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Se la crisi costringe le imprese a prendersi (davvero) le loro responsabilità sociali: il caso Adidas

Se la crisi costringe le imprese a prendersi (davvero) le loro responsabilità sociali: il caso Adidas

Henrik Müller è un economista e professore di giornalismo economico al Politecnico di Dortmund, in Germania. In un commento sullo Spiegel torna sul caso Adidas per occuparsi di un tema di cui avevamo già parlato nelle scorse settimane. E cioè di come la crisi del coronavirus abbia portato a mettere rapidamente in discussione alcuni assunti del capitalismo che finora davamo per scontati (e consideravamo imprescindibili).

Adidas e gli affitti dei negozi

Adidas nelle settimane scorse aveva annunciato di voler sospendere il pagamento dell’affitto dei locali dei suoi negozi chiusi per l’emergenza. Una scelta possibile fino al 30 giugno in base alla legge anticrisi varata dal governo della Germania. Ma la multinazionale Adidas è una delle aziende più floride del Paese, con ampie riserve di liquidità, ed era stata immediatamente criticata perché si approfittava di misure pensate per imprese in difficoltà. Tanto che ha ritirato la sua decisione e si è scusata pubblicamente.

La responsabilità sociale delle imprese

«Non è passato molto tempo da quando il fatto che le aziende si concentrassero principalmente sui numeri non causava scalpore – scrive Müller -. Aumentare i profitti, tagliare i costi, riacquistare le azioni e pagare i dividendi ordinari era considerato intelligente. Ora le aziende dovranno, una dopo l’altra, ridurre i trasferimenti agli azionisti. Tali flussi di cassa in uscita sono considerati inaccettabili quando la comunità dei contribuenti interviene per salvare imprese e intere economie. Gli stipendi dei manager eccessivamente generosi e i forti differenziali retributivi sono sempre più spesso presi di mira, soprattutto nelle aziende per cui lo Stato interviene quando le cose si fanno difficili. Le decisioni del management non vengono più valutate solo sulla base del loro impatto sul conto economico, ma anche della loro responsabilità sociale».

Pubbliche relazioni

Müller ricorda che una cosa simile è successa anche dopo la crisi del 2008, quando improvvisamente si è iniziato a usare il termine Corporate Social Responsibility. In quegli anni l’amministratore delegato di una delle più grandi società quotate, che aveva appena ricevuto un premio per la responsabilità sociale, gli disse «che il certificato era appeso negli uffici del dipartimento per le pubbliche relazioni. Il messaggio era chiaro: la responsabilità sociale d’impresa serviva a vendere meglio le aziende. Per il resto, si trattava di soddisfare gli standard del mercato capitalista».

La prova di responsabilità

Più che reale senso di responsabilità era opportunismo ipocrita. Sembra moltissimo tempo fa, nota Müller. Ora moltissime persone si chiedono se l’economia di mercato sia ancora al servizio dei cittadini. Di diverso c’è un fatto non da poco: per contenere l’epidemia i governi hanno fatto appello ai cittadini. Hanno chiesto loro una grandissima prova di responsabilità, in uno stravolgimento senza precedenti della loro vita quotidiana, che costa soldi e risorse e li mette a dura prova. Alcune persone stanno perdendo tutto. Difficilmente possono accettare che un’azienda ne approfitti per mantenere alti i dividendi, o gli stipendi della sua classe dirigente che finora ha potuto accumulare molto più di quanto gli serve per vivere, quando per altri è in gioco la sopravvivenza.




Un magistero civile per l’appuntamento con il futuro

Dove siamo rimasti?

Colera,
vaiolo, tifo, per non parlare della peste nera del 1348 che ha falcidiato il
continente trasportandolo nel Rinascimento con nuovi linguaggi e tecniche;
oppure la più recente influenza ‘Spagnola’, responsabile di oltre 50 milioni di
morti in tutto il mondo, ponte con il Futurismo.

Ricordate
il Boccaccio, a proposito della peste nera e della distanza sociale che ne
scaturiva? “Li padri e le madri, i figlioli, quasi loro non fossero, di
visitare e servire schifavano”. Egon Friedell, storico austriaco, si convinse
che la peste “causò la crisi delle concezioni medievali di uomo e di universo,
scuotendo le certezze della fede che avevano dominato fino ad allora, vedendosi
in ciò un rapporto causale diretto tra la catastrofe della peste nera e il
Rinascimento”.

A
Pieter Bruegel il vecchio, con la sua vittoria della morte sull’umanità,
preferisco il futurismo e il suo slancio all’innovazione che mette in moto
energie.

Questo
appuntamento forzato con la storia ci pone seri interrogativi sulle consuetudini,
sulle organizzazioni, sugli stili di vita e sul modo di approcciarci ai bisogni
collettivi e funzionali della società del secondo postfordismo, quello
biomediatico.

Mentre
cerchiamo di combattere il Corona virus, costringendo l’umanità a restare nelle
proprie abitazioni, abbiamo modificato significativamente le modalità
convenzionali di fare città, impresa, relazione, destabilizzando le nostre
certezze acquisite nel post trauma del Novecento.

Non
mi riferisco ai wwworkers, al consumo distale di cultura e intrattenimento,
alle consegne a domicilio, alle nuove arene di incontri rappresentate dai
social.

LA
SOPRAVVIVENZA DIGITALE

C’è
dell’altro di cui parlare in questo momento, a partire dalle condizioni di
accesso alla sopravvivenza digitale.
Il digital divide tra chi ha accesso
effettivo alle tecnologie dell’informazione e chi ne è escluso è ancora troppo
importante per non considerarlo come la principale sfida del futuro (ma non
doveva essere, questa, la sfida del secolo, ribadita a Davos nel 2000?).

Condizioni
economiche, livello d’istruzione, qualità delle infrastrutture, differenze di
genere, culture urbane o rurali, l’analfabetismo informatico e funzionale,
l’assenza di connettività avanzata (banda larga), scarsa presenza di servizi
pubblici digitali sono soltanto alcuni temi che rientrano a pieno titolo nei
programmi di Governo.

