indiscutibilmente, pregna l’intero suo scritto.

     In definitiva, lungi dal costituire un’immotivata e aggressiva critica alla libera espressione dell’opinione di colleghi che prima di Lui si sono espressi sulla gestione della comunicazione di crisi in epoca Covid, le espressioni soavi e puntuali contenute nell’articolo del Papini – rafforzate, Presidente, dal Tuo autorevole commento online di “incondizionata condivisione”, giustamente rispettoso dell’obiettività che deve caratterizzare il tuo ruolo di Presidente del Collegio dei Probiviri – sono indiscutibilmente riconducibili a quel galateo istituzionale e inter-associativo che dovrebbe sempre regolare la vita all’interno della Ferpi, improntato all’armonia, al rispetto, e alla pacatezza nei toni.

     Non posso quindi che condividere, approvare, ammirare e financo acclamare la decisione del Collegio dei Probiviri di archiviare il mio “insussistente ricorso”, archiviazione connotata anche da esplicita e “positiva” lode, da parte Vostra, all’articolo del collega Papini, che – come è evidente a chiunque impronti il proprio operato alla più stringente onestà intellettuale ed equilibrio – resterà certamente, grazie all’inequivoca validazione dell’intero Collegio dei Probiviri, come un vero e proprio “modello” di relazione tra i Soci, peraltro perfettamente in linea con la passata giurisprudenza del Collegio stesso, che nell’ormai lontano 2012 ritenne di censurare, con fermezza, le analisi tecniche sulla assai maldestra gestione della comunicazione di crisi in occasione del naufragio della “Costa Concordia”; perché si sa, com’è noto, nella nostra professione la coerenza è, e deve sempre restare, un elemento cardine.

     Ci tengo quindi a informarvi di aver ritenuto opportuno pubblicare sul mio Blog il testo del mio ricorso, la Vostra risposta con contestuale disposizione di archiviazione dello stesso, e questa mia missiva a Voi diretta, affinchè il tutto rimanga come testimonianza rilucente dello straordinario lavoro svolto dal Collegio del quale sei Presidente – composto da Te, Luigi Norsa, e dai colleghi Sabina Alzona, Carla Brotto, Angelo Germano, Carolina Mailander, nonché Attilio Consonni e Carmelo Stancapiano come membri supplenti, certo di avervi fatto cosa gradita, al fine di dare la giusta evidenza al vostro instancabile lavoro di tutela della dignità professionale dei Soci Ferpi.

     Un
saluto, con viva cordialità, e con i più distinti e sinceri ossequi,

Luca Poma
(lettera firmata in originale)

PS: chi fosse interessato a leggere un’analisi – completa di Bibliografia – sulla comunicazione di crisi della Regione Lombardia e del Governo centrale durante l’emergenza Covid, potrà approfondire qui




Cosa direste se uno chef vi servisse carne in scatola?

Cosa direste se uno chef vi servisse carne in scatola?

A costo di bastonare l’aria,
vorrei tornare sul tema che più mi sta a cuore: la comunicazione e, per la
precisione, quella in rete per la quale non ci sono sufficienti tiratori
scelti.

Se ne avessimo – di tiratori
armati di acume – non saremmo costretti spesso a imbatterci in
risentimenti, prevaricazioni, odio viscerale.

La bulimia digitale ci
espone alla rissa e l’ingordigia ci trasforma in donne e uomini primitivi con
tanto di clava.

Risultato? L’intento
incantatorio riesce quasi sempre e finiamo con il trovarci enormi quantità di
bias da gestire, con il rischio di arrivare troppo tardi, di dissipare energie,
di sviare dai veri temi del momento, di spalare enormi quantità di spam (vero ‘cibo’
del momento).

Dove nasce questa parola? È una felice sintesi di spiced
ham,
la famosa carne in scatola della Hormel, rilanciata dai Monty Python in uno sketch televisivo formidabile degli
anni ’70.

Avete inteso bene, ma qui non intendo la pubblicità
indesiderata che si riceve via e-mail: mi riferisco proprio ad alimenti
surrogati, di pronto accatto.

Qualcosa di costo contenuto, da scaffale, di
cui è impossibile fare a meno nelle condizioni di vita contemporanee, e nel
nostro caso, probabilmente anche vicino al contenuto di altre scatole – meno
nobili ma avvincenti – come quelle di Piero Manzoni.

È una figura retorica – quella dello spam – si intenda, e non c’è alcuna
controindicazione al consumo di carne in scatola (quella vera), com’è ovvio, e financo
banale, ribadire.

Con maggiore convinzione: dove
trovare surrogati, tritacarne, brandelli lavorati di corpi (e di menti)?

Proprio lì (anzi: qui), dove senza accorgercene diffondiamo prodotti
industriali di chiara infamia destinati a sfamare l’insaziabile detrattore o
mistificatore del momento.

Che carattere tipografico!
Ma non si sta esagerando?

Il Codice di buone
pratiche sulla disinformazione
, in vigore dall’ottobre 2018, “ha gettato
le basi per un dialogo strutturato e ha avuto un impatto positivo sulla lotta
alla disinformazione online, nonostante alcune carenze”
.

Chi lo dice? La ‘relazione
di monitoraggio’ del Gruppo dei regolatori europei per i servizi di media
audiovisivi
(Erga) sull’efficacia del Codice.

E mette in guardia dalla
fabbrica di spam online che avviene in modo subdolo, da carni allenate
all’estorsione di valore, come ha dimostrato il Massachusetts Institute of
Technology di Boston attraverso uno studio (“The Spread of True and False
News Online”)
realizzato insieme a Twitter: 126mila notizie analizzate
negli account di tre milioni di utenti, uno scaffale intero di spam per tutti i
palati.

“In media, una storia completamente inventata raggiunge i primi 1500 utenti a una velocità sei volte maggiore di una news vera. Una ‘fake’ ha il 70% di probabilità in più di essere retwittata di una ‘true’”.

Stante il ruolo di media-company di molte aziende, noi
comunicatori, costretti in un’estenuante zig zag nella rete, siamo
ingaggiati anche in un ruolo che è diventato funzione sociale
: sbufalatori,
demistificatori, disingannatori. Debunker,
per coloro che parlano bene.

Riconoscere il buon cibo da quello elaborato, per evitare che
venga propinato come ricetta da chef, è diventata attività quotidiana, in
subordine a quella che – in realtà – dovremmo svolgere prioritariamente.

Saper riconoscere lo spam antiscientifico, tendenzioso, provocatorio,
malsano, take the bunks out of things, è impresa ardua, per la quale è
richiesto tempo, competenza, fiuto; attività per palati forti, da Procura della
Repubblica e Polizia Postale, più che da banali
esperti di comunicazione istituzionale o corporate.

Eppure,
l’esperienza ammaestra e incalza e trasfigura la funzione di sempre in ciò che
assomiglia maggiormente alla vigilanza urbana: con ciò nulla da togliere a
un’altra funzione, quella del ceto pedagogico, che però non ci appartiene.

Siamo
diventati grandi a dosi massicce di proteine, e abbiamo compreso come
riconoscere lo spam, il facile prodotto che sfama velocemente ma non nutre.

Claire Wardle su
First Draft ha avvertito di abbandonare la facile formula di fake news per fare
un ulteriore sforzo: comprendere le dinamiche della misinformazione e della disinformazione,
svelandone l’ecosistema, la sua grammatica, le sue motivazioni, le regole del
gioco.

Questo ecosistema malevolo è ripetizione
ossessiva, bombing, reiterazione geometrica: autismo informatico criminale.

Prendiamone le distanze senza
riserve, prima di trovarci, noi comunicatori per primi,
postumi di noi stessi e vittime
di unfascismo di maniera
all’apparenza docile ma letale.

Quindi: carne in scatola? No, grazie.

