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Acqua Sant’Anna mi cade sull’… eCommerce

Acqua Sant'Anna mi cade sull... Ecommerce

Prima che mi convertissi alle caraffe filtranti, Acqua Sant’Anna è sempre stata sulla mia tavola, in ogni formato possibile, in ogni stagione possibile. Non è certo la più economica, ma forse è una tra le più (letteralmente) limpide, anche nell’etichetta. E se oggi non sono più loro cliente, appartengo però professionalmente agli interessati al tema dell’innovazione industriale e della corporate communication, che Sant’Anna ha sempre abituato bene, a partire dal varo della famosa BIO Bottle, che ha riscosso diversi premi e che a detta loro sarebbe la prima bottiglia bio al mondo di acqua minerale 100% riciclabile e biodegradabile, rispettosa di ambiente e salute. Insomma, eccezionale, se consideriamo quanto alto è il consumo di acqua in bottiglia in Italia.

L’elogio a questo marchio potrebbe continuare, perché di ragioni anche non solo teoriche ce ne sarebbero, come ad esempio i loro stabilimenti sulle Alpi costruiti secondo logiche di bio-edilizia, la preferenza del trasporto su rotaia o i programmi di recupero e riduzione delle plastiche, dichiarati anche sul loro sito (qui). E pare che gli sforzi ripaghino: Alberto Bertone, presidente e amministratore delegato, poche settimane fa ha dichiarato al Corriere Economia di aver raggiunto la conquista di una leadership internazionale, con 1,5 miliardi di bottiglie di Acqua Sant’Anna prodotte in un anno.

Se sei un’eccellenza, o ambisci ad esserlo, comunicazione e coerenza devono però andare di pari passo, sempre: solo così si costruirà una solida identità. Scalfire una reputazione ben strutturata è complesso, ma non impossibile: basta scivolare su una buccia di banana per rincorrere nuove opportunità di business, che poi così nuove non sono.

Mi sono imbattuto in un’inserzione di Sant’Anna, scorrendo Facebook, che mi offriva 30 bottiglie di acqua + 6 di tè, ad un prezzo agevolato, consegnate fin sotto casa. Acqua a domicilio, bella impacchettata, senza intermediari; la cosa mi ha incuriosito, tanto da lanciarmi sul sito per saperne di più. Ad accogliermi, un altro simpaticissimo banner di vendita che faceva da coperta… allo shop on-line del brand. Intendiamoci, vendere acqua su internet, pur essendo assurdo, è qualcosa di non così nuovo, ma perchè non lasciare questo (sporco) compito ai rivenditori? Conviene rincorrere un profitto a tutti i costi rischiando di ledere la propria immagine?

La mia delusione iniziava a farsi sentire: pagine sull’impegno aziendale, sullo storytelling e l’ambiente, e si finisce, come primo impatto, con le call to action allo shop di plastica. Anche no, dai.

Da dove spedisce Sant’Anna? Ha centri di smistamento sparsi in Italia? Questo mi sono chiesto. Ammesso che ci sia qualcosa di etico nel compare acqua in bottiglia facendosela consegnare fino a casa, mi piacerebbe capire se parte un furgoncino solo per me, e da dove. Nella F.A.Q relativa alla spedizione l’unica certezza è che raggiungono tutta Italia, ma nulla si dice sulla geolocalizzazione dei magazzini, che invece aiuterebbe parecchio a farsi un’idea riguardo questa operazione. L’unico dettaglio in merito al magazzino che ho trovato vanta che lo stabilimento è condotto da carrelli automatizzati a guida laser, permette il caricamento diretto sugli autotreni che, carichi di acqua fresca, partono e si fermano alla prima grande stazione ferroviaria a valle, dove il prodotto è spostato sui treni e quindi spedito in tutta Italia. Tutto ancora troppo fumoso, per chi cerca di capire se sta comprando un comodo debito con l’ambiente o dell’acqua. Cerco quindi un call center, che non mi sa aiutare, ma posso invece chattare con H₂O, il BOT dell’azienda. Chi meglio di lui può arrivare alla fonte delle informazioni, penso: così chiedo da dove parta la spedizione. Risposta immediata: spediamo in tutta Italia; seconda risposta: grazie a te avrò qualche chance in più di imparare! Bene, ma non benissimo. Lascio H₂O nel suo mare di incertezze, ma prima di gettare la spugna mi ci asciugo le lacrime.

Il punto è che un’azienda leader nel settore, in un settore un po’ affollato, certo, credo non debba cedere alla pressione dell’e-commerce lanciandosi a capofitto nel primo servizio utile da mettere in piedi solo per fare più soldi.

Intendiamoci, comprare prodotti online non è affatto un crimine, e nei confronti dell’ambiente può addirittura fare del bene se – rispetto a centri commerciali o negozi – sono distante abbastanza. Ma spedire plastica da chissà dove, col supermercato vicino a casa, invece, non mi convince per niente. E minare la credibilità di un brand per così poco è un rischio che non correrei mai.

Perchè, ad esempio, non puntare su un modello di business su acqua in vetro e vuoto a rendere? Sarebbe stato più coerente con i valori del marchio Sant’Anna, e io, forse, un pensierino lo avrei fatto…




Coronavirus, linee guida vecchie e fondi spesi male. Così il piano pandemico dell’Italia è andato in tilt

Coronavirus, linee guida vecchie e fondi spesi male. Così il piano pandemico dell’Italia è andato in tilt

Mentre noi finanziavamo progetti sui primi mille giorni del neonato il resto del mondo si preparava all’emergenza virus. Le nostre linee guida? Sono vecchie di 14 anni.