È
di ormai due anni fa il progetto ‘Digital Innovation 4 SDGs’, un progetto di
advocacy di Wind Tre per diffondere la cultura della programmazione in questo
ambito a partire dai gap strutturali del Paese. Lo ricordate Jeffrey Hedberg?
Così parlava al lancio dell’iniziativa: “abbiamo individuato i maggiori gap da
colmare e le leve su cui il settore può agire per raggiungere questi ambiziosi
obiettivi, mettendo a fuoco 4 temi chiave: l’educazione, l’inclusione, la
responsabilità e il contributo all’ambiente e alla qualità della vita”.

Sono
tanti i progetti digitali intrapresi da aziende e università e mai prima d’ora
si assiste ad un profluvio di iniziative intelligenti, oneste e brillanti, ma
forse ancora troppo distanti dal Paese reale. Infatti, l’Italia si posiziona al
25° posto fra i 28 stati membri dell’Unione Europea con un indice di
digitalizzazione (strutturato in connettività, competenze digitali di base,
utilizzo di Internet e digitalizzazione di imprese e pubblica amministrazione)
del 44,3.[1]

Quante
risorse economiche abbiamo per la nostra Agenda digitale? L’Europa ha messo a
disposizione complessivamente 11,5 miliardi di euro (1,65 miliardi di l’anno)
dal 2014 al 2020, il 77% (1,27 miliardi l’anno) da fondi strutturali di cui a
fine 2018 sono stati spesi meno del 16%. Questo secondo i dati poco
incoraggianti dell’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del
Politecnico di Milano.[2]

Perché
insisto su tema? Perché in una emergenza come questa, il digitale potrebbe
cambiare radicalmente la resilienza di organizzazioni, famiglie, sistemi
produttivi, economie locali
. Perlomeno potrebbe mutare la nostra percezione
e aprire l’accesso a molti sistemi di sopravvivenza e fruizione culturale, didattica,
persino artistica.

Invece,
in queste ore, l’emergenza mette in risalto alcune fragilità cui è necessario
porvi rimedio, non appena sarà possibile, allocando finanziamenti e competenze
anche private.

ALCUNI
ESEMPI

LA SCUOLA

La cittadinanza (come progetto e come processo) passa dai luoghi fisici precisi: scuole e università, che resteranno ancora chiuse per mesi. Questi presidi inespugnabili sono luoghi di confronto e di crescita civile, politica, interpersonale. E’ fondamentale proseguire con forza nel life-long learning, ambito principale dove sperimentare nuove tecnologie digitali. Gli ambienti di apprendimento, basati su piattaforme online, servono per la continuità dell’apprendimento e per proseguire nell’intento collaborativo – fondamentale, nell’ambiente didattico – e nel confronto sistemico.

In
questo momento di rarefazione dei rapporti umani, l’assenza di strumenti e
connessioni aumenta le disuguaglianze tra le scuole e, dunque, tra i bambini;
li sottrae ai luoghi di maggiore elaborazione psicologica; impedisce la collaborazione
didattica tra insegnanti e istituzioni; impedisce il contatto con persone
provenienti da contesti di fragilità sociale, culturale, personale; aumenta la
povertà educativa; aumenta la disparità sociale; in una espressione plastica: moltiplica
l’indice epidemiologico della povertà.

CULTURA E INTRATTENIMENTO

Ma non finisce certo qui: anche la fruizione dell’immenso patrimonio culturale – e dunque il suo accesso universale – passa dalle condizioni di accesso alla rete. L’enorme tempo libero che le persone sono chiamate a gestire con nuova intelligenza può essere riempito da intrattenimento culturale con (anche) il risultato di ridurre gli impatti frustranti e logoranti dell’emergenza. Moltissime istituzioni culturali si sono lanciate da tempo nella digital transformation, con l’obiettivo di rendere fruibili mostre digitali e tour virtuali, dalle Ipervisioni degli Uffizi di Firenze, ai tour virtuali della Venaria e del Museo Egizio di Torino e dei Musei Vaticani. La cultura è ormai agile e l’intero pianeta si predispone alla fruizione gratuita e a distanza dei suoi tesori con un livello di apparati mai pensati prima. Fruirne diventerà ben presto condizione di esercizio di cittadinanza ma, ancora una volta, l’accesso dovrà essere garantito davvero a tutti.

La
trasformazione digitale in atto coinvolge anche le attività delle Industrie
Culturali e Creative
con nuove opportunità di impresa per competere nel
mercato globale al fine di diffondere know-how. Teatro e danza arrancano ma
anche per queste discipline la nuova modalità di partecipazione volatile si è
già innestata. Per l’industria culturale deve valere quanto immaginato per
l’industria pesante o per gli altri comparti produttivi: non è pensabile che il
vero motore propulsore identitario di una nazione vada in sofferenza acuta
perché tantissime produzioni sono ferme e molte altre praticamente fallite. Il
Decreto Cura Italia è un valido inizio ma “sono tuttavia necessarie e
improrogabili ulteriori misure specifiche per il settore della cultura,
drammaticamente allo stremo”, come ha dichiarato Innocenzo Cipolletta,
presidente di Confindustria Cultura Italia (CCI), Federazione Italiana
dell’Industria Culturale che riunisce le associazioni dell’editoria (AIE),
della musica (AFI, FIMI, PMI), del cinema e audiovisivo (ANICA, APA, UNIVIDEO)
e servizi per la valorizzazione del patrimonio culturale (AICC).[3]
Sul tema anche la comunità artistica italiana si è mossa da tempo con un appello
al Governo lanciato il 12 marzo dagli assessori alla Cultura delle grandi città.[4]

E-PROCUREMENT

Acquisti on line, approvvigionamenti per garantire continuità dei servizi, mobilità e transazioni finanziarie per i beni, anche essenziali. Qualche anno fa, tra i settori maggiormente proficui, c’era il Food&Grocery, che nel 2019 ha avuto un aumento del 39% (pari a 1,6 miliardi di euro). Il settore alimentare, fanalino di coda del mercato e-Commerce, che contava su un paio di punti percentuali degli incassi globali, come sarà aumentato ultimamente con il moltiplicarsi di piccole botteghe, consorzi, iniziative locali? Ma anche su questo punto esistono differenze siderali all’interno del Paese.[5]

SANITÀ DIGITALE E CONNECTED CARE

C’è un ulteriore ambito di sfida, quello alla comunità della cura. Si legge sul portale dell’AGID, che “la Strategia per la crescita digitale e il Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione hanno definito la azioni di intervento dedicate all’ecosistema della sanità digitale e le principali soluzioni finalizzate a migliorare i servizi sanitari, limitare gli sprechi e inefficienze, migliorare il rapporto costo-qualità dei servizi sanitari, ridurre le differenze tra i territori”. Queste sono: il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), il Centro unico di prenotazione (CUP), la Telemedicina.[6] Proviamo a spingerci oltre, con una visione di interconnessione permanente per la comunità scientifica internazionale che serva ai professionisti nell’aggiornamento, nell’acquisizione di risultati in tempo reale, nel confronto tra saperi non solo accademici. In circostanze come queste, il confronto in tempo reale tra studi comparabili, approcci, sperimentazioni, piani globali di intervento dovrebbe essere affidato ad una “extended peer community” in connessione con l’OMS.

  1. Tracciature, predittivita’,
    scenari con modelli di prevenzione data based
  2. Post-ricovero e
    diagnostica on demand
  3. Intelligenza
    artificiale e di machine learning nella ricerca
  4. Tracciabilità
    digitale dello stato di salute e dei servizi al cliente
  5. Per promuovere la
    formazione mobile learning degli operatori sanitari
  6. Big data e
    agenzie europee

La
sanità digitale e i progetti di connected care serviranno a poco senza una voce
unitaria rappresentativa
che nei momenti di crisi acuta fornisca dati
inoppugnabili e prese di posizione ufficiali validate con cura. Il decisore
politico ha bisogno di elementi oggettivi di valutazione, anche per affinare la
propria capacità esecutiva e ha enormemente bisogno di tutte le competenze
necessarie per allestire scenari predittivi e per allocare le risorse in sanità.

Di
più. Alla sanità digitale credo vada affiancata una maggior capillarità del
presidio fisico diffuso perché la cosiddetta medicina di famiglia, che gestisce
le prime cure in ambiente extraospedaliero, dovrebbe essere ripensata, anche in
relazione ai troppi luoghi di cura dismessi e alla prevenzione.

Nella
resilienza dei territori, per esempio, non possediamo ancora paper aggiornati provenienti
dalla comunità scientifica che nel tempo siano diventati pilar di riferimento. Il
principio della competenza, grazie all’emergenza in atto, sta riportando le
persone a fidarsi della scienza e questo atteggiamento nuovo, tutt’altro che
scontato poche settimane or sono, impone all’agenda governativa la necessità di
dotarsi di strumenti seri e affidabili nella programmazione degli interventi.
Anche
qualche élite apolide e cosmopolita ha abbracciato analisi multidisciplinari,
composte da elementi sociologici, geopolitici, economici, lontane da luoghi
comuni, rigidità ideologiche, giochi delle parti.

INFODEMIA

Tuttavia, mai come oggi, c’è la necessità di fermare un’emergenza nell’emergenza: il prurito infodemico che mette insieme voci psicotiche, fenomeni di auto polarizzazione, eccesso di dati non vagliati, bias pregiudizievoli. Nell’epoca della post-verità (alternative facts, fake news, doublespeak, doublethink, backshoring, alternative right), il ‘fatticidio’ e il pensiero bipolare della rete devono trovare risposte toniche da parte del Governo attivando la task force per combattere la disinformazione.

Questa
emergenza mostra il lato meno edificante di un capitalismo immateriale che non
tiene in sufficiente conto il rischio di nuove conflittualità sociali basate
sul possesso di false informazioni nel gioco dell’intermediazione
.

A
fine crisi il bilancio dei morti, dei punti di PIL persi, delle imprese chiuse,
delle inadempienze e delle cecità di qualche decisore, potrebbe moltiplicare i
focolai di sovranismo psichico che conducono al sentimento di rivalsa, quando
non di vero rancore sociale.

In
questo risentimento diffuso, latente, siamo abituati a ritenere che le notizie
false, le bolle di filtro e le post-verità siano cose che influenzano altre persone,
molto più di noi stessi. Da una ricerca IPSOS del 2018, il 65% delle persone
intervistate in 27 Paesi ritiene che la persona media nel proprio Paese viva in
una bolla su Internet, connettendosi solo con persone come loro e cercando
opinioni con cui sono già d’accordo.[7]  In una felice sintesi di Annamaria Testa
questo fenomeno viene letto così: “tutto ciò dà origine a un ulteriore paio di
distorsioni cognitive: l’euristica della disponibilità (availability euristic)
fa sovrastimare la frequenza dei fatti (negativi) di cui più spesso si ha
notizia, mentre il bias di conferma (confirmation bias) spinge a cercare
notizie, pareri ed evidenze che sostengono ciò di cui si è già convinti, e
soprattutto a ignorare tutto ciò che contrasta con le convinzioni pregresse”.[8]

Il
prurito infodemico è un’emergenza sociale per la quale non abbiamo ancora
generato i giusti anticorpi e le necessarie medicine.

Altri appunti per la ripartenza, in ordine sparso e poco approfonditi.

CITIES
ARE BACK IN TOWN

L’offerta
di città sembra seguire prevalentemente strade da tempo note: espansione
quantitativa con sensibili incrementi dell’inquinamento e riduzione degli spazi
agricoli, gestione della rendita fondiaria, sostegno alle attività economiche
attraverso l’uso del suolo urbano, risposta in termini di dotazioni standard
per servizi e infrastrutture, organizzazione del mercato immobiliare per
residenza e attività produttive.[9]
Nella prossima fase di convivenza con il virus, la gestione dei flussi, la
modellazione riferita agli scenari della mobilità, gli spazi aperti e l’offerta
abitativa, resteranno gli stessi?
Occorre porsi da subito questa domanda e
adoperarsi per individuare scelte opportune.

NUOVI
PROFESSIONISTI DELLA COMPLESSITÀ

Le
professioni tecniche possono dare un forte contributo proprio sull’adeguatezza
di questa analisi, da svolgere assolutamente nella fase – oggi carente – della
pianificazione post crisi.

Inutile
ripetere che è proprio dal confronto competitivo delle idee che potranno
emergere i progetti innovativi di cui il Paese ha bisogno e, inoltre, gli
elementi concreti di sussidiarietà pubblico-privato dai quali far nascere una
macchina amministrativa più snella ed efficiente di quella attuale.

La
competenza è sinonimo di “capacità personale di assunzione di responsabilità”
ed è generata dall’insieme indissolubile delle conoscenze teoriche e
l’esperienza professionale maturata sul campo.
Non è ricorso a tecnicismi
né a posizioni avanguardiste fini a sé stesse; si tratta di un necessario e
inderogabile ricorso a quel ‘saper fare’ onesto, verificabile,
interdisciplinare, di cui oggi abbiamo tutti estremamente bisogno.

NUOVO
UMANESIMO PER LA CULTURA TECNICA

Occorre
un vero e proprio nuovo umanesimo per coloro che si occupano di consolidare la
cultura tecnica, capace di riattivare la fiducia tra le persone e limitare la
burocrazia di alcune procedure e dei format, che rende vittime in primo luogo i
cittadini e i professionisti onesti.[10]
Ciò significa anche recuperare la centralità della rappresentanza che, per noi,
significa dover dare cittadinanza alle paure nel tentativo di scappare dal
pessimismo, dalla rabbia. Spesso la presunzione di competenza non è stata sentita
dalle persone come importante, come fattore distintivo e positivo; tuttavia la
sfida culturale è proprio tornare al principio di competenza per far
funzionare le cose, al servizio del Paese.

CONOSCERE E GESTIRE LA VULNERABILITÀ DELLE CITTÀ

Sulla
spinta dell’incremento demografico e dell’iperurbanizzazione, le città  rappresentano opportunità di sviluppo ma sono
anche lo spazio delle potenziali vulnerabilità della contemporaneità. In questa
emergenza abbiamo imparato che l’ambito urbano è il terreno utile dove individuare
ecosistemi digitali integrati, citizen-centred e user-oriented, che traggano
linfa da una stessa data platform urbana, ma che allo stesso tempo siano
interoperabili tra le città e sfruttino una curva di esperienza comune delle
città.

La
città, per come la conosciamo oggi, rappresenta la vera sfida del secolo
prossimo venturo: le sue condizioni di vivibilità, di nuovi modelli di
infrastrutturazione e degli ambiti di conurbazione, i nuovi modelli
partecipativi per il coinvolgimento narrativo degli abitanti e – infine – lo
sviluppo di capacità predittiva di scenario per affrontare eventi traumatici e
il consueto stress test quotidiano.[11]
Sullo
sfondo restano le sfide comunitarie già condivise in Consiglio: “la transizione
verde (con tutti i provvedimenti del Green deal della Commissione Von der
Leyen) e la trasformazione digitale (che significa anche innovazione, ricerca e
conoscenza), con in più la tutela della salute (compreso l’annullamento delle
disuguaglianze territoriali) e la lotta alla povertà.”[12]

NEL
FUTURO, UN’IDEA DI PRESENTE

Emergono
dunque molteplici temi tecnici specifici, come: la messa in sicurezza degli
edifici pubblici e delle infrastrutture, la mappatura del costruito, la
resilienza urbana, la modellazione dei flussi e il ripensamento delle reti per
la mobilità, l’intelligenza artificiale applicata all’acqua, la tracciabilità
di tutti gli interventi di manutenzione, la progettazione integrata, la
capacità complessiva di gestione delle emergenze
, l’attrattività dei
territori e… tanti altri ancora.

CITTADINANZA
PARTECIPATA

L’obiettivo
a lungo termine è accorciare ulteriormente le distanze tra il governo della
città e i cittadini. Per raggiungere lo scopo esistono ‘patti’ sperimentali,
a geometria variabile
, che superano il monopolio del potere: dalla
consultazione alla deliberazione pubblica, dalle esperienze di co-governance
alle pratiche di e-democracy (petizioni on line, referendum, ecc). Le arene
deliberative sono utili per condividere il carico dell’impatto potenziale che
alcune scelte pubbliche hanno sull’intero sistema locale. Obiettivo è aumentare
la consapevolezza delle scelte condivise e creare comunità orizzontali
pronte a compattarsi di fronte a emergenze analoghe a quella che stiamo
vivendo.

Dopo
l’emergenza si dovranno ricucire quartieri, frazioni, spazi reali dove le
persone hanno vissuto insieme fino a qualche settimana prima, dove si sono
contaminate, dove hanno condiviso lavori, tempo libero. Serve un vero e
proprio ‘patto di consapevolezza’ per riscoprire una nuova cittadinanza
incentrata sul concetto chiave del ‘NOI’
, dove i temi guida sono: salute
pubblica, welfare, responsabilità, condivisione. Il linguaggio della politica potrà
ridefinirsi (e riqualificarsi) a partire da questa consapevolezza, abbandonando
rabbia e frustrazione come unici (e comodi) driver della consapevolezza emotiva
collettiva.

 Nell’amministrare una città crediamo che si
debba giungere a decisioni lungimiranti all’altezza della complessità della
società locale, caratterizzata dall’interdipendenza dei diversi elementi che la
compongono e dalla vocazione dei territori. Vogliamo puntare
sull’intelligenza collaborativa
per valorizzare talenti, esperienze
positive, creatività sommersa. Sono molte le persone e i gruppi che creano
contenuto e possono influire sui comportamenti organizzativi, sui processi e
sugli obiettivi. Dalle aziende al volontariato, passando per le scuole, è
giunto il momento di puntare sulle comunità diffuse.
Mai come in questo
momento storico si assiste ad una mutualità di contenuto a partire dalle
università, dai centri di ricerca e da alcune aziende che hanno avuto il
coraggio di ripensarsi anche in termini produttivi.

PREDITTIVITÀ (QUESTA SCONOSCIUTA)

Gestione
dei rischi, predittività degli shock e dei cambiamenti sono azioni necessarie
per progettare un futuro più resiliente e capace di anticipare le mutazioni degli
stili di vita di ciascuno di noi.
Il post
Corona Virus ci dovrà abituare a gestire situazioni di grande stress che non avevano
considerato prima con il giusto acume: dai trasporti inefficienti, alle
condizioni mutate di lavoro, alla famiglia mutante, all’offerta di salute
sempre più accentrata nelle grandi città. Altri temi si sono imposti all’agenda
politica, non senza isterismi o ingenuità: allagamenti, sversamenti, collasso o
inadeguatezza dei sistemi di mobilità, ondate migratorie, carenza di alloggi
residenziali pubblici, chiusura di attività economiche, degrado ambientale e
dei boschi, innalzamento della temperatura in città. Tutti temi importanti
che richiedono una strategia di lungo respiro che traguardi al 2030 con tutta
l’intelligenza possibile.

VERSO L’IDENTITÀ DEI LUOGHI

C’è
lo spazio anche per difendere l’identità di luogo, mantenendo le sue forme
materiali e simboliche.
Ogni realtà locale ha una propria ricchezza che si
perde nel passato e che deve proiettarsi nel futuro: rispettosi delle
interdipendenze che legano i destini degli uni e degli altri. La generazione di
paesaggio che garantisca la tutela dell’identità e la riproducibilità culturale
può rappresentare un’opportunità. Nell’offerta turistica si deve tornare a valorizzare
il suolo, la vegetazione, il clima, i sapori, l’agricoltura. Si deve
ricostruire il codice genetico dei luoghi per ripensare le funzioni ecologiche
e paesaggistiche
comprese l’ospitalità agrituristica con funzioni
didattiche e scientifiche. Il paesaggio, da questo punto di vista, ha la
capacità innata di favorire sistemi economici locali.[13]
Gli intenti della Carta di Gubbio del 1990, presentata dall’associazione
nazionale dei centri storici (Ancsa), che propone l’estensione del concetto di
salvaguardia e valorizzazione della città storica al ‘territorio storico’, possono
essere ora facilmente compresi.

In
queste difficili settimane, anche i luoghi di transito e gli spazi abbandonati
in città sono diventati risorsa anche agli occhi dei meno esperti, per ricavare
luoghi di cura temporanea, transito in sicurezza, momento di svago misurato.

Esistono
luoghi ‘spazzatura’ che una goffa gestione pubblica ha consegnato alle nuove
generazioni e che oggi devono essere ripuliti, riconvertiti, rigenerati a vita
nuova per vitalizzare interi quartieri con nuovi insediamenti sociali e
imprenditoriali: da questo punto di vista i vuoti urbani e gli spazi non più
utilizzati si offrono come opportunità per ripensare le funzioni del
territorio sviluppando nuove sinergie tra pubblico, privato e sociale.[14]

‘Gli
immobili iniziano a muoversi’ in presenza di uno sforzo di mediazione
intelligente, quando si realizzano più interessi convergenti dei molti attori
che sono alla ricerca di una soluzione innovativa.

LA
SALUTE PUBBLICA

Investire
in benessere per i più deboli, gli anziani, i meno fortunati è il miglior
sistema per semplificare la quotidianità e ridurre gli impatti economici della
solitudine e della malattia. Basti pensare ai dispositivi per la salute
digitale che riducono il ricorso alla grande ospedalizzazione: adozione di
strumenti di telesoccorso domestico, percorsi audio per ipovedenti, sistemi
integrati di diagnostica in tempo reale. Le aree urbane e quelle poco
urbanizzate possono essere attrezzate con sensori, presidi informativi, nuova
mobilità (anche assistita) per garantire un nuovo welfare municipale
innovativo, anche con il concorso di privati e centri di ricerca.

IL
MAGISTERO CIVILE

Ho
chiamato questo appunto ‘Un magistero civile per l’appuntamento con il
futuro’
perricondurre all’idea di un lavoro non retorico, non
ipocrita, non silenzioso, non compromesso di cui occorre preoccuparci per tempo
e che coinvolgerà tutti: professionisti, istituzioni, corpi intermedi,
cittadine e cittadini. E’ una riflessione iniziale, sulla quale innestare
ulteriori affondi e precisazioni ma che scaturisce dal lavoro quotidiano a
stretto contatto con aziende pubbliche, importanti brand, utenti di ogni
latitudine.

Questo
il mio convincimento finale: nelle agenzie di comunicazione, nei nuovi media,
nelle redazioni e negli staff elettorali, nei vari dicasteri per la
programmazione, questo appuntamento con la nostra vulnerabilità latente dovrà
farci assumere nuovi atteggiamenti, predisporre altri linguaggi, presagire tutti
gli scenari possibili.
La nuova socialità che stiamo sperimentando in
questa emergenza, infatti, ha già mutato la percezione dei singoli e forse
tocca mettere mano con maggiore impegno alle nostre agende: lo stato d’animo
del Paese non può attendere oltre.


[1] https://ec.europa.eu/digital-single-market/desi

[2] https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/agenda-digitale

[3] https://agcult.it/a/16546/2020-03-26/dl-cura-italia-cipolletta-cci-bene-governo-e-parlamento-ma-per-cultura-serve-ulteriore-sforzo

[4] Hanno
firmato anche Carlo Verdone, Michelangelo Pistoletto, Roberto Bolle, Michele De
Lucchi, Carla Subrizi, Giorgia, Roberto Saviano, Alessandro Michele, Antonio
Monda, Domenico Procacci, Enrico Rava, Marcello Fois, Diego De Silva – tra gli
altri – che si aggiungono a Achille Bonito Oliva, Eleonora Abbagnato, Stefano
Accorsi, Manuel Agnelli, Luca Argentero, Marco Bellocchio, Massimo Bray,
Ascanio Celestini, Giancarlo De Cataldo, Isabella Ferrari, Nicola Lagioia, Gigi
Proietti, Leonardo Ferragamo, Paolo Sorrentino e molti altri ancora. Sono in
totale 270 gli esponenti del mondo della cultura che hanno aderito all’appello
degli assessori per chiedere al Governo un sostegno immediato per la crisi
dovuta al contenimento del Covid-19. Gli assessori alla cultura delle città di
Verona, Brescia, Padova, Treviso, Ruvo di Puglia, Venosa, Parma, Forlì, Rovigo,
Belluno, Noicattaro, Giovinazzo, Savona, Vicenza, Fabriano, Perugia, Pesaro,
Rimini e Trento si sono inoltre aggiunti ai promotori.

[5] https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/comunicati-stampa/food-grocery-online-crescita-valore-2019

[6] https://www.agid.gov.it/

[7] https://www.ipsos.com/ipsos-mori/en-uk/fake-news-filter-bubbles-and-post-truth-are-other-peoples-problems

[8] https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2018/09/10/italiani-percezione

[9] http://www.inu.it/38677/segnalazioni/scenari-per-leuropa-delle-citta/

[10] https://www.ingenio-web.it/2083-certificazione-qing-valorizzare-la-professione

[11] http://www.gdc.ancitel.it/smart-city-e-sinonimo-di-ecosistemi-digitali-integrati-a-livello-urbano/

Sul tema si veda anche: http://www.almanacco.cnr.it/reader/cw_usr_view_articolo.html?id_articolo=9890&id_rub=32&giornale=9979

[12] https://www.urbanit.it/citta-ruolo-centrale-nel-dopo-coronavirus/?fbclid=IwAR0FJBMK6RVnhbn8ZCpIH4W_LlIGfujJBSOIcJ9sRtnm9K60-QMX8hOxIas

[13] https://www.bollatiboringhieri.it/libri/alberto-magnaghi-il-progetto-locale-9788833921501/

[14]Esempio
di analisi del patrimonio urbanistico: https://unaltracittatrieste.home.blog/2020/04/01/il-comune-scopre-i-buchi-neri-non-e-facile-stanare-gl-spettri-di-roberto-dambrosi-anna-laura-govoni-livia-rossi/?fbclid=IwAR2rFNKhUNGBXvCcmYaj_Qmkgw-ORASYJKba89ePC-LvNwyI9eE28jejlD4.
Vedasi anche l’immenso lavoro realizzato per la riqualificazione degli scali
ferroviari di Milano: http://www.scalimilano.vision/




Enrico Giovannini: «Il domani non è mai uno solo»

Enrico Giovannini: «Il domani non è mai uno solo»

Siamo nella tempesta più difficile, ma perché non proviamo a sfruttare questo vento? L’economista portavoce di uno sviluppo più sostenibile e più equo spiega come potremo ripartire. Senza per forza dover tornare al punto di prima

Gli esperti di «studi sul futuro» tengono a specificare che, nella loro disciplina, si dovrebbe sempre parlare di «futuri», al plurale. E non solo perché, come diceva Niels Bohr, premio Nobel per la Fisica nel 1922, «è difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro», ma perché possiamo scegliere il futuro (è il titolo del mio libro del 2014, edito da Il Mulino), non solo subirlo.

Mi rendo perfettamente conto che può essere difficile leggere queste righe, in un momento così drammatico, senza scetticismo, o senza provare un moto di fastidio.

Un tempo nel quale il numero di contagiati dal coronavirus e il numero dei morti aumentano ogni giorno in tutto il mondo. Un tempo in cui metà della popolazione mondiale subisce restrizioni senza precedenti alla libertà di movimento. Un tempo in cui il senso stesso del futuro appare stravolto. Ma è proprio in questo tempo che siamo chiamati a ragionare sul domani che vogliamo costruire come individui, come società, come comunità umana che abita il pianeta Terra.

Da un mese a questa parte i siti web di tutto il mondo sono pieni di riflessioni di esperti di diverse discipline sui futuri che possiamo decidere di realizzare: futuri di condivisione e solidarietà o futuri di conflitti e scontri tra società e tra gruppi sociali; futuri in cui la tecnologia ci consentirà di trasformare in meglio la nostra vita, offrendo nuovi spazi di libertà o futuri in cui la tecnologia sarà usata per controllare le persone e realizzare torsioni dei sistemi politici in senso antidemocratico; futuri in cui lo Stato assumerà un ruolo molto più ampio di quanto sperimentato negli ultimi quarant’anni per proteggere le persone e orientare le scelte verso il benessere collettivo o futuri in cui lo Stato collasserà a causa dell’insostenibilità finanziaria; futuri che trasformeranno in meglio le società, che finalmente sceglieranno di migliorare l’ambiente e abbandoneranno il consumismo sfrenato, o futuri che renderanno tutti molto più poveri e aumenteranno le disuguaglianze.

Solo tre mesi fa (ma sembra passata un’era geologica), i leader mondiali discutevano a Davos, in occasione dell’annuale World Economic Forumsu come avviare una trasformazione profonda del capitalismoper renderlo più sostenibile sul piano ambientale e meno diseguale su quello sociale. E si citava il numero crescente di imprese che abbracciavano i nuovi principi di responsabilità sociale d’impresa, impegnandosi a contribuire alla realizzazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, approvata da tutti i Paesi del mondo il 25 settembre 2015, e al conseguimento dei suoi 17 obiettivi e 169 sotto-obiettivi. E si citava la straordinaria trasformazione (mai vista negli ultimi 35 anni, dicevano gli esperti mondiali) della finanza, finalmente orientata a imprese e progetti finalizzati alla realizzazione dell’Agenda 2030, alla transizione energetica, all’adozione dei principi dell’economia circolare. E i politici presentavano i loro Green New Deal, cioè i piani finanziati dai governi per trasformare i sistemi economici e combattere la crisi climatica, così da rispondere alla domanda di cambiamento proveniente dai giovani di tutto il mondo.

E ora, al tempo del coronavirus, dove sono quelle idee, quelle speranze, quegli impegni che facevano dire ai tanti che da anni spingevano per la trasformazione del modello socio-economico che era finalmente «la volta buona»? Dove sono quei politici, quei leader delle imprese e della finanza, quegli opinion leader e quegli attivisti di tutto il mondo? Tutto dimenticato? Tutto accantonato in nome della necessità di fronteggiare la drammatica caduta del reddito, dei consumi, delle attività economiche e dell’occupazione che stiamo osservando in tutto il mondo e che ci aspettiamo sarà senza precedenti?

Per ora sembra sia così. Ma basta ricordare per un attimo che è doveroso parlare di «futuri» possibili che la nostra attenzione si risveglia e che l’innata capacità dell’uomo di immaginare il domani (qualcuno dice che questa, al contrario dell’intelligenza, sia presente solo nella nostra specie) ci aiuta a recuperare lucidità e a capire che a questa crisi possiamo reagire in tanti modi, e che da questo dipenderà il nostro futuro. Per esempio, possiamo rifiutare la classica logica dei «due tempi» (ora mi occupo dell’emergenza, al resto penserò dopo), scegliendo di orientare le politiche e le scelte individuali non al rimbalzo indietro, cioè al tentativo di tornare a dove eravamo prima della crisi, ma a un «rimbalzo in avanti», verso un futuro diverso e, sperabilmente, migliore.

Prendiamo l’Italia. Come dimostrato dai dati elaborati dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) a febbraio di quest’anno, il nostro Paese non era su un sentiero di sviluppo sostenibile. Povertà, disoccupazione, inquinamento, disuguaglianze tra gruppi e territoriali, bassa educazione, profondi divari nell’accesso ai servizi sanitari e educativi, alta evasione fiscale (110 miliardi all’anno) e così via. Ma veramente vogliamo tornare a dove eravamo? O piuttosto non dobbiamo impegnarci per stimolare una «resilienza trasformativa», cioè ridurre al massimo la caduta del reddito e la distruzione di base produttiva, proteggere i più deboli e rafforzare il sistema sanitario, ma anche preparare e orientare la ripresa e la ricostruzione per migliorare i diversi aspetti della qualità della vita?

Alcuni esempi. Ogni anno lo Stato eroga a famiglie e imprese 19 miliardi di sussidi che danneggiano l’ambiente e 16 miliardi di sussidi che favoriscono l’ambiente. Ogni anno lo Stato riconosce decine di miliardi di spese fiscali, cioè di detrazioni e deduzioni per motivazioni diverse, definite nel corso degli anni da governi di vario orientamento. Ebbene, non sarebbe il momento di operare una profonda revisione degli incentivi e delle spese fiscali alla luce delle nuove priorità e urgenze?

Molte imprese ripenseranno le proprie catene di fornitura. Alcuni pensano che la globalizzazione diventerà regionale, cioè che le imprese preferiranno rivolgersi a fornitori più vicini sul piano territoriale, all’interno di aree geoeconomiche più omogenee. Questa tendenza rappresenta un’opportunità per il nostro Paese, la seconda manifattura d’Europa, a patto di rivedere le procedure amministrative che presiedono all’insediamento di nuove imprese e il sistema degli incentivi, nel rispetto delle regole ambientali e del rispetto dei diritti dei lavoratori.

L’esperimento forzato di smart working che milioni di persone stanno facendo può cambiare il modo in cui le imprese e le città funzionano. Per esempio, se tante imprese manterranno questa pratica anche dopo la rimozione dei divieti di movimento, ma lo faranno in modo disordinato (per esempio, tutte il venerdì), le nostre città continueranno a essere intasate e inquinate per quattro giorni a settimana, invece che cinque. Se, al contrario, la politica coordinasse meglio le decisioni delle imprese, si potrebbe avere una riduzione del traffico e dell’inquinamento per tutta la settimana.

L’esperimento forzato di smart learning che i docenti e gli studenti stanno facendo ha trasformato tante case in aule universitarie e scolastiche e ha obbligato tutti a elaborare nuovi approcci educativi. Visto che l’Italia non dispone di un programma sistematico di formazione continua degli adulti, non si potrebbe, una volta che le ragazze e i ragazzi siano tornati in classe, sfruttare questa innovazione per impostare un tale programma a costi contenuti? Nel momento in cui si immettono nel mercato ingenti fondi pubblici finalizzati al sostegno delle imprese, non sarebbe possibile orientarli anche verso l’adozione di tecnologie e pratiche innovative nella direzione dell’economia circolare, paradigma in grado di ridurre l’impatto ambientale, aumen- tare l’occupazione e ciononostante incentivare produttività e redditività (fino al 15%, come indicano i dati dell’Istat pub- blicati l’anno scorso)?

E si potrebbe continuare. Come dice quel famoso motto di Seneca: «Non c’è vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare». Ecco perché, nonostante la drammatica tempe- sta in cui siamo, spetta a noi cercare di governare le vele e la barca per cercare di portare il nostro Paese su un sentiero di sviluppo sostenibile. Possiamo, quindi, abbracciare i principi dell’Agenda 2030 per guidare i nostri comportamenti individuali e collettivi anche in questa situazione, e così costruire un modello più sostenibile sul piano economico, sociale e ambientale più giusto. Oppure possiamo affidarci alle stesse impostazioni culturali e politiche che hanno reso le nostre società vulnerabili e diseguali, fino alla prossima crisi. A noi spetta scegliere il futuro che vogliamo. Forse non sarà la «ter- ra promessa», da alcuni, ma la migliore per tutti tra quelle permesse.

Enrico Giovannini, 62 anni, è un economista e docente universitario. È stato ministro del Lavoro sotto il governo Letta e presidente dell’Istat. È cofondatore e portavoce di ASviS.




Coronavirus, Twitter: Jack Dorsey dona un miliardo di dollari in beneficenza

Coronavirus, Twitter: Jack Dorsey dona un miliardo di dollari in beneficenza

La donazione pari al 28% del suo patrimonio (3,6 miliardi di dollari) per l’Covid, e in parte per la salute e l’istruzione delle donne. Il ceo della compagnia californiana promuove il reddito di base universale

L’amministratore delegato di Twitter Jack Dorsey ha annunciato che donerà 1 miliardo di dollari per finanziare gli sforzi di soccorso al coronavirus, ma anche fare beneficenza ad altri enti. Dorsey ha spiegato che l’importo è pari a circa il 28% del suo attuale patrimonio netto, che sarebbe di circa 3,6 miliardi di dollari.

L’operazione sarà attuata trasferendo la somma in azioni di Square al suo fondo Start Small con l’obiettivo di sostenere questioni come la salute e l’istruzione delle ragazze, insieme all’idea di un reddito di base universale, attraverso il suo fondo Start Small. “Il reddito di base universale” è una grande idea che necessita di sperimentazione. La salute e l’istruzione delle ragazze sono fondamentali per l’equilibrio”, ha sottolineato in una serie di tweet.

“Perché ora? Le esigenze sono sempre più urgenti, e voglio vedere l’impatto nella mia vita. Spero che questo ispiri altri a fare qualcosa di simile. La vita è troppo breve, quindi facciamo tutto il possibile oggi per aiutare le persone adesso”, ha detto.

Dorsey ha postato un link a un documento di Google, che ha detto che sarà aggiornato per mostrare dove vanno i soldi nel tentativo di mantenere la massima trasparenza.




Analisi del sangue, app sanitaria e tracciamento dei contatti: il piano Ferrari per la fase 2

Analisi del sangue, app sanitaria e tracciamento dei contatti: il piano Ferrari per la fase 2

Maranello ha svelato i dettagli del piano “Back on Track”, per la ripartenza sicura delle sedi di Modena e Maranello

Ferrari scalda i motori per la ripartenza per il dopo emergenza Covid-19. La casa del Cavallino ha svelato i dettagli del piano “Back on Track” (“Torna in pista”), nato per le sedi di Modena e Maranello dalla collaborazione con un pool di virologi ed esperti e patrocinato dalla Regione Emilia Romagna.

L’obiettivo non è anticipare la riapertura – la data per il ritorno in fabbrica sarà decisa dal Governo – ma aprire in modo sicuro.

Il progetto prevede diverse fasi. Si pare con la piena attuazione del «Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro» sottoscritto da Governo e parti sociali il 14 marzo 2020, ulteriormente rafforzato e personalizzato con il supporto di competenze specialistiche qualificate sugli ambienti di lavoro Ferrari.

Screening con analisi del sangue

La fase successiva prevede uno screening dei collaboratori Ferrari, su base volontaria, con esami del sangue mirati a verificare il loro stato di salute in relazione alla diffusione del virus. Il test – completamente gratuito per i lavoratori – sarà poi esteso, sempre su base volontaria, ai membri della “Comunità Ferrari”: i familiari conviventi dei collaboratori e il personale dei fornitori presente in azienda.

Rilascio di un’App sanitaria

Si proseguirà poi dando a ogni collaboratore l’opportunità di scaricare un’App per ricevere supporto medico sanitario nel monitoraggio della sintomatologia del virus. Grazie all’applicazione sarà possibile anche il tracciamento dei contatti delle singole utenze, in forma anonima e aggregata. La gestione dei dati sarà affidata a una società esterna ed estranea a Ferrari, che così non avrà accesso alle informazioni individuali su spostamenti e contatti dei singoli lavoratori. Questi dati saranno però utili in caso di positività al Covid-19 di un utente, permettendo di ricostruire con certezza i suoi contatti all’interno della “Comunità Ferrari”.

Psicologo in fabbrica e assistenza ai casi di Covid-19

Ferrari fornirà inoltre un servizio di assistenza sanitaria e psicologica, telefonica e domiciliare, alle proprie persone. In caso di positività al Covid-19, verrà loro messa a disposizione una copertura assicurativa specifica oltre a un alloggio adatto all’autoisolamento, con assistenza medica e infermieristica a domicilio e supporto di materiale sanitario (quali medicinali, ossimetro e, nel caso di emergenze, ossigeno).

Collaborazione con la Regione Emilia Romagna

Ferrari condividerà l’esito del progetto “Back on Track” con la Regione Emilia Romagna, con l’obiettivo di mettere a disposizione della comunità delle imprese regionali e nazionali le pratiche e il know-how del progetto, in modo gratuito.

Team di scienziati

Per sviluppare gli aspetti scientifici la casa di Maranello è in stretto contatto e collabora con la USL di Modena e potrà contare anche sulla consulenza, tra gli altri, del dottor Nicola Bedin, Presidente di Lifenet Healthcare, e del professore Roberto Burioni dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano; oltre al pool sanitario di medici Ferrari coordinati dal dottor Maurilio Missere.

John Elkann: «Progetto a tutela dei lavoratori»

Il progetto è stato citato anche dal presidente John Elkann nella lettera agli azionisti Exor: «Abbiamo definito – scrive Elkann – sistemi e protocolli per permettere la riapertura graduale e in sicurezza dei nostri luoghi di lavoro, in stretta collaborazione con i rappresentanti dei nostri lavoratori e le autorità sanitarie competenti. I risultati di questo progetto – ha chiarito Elkann – verranno condivisi a livello locale e in tutto il mondo per contribuire alla creazione di nuove procedure per la protezione della salute dei lavoratori in ognuna delle loro comunità».