Referenze:

https://www.wired.it/internet/web/2018/11/23/fake-news-italia-notizie-vere/
https://www.agendadigitale.eu/tag/fake-news/
https://www.bufale.net
https://euvsdisinfo.eu
https://www.factcheck.org
https://www.snopes.com/fact-check/
https://www.politifact.com
https://ec.europa.eu/commission/files/factsheet-report-progress-action-plan-against-disinformation_en
https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/communication-tackling-online-disinformation-european-approach
https://euvsdisinfo.eu/
https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/54866/action-plan-against-disinformation_en
http://www.politicheeuropee.gov.it/it/comunicazione/notizie/disinformazione-online-e-fake-news-rapporto-del-gruppo-di-esperti-ue/
https://www.newsguardtech.com/it/coronavirus-misinformation-tracking-center/
https://covid19obs.fbk.eu/
http://www.censis.it/comunicazione/il-capitolo-«comunicazione-e-media»-del-52°-rapporto-censis-sulla-situazione-sociale
https://www.labparlamento.it/thinknet/rapporto-censis-italiani-linformazione-tanto-digitale-bassa-credibilita/
http://www.demos.it/2017/pdf/4592capsoc57_2017-12-18_fakenews.pdf
http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2019/02/28/europee-sondaggio-80-italiani-preoccupato-per-fake-news_25da07cf-627d-4b6c-84de-381cdc8902ae.html
http://www.ansa.it/europa/notizie/europarlamento/news/2019/05/24/europee-ong-2-persone-su-3-esposte-a-fake-news-sui-social_77f32dd8-0051-47a2-a479-d04b3ccaffb3.html



Covid-19: quale la fiducia dei cittadini nell’operato dei Governi?

Covid-19: quale la fiducia dei cittadini nell'operato dei Governi?

IPSOS France ha recentemente pubblicato un sondaggio d’opinione su un campione rappresentativo di 10.000 persone che analizza il livello di fiducia nei confronti delle istituzioni nella gestione della crisi Covid-19 mettendo a confronto Italia, Francia, Austria, Germania, Svezia, Gran Bretagna e Nuova Zelanda. I risultati sono interessanti.

Fiducia negli attori

In tutti i paesi i giornalisti godono di scarsa fiducia e compaiono in fondo alle rispettive classifiche (Italia 34%). In Italia godono della massima fiducia medici (89%) e scienziati (86%) in linea con gli altri paesi. Il nostro Presidente del Consiglio raccoglie il 58% di fiducia due punti percentuali in più rispetto ai Sindaci. Scarsa invece la fiducia nel Governo e nelle imprese che raccolgono solo il 41%.

In Francia posizione critica nei confronti sia del Governo sia del Presidente della Repubblica che raccolgono rispettivamente il 35% e il 38% della fiducia dei cittadini. In Nuova Zelanda il Primo Ministro si attesta all’85% e il Governo al 76%. Interessante anche il dato dell’Austria con il Cancelliere austriaco al 75% e il suo Governo al 76%. I dati riflettono chiaramente la percezione di come sia stata gestita la crisi.

L’operato dei capi di governo e di stato

Ancora una volta molto critici i francesi con il 42% che dichiara la propria insoddisfazione nei confronti dell’operato Emmanuel Macron. Sul lato opposto dello spettro Jacinda Ardern la prima ministra della Nuova Zelanda che aveva già dato dimostrazioni di grandi capacità in occasione dell’attentato di Christchuch il 15 marzo 2019 (77% piena soddisfazione) e il giovane cacelliere austriaco Sebastian Kurz (61%). A metà classifica il Presidente del Consiglio Italiano Giuseppe Conte: 22% degli italiani si dicono insoddisfatti del suo operato, 37% non esprimono opinione, 41% lo approvano. Un risultato medio (5,5) superiore tuttavia solo a Francia (4,1) e Svezia (5,2).

Pessimismo vs ottimismo per il futuro

I paesi nei quali i cittadini percepiscono che la crisi sia stata gestita meglio guardano al futuro con maggiore ottimismo. E’ il caso della Nuova Zelanda (59%) e dell’Austria (51%). Particolarmente pessimisti invece francesi (43%) e italiani (34%). Tra questi ultimi solo il 18% esprime ottimismo mentre il 48% non sembra avere idee chiare in merito.

Le conseguenze economiche della pandemia

Elevata la percezione delle conseguenze economiche della pandemia e giudicate gravi ovunque con valori che si attestano sopra al 84%. I più preoccupati sono gli italiani (93%) seguiti dai francesi (93%). I più “tranquilli”? I tedeschi (84%).

La gestione da parte dei governi…

Il grado di soddisfazione nella capacità dei governi di pilotare la crisi varia molto a secondo dei paesi. In Nuova Zelanda (91%), Austria (84%) e Germania (74%) i cittadini esprimono elevati livelli di soddisfazione. Poco più sotto Svezia (70%) e Gran Bretagna (61%). Divisi gli italiani con solo il 55% che si ritiene soddisfatto per la gestione da parte del Governo mentre sono nuovamente nettamente critici i francesi, il 62% di quali in base al sondaggio esprime insoddisfazione.

… e da parte dell’Unione europea

Molto scarso il livello di approvazione su come si è mossa la Ue nell’ambito della problematica Covid19. Solo 8 italiani su 100 approvano l’operato dell’Unione europea, 9 su 100 i francesi e leggermente più benevoli austriaci (16%) e tedeschi (25%). Escludendo quanti hanno espresso un parere neutro i più critici risultano essere gli italiani (51%) seguiti da austriaci (41%), francesi (38%) e tedeschi (27%).

Valutazione delle misure sanitarie ed economiche

Interessante la valutazione che gli italiani danno alle misure adottate dal Governo per tutelare la salute e l’economia. Se da un lato infatti il 72% degli italiani ritiene adeguate (sufficienti+un pò esagerate+molto esagerate) le misure adottate in campo sanitario ben diverso il giudizio sulle misure di carattere economico giudicate insufficienti dal 55% degli intervistati. Si tratta del giudizio più negativo tra i paesi oggetti del sondaggio. Giudizi lusinghieri ancora una volta in Nuova Zelanda dove solo il 21% ritiene le misure insoddisfacenti e Austria (20%).

La trasparenza

Uno degli elementi che contribuisce a costruire la fiducia è la trasparenza. Questa si esprime attraverso le scelte di comunicazione. Interessante in questo contesto osservare i giudizi dei cittadini dei 7 paesi oggetto dell’indagine.

Ancora una volta la Nuova Zelanda riceve anche sotto questo profilo il massimo gradimento. I cittadini neozelandesi si fidano del loro governo e ritengono a maggioranza (59%) improbabile che questi abbia nascosto loro informazioni sul Covid-19. Seguono i cittadini svedesi (53%). Distanziati i tedeschi (37%), gli austriaci (36%), i britannici (23%) e i francesi (17%).

In Italia solo il 22% degli intervistati pensa che il Governo sia stato trasparente, il 36% non esprime opinione e il 42% ritiene invece che ci siano buone probabilità che il Governo stia nascondendo ai cittadini delle informazioni.

E seppure gli scienziati godono in Italia del 86% di fiducia da parte degli intervistati, ben il 40% ritiene che vi siano buone probabilità che anch’essi stiano nascondendo informazioni ai cittadini.

La tracciabilità dei movimenti (App)

Tra le domande poste sul gradimento o meno di alcune delle misure adottate per contrastare il virus quella sulla tracciabilità dei contatti (App) mi sembra particolarmente interessante. In questo caso gli italiani sono i più favorevoli al suo utilizzo con il 55%. Si tratta dell’unico paese dove la maggioranza è a favore insieme alla Nuova Zelanda (52%). Appaiono molto più preoccupati delle ricadute sulla privacy gli austriaci con solo il 31% a favore. Tutti gli altri paesi si attestano tra il 34% e il 46%.

Conclusioni

Il sondaggio mette in evidenza alcuni aspetti interessanti:

  • l’Europa, nella percezione dei cittadini intervistati, è la grande assente nella gestione della crisi Covid-19. La sensazione diffusa è che ciascun paese abbiamo operato per conto proprio. Potremmo dire un’altra occasione persa.
  • Nei paesi dove i cittadini percepiscono la crisi sia stata ben gestita (Nuova Zelanda e Austria) la fiducia nei confronti di Capi di Stato e dei governi è molto alta. Questo si traduce anche in una maggiore ottimismo per il futuro.
  • In Italia seppure il Presidente del Consiglio, unico volto della crisi, raccoglie il 58% di fiducia, il Governo si attesta solo al 41%. Questo dimostra che l’assenza dal palcoscenico mediatico/informativo di singoli ministri direttamente interessati dalla crisi è un errore.
  • Grande fiducia in Italia nei medici e negli scienziati. Anche qui come nel caso dei ministri deve far riflettere il fatto che il Governo italiano, a differenza di altri, non abbia un portavoce scientifico. E anche questo è un grave errore.
  • Anche se in Italia riscuotono un livello di fiducia del 41%, il più alto tra i paesi sondati, le imprese escono macolconce dall’indagine IPSOS.
  • La polarizzazione, la spettacolarizzazione della notizia, l’incapacità di interpretare il giornalismo come strumento di approfondimento e controllo dell’operato di chi governa sono tutti fattori che nel corso degli ultimi decenni hanno compromesso la fiducia dei cittadini nei confronti dei giornalisti. Il risultato dell’indagine non sorprende, semplicemente conferma.
  • Gli italiani intesi utilizzatori di tecnologia consumer ma con un livello di conoscenza scientifico/tecnologica piuttosto scarso sono quelli meno preoccupati dal tracciamento elettronico, tematica invece molto sentita in altri paesi.
  • La percezione di trasparenza nasce da una comunicazione chiara, puntuale e autorevole. In situazione di crisi i deficit di trasparenza percepiti dai cittadini sono spesso il risultato di strategie di comunicazione di crisi che invece di rassicurare contribuiscono alla confusione.



Save the Duck sarà carbon neutral entro il 2030

Save the Duck sarà carbon neutral entro il 2030

Il marchio di piumini ‘animal free’ pubblica il Bilancio di Sostenibilità, prima azienda fashion in Italia certificata B Corp

Save The Duck, marchio di piumini 100% ‘animal free’, diventerà carbon neutral entro il 2030, impegno preso insieme con 500 società B Corp da tutto il mondo e raccontato nel secondo Bilancio di Sostenibilità dell’azienda con quartier generale a Milano. Alcuni dei punti focali del 2020 saranno la diminuzione dell’utilizzo di materiali contenenti Pfc e l’aumento della percentuale di tessuti riciclati all’interno delle collezioni (obiettivo esteso anche per il 2021).

L’azienda, inoltre, punta a mantenere un volume di donazioni pari all’1% del suo fatturato, come già accaduto nel 2019, a sostegno di iniziative di associazioni e organizzazioni italiane e internazionali che hanno l’obiettivo di proteggere gli animali, salvaguardare le risorse naturali e del pianeta e tutelare i diritti dell’uomo.

“Il 2019 – racconta Nicolas Bargi, amministratore delegato di Save the Duck – è stato un anno carico di impegni importanti: siamo diventati una Società Benefit e abbiamo ottenuto la certificazione B Corp, primi in assoluto nel mondo fashion in Italia. Ogni giorno di più il nostro percorso verso la sostenibilità si arricchisce e penetra ogni area operativa. Siamo orgogliosi di fare la nostra parte nel processo di cambiamento necessario al raggiungimento di traguardi sempre più sostenibili”.

Al fine di raggiungere l’obiettivo fissato per il 2030, Save The Duck si impegna a misurare la propria carbon footprint, estendendo la tracciabilità delle emissioni lungo l’intera value chain, ovvero dall’estrazione e lavorazione delle materie prime fino al fine vita dei prodotti, e a definire una strategia di neutralizzazione graduale della carbon footprint aziendale.

Nel 2019 il brand è diventato Società Benefit e ha ottenuto la certificazione B Corp, che distingue le aziende che volontariamente rispettano i più alti standard di responsabilità e trasparenza in ambito sociale e ambientale. Essere B Corp significa infatti dare lo stesso peso agli obiettivi economico-finanziari e agli obiettivi di impatto sociale e ambientale. Inoltre, a inizio 2020 l’azienda ha aderito all’United Nations Global Compact, il patto mondiale delle Nazioni Unite che incoraggia le aziende a condurre il proprio business responsabilmente, perseguendo gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2030 targati Onu.

I capi dell’azienda sono 100% animal cruelty free. Per questo, nel 2019 l’azienda guidata da Nicolas Bargi è stata dichiarata “Azienda dell’Anno” dalla no-profit a sostegno dei diritti degli animali Peta (People for Ethical Treatment of Animals). Tra gli altri riconoscimenti, la menzione speciale al Premio Eccellenze d’Impresa 2019 di Gea, Harward Business Review Italia e Arca Sgr, nella categoria “crescita e sostenibilità”, dedicato a imprese operanti in Italia che si siano distinte per prestazioni straordinarie in termini di innovazione, internazionalizzazione, crescita e sviluppo dei talenti.




Perché la comunicazione sul Covid 19 è sempre più caotica

Perché la comunicazione sul Covid 19 è sempre più caotica

Stiamo attraversando, in questi giorni, il momento più incerto e confuso della quarantena. Non siamo ancora entrati nella cosiddetta Fase 2, ma tutti i media ne parlano da giorni in modo martellante. E mentre parlano, parlano, tutto ci appare sempre più caotico. Cosa sta succedendo? Proprio ora che i decessi, i contagi, le terapie intensive sono in lenta ma costante diminuzione, proprio ora che le cose dovrebbero andare meglio, entriamo in confusione?

Intendiamoci, il caos sul Coronavirus c’è sempre stato, non solo nella comunicazione ma nei fatti, e non solo in Italia ma in molti altri paesi, perché nessuno al mondo era preparato a una pandemia di tale gravità. E tuttavia, i media italiani hanno alcuni vizi che aggravano il disordine in cui già versa la politica nostrana, a tutti i livelli, dal centro alle periferie del paese. Cerco allora di offrire tre chiavi di lettura per orientarsi nell’attuale caos politico-mediatico, perché questo ci accompagnerà, temo, per un bel po’.

I conflitti fanno notizia

Oggi, come sempre, i mezzi di comunicazione vanno a caccia di ciò che fa notizia. E anche oggi, come sempre, le tragedie e i conflitti sono i candidati più forti per la notiziabilità. Ora, il nemico numero uno di questo momento storico, quello contro cui tutto il mondo concentra le sue forze, è ovviamente il Covid 19. Detto in altri termini, il virus sta al centro dell’attenzione per ragioni non solo oggettive (dobbiamo sconfiggerlo al più presto per evitare troppi decessi e tornare alla vita di prima), ma anche mediatiche. Tuttavia il virus occupa la scena da troppo tempo, ormai, e come tale rischia di perdere capacità di attrazione giorno dopo giorno: gli essere umani ­– triste, ma vero – si abituano a (quasi) tutto, anche a convivere con un pericoloso nemico sconosciuto, invisibile e onnipresente. Perciò, per mantenere desta l’attenzione, i media devono continuamente trovare altri conflitti, per condire quello centrale e rinnovarne l’appetibilità.

È così che vanno intesi i continui contrasti fra virologi, immunologi, epidemiologi. Ed è così che dobbiamo leggere – almeno in parte – anche la litigiosità della nostra classe politica. La politica italiana, infatti, pur essendo molto conflittuale anche in tempi ordinari, dovrebbe pur capire che litigare proprio ora non produce consenso. Eppure, non resiste alla tentazione di rubare la scena sferrando attacchi a destra e a manca, non solo per la normale dialettica fra maggioranza e opposizione, ma persino dentro la maggioranza (Pd contro Cinque Stelle, Italia Viva contro tutti) e dentro l’opposizione (Forza Italia contro Lega e Fratelli d’Italia).

Non sto dicendo – attenzione – che i politici non litighino davvero, né che gli scienziati non diano in realtà interpretazioni contrastanti dei comportamenti del virus e della pandemia. Dico che i media tendono a ingigantire e amplificare, per assicurarsi audience, lettori e clic, anche la più insignificante disputa fra politici, anche la più lieve difformità di vedute fra scienziati. Ogni scintilla, sotto una lente d’ingrandimento, divampa. E se le scintille sono minuscole ma numerose, ecco che scoppia l’incendio. Fuor di metafora, è così che si spiegano le incessanti e fastidiose polemiche a cui l’intero sistema mediatico, dalla televisione al web, ci costringe tutti i giorni: un po’ sono reali, ma spesso sono esasperate dai media.

Sembra purtroppo che i media non capiscano che, al contrario, ciò che in questo momento più vorremmo sentire, la notizia a cui daremmo la massima attenzione, sarebbe la capacità del governo di collaborare, di ridurre le differenze e spegnere i conflitti, per sconfiggere il virus e affrontare la gravissima crisi economica.

Le probabilità diventano certezze

Per le donne e gli uomini di scienza è cosa ovvia: la medicina non produce mai certezze, ma sempre e solo probabilità. Gli organismi umani sono troppo complessi, le variabili genetiche e ambientali troppo numerose, l’incidenza di fattori psicologici troppo sottile per permettere alla medicina di fare previsioni certe sulla durata, l’intensità e l’esito di malattie anche non gravi, anche ben conosciute, persino banali. Figuriamoci se la medicina può riuscire a dare certezze su un virus nuovo e sconosciuto.

La medicina può sempre e solo accompagnare le sue affermazioni con un “forse”, un “probabilmente”, un “se non intervengono altri fattori… possibilmente”. Non ci sono certezze, insomma, nemmeno sull’andamento di un banale raffreddore, che nella grande maggioranza dei casi dura pochi giorni, ma a volte può finire in bronchite e addirittura in polmonite. A maggior ragione questo è vero per la vastissima gamma di esiti legati all’infezione del Covid 19: dalla totale assenza di sintomi, a qualcosa che sembra un’influenza, fino al decesso. Un virus che è riuscito a stupire, e ancora stupisce, tutti i virologi e le virologhe del mondo.

Il problema è che probabilità, percentuali e statistiche non funzionano nella comunicazione di massa. Non si comincia un titolo con un “forse”, né tanto meno con un “probabilmente”. I media hanno bisogno di formule drastiche, di contrapposizioni forti e affermazioni certe. Soprattutto in un paese come il nostro, in cui l’alfabetizzazione scientifica e matematica è fra le più basse d’Europa, per cui numeri e percentuali mettono in difficoltà la maggior parte delle persone. E soprattutto per il giornalismo nostrano, che non si è mai distinto – a parte pochissime eccezioni – per doti di divulgazione scientifica.

Perciò, quando un epidemiologo dice “Probabilmente fra una settimana capiremo meglio l’andamento dei contagi”, la notizia diventa “Fra sette giorni, chiarezza sui contagi”. Quando una virologa dice “Stiamo per testare un vaccino sui primi volontari”, la notizia diventa “Pronto il vaccino, sperimentazione su cavie umane”. Perciò, quando passa la settimana e ne occorre un’altra, e forse un’altra ancora, perché gli scienziati possano capirci qualcosa, per l’epidemiologo era chiaro dall’inizio, e infatti l’aveva detto, ma per la massa è un dietrofront. E se il vaccino non è pronto come i media strillano – anche se la virologa non l’ha mai detto – al pubblico appare un controsenso.

I retroscena diventano gossip

Escher, Vincolo d’unione – 1956

Nella comunicazione politica il retroscena è tutto ciò che accade nei corridoi del potere, quello che i media carpiscono ai portaborse, alle collaboratrici e ai collaboratori della politica, che ufficiosamente anticipano, interpretano e integrano le dichiarazioni ufficiali. Prima, durante e dopo ogni comunicazione ufficiale, è tutto un fermento di vociallusioniinsinuazioni.

Il giornalismo di retroscena c’è da sempre. Ed esiste in tutto il mondo, non solo in Italia. Uno degli obiettivi dei media, come ho detto, è raccontare i conflitti. Obiettivo del giornalismo politico, dunque, è raccontare la lotta per il potere, un racconto che diventa molto più avvincente se viene condito con ciò che non si vede e non si sente, con quello che non è detto ufficialmente né mai lo sarà.

Ora, il giornalismo di retroscena più serio nasce da una ricostruzione minuziosa di informazioni che vengono da fonti confidenziali, con le quali i media stringono un patto di riservatezza: anonimato in cambio di affidabilità. Ai media sta poi l’onere (e l’onore) di essere credibili: la politica smentirà sempre ciò che non ha mai dichiarato apertamente, perciò il pubblico dovrà scegliere a chi credere, se al retroscena o alle smentite ufficiali. Se la ricostruzione mediatica è ben fatta, coerente e plausibile, ottiene la fiducia del pubblico.

Nei casi migliori, questo tipo di giornalismo è di altissima qualità: smaschera intrighi, provoca scandali, anticipa inchieste giudiziarie. Nei casi di collusione, è pilotato dalla stessa politica, che ad esempio lo usa per dare più rilievo a contenuti che, se dichiarati apertamente, non otterrebbero la stessa attenzione, o lo usa per scambiare messaggi in codice con altri gruppi di potere. Nei casi peggiori, il retroscena diventa vezzo, maniera o, peggio ancora, gusto per il pettegolezzo, che sembra un po’ meno plebeo se si chiama gossip.

Ebbene, il Coronavirus sta facendo emergere dai media italiani il peggiore giornalismo di retroscena cui abbiamo mai assistito. Prima di ogni uscita pubblica del Presidente Conte, ad esempio, viviamo giorni di continue congetture e supposizioni, provenienti da non si sa quale fonte, che solo in parte sono poi confermate dalla dichiarazione ufficiale e dal decreto relativo. Ore e ore di polemiche, prima ancora che il Presidente parli, su ciò che da tal giorno si potrà o non potrà fare, in casa, per strada, in regione, fuori regione, nel commercio, nell’industria, nella vita privata.

Gossip e chiacchiericcio della peggiore risma, a cui poi si aggiungono effettivi cambiamenti di rotta, parziali o totali, a volte dovuti a mutamenti oggettivi della situazione, a volte decisi per rispondere alle parti sociali o evitare ulteriori polemiche, a volte determinati dal semplice fatto che le anticipazioni erano sbagliate. Ma non basta: anche le voci fra le varie componenti del governo sono a volte dissonanti, per ragioni analoghe: difficoltà oggettive, fraintendimenti fra loro e con i media, retroscena sbagliati.

Tirando le somme, in questo momento il vero, il parzialmente vero e il falso convivono sfacciatamente, si fondono e confondono ancor più che in tempi normali, e per giunta vengono sempre confezionati nel linguaggio esagerato e banalizzante di cui dicevo, massimamente inadeguato a riportare le parole della scienza. Chiaro che il caos raggiunga il massimo, un caos di cui in parte sono responsabili la classe politica e i suoi numerosissimi consulenti, in parte sono responsabili i media, in dosaggi variabili e non sempre chiari, in parte siamo responsabili noi stessi, quando riportiamo sui social media, e altrove, notizie che non abbiamo mai capito né verificato.

Questo caos è già pesante in condizioni di normalità, ma purtroppo ci siamo abituati. Ora però non è più tollerabile, perché non si parla più di scaramucce fra parti, partiti e partitini, ma sono in gioco le nostre vite, il nostro lavoro, la nostra salute fisica e psicologica, quella delle persone anziane, che rischiano più di tutti, il futuro nostro, dei nostri bambini e delle nostre bambine. Se tutta la classe politica e tutte le testate giornalistiche non capiranno, se tutti noi, quando contribuiamo al chiacchiericcio con superficialità, non capiremo che cambiare registro e modalità è un’urgenza etica, non solo comunicativa, il caos continuerà e peggiorerà.