Preparazione e pianificazione. Due parole chiave che
l’Organizzazione mondiale per la salute (Oms) mette da anni in cima ai suoi
documenti. Una pandemia non è prevedibile, ma è ricorrente e probabile. Dopo la
diffusione dei virus Sars (2002) e H1N1 (2009) la raccomandazione è sempre
stata: mettere a punto un piano d’azione e aggiornarlo costantemente seguendo
le linee guida concordate, è l’unica arma disponibile. L’Italia era pronta? No.
Piani vecchi, stoccaggio delle mascherine affidato alle Regioni con linee di
azione ormai superate, fondi spesi per interventi come “la promozione dei primi
1000 giorni di vita del neonato”.

Il quadro a livello mondiale – con molte aree
sprovviste di piani aggiornati – era ben noto alla vigilia dell’arrivo del
Sars-Covid-2. Per ogni Paese l’Oms indica su una specifica piattaforma le
performance dei piani pandemici adottati che devono rispondere ad alcuni
parametri: qual è la linea di comando? Chi deve pensare a stoccare mascherine e
respiratori? Come va effettuato il monitoraggio per segnalare subito anomalie e
far scattare l’allarme? In inglese viene definito come “Preparedness”. Ovvero
prevenzione e pianificazione. E l’allarme era stato lanciato da tempo. Il 29
gennaio dello scorso anno Daniel Coats, direttore della National Intelligence,
ascoltato dal comitato del Senato statunitense per il controllo delle attività
dei servizi segreti, aveva inserito la pandemia influenzale tra i pericoli
concreti per il mondo. 

Piani vecchi, pericoli nuovi

Il piano pandemico italiano è vecchio di dieci anni, anzi, di quattordici. Sul sito dell’Oms viene datato al 2010, ma aprendo il file, anche nella versione in inglese, i metadati riportano il 2006 come anno di elaborazione del documento. C’è di più. Il nostro sistema sanitario nazionale è sostanzialmente regionalizzato; dunque il piano nazionale rimanda l’attuazione delle norme di prevenzione a documenti regionali. E anche in questo caso il pericolo pandemico non veniva percepito come reale ed imminente. Molte regioni italiane non hanno mai attualizzato la loro capacità di risposta, con buona parte dei documenti elaborati più di dieci anni fa. Il piano nazionale affidava ai governi regionali alcuni compiti chiave: «Stimare il fabbisogno di Dpi (dispositivi di protezione individuale, ovvero mascherine di protezione ad altri sistemi per evitare il contagio, ndr) e di kit diagnostici e mettere a punto piani di approvvigionamento e distribuzione». Quello che oggi drammaticamente manca. E ancora, «censire la disponibilità ordinaria e straordinaria di strutture di ricovero e cura, incluso il censimento delle strutture con apparecchi per la respirazione assistita», l’altra Caporetto, almeno in Lombardia, della pandemia del nuovo coronavirus.

Il Ministero della Salute, interpellato su questo
punto da La Stampa, ha risposto specificando che, oltre al piano pandemico,
esiste anche il “Piano nazionale di difesa – settore sanitario”. Si tratta di
un documento in buona parte classificato, destinato a indicare la
strategia della Difesa civile, organismo in capo al Viminale, attivato per
affrontare le emergenze di diverso tipo. Tra queste, spiega il ministero,
«quelle di tipo biologico (anche di origine terroristica), che minacciano non
solo le persone ma anche il normale assetto sociale, mettendo in crisi il
servizio sanitario nazionale ma anche altre attività del Paese». Per quanto
riguarda invece il primo piano, il ministero assicura che è in via di revisione
e che le esercitazioni sono state realizzate. Purtroppo non siamo i soli. La
situazione in Europa è a macchia di leopardo. I Paesi con piani più recenti e
aggiornati sono la Germania, i Paesi scandinavi, i Paesi baltici e la Gran
Bretagna. Hanno, invece un piano non aggiornato in epoca recente la Spagna, la
Polonia, l’Austria, la Slovenia, la Croazia e il Belgio.

La cabina di regia

Il piano pandemico nazionale affida un importante ruolo al Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (Ccm), istituito al Ministero della salute. Ha il compito di svolgere l’analisi dei rischi epidemiologici e opera in coordinamento con le Regioni, i centri di ricerca, le università e la sanità militare. In altre parole può essere considerato come il cuore del sistema di risposta alle epidemie e pandemie. I piani annuali di azione – pubblicati in sintesi sul sito istituzionale – hanno budget relativamente limitati. Nel 2019, ad esempio, il Ccm ha speso 8,4 milioni di euro. Nel documento di programmazione, però, non vi sono riferimenti specifici alle azioni di preparazione per l’epidemie. Nel campo specifico delle emergenze i progetti hanno riguardato, per fare qualche esempio, la prevenzione per le ondate di calore estivo, lo studio del siero per il West Nilus virus, la prevenzione della tubercolosi, lo screening per il tumore ai polmoni, la promozione dei primi 1000 giorni di vita del neonato. L’unica voce in qualche maniera correlata con i rischi virali riguarda l’implementazione degli antidoti per le guerre batteriologiche. Per trovare qualche progetto relativo al rischio pandemie bisogna risalire al 2014, budget speso 400 mila euro. La regione capofila è il Veneto, che, fin dall’inizio dell’emergenza Covid-19, svolge anche la funzione di coordinamento interregionale. Risultati? Nulla è riportato sul sito del Ccm e sul portale della Regione Veneto si legge: «Attualmente il progetto è nella fase di consolidamento dell’attività del gruppo di lavoro centrale che avrà il compito di coordinare ed organizzare la “task force” a livello regionale e interregionale». Anche in questo caso, lavori in corso. 

Lo studio della John Hopkins

L’impreparazione italiana per affrontare una pandemia emerge anche da uno studio dello scorso ottobre realizzato dal Center for Health Security della John Hopkins University, in collaborazione con The Economist. L’Italia è collocata solo al 31° posto, con un punteggio globale di 56.2 su una scala di 100. La posizione scende ulteriormente nelle prestazioni per la risposta rapida e le politiche di mitigazione di un’epidemia. Particolarmente critica è stata giudicata la “Comunicazione con gli operatori sanitari durante un’emergenza”. Nonostante sia stato creata creata la Cross (Centrale Remota Operazioni Soccorso Sanitario), non sembra previsto un sistema specifico di comunicazione tra il personale sanitario. Il nostro Paese ha ricevuto uno zero per l’indicatore “Risposta operativa alle emergenze”: «Il centro operativo primario per le emergenze in Italia – si legge nel report – non è indirizzato alle pandemie». Secondo lo studio il Dipartimento della Protezione civile non avrebbe una preparazione specifica. Ben diversa la posizione di altre nazioni. In cima alla classifica, oltre agli Stati Uniti, si sono posizionati la Germania e la Gran Bretagna, i cui piani pandemici sono più recenti rispetto a quello italiano.

Quando alla fine il coronavirus è arrivato in Italia
tutti i nodi sono arrivati al pettine. Le mascherine introvabili, il
sistema sanitario al collasso, i medici e gli infermieri contaminati – 39 i
morti fino ad ora – e problemi di approvvigionamento di reagenti per i
laboratori: un quadro annunciato.




DA ZERO A UN MILIONE DI ACCESSI: STORIA DEL SUCCESSO DI UN GIOVANE PROGETTO DIGITALE, BASATO SU CONTENUTI DI VALORE E… SULLA PERSEVERANZA

Intervista a Claudio Fioretti, creatore e autore della pagina Maturansia

Intervista a Claudio Fioretti, creatore e autore della pagina Maturansia

Claudio, in varie precedenti interviste, hai raccontato con entusiasmo il tuo progetto e come è nata l’idea di Maturansia. Mi piacerebbe approfondire: come sei riuscito ad arrivare da 0 a 50.000 follower già dopo pochi mesi dall’avvio dell’iniziativa, per poi arrivare ai numeri ancora più corposi, sia sulla pagina Instagram che sul Blog?

Con Maturansia, non siamo partiti esattamente da zero. Il nostro
percorso è iniziato lo scorso anno con una pagina che si chiamava “Maturità 2k19”, per cui il nome del
brand era già abbastanza diffuso. All’inizio dell’anno scolastico 2019-20 siamo
partiti come Maturità 2k20 ma in
seguito, per una questione meramente di branding,
ho deciso di utilizzare il nome Maturansia,
così da poter evitare di cambiare ogni anno il nome della pagina. Certamente,
ad averci aiutato nella crescita sono stati agli utenti dell’anno scorso e anche
il passaparola tra i ragazzi; ma il motivo per cui siamo cresciuti così in
fretta, credo che sia anche e soprattutto grazie ai contenuti che pubblichiamo
giornalmente ad esempio su Instagram, e che accompagnano i ragazzi dal primo all’ultimo
giorno di scuola, con
particolare attenzione anche a ciò che accade offline. Devo confessare di non
aver mai utilizzato automazioni, ho sempre voluto avere una pagina pulita,
ragionata, frequentata da persone che la seguissero realmente, riconoscendo
valore a quanto veniva pubblicato, e senza mai “giocare sporco”.
Avere un numero elevato di persone che ti seguono “solo sulla carta” ma che poi
non interagiscono, o magari che non sei capace di far spostare su un’altra
piattaforma (che nel nostro caso è il Blog) non ha davvero senso. Concludendo, direi
che la crescita è dovuta soprattutto ai contenuti di Instagram che per noi sono
dei contenuti di content discovery ovvero
dei contenuti grazie ai quali la gente “ci scopre”, scopre il nostro mondo. Oltre
questi, ci sono i contenuti long form
sul blog come appunti, news e consigli che ci permettono di consolidare il
rapporto con l’audience. Ed infine, ripeto, giocare pulito: questo ci ha sempre
ripagato.

Se dovessi dare un’indicazione preziosa per un tuo coetaneo che voglia lanciare un’iniziativa come la vostra, magari con un focus diverso, in quanto stimeresti la necessità finanziaria per lanciarla e per sostenerla nei primi mesi di attività? Le “buone idee” e l’impegno sono fondamentali, ma immagino che non siano sufficienti per avviare una community impegnativa come la vostra…

Quando ho aperto Maturità 2K19 stavo facendo una lezione
di analisi 1 all’Università, mi piaceva produrre dei meme, ed iniziò così,
senza pretese. Racconto questo aneddoto per dire che contrariamente a quanto si
possa immaginare al giorno d’oggi è possibile partire da zero, soprattutto nel
mondo dei Social media. È però fondamentale produrre contenuti scegliendo un
pubblico preciso, cercando una nicchia specifica alla quale rivolgersi. Credo
che noi non saremmo cresciuti così tanto se ci fossimo rivolti indistintamente
a tutti gli studenti. In definitiva,
a costo di sfatare un mito, confesso che sono partito davvero da zero, senza
particolari risorse. Poi, piano piano, le aziende hanno notato la crescita
della pagina e hanno iniziato a propormi collaborazioni. Così, ho iniziato a
pagarmi l’abbonamento a software per produrre meme in modo più professionale. Le
prime centinaia di euro le ho investite per aprire il Blog, che è servito per
consolidare quanto era stato fatto fino a quel momento, e via così.

Ho avuto modo di esplorare il vostro blog, e devo dire che è molto ben strutturato, sia come grafica che come funzionalità…

Ti ringrazio. Con il blog quest’anno abbiamo raggiunto il milione di accessi in solo 8 mesi, è stato un risultato che mai mi sarei aspettato di raggiungere così presto. Il Blog ci ha aiutato davvero in quanto è stato utile per diffondere contenuti più solidi e didattici, rispetto a quelli divertenti ed ironici diffusi su Instagram. Per rimanere sul tema finanziario, pagai il dominio per il blog soli 0.99 centesimi, un prezzo accessibile per chiunque. Per quanto riguarda l’hosting, siamo partiti con il piano base che ha un costo di circa 30 euro annui finché non è stato necessario effettuare un upgrade che ci permettesse di ospitare maggior traffico. Questo è successo il giorno dell’uscita delle materie per la maturità, nel quale abbiamo avuto una mole altissima di traffico, che ci ha addirittura mandato in crash il sito. Racconto di questo episodio per confermare che per partire ci vuole veramente poco: poi, per consolidare, basta reinvestire quello che si guadagna man mano.

Questo è certamente un anno particolare per le istituzioni scolastiche, e in particolar modo per i maturandi, per via dell’emergenza Covid-19: sarà una maturità diversa.  Credi che questo abbia in qualche modo influito sul successo della tua pagina, e se si, perché?

Personalmente mi ha
destabilizzato in quanto avevo in mente una programmazione che prevedeva di informare
i ragazzi e supportarli con materiali per le diverse prove scritte. Per quanto
riguarda i ragazzi, se prima dell’emergenza Covid-19 erano un gruppo coeso che
ci seguiva con l’obbiettivo di superare l’esame di maturità, con l’emergenza
sanitaria si sono divisi tra chi era “pro” maturità e chi invece
sosteneva di avere delle buone ragioni per non farla. Noi in questo caso
abbiamo scelto di posizionarci come “la voce degli studenti”, quindi
abbiamo dato voce sia a chi affermava di voler concludere il percorso
scolastico con l’esame, sia a chi invece sosteneva di avere dei motivi validi
per rivalutare l’esame o addirittura non farlo. Devo confessare però che il
fatto di non aver preso una posizione netta ci ha fatto perdere parte di quel
pubblico che era fermamente deciso a non voler fare la maturità. Di questo
siamo dispiaciuti, perché crediamo che loro abbiano alcune motivazioni molto
valide, ma allo stesso tempo era giusto dar voce anche a chi effettivamente vuole
terminare il percorso di studi con il passaggio della maturità. Per quanto
riguarda la crescita della pagina invece, in numeri assoluti abbiamo continuato
a crescere, la nostra è stata una crescita costante e questo è dovuto anche,
come affermavo prima, ai contenuti di cronaca riportati sotto forma di meme,
che hanno sempre comunque una loro sostanza.

In questo momento così confuso sarà certamente cresciuta la necessità dei ragazzi di trovare un canale a loro dedicato che gli potesse dare le giuste informazioni ed aggiornarli sugli sviluppi inerenti l’esame finale…

Questo è vero. Ma noi abbiamo scelto di non dare mai informazioni prima di verificare accuratamente le fonti, in quanto è capitato anche da parte delle istituzioni di dare informazioni poco chiare. Abbiamo scelto di arrivare piuttosto con un paio d’ore di ritardo, ma trasmettendo solamente informazioni verificate e attendibili. Spesso in Direct arrivavano moltissimi Screen di foto di Circolari ministeriali che poi si rivelavano essere palesemente fake, e in questa situazione delicata abbiamo prestato una particolare attenzione verso la trasmissione di contenuti che volevamo fossero completamente attendibili.

Siete stati presenti, ma con l’attenzione di comunicare informazioni certificate con criterio e responsabilità. Requisito essenziale in questo particolare periodo storico. Lodevole comunque il vostro impegno nel voler informare i ragazzi in questo momento caratterizzato da grandi incertezze che si sommano ai timori e le ansie che caratterizzano il periodo in cui si affronta la maturità.

A livello tecnico diffondere
delle informazioni nei primi minuti potrebbe anche aiutare, perché a livello
del blog lato SEO o comunque posizionamento sui motori di ricerca, saremmo
potuti salire cavalcando l’onda. Ma a
me non interessa questo piuttosto mi interessa offrire valore genuino ed utile…
la crescita deve essere una conseguenza naturale di un lavoro ben fatto, e non
deve essere l’obbiettivo. Ho sempre
voluto posizionare l’informazione e l’utente al centro. Inoltre differenza di molte
altre pagine che hanno un seguito di centinaia di migliaia di follower, noi
abbiamo sempre risposto a tutti i numerosissimi
messaggi dei ragazzi anche nel caso ci venisse chiesto qualcosa a cui in prima
battuta non sapevamo come rispondere: era a quel punto nostra premura
informarci, per dare la migliore risposta possibile. Questo ha contribuito
molto nella crescita: dare valore ai nostri follower e alle loro richieste. La
gente spesso è stupita nel vedere una pagina con centomila persone rispondere a
ogni messaggio, ma questo per noi è un requisito essenziale: ci sono persone dietro
gli schermi, e quindi deve esserci un lato umano dietro la pagina.

Immagino tu non sia l’unica persona coinvolta nel progetto: quali sono le principali figure che lavorano in team a Maturansia, e quali sono i loro compiti?

Generalmente io uso sempre il
“noi” però in realtà a gestire i social media e il blog a livello dei
contenuti sono io, di persona. Oltre a me c’è un ragazzo, che è il collaboratore
che si occupa della programmazione per quanto riguarda il sito, e infine un
paio di ragazzi che occasionalmente scrivono articoli e contenuti per il Blog.
Quest’ultimo è un aspetto che vorrei davvero potenziare in quanto non vorrei
posizionarmi solo come “informazione scolastica” ma mi piacerebbe trattare il
target 18-19 aiutando i ragazzi anche su altri versanti, come l’educazione
alimentare o l’educazione finanziaria. In questo momento infatti sono molto
propenso a cercare ragazzi che abbiano competenza e voglia di scrivere di
questi contenuti e a cui appassioni l’idea di aiutare i ragazzi attraverso la
comunicazione online. Mi piacerebbe davvero ampliare il team e rafforzare
questo aspetto. Oltre alle figure che ti ho nominato c’è un ragazzo che mi
aiuta nel settore fiscale e legale.

Sulla piattaforma Instagram comunichi quotidianamente con i tuoi follower attraverso lo strumento dei Meme. Come mai questa precisa scelta?

Quando si va a scegliere un
target e ci si posiziona in un settore bisogna sempre capire come sono le
persone con la quale ci si rivolge. Io ho scelto i meme in quanto in questo
periodo questo stumento di comunicazione ritengo ci metta più in sintonia con i
ragazzi. Un meme può comunicarti qualsiasi cosa, e costruirlo è davvero
semplice: basta selezionare un argomento e cercare il template adatto per
quanto riguarda l’immagine. In questo modo riesci a richiamare l’attenzione in
modo davvero rapido ed efficace. Quindi il nostro schema è il seguente:
attiriamo l’attenzione dei ragazzi attraverso il meme e poi li spostiamo su di
un contenuto un po’ più serio e articolato, che trovano sul Blog. Credo che questa
sia esattamente la chiave: usare il metodo comunicativo più appropriato in base
al target alla quale ci si rivolge.

Quanto peso hanno avuto le partnership con le aziende sponsor nella costruzione del successo della pagina?

Sicuramente
hanno un peso rilevante nella fase iniziale, quando si parte da zero e si vuole
passare a uno step successivo, come creare un blog. All’inizio sei disposto
anche a “svendere” il progetto pur di crearti un portafoglio che possa servirti
per investire, ad esempio, in upgrade tecnologici. Successivamente, ho cercato
di essere sempre più selettivo, cercando di non accettare mai collaborazioni
che escano fuori la sfera dell’istruzione in senso stretto. Ho avuto anche
proposte con cifre molto alte per fare pubblicità con brand formalmente “fuori
target”, ma personalmente ho deciso di posizionarmi come punto di riferimento e
di essere trasparente evitando partnership di questo genere. Se invece si
riesce a strutturare una buona patnership con le aziende che sono affini con la
tua mission, come nel nostro caso – ad esempio – case editrici o blog che hanno
sempre come target gli studenti, questo aiuta anche relativamente ai contenuti
che di volta in volta si offrono ai ragazzi.

Ho avuto modo di dare uno sguardo all’altra vostra pagina, “Matricolansia”, già molto attiva, e con un alto numero di follower, che ha come target gli studenti al primo anno di Università. Il progetto è nato secondo lo stesso schema, o c’è qualcosa di particolare da aggiungere a riguardo?

Matricolansia in realtà è l’ex Maturità2k19. Dopo essere arrivati lo
scorso anno a raggiungere il 15% dei maturandi in Italia (eravamo circa 70.000!),
una volta conclusa la maturità c’erano due strade da seguire: o continuare con
quella pagina lì perdendo tutto il pubblico e cercare di intercettare e
acquisire i nuovi maturandi (con il rischio che si abbassasse l’engagement)
oppure cercare di “rimodellarla” andando a colpire quella che è la percentuale più
alta tra i maturandi, ossia quelli che andranno a frequentare l’università. Quindi,
possiamo dire che Matricolansia sia
il gradino successivo dopo Maturansia.
Ciò che auspichiamo è che gli utenti che noi curiamo durante il 5 anno, se si
sono trovati bene, in quanto è nostro obiettivo offrirgli sempre dei contenuti
di valore, saranno disposti a seguirci anche su Matricolansia dove troveranno contenuti universitari altrettanto
interessanti per loro. L’obiettivo però non è solo accompagnare quelli che si
dirigeranno nel percorso universitario: in realtà ci piacerebbe posizionarci
come “compagno di viaggio” dal primo giorno del quinto anno fino al post
diploma che può condurre verso la scelta dell’università ma non solo, anche
concorsi, o addirittura verso il mondo del lavoro.

Quindi il vostro obiettivo ora è quello di continuare a seguire di anno in anno con Maturansia il target dei maturandi, e poi una volta concluso il percorso scolastico “traghettare” i neodiplomati verso lo status di matricole, favorendo quindi il passaggio da una community all’altra?

Si. Dal momento che abbiamo
aggiunto una notorietà così alta con Maturansia,
certamente manterremo la pagina. Cercheremo sicuramente di spostare il target
universitario verso Matricolansia, e
acquisire nel contempo nuovo pubblico su Maturansia.
Quello che ci piacerebbe fare già dal prossimo anno con Maturansia è quello di offrire ai ragazzi gli strumenti per effettuare
una scelta consapevole nella delicata fase post diploma. Quest’anno siamo
ancora poco strutturati, ma già dal prossimo anno ci piacerebbe offrire degli
strumenti di valore per tutto quello che concerne la vita dopo la maturità.
Vorremmo offrire una panoramica completa ai ragazzi in quanto credo che questo
tutt’ora manchi in Italia. Io stesso mi sono trovato ad aver scelto una facoltà
a seguito del diploma in cui non mi sono ritrovato, comprendendo solo durante
il primo semestre, e quindi dopo aver pagato tasse e quant’altro, che non era
quello che volevo realmente fare nella mia vita.

Ciò che è evidente, è che sei riuscito, con il tuo staff, a creare una community molto attiva. Hai in mente di farne un business vero e proprio, proseguendo in questa attività a livello professionale, o hai in serbo altri e differenti progetti per il tuo futuro?

Quando ho iniziato il progetto
di Maturansia, sono partito da zero
non solo sul fronte economico, ma anche su quello delle conoscenze. Avevo una
buona base, sapevo pubblicare e creare un meme, ma non conoscevo tutto quello
che c’è da sapere mondo digital.
Negli ultimi anni ho iniziato quindi ad approfondire le mie conoscenze e a
implementare le mie competenze; a tal proposito, nel contesto italiano
nell’ultimo periodo sono nate molte community che offrono molto valore gratuito
a coloro che intendono imparare. Così ho iniziato a specializzarmi sempre più
nei social media, e a esplorare anche altri aspetti come quello del marketing.
In questo modo si riesce a sviluppare una serie di skill che possono potenzialmente aiutarti in futuro a sviluppare
altro. Principalmente, vorrei continuare con il progetto di Maturansia, perché tengo
molto a ciò che ho creato e all’idea di offrire quotidianamente contenuti di
valore agli studenti. Per me, il guadagno non è la prima scelta, ciò che mi
guida nella gestione di quest’attività è creare contenuti che possano essere
utili per i ragazzi. Poi se da questo deriva un guadagno, che deve essere una
conseguenza, sarà utile per poter andare ad ampliare sempre più il progetto e
il valore che potremmo offrire loro. A tal proposito abbiamo in cantiere di
investire in una mobile App che potrà essere disponibile già dal prossimo anno
e che possa essere utile a rendere maggiormente fruibile tutto il materiale che
offriamo, come ad esempio gli appunti.

Come potremmo riassumere la mission di Maturansia?

Il nome Maturansia potrebbe trarre in inganno perché si potrebbe pensare a qualcosa
che ti faccia pesare le giornate perché ti mette “ansia”. Invece
l’obbiettivo di Maturansia è proprio
il contrario, ovvero di sconfiggere l’ansia e cercare di arrivare all’esame con
una preparazione che ti permetta di vedere la maturità come una formalità, tale da certificare
competenze acquisite, e non come un incubo.
È proprio per questo che, ad esempio, andiamo ad offrire riassunti di tutte le
materie, consigli sul metodo di studio e quant’altro. L’obbiettivo è quello di
accompagnarli dall’ultimo giorno del quinto anno fino a quella che è la scelta
consapevole del loro futuro.

Cosa consiglieresti ad un ragazzo che come te desidera avviare un progetto sui social media?

La perseveranza, è
indispensabile, e aiuta molto. Io ho iniziato questo percorso assolutamente
senza pretese, e anche i primi follower mi stupivano parecchio: anche quando
eravamo solamente in mille, pubblicare i contenuti giornalmente, essere
costante, non abbandonare mai la pagina, ero certo che alla lunga mi avrebbe ripagato,
e così è stato. Ho pubblicato ogni giorno
da quando è stata aperta la pagina, sia che fosse Natale o altre festività. Confesso
che ho personalmente scelto di dedicare la maggior parte della mia giornata a
questo progetto, complice il fatto che avere il tuo business facilmente
accessibile a tutte le ore del giorno attraverso il telefono rende quasi
impossibile “staccare”. Non puoi scegliere di dedicarti a questa
attività solo in una certa fascia oraria e poi tenere scoperte tutte le altre;
ma se si ha passione per quello che si fa, non se ne sente troppo il peso. Quindi,
per concludere, a coloro che hanno il desiderio di costruire un progetto nel
mondo digitale dico che essere perseveranti è la chiave di tutto: credere
nell’idea, e soprattutto avere costanza, permette di raggiungere i risultati
che si desiderano, e Maturansia ne è
la prova.




Una “vista” nuova sulla scienza, con il magazine “Monnalisa Bytes”

Una “vista” nuova sulla scienza, con il magazine “Monnalisa Bytes”

Il tema delle cosiddette fake news, le false notizie che circolano su internet, e l’incapacità di distinguere le notizie vere dalle dicerie, è un problema sempre più grave che affligge il mondo della comunicazione e dell’informazione, come ha dimostrato anche la recente crisi sanitaria che ha colpito il Paese, dove su diversi profili social e siti web sono state divulgate notizie sul Coronavirus con scarsa o addirittura nessuna valenza scientifica, diffondendo così il panico.

Una risposta alle fake news viene dall’Università di Milano-Bicocca e, in particolare, da Emma Gatti, ex studentessa dell’ateneo ed ex ricercatrice al NASA Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, che, in collaborazione con lo studio di comunicazione Jumper, nell’ambito dell’iniziativa Bicocca Università del Crowdfunding ha promosso il progetto “Monnalisa Bytes”, un magazine dove si parla di scienza attraverso un approccio rigoroso, ma con un linguaggio visuale, moderno e interattivo, in modo da rendere i contenuti scientifici non solo più interessanti per un pubblico ampio, ma anche maggiormente comprensibili limitando così l’interpretazione errata delle informazioni.

Su “Monnalisa Bytes” (che partirà il 31 marzo con un minisito, per poi essere ufficialmente attivo dopo l’estate) le informazioni scientifiche saranno declinate in tre “colori”: ricerca, tech e cultura, che a propria volta si articoleranno in sei aree tematiche: ABOVE (atmosfera, spazio), AROUND (ambiente, data, trends), UNDER (energia e scienze della terra), INSIDE (corpo umano, mente e cervello), IMAGINE (tech e futuro) e POP (cultura e fiction).

Anche la struttura del sito sarà altamente innovativa, con un mix di contenuti approfonditi proposti a cadenza mensile e trimestrale attraverso format differenti, dalla graphic novel alle video-serie, dalle pillole news ai giochi, fino ai long form e agli speciali, ai quali si aggiungeranno rubriche e contenuti social veloci e immediatamente fruibili, realizzati settimanalmente dalla redazione.

«Non vogliamo “eliminare” le fake-news – afferma Emma Gatti – sappiamo bene che è impossibile. Ma vogliamo proporre un metodo, che poi sarebbe il metodo scientifico, per imparare a filtrare le notizie. E vogliamo che questo metodo non solo aiuti a “pensare scientifico”, ma avvicini il pubblico alla comunità della ricerca, che è ancora troppo distante dalla gente. La nostra idea sta nel comunicare la scienza usando immagini, video, animazioni, fumetti, simulazioni interattive. La parte più bella di tutto questo è l’energia che si sta generando dall’unione di questi due mondi: le idee che nascono quando uno scienziato e un creativo si rimbalzano la palla sono infinite. Nel futuro vediamo Monnalisa come molto più di un magazine: una open science community, uno spazio di sharing e networking per i giovani ricercatori, per le nuove leve della comunicazione, per gli studenti curiosi».

Il progetto, protagonista della campagna di raccolta fondi dedicata su Produzioni dal Basso – prima piattaforma italiana di crowdfunding e social innovation – ha un obiettivo economico di 5.000 euro, risorse che serviranno ad aprire il sito, organizzare un workshop per creare le prime grafiche scientifiche e promuovere  l’interazione tra scienziati e creativi. Per chi sceglierà di contribuire alla campagna di crowdfunding sono state pensate ricompense speciali; un modo per ringraziare chi ha creduto nel potenziale di “Monnalisa Bytes”, ma anche uno strumento per coinvolgere gli stessi sostenitori nel progetto. “Monnalisa Live”, per esempio, prevede l’organizzazione di serate a tema scientifico durante le quali il pubblico può partecipare e interagire direttamente con gli scienziati, mentre “Monnalisa Lab” sarà una sharing community creata all’interno di un’area privata del sito che consentirà di vedere da “dietro le quinte” come si realizzano i contenuti di “Monnalisa Bytes”. Il progetto, inoltre, sarà accompagnato da una campagna social dall’hashtag #iosonolisa, che mostrerà tutte le persone che hanno scelto di essere parte del progetto, le quali verranno premiate non solo con le ricompense previste, ma anche con un disegno personalizzato da custodire come ricordo di questa esperienza speciale.

Per maggiori informazioni: http://sostieni.link/24754




Terzo settore alla sfida della trasparenza: ecco i modelli di rendicontazione

Terzo settore alla sfida della trasparenza: ecco i modelli di rendicontazione

Pubblicato il decreto: per la prima volta gli Ets avranno schemi unificati così come le società e le altre organizzazioni non profit. Fondamentale il ruolo dei centri di servizio per il volontariato che dovranno accompagnare gli enti nell’adozione degli schemi

Per la prima volta, il Terzo settore italiano avrà un modello unificato di rendicontazione. Così come per le società e gli altri soggetti non profit, infatti, anche gli enti del Terzo settore (Ets) avranno l’obbligo di redigere il proprio bilancio consuntivo utilizzando schemi uniformi a partire dall’esercizio 2021. Gli schemi sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale lo scorso 18 aprile con un provvedimento emanato ai sensi dell’art. 13 del codice del Terzo settore, che pone le basi per una maggiore uniformità delle modalità di rendicontazione delle risorse economiche e finanziare che a vario titolo pervengono agli enti di terzo settore. Questo permette sia una comprensione più immediata ed oggettiva dei dati di bilancio, sia – in prospettiva – una loro compiuta comparabilità nel tempo e nello spazio.

Tale decreto completa il quadro della “strumentazione” a disposizione degli Ets così come prefigurata dal legislatore per dare gambe al processo di accountability degli enti di Terzo settore: le linee guida sul bilancio sociale e le linee guida sulla valutazione di impatto sociale.

Gli schemi individuati nel decreto hanno una chiara derivazione da quelli proposti dall’agenzia per il Terzo settore con proprio atto di indirizzo emanato nel 2008. A sua volta l’atto di indirizzo riprendeva ed integrava il contenuto di un primo lavoro realizzato nel 2001 dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti. Già all’epoca infatti emergeva chiaramente l’esigenza di individuare schemi di bilancio ad hoc per gli enti non profit in grado di fornire informazioni immediate sulla gestione che gli schemi previsti nel codice civile per le società, e per gli altri soggetti profit, difficilmente avrebbero potuto restituire.

Proprio la stipula della convenzione con il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti Contabili, avvenuta nel giugno del 2018, ha permesso a Csvnet di lavorare insieme ai dottori commercialisti in termini di condivisione della conoscenza ed esperienza sui temi della rendicontazione economica. E la presenza di CSVnet all’interno del Consiglio Nazionale del Terzo Settore ha consentito di monitorare l’iter con il quale i contenuti del decreto hanno assunto la loro attuale fisionomia e fornire il necessario contributo in termini di esperienza maturata dai centri durante gli anni della loro attività a fianco degli enti del terzo settore.

I nuovi schemi di bilancio interesseranno direttamente anche i Csv in quanto Ets. Pertanto l’impatto di tale provvedimento normativo si avrà anche sui soggetti che compongono il sistema dei Csv. Nel 2011 CSVnet, Acri e Forum Terzo Settore hanno adottato il “Modello Unificato di Rendicontazione delle attività dei Csv” che declina gli schemi proposti dall’Agenzia per il Terzo Settore adattandoli alle specifiche esigenze rendicontative dei centri; questa scelta oggi si rivela lungimirante. Infatti i nuovi schemi, previsti oggi per legge, adottano la medesima impostazione metodologica e contenutistica rendendo più agevole il processo di adeguamento che nei prossimi mesi interesserà anche i Csv.

La sfida che i Csv sono chiamati a raccogliere nei prossimi mesi è quella di supportare gli Ets nell’adozione dei nuovi schemi di rendicontazione economica. In tal senso va detto che i contenuti del decreto prevedono delle componenti estremamente innovative.

In primis l’introduzione di uno schema di “rendiconto per cassa” utilizzabile dagli enti con volumi di entrate inferiori a 220.000 euro in luogo dello Stato Patrimoniale e del Rendiconto Gestionale. Nel pieno rispetto dell’art. 13 del codice del terzo settore, e con l’obiettivo di semplificare il carico amministrativo/contabile in capo agli enti di più piccole dimensioni, la produzione di tale schema di rendiconto necessita dell’adozione di una contabilità di “pura cassa”. Sebbene questa sia già utilizzata da moltissimi enti sarà necessario approfondirne caratteristiche e principi oltre che delinearne i contorni e le differenze rispetto alla classica contabilità per competenza economica, evitando pericolosi approcci ibridi che ne mettano in discussione la validità. Ma la componente forse più innovativa è l’introduzione dei modelli relativi alla valorizzazione degli oneri e dei proventi figurativi. Sebbene indicati come prospetti facoltativi da riportare in calce agli schemi di bilancio (sia per competenza economica che per cassa), non c’è dubbio che siamo di fronte ad un importante novità che contempla, tra gli altri, il delicato tema della valorizzazione dell’attività di volontariato.

Il percorso è all’inizio. I contenuti del decreto gettano le basi di un nuovo modo di pensare al tema della rendicontazione economica degli enti del terzo settore. Appare evidente che non basta un atto normativo per disciplinare e risolvere un tema di così ampia portata in termini di accountability Gli schemi di bilancio dovranno superare importanti banchi di prova. Verrà verificata sul campo la loro effettiva capacità di rispondere agli obiettivi che la riforma ha delineato. Saranno necessari ulteriori interventi soprattutto in termini di definizione di specifici principi contabili che permetteranno una migliore applicazione ed interpretazione dei contenuti degli schemi di bilancio.

E in tale contesto appare decisivo il lavoro che dovrà svolgere CSVnet e la rete dei Csv affinché questo primo fondamentale tassello normativo costituisca un’accelerazione al processo avviato da tempo dalla nostra rete finalizzato a rendere l’attività degli Ets sempre più trasparente e capace di rendere conto agli stakeholder di riferimento del proprio agire.

*CSVnet

In apertura foto by mohamed Hassan from Pixabay