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GESTIONE DELLA COMUNICAZIONE SULL’EMERGENZA COVID-19 IN ITALIA: PER LE FORZE ARMATE, “UN LAVORO ECCELLENTE”

GESTIONE EMERGENZA COVID-19 IN ITALIA: PER LE FORZE ARMATE, “UN LAVORO ECCEZIONALE”

L’Ammiraglio Fabio Agostini ha dichiarato: “Un esempio di successo recente è la gestione dell’informazione da parte delle entità pubbliche durante l’emergenza coronavirus”. Ma tutti gli specialisti, in Italia e all’estero, raccontano una storia completamente diversa.

La comunità nazionale
dei relatori pubblici e dei comunicatori si è interrogata a più riprese negli
ultimi 10 anni su quali potessero essere i pilasti
essenziali nella costruzione di una buona reputazione, e ha identificato –
tra le altre – alcune fondamentali parole
chiave,
inequivoche, tra le quali autenticità, coerenza e capacità di
ascolto. Nell’ampia dottrina del Reputation management, s’inserisce poi la più
specialistica disciplina del Crisis mangement, per la quale keyword come sincerità, schiettezza, capacità di chiedere
scusa e assumersi le proprie responsabilità,
sono valori imprescindibili,
confortati tra l’altro da una corposa letteratura in materia, a firma dei più
autorevoli ricercatori.

Ha destato quindi un certo stupore e sconcerto la dichiarazione di un alto funzionario delle nostre Forze Armate, l’Ammiraglio Fabio Agostini, attualmente comandante dell’Operazione “Irini” di Eunavfor-Med e già capo Dipartimento Pubblica informazione e comunicazione dello Stato Maggiore Difesa, il quale, ospitato agli “Avio Aero Talk”, ha affermato:

Per mitigare le fake news ed evitare crisi mediatiche in situazioni d’emergenza occorrono strategie di comunicazione integrate. Oggi è più che mai necessario utilizzare tutti i canali di comunicazione essenziali per raggiungere i propri stakeholder, utilizzandoli in maniera coordinata al fine di diffondere un messaggio coerente, coeso e comprensibile. Un esempio di successo recente è la gestione dell’informazione da parte delle entità pubbliche durante l’emergenza coronavirus. L’aver comunicato puntualmente, in maniera centralizzata e costante, l’andamento della situazione epidemiologica e gli interventi messi in atto ha permesso la diffusione di un messaggio univoco riducendo al minimo lo spazio per le fake news. La comunicazione ‘istituzionale’ ha quindi svolto bene il proprio lavoro”.

A proposito di fake news, il confine tra un’affermazione autoreferenzialmente rassicurante e la verità fattuale può apparire assai sdrucciolevole: al netto della propaganda filo Governativa alla quale i vertici delle nostre Forze Armate non sono certo nuove (a distanza di anni non si è ancora spenta la polemica per gli incomprensibili ‘silenzi’ della Marina all’epoca dell’improprio e sconcertante ‘sequestro’ dei nostri due Marò in India, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre), quale storia raccontano i più affidabili analisti esperti in gestione delle crisi?

Un’interessante e approfondita inchiesta pubblicata su Forbes, curiosamente poco ripresa dalla stampa italiana, ha presentato i risultati di un’analisi dei dati rilasciati da varie organizzazioni – OMS, CDC, Johns Hopkins University e Worldometers – su 200 paesi in tutto il mondo, ricerca nell’ambito della quale sono stati sviluppati alcuni quadri analitici avanzati per analizzare lo scenario delll’epidemia di Coronavirus, presentando poi l’output sotto forma di dettagliate “classifiche” che dovrebbero essere utili alle istituzioni pubbliche per inquadrare meglio le strategie realmente vincenti nel contenimento dei danni da Covid-19 e per la gestione efficace dell’impatto economico della pandemia: l’Italia è risultata clamorosamente “maglia nera” nella quasi totalità di quelle classifiche.

Le lacune e gli errori di gestione della comunicazione di crisi da parte del Governo italiano, d’altra parte, sono stati marchiani ed evidenti, come illustrato in articolate analisi ricche di riferimenti bibliografici, e ben altre sono state le nazioni efficaci, reattive e resilienti durante il periodo dell’emergenza: in considerazione della sua indubbia preparazione nella gestione della pubblica informazione, è quindi assai singolare che l’Ammiraglio Agostini non conoscesse questi dati, che paiono raccontare una storia esattamente opposta alla narrazione “compiaciuta” da lui costruita in occasione degli Avio-Talk.


Nel merito, ho intervistato Rosaria Talarico, Ufficiale della Riserva selezionata dell’Esercito Italiano, giornalista professionista ed esperta di media training in programmi di crisis management.

Lei ha vasta esperienza nel settore della comunicazione e informazione pubblica. Nella gestione dei flussi di comunicazione durante il periodo Covid, in sintesi, quali sono stati i più evidenti errori da parte delle Istituzioni?

La scia di errori è talmente lunga che purtroppo è difficile anche farne una sintesi, errori che rimangono tali anche considerando l’opera di Paesi che sono riusciti a fare ancor peggio di noi. Direi che i più devastanti sono stati l’assenza di un coordinamento e la mancanza di una strategia di comunicazione omogenea. Ha funzionato in parte la comunicazione tattica sui comportamenti da tenere durante il lockdown. A quanto pare serve ricordarlo, ma la comunicazione di crisi si fonda su autorevolezza, univocità e chiarezza: chi – in coscienza – può dire di aver apprezzato queste caratteristiche nella bagarre quotidiana sui numeri dei contagi, le liti tra gli esperti delle stesse task force governative, i vergognosi scaricabarile sulla responsabilità delle scelte tra governo e regioni? A ciò si aggiunga il rallentamento nel processo di decisione, motivato probabilmente da ragioni di opportunismo politico ed elettorale. Vergognosa anche quella che durante l’emergenza è divenuta una prassi assolutamente censurabile: l’annuncio dei decreti prima della loro approvazione in Consiglio dei Ministri, forse per testarne il gradimento presso il pubblico. Aver lasciato filtrare bozze di decreti prima che fossero ufficiali, disorientando i cittadini, resta tuttora un comportamento impunito e irresponsabile.  Alla comunicazione a flusso unico fanno da contraltare le buone prassi nella gestione di crisi, che deve essere multidisciplinare, mentre invece la selezione degli “esperti” è stata lenta, non trasparente e spesso non i grado di privilegiare le competenze.  L’inutile bollettino quotidiano della Protezione Civile era un amplificatore di ansia, con un bassissimo valore informativo: i numeri rischiano di apparire privi di senso, senza un valore di riferimento o l’inserimento in un sistema predittivo. È mai stato consultato dal Governo un ingegnere informatico o un esperto di sistemi? Ho assistito a eroici tentativi di fisici e matematici che si sono organizzati “in casa” per fornire curve logistiche sull’andamento della pandemia. Nelle pletoriche e, a quanto risulta finora, inconcludenti task force governative, non c’era posto per qualche competenza in grado di restituire senso ai numeri orientando le decisioni su basi scientifiche? Lo stesso vale per gli psicologi, assenti per tutto il periodo del lockdown e apparsi sulla scena governativa con molto ritardo. Poi vorrei ricordare i gravissimi episodi di rivolte nelle carceri con addirittura decine di evasi e di morti, e l’abbandono in cui sono sprofondate le famiglie con disabili gravi rimasti senza assistenza. Il livello di civiltà di un paese si misura proprio da aspetti come questi. Le crisi hanno un effetto domino quasi impossibile da arginare se si sbaglia l’impostazione nelle fasi iniziali, e la comunicazione ha un ruolo importante in queste dinamiche. E ormai è tardi per invocare il silenzio per non disturbare il manovratore: chi sta in silenzio è complice.

Il suo giudizio complessivo sull’operato del Governo e della maggior parte degli Enti Locali sulla gestione dell’emergenza Covid?

A macchia di leopardo, direi un effetto tipico
dell’improvvisazione e della mancanza di una pianificazione a monte. In assenza
di procedure “metabolizzate” (e con ciò intendo il loro ripasso
costante, non direttive chiuse per anni nel cassetto di qualche funzionario
ministeriale) il successo o il fallimento è demandato alla genialità o
incapacità dei singoli. Un evento ad alto impatto come una pandemia non si
affronta senza avere persone capaci nei ruoli chiave. Non è colpa di Covid-19
se in Italia la meritocrazia è poco diffusa a qualsiasi livello, ma
l’incompetenza ha dei costi, anche in vite umane, come purtroppo abbiamo visto.
Se i responsabili sanitari, dirigenti amministrativi e relativi staff vengono
scelti per fedeltà politica invece che con un’analisi puntuale del loro
curriculum, dopo cosa ci si può aspettare? L’incompetenza provoca danni enormi
e morti, come abbiamo visto, nonostante lo sforzo eroico di chi si è trovato
senza strumenti a fronteggiare l’emergenza in corsia. Sull’accertamento delle responsabilità
è al lavoro la Magistratura, che purtroppo interviene quasi sempre dopo, a
tragedia consumata. Diverse inchieste giornalistiche hanno già messo in luce
scelte dissennate, quando non apertamente criminali.

A suo avviso, una nazione straniera – oltre alla precitata Taiwan – che abbia fatto un buon lavoro nella gestione dell’emergenza Covid?

La Germania, tanto odiata da certi populisti, è
un buon esempio di tutto quello che dicevo prima: comunicazione autorevole,
centralizzata e catena di comando corta nonostante una situazione di
frammentazione dei lander, simile a quella italiana con le regioni. Unita
ovviamente a caratteristiche preesistenti come l’efficienza e la competenza
delle burocrazie intermedie. Magari in Germania non avrebbero mai avuto il
guizzo creativo di trasformare una maschera da sub in un respiratore, ma il
punto è che a loro non serviva farlo, poiché ne avevano a sufficienza, grazie a
una corretta pianificazione e impiego oculato delle risorse.

Perché questo scostamento tra la “scena reale”, in Italia, e la “scena ideale”, nel Paese che lei ha citato? Quali i motivi, a suo avviso?

Ministri, virologi, epidemiologici, governatori
delle regioni, sindaci, da noi hanno
parlato tutti e più o meno a casaccio, ognuno “dava i numeri”
con bollettini locali ancora più inutili di quelli nazionali, e che spesso generato
un clima da caccia all’untore nelle realtà più piccole, dove il controllo
sociale è più serrato. La scarsa preparazione durante un’emergenza diventa letale,
perché acuisce i problemi già esistenti, non li fa sparire per magia. Il dramma
è che non mi pare ci sia una riflessione seria per un cambio di paradigma.
Senza competenze non solo non si affrontano le crisi, ma neanche si
ricostruisce dopo. Nel nostro Paese dall’indole chiacchierona, sono caduti in questa
trappola anche virologi ed epidemiologi, gente ben lontana finora dall’agone
mediatico. Il passaggio dagli oscuri laboratori ai meme pop dei social network
non è stato però indolore. Purtroppo non ci si improvvisa comunicatori, e la
normale dialettica del mondo scientifico, esposta senza filtri a un pubblico
sostanzialmente ignorante, è stata scambiata per cialtronaggine, adesso è
diventato normale insultare un virologo, come fosse un allenatore di calcio.

Perché – a suo avviso – questa discutibile interpretazione della realtà da parte di alcuni alti esponenti delle Forze Armate? A chi giova?

Le Forze Armate sono inserite a pieno titolo nel sistema della
burocrazia nazionale. Nella gestione di crisi però in genere hanno una marcia
in più, rispetto ad altri settori dello Stato: un po’ perché è nella loro
missione, e un po’ perché l’addestramento è parte integrante della formazione e
del percorso lavorativo di ogni militare, fino alla pensione. Durante l’emergenza
hanno avuto un ruolo essenziale, anche se poco enfatizzato dal governo e poco
valorizzato dalla stessa comunicazione istituzionale. Anzi, c’è stata una fase
in cui nel contenimento delle zone rosse, l’esercito ad esempio è stato visto
come uno spauracchio e un sintomo di deriva autoritaria, quando invece il
contributo dato con strutture, mezzi e competenze dal personale in divisa è
stato realmente prezioso. Ma chi lo ha raccontato nel dettaglio? Sta
funzionando abbastanza bene la comunicazione social che cerca di smarcarsi da
certi stilemi insopportabilmente paludati, retorici e autocelebrativi.
L’impostazione gerarchica e rigida spesso non è di aiuto nell’individuare con
trasparenza e onestà intellettuale le pur evidenti criticità. Questo porta a un
abbassamento del livello delle prestazioni. Si pensa a torto che nascondere i
problemi aiuti le carriere, ma è l’opposto di quel che accade nel mondo civile,
dove è ingente (anche in termini di parcelle!) il contributo di consulenti che
in maniera spietata – ma intelligente – elencano i difetti di un’organizzazione
e il modo in cui superarli. Le Forze Armate potevano essere un asset prezioso
in una crisi come questa, ma la verità è che non sono state utilizzate e
raccontate al massimo delle loro potenzialità.


Ecco quindi un’altra
occasione purtroppo persa, in Italia, in questa delicata fase di recovery post
crisi, per dare un contributo prezioso a identificare le criticità nel processo
di crisis management dell’emergenza Covid-19, così da far tesoro degli errori,
discuterne pubblicamente nel rispetto dei migliori principi di accountability,
e sollecitare le necessarie modifiche organizzative e culturali affinché la
prossima crisi pandemica non ci trovi, nuovamente, impreparati.




Pride month 2020: ecco i brand che celebrano l’amore con i colori dell’arcobaleno

Pride month 2020: ecco i brand che celebrano l’amore con i colori dell’arcobaleno

I grandi marchi danno sfogo a tutta la loro creatività, a favore della comunità LGBTQIA+

  • In un Pride Month 2020 all’insegna del social distancing, senza eventi e parate, i grandi brand danno sfogo alla loro creatività con limited edition a tema.
  • Molte delle collezioni per il mese del Pride sono parte di più ampi progetti per il sostegno attivo da parte delle aziende alla lotta per i diritti della comunità LGBTQIA+.

Inizia il mese dedicato ai diritti della comunità LGBTQ+, che per la prima volta dopo anni non vedrà le strade delle grandi città riempirsi di persone per celebrare l’orgoglio omosessuale, nel rispetto del social distancing.

Ma come ogni anno, anche in questo giugno 2020 i brand tornano a celebrare l’amore in tutte le sue forme tingendosi dei colori dell’arcobaleno.

Abbigliamento, accessori, scarpe: sono tantissime le creazioni in edizione limitata lanciate dai grandi nomi del fashion e dello sportswear a supporto della comunità omo-lesbo-bi-trans.

Il Pride month 2020 visto dai brand

Adidas

Il colosso tedesco di abbigliamento sportivo apre il Pride month 2020 con il lancio di un Pride Pack contenente una rivisitazione arcobaleno delle sue calzature best seller: Superstar, NMD R1, Ultra Boost S&L, Nite Jogger, Stan Smith e Carrera Low, quest’ultima in duplice versione.

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Sulla soletta, è riportato il testo:

Siamo orgogliosi e impenitenti e vi incoraggiamo a essere come noi. L’amore unisce.

Alle sneakers, Adidas aggiunge una release delle amatissime ciabatte Adilette, in versione nera e con il logo Trefoil con texture colorata.

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Lo stesso logo lo ritroviamo sulle t-shirt della collezione clothing a tema Pride, composta anche da shorts, calzini, felpe e leggings, molti dei quali già disponibili sull’e-commerce ufficiale, altri coming sono.

Con la Pride Collection, Adidas riconferma il suo impegno a favore della comunità LGBTQIA+; il brand, infatti, sostiene regolarmente da anni il Trevor Project, la più grande organizzazione mondiale di prevenzione del suicidio e di supporto psicologico per i giovani della comunità.

Banana Republic

Dagli abiti alle calze, passando anche per le t-shirt, la collezione Pride di Banana Republic conta in tutto 19 pezzi disponibili sull’e-commerce ufficiale, riconfermando l’impegno del brand nella difesa dei diritti delle persone omosessuali, bisessuali e transgender.

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La Pride Collection non è l’unica iniziativa del brand a favore della comunità LGBTQIA+: Banana Republic ha fatto una donazione di 60 mila dollari ad una campagna d’informazione delle Nazioni Unite Free & Equal per la promozione del progresso in fatto di diritti umani.

Nike

Con la collezione di sneaker e abbigliamento Nike BETRUE, disponibile a partire dal 19 giugno su nike.com e presso rivenditori selezionati, anche il colosso americano supporta la comunità LGBTQIA+.

Le calzature rivisitate in chiave BETRUE sono le Nike Air Max 2090, le Nike Air Deschutz e, sopratutto, le Nike Air Force 1, vere protagoniste della collezione, con il marchio sul tallone dei 10 colori della bandiera More Color, More Pride.

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Come annunciato dall’azienda, Nike dichiara pubblicamente il suo impegno a supporto di più di 20 associazioni locali e nazionali, per promuovere l’inclusione e combattere le discriminazioni degli atleti LGBTQIA+ nel mondo dello sport.

New Balance

Fuori dal 22 maggio, la Pride collection di New Balance, composta da due versioni delle sue FuelCell Echo, una da uomo in blu e una da donna verde acqua, e da una coloratissima release della sua iconica 327.

Entrambi i modelli FuelCell Echo sono caratterizzati da pannelli oleografici sul tallone e i colori dell’arcobaleno sulla metà posteriore.

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Anche New Balance non si limita alle scarpe, ma affianca alla collezione di sneaker, ciabatte e t-shirt dal logo arcobaleno.

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Chiara Ferragni

“Love Fiercely” è il nome della Pride Collection dell’influencer made in Italy e amata in tutto il mondo.

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L’intera linea è un vero e proprio inno all’amore e un’esortazione ad amare oltre ogni pregiudizio o discriminazione.

Puoi amare chi vuoi. Puoi scegliere di essere chiunque ti renda orgogliosa di te stessa. – Chiara Ferragni Collection x Pride. 

https://www.instagram.com/p/CApOgdPgjI0/?utm_source=ig_embed

Oltre ai capi casual più iconici della Chiara Ferragni Collection, con il logo stampato su un arcobaleno glitterato, la linea Love Fiercely propone anche polo-shirt e polo-dress, tutti abbinabili con le sneackers disponibili nei colori bianco e nero.

Converse

Per il quinto anno di fila, Converse lancia la sua Pride Collection, ispirata ai colori della bandiera “More Color, More Pride”, per celebrare la diversità e l’inclusione estendendo l’arcobaleno con l’aggiunta di una linea marrone e una nera che rappresentano rispettivamente la comunità Latin e Black LGBTQIA+.

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La piattaforma Converse By YOU offrirà la possibilità di customizzare i prodotti del marchio a proprio piacimento, come ulteriore celebrazione della libera espressione individuale.

Sarà possibile creare modelli personalizzati, le cui opzioni di design sono ispirate alle bandiere bisessuali, transgender, pansessuali.

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Vans

Anche il brand di scarpe e abbigliamento da skate non ci fa mancare la sua Pride Collection, con una vasta gamma di sneaker, dall’iconica checkerboard, il “mocassino” con il motivo a scacchiera che si colora d’arcobaleno, alle sneaker kids con la chiusura a strappo a tema pride flag.

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Ma la vera chicca di quest’anno, però, sono le ciabatte vans, sempre con motivo a scacchiera coloratissime e glitterate.

Vans

Dr. Martens

Anche il Re indiscusso degli stivali stringati si colora per il Pride Month, ma lo fa in modo più discreto, con una bandiera cucita sul tallone e la linguetta colorata, senza stravolgere troppo la sua identità.

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In associazione con il lancio del Pride Boot, Dr. Martens donerà 25 mila dollari alla fondazione The Trevor Project, una delle più grandi organizzazioni mondiali dedicate al supporto psicologico e alla prevenzione di suicidi di giovani gay, bisex e transgender.

Levi’s

“Use your voice” è il tema centrale della Pride Collection 2020 di Levi’s, un messaggio che incita la libera espressione di sé, l’uguaglianza e l’inclusione.

La collezione Pride di quest’anno è sia un incoraggiamento che una celebrazione di coloro che usano la propria voce per cambiare il mondo.

Jennifer Sey, a capo della divisione marketing dell’azienda.

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All’interno della collezione, una vasta e coloratissima gamma di magliette grafiche, giacche di jeans e accessori. Oltre al logo su sfondo arcobaleno, molti pezzi della collezione riportano anche lo slogan “Use Your Voice”.

Per il secondo anno consecutivo, Levi Strauss & Co si unisce all’organizzazione no-profit OutRight Action International, a cui ha annunciato che devolverà il 100% dei proventi netti della Pride Collection.

Nordstrom

Disponibile da giugno, la “BP. Be Proud” Collection di Nordstrom spazia dall’abbigliamento, agli occhiali da sole, ai fermagli per capelli.

Il 10% delle vendite della collezione sarà devoluto all’organizzazione no profit True Colours United, che opera nello sviluppo di soluzioni innovative per i giovani homeless, concentrandosi sulle esperienze delle giovani lesbiche, gay, bisessuali e transgender, che in America costituiscono il 40% della popolazione giovanile senzatetto.




Green Deal anche l’Europa verso sostenibilità e biodiversità

Green Deal anche l’Europa verso sostenibilità e biodiversità

Anche l’Europa ha dal 2019 il suo Green Deal, una tabella di marcia voluta per rendere sostenibile l’economia sull’intero territorio europeo.

Ora la Commissione Europea ha approvato due strategie volte, da un lato, a tutelare la biodiversità e, dall’altro, ad aumentare la sostenibilità dell’intera filiera agricola produttiva.

Azioni concrete che lavorando sinergicamente tra loro assicurino un futuro sostenibile.

La nuova strategia per la biodiversità

La nuova strategia per la biodiversità è pensata per riportare la natura nella vita dei cittadini europei e parte dall’analisi delle principali cause della perdita di biodiversità, come l’uso insostenibile della superficie terrestre e del mare, lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, l’inquinamento e le specie esotiche invasive.

Tra le azioni concrete al centro di questa strategia sulla biodiversità:

  • stabilire obiettivi vincolanti per ripristinare gli ecosistemi e i fiumi che hanno subito danni;
  • migliorare la salute degli habitat e delle specie protetti dell’Unione Europea;
  • riportare gli impollinatori nei terreni agricoli;
  • ridurre l’inquinamento;
  • rinverdire le città;
  • rafforzare l’agricoltura biologica e altre pratiche agricole rispettose della biodiversità;
  • rendere più sane le foreste europee;
  • trasformare almeno il 30% della superficie terrestre e dei mari d’Europa in zone protette efficacemente gestite;
  • destinare almeno il 10% delle superfici agricole ad elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità.

Tutte azioni che non solo porteranno un beneficio all’ecosistema ambientale europeo, ma anche al sistema economico, sia grazie a finanziamenti dell’Unione Europea sia grazie alla creazione di nuovi posti di lavoro; il tutto sempre, però, in un’ottica sostenibile.

La strategia per la sostenibilità

La strategia denominata «Dal produttore al consumatore» mira, invece, al raggiungimento di un sistema alimentare sostenibile, che salvaguardi la sicurezza alimentare, che promuova ed assicuri l’accesso a regimi alimentari sani e che, contestualmente si preoccupi dell’impatto ambientale e climatico.

Anche in questo caso molteplici sono le azioni concrete previste e tra queste:

  • la riduzione del 50% dell’uso di pesticidi;
  • la riduzione del 20% dell’uso di fertilizzanti;
  • la riduzione del 50% della vendita di antimicrobici per animali;
  • la destinazione di almeno il 25% dei terreni all’agricoltura biologica;
  • il miglioramento dell’etichettatura dei prodotti alimentari all’insegna di maggior chiarezza e trasparenza per il consumatore;
  • nuovi flussi di finanziamenti per agricoltori, pescatori ed allevatori ittici;
  • il sostegno a politiche ecologiche improntate alla sostenibilità.

Tutto ciò anche qui con il duplice obiettivo di migliorare il dialogo tra l’uomo e l’ecosistema e di trasformare nuovi processi sostenibili in fonti di reddito per l’agricoltura, la pesca e l’acquacoltura

Le due strategie, per la biodiversità e per la sostenibilità, sono quindi adottate e promosse dalla Commissione Europea per combattere l’impatto sul clima, gli incendi di boschi e foreste, l’incertezza alimentare e l’insorgenza di malattie, nonché favorire l’adozione di pratiche agricole e di allevamento sostenibili e sempre più bio e, infine, favorire la protezione delle specie selvatiche, contrastando il fenomeno del commercio illecito proprio di specie selvatiche.




«Sei sicuro di aver letto l’articolo?»: la domanda di Twitter che mette in crisi chi condivide senza approfondire

«Sei sicuro di aver letto l’articolo?»: la domanda di Twitter che mette in crisi chi condivide senza approfondire

Il test mira a «promuovere una discussione informata». La condivisione di un contenuto può «innescare una conversazione, quindi potresti volerlo leggere prima di twittarlo»

Twitter fa un altro passo nella direzione della lotta alla disinformazione. Il microblog della società ha annunciato tramite il suo account che testerà una nuova funzione attraverso cui suggerirà agli utenti di pensarci bene prima di twittare o ritwittare un articolo di cui non conoscono il contenuto. Ogni volta che un utente si accingerà a condividere un link a un contenuto che non ha in realtà aperto comparirà un messaggio nel quale Twitter chiederà se non si abbia l’intenzione di leggerlo prima di postarlo.

«La condivisione di un articolo può innescare una conversazione, quindi potresti volerlo leggere prima di twittarlo», ha spiegato il social network. Il test, evidenzia Twitter Support, intende «aiutare a promuovere una discussione informata».

Il problema degli utenti che condividono articoli di cui non hanno letto il contenuto non è nuovo: come ricorda il Guardian, uno studio del 2016 portato avanti dalla Columbia University e dalla fondazione Microsoft ha dimostrato che il 59% dei link postati su Twitter non è mai stato cliccato. Per il momento, il test riguarderà gli utenti Android di Twitter impostato in lingua inglese. In ogni caso, l’avviso non impedirà, a chi vorrà, di condividere il contenuto anche senza averlo letto.

«Stiamo cercando di incoraggiare le persone a rivedere il loro comportamento e a ripensare il loro linguaggio prima di postare», aveva dichiarato a maggio Sunita Shaligram, a capo della policy del sito sulla fiducia e sulla sicurezza. «Perché spesso agiscono nella foga del momento e potrebbero dire qualcosa di cui si poi potrebbero pentirsi».




Tesi sulla gentilezza? «Ecco perché fa bene anche alle aziende»

Tesi sulla gentilezza? «Ecco perché fa bene anche alle aziende»

Giampietro Vecchiato, intervenuto dopo Franco Locatelli alla diretta streaming venerdì mattina, ha affidato la tesi sul tema alla studentessa Marta Grigoletto. E la psicologa Milani aggiunge: «La gentilezza non è un orpello ma una necessità»

La gentilezza all’interno di una azienda fa la differenza. Anche in termini di business. Lo ha spiegato il professor Giampietro Vecchiato, docente di Teoria e Tecnica delle Relazioni Pubbliche presso l’Università degli Studi di Padova e di Udine, intervenuto durante la Civil Week Lab, nella seconda parte del panel dedicato alla gentilezza dopo il professor Franco Locatelli che della gentilezza è diventato una icona. Ci ha infatti accompagnato durante i lunghi mesi del lockdown quando ogni giorno alle 18 la protezione civile comunicava il bollettino sulla pandemia. «La gentilezza – ha detto – porta con sé empatia, attenzione e disponibilità all’ascolto. Con la gentilezza si attenuano i conflitti e le ostilità» che sicuramente non giovano al business. «Già da tempo – ha proseguito durante la diretta streaming – stavo studiando le ricerche in corso nel mondo su questo tema, perché hanno verificato con i numeri che questo porta anche vantaggi economici».

Ha anche affidato a una sua studentessa Marta Grigoletto una tesi sul tema. E Marta ha confermato che ha fatto molte interviste e anche in Italia ci sono sempre più aziende che hanno iniziato a introdurre il tema della gentilezza, come nei paesi del Nord Europa. Vecchiato ha poi concluso: «Abbiamo intenzione di proseguire l’indagine e capire quali sono gli effetti di questo nuovo approccio aziendale».

Alla diretta ha partecipato anche la psicologa svizzera Cristina Milani, presidente del World Kindness Movement e fondatrice di due organizzazioni no profit Gentletude Switzerland e Gentletude Onlus. «La gentilezza- ha detto – non è un orpello ma una necessità. Deve essere studiata, diffusa, insegnata. Non è solo legata al concetto di galateo, buone maniere, ma deriva dalla capacità di gestire le proprie emozioni, di restare in equilibrio, non farsi trascinare reagendo alle situazioni, invece essere proattivi. Comporta un grosso lavoro su se stessi, così da imparare a rispondere in modo adeguato alle situazioni. Non significa non avere problemi, bensì affrontarli in un altro modo».