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C’è una formula magica per la credibilità dei brand?

C’è una formula magica per la credibilità dei brand?

Io l’ho trovata in un rifugio di montagna.

L’estate dei miei sedici anni andai a lavorare in un rifugio di montagna. Un giorno mi trovavo alla cassa, e il gestore mi indicò una coppia di signori francesi, dicendomi che quando fossero venuti a pagare, avrei dovuto sbagliare di proposito il resto. Mi disse di dar loro venti euro più del dovuto.

Non amava fare beneficenza: pagava un affitto, i fornitori, la luce, il gas, e aveva dei dipendenti, anche se lui preferiva definirci “collaboratori”.

Ci teneva a condividere le scelte gestionali con noi, persino quando si trattava dell’ultimo arrivato, nonché il più scarso lavapiatti che il rifugio ricordi: me. Mi spiegò che voleva metterli alla prova quei signori francesi.

In quel luogo, i rapporti tra le persone e il rispetto per il lavoro erano più importanti di ogni altra cosa.

Se i turisti francesi non avessero comunicato l’errore, sarebbero finiti sulla “lista nera”. Niente di grave: avrebbero semplicemente lasciato il rifugio senza qualche consiglio non richiesto. Un sentiero sconosciuto anche ai più esperti escursionisti, o un libro o un film o anche un semplice aneddoto o una citazione.

Io sono una persona sospettosa. E vorrei poter dire che questa mia attitudine al sospetto è un problema solo mio. Sviluppatosi magari grazie alle innumerevoli fregature che le compagnie telefoniche mi hanno rifilato nel corso degli anni. Ormai pure mia madre conosce il significato di termini come “green washing”, senza contare che lei è nata e cresciuta nei decenni d’oro delle multinazionali del tabacco, quando ci dicevano (studi scientifici alla mano) che i loro prodotti non erano dannosi.

Pubblicità della Chesterfield (da: https://tiragraffi.it/2016/11/30-pubblicita-vintage-sigarette-fumo-faceva-bene/)

Ma in fin dei conti, in un mondo in cui larga parte della popolazione non crede che l’uomo sia andato sulla luna o nel surriscaldamento globale, come si può dare per scontata la credibilità di un’attività, quella dei brand, il cui obiettivo dichiarato è massimizzare il consenso intorno al proprio prodotto?

Meritevole iniziativa del brand Ferragnez

Oggi i brand sono sempre più esposti al rischio concreto che le proprie iniziative, per quanto meritorie, provochino un po’ la stessa spiacevole sensazione che si prova quando un amico si vanta di aver fatto beneficenza.

Un buon esempio di cosa voglia dire il termine “credibilità” nel 2020 ce lo ha fornito proprio in questi giorni la piattaforma per il lavoro a distanza Slack. Non tanto con il Tweet del 2 giugno – con il quale l’azienda si definiva inorridita e disgustata per l’omicidio di George Floyd e per il più ampio contesto di brutalità poliziesca contro le persone nere – ma piuttosto con la recente rimozione di un post contenuto nel suo blog aziendale.

In quel post, l’azienda si vantava del fatto che il dipartimento di polizia della città di Hartford (Connecticut) usasse il suo servizio per scambiarsi informazioni sulle indagini. Sebbene alcuni dipendenti afroamericani dell’azienda l’avessero già chiesta diversi anni prima, la rimozione del post è avvenuta solo nei giorni scorsi, in concomitanza con lo scoppio delle proteste per l’assassinio di George Floyd. Probabilmente un lodevole tentativo di recuperare il tempo perso, come testimoniano le riflessioni non banali postate su Twitter dalla società dopo il messaggio del 2 giugno a sostegno delle proteste. L’unica certezza che è rimasta al pubblico però, è il tempismo sospetto dell’operazione portata avanti da Slack.

Alcune delle riflessioni di Slack sul proprio profilo Twitter

Comunque, se questa storia può insegnarmi qualcosa, è che nella maggior parte dei casi la credibilità si costruisce con costanza e in tempi non sospetti. Ma anche questa regola, non è un dogma. Lo sa bene il negozio indipendente di giochi Itch.io che ha messo insieme un bundle di 740 videogiochi e risorse per sostenere i costi legali necessari a proteggere gli attivisti che stanno protestando negli Stati Uniti. Il bundle, il cui valore stimato ammonterebbe a più di 3.400 dollari, è stato reso disponibile dall’azienda a offerta libera a partire da 5 dollari (il link per sostenere l’iniziativa è: https://itch.io/b/520/bundle-for-racial-justice-and-equality).

Fatti, non parole. Un aiuto concreto e tangibile per una causa sentita. Forse solo una gran bella pensata del Marketing, ma anche se fosse, a chi importerebbe?

La pagina dell’iniziativa di Itch.io, che ha già raccolto quasi quattro milioni di dollari in pochi giorni

Con il tempo mi sono dimenticato cosa scelsero di fare quei signori francesi al rifugio. Quella storia però mi ha insegnato che non esiste una formula magica per la credibilità. Per la precisione, ho capito che ai brand e alle persone credibili non interessa né serve avere una formula magica.

Perché questo hanno in comune quel tipo di persone: non si chiedono come aumentare il proprio fatturato con le iniziative valoriali, ma come sostenere al meglio queste iniziative con il fatturato che hanno a disposizione. Un piccolo cambio di prospettiva, sufficiente a trasformare una semplice azienda, magari modesta e sconosciuta, in un vero e proprio rifugio per i valori che sostiene.

Ispirato alla tesi n. 29 del Newtrain Manifesto




North Face e Patagonia boicotteranno Facebook

North Face e Patagonia boicotteranno Facebook

I marchi di abbigliamento sportivo North Face e Patagonia da luglio boicotteranno Facebook, ritirando la pubblicità dei loro prodotti dal social network. Le due aziende hanno aderito alla campagna Stop Hate For Profits che combatte contro la diffusione di contenuti razzisti, violenti o disinformativi sulle piattaforme social. North Face nei giorni scorsi aveva comunicato che avrebbe sospeso la pubblicità su Facebook «fino a quando non saranno messe in atto politiche più restrittive per impedire» la circolazione di questo tipo di contenuti, e ora anche Patagonia ha deciso di fare lo stesso, dicendo che il suo boicottaggio andrà avanti «almeno fino alla fine di luglio».

CNN riferisce che la VP Corp, proprietaria di North Face, sta valutando se far aderire al boicottaggio altre aziende del gruppo, che possiede anche Timberland e Vans. Facebook è stato pesantemente criticato, anche dai suoi stessi dipendenti, dopo la decisione del suo amministratore delegato e fondatore Mark Zuckerberg di non rimuovere alcuni post del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sulle proteste contro il razzismo dopo l’uccisione di George Floyd. Gli stessi contenuti su Twitter erano stati invece segnalati come inappropriati e pericolosi.

Dalla loro fondazione North Face e Patagonia, che esistono rispettivamente dal 1966 e dal 1973, hanno puntato molto sulla dimensione “etica” dei loro marchi. Entrambe le aziende devono il loro successo all’aver investito, ed essere diventate leader del settore, nella declinazione sportiva del normcore, cioè nell’utilizzo di giacche e maglie sportive, pensate per essere usate nelle escursioni in montagna, ma che vengono indossate anche per la vita di tutti i giorni. La formula alla base del successo sia di Patagonia sia di North Face però è quella di essersi costruite un’identità etica di aziende che vendono vestiti che si usano nella natura a gente che ama stare nella natura, il tutto rispettando la natura stessa.




“Calabria terra di mafia e terremoti”. La gaffe di EasyJet, poi le scuse

"Calabria terra di mafia e terremoti". La gaffe di EasyJet, poi le scuse

La pubblicità che il sito della compagnia aerea low-cost dedica allo scalo di Lamezia ha indignato i politici locali. E c’è chi chiede la sospensione di rapporti tra l’azienda e la Regione. Poi le scuse e la pubblicazione di una nuova descrizione 

Città millenarie come Reggio e la Crotone di Pitagora; l’antica Sibari celebrata in età magnogreca per i costumi e la vivacità culturale; Locri patria di Zaleuco; Cosenza capitale dei Bruzi e città di Telesio; Catanzaro città della seta o Mileto capitale dei Normanni. Secoli di storia hanno lasciato tracce in tutti i luoghi della Calabria, ma non sul sito della compagnia aerea Easyjet. Anzi, per il portale della compagnia, la realtà calabrese è sintetizzabile in due elementi: la ‘ndrangheta e i terremoti – l’ultimo dei quali, peraltro, risalente al 1908 – oltre che per le sue case “bizzarre”.

“Questa regione soffre di un’evidente assenza di turisti a causa della sua storia di attività mafiosa e di terremoti e la mancanza di città iconiche come Roma e Venezia capaci di attrarre i fan di Instagram” era scritto sul portale della compagnia. Qualcuno ha letto e ha fatto fare il giro dei social a quelle frasi giudicate offensive. Ne sono seguite reazioni veementi che hanno costretto Easyjet a rettificare. Prima della pausa pranzo, la scheda informativa contestata è stata sostituita da un’altra versione decisamente più rassicurante. La mattinata, però, è stata un fuoco di dichiarazioni su tutti i fronti.

Che cosa aveva scritto EasyJet

“Per un assaggio autentico della vivace vita italiana niente di meglio della Calabria. Questa regione soffre di un’evidente assenza di turisti a causa della sua storia di attività mafiosa e di terremoti e la mancanza di città iconiche come Roma e Venezia capaci di attrarre i fan di Instagram” si leggeva sul sito della compagnia aerea alla voce “Lamezia”, sede del principale aeroporto regionale. 

Come ha corretto il tiro

Durante la giornata il testo originale è stato modificato con un elaborato più lungo e più legato alle reali tradizioni e ricchezze di una regione importante come la Calabria:  “Lamezia Terme si trova nel cuore del Mediterraneo. Grazie alle sue attraenti insenature, candide spiagge incontaminate, meravigliosi paesaggi montani e alpini, è una destinazione perfetta per le vostre vacanze. Le zone circostanti sono tutte da scoprire, dai templi greci, romani e normanni ai palazzi borbonici. Se siete alla ricerca del riposo più assoluto, c’è una stazione termale molto famosa a Caronte con sorgenti naturali calde. La cucina locale è ricca e gustosa, e si basa essenzialmente su verdure essiccate e marinate, tonno rosso, pesce spada e salsicce piccanti. Essendo uno dei maggiori produttori al mondo di nocciole e agrumi, non potete proprio rinunciare ai deliziosi dolci tipici. Se siete appassionati di shopping, Lamezia Terme non vi deluderà. La cittadina di Sant’Eufemia è famosa per il suo fulcro commerciale in Piazza Italia. A Siambiase e Nicastro si tiene periodicamente un mercato e ci sono numerosi negozi nei pressi di Nicastro”.

E ancora: “Lamezia Terme è un posto favoloso che vale la pena visitare in qualsiasi periodo dell’anno. In inverno le temperature sono più miti rispetto agli altri paesi europei; in primavera e in autunno il tempo è perfetto per uscite fuori porta, mentre in estate si raggiungono addirittura temperature di 35 gradi! È sempre il momento giusto per visitare questa città meravigliosa”.  

Come hanno reagito calabresi e non

Fra le prese di posizione più ferme quella del presidente della Regione, Jole Santelli. La governatrice ha scritto una lettera di protesta ai vertici della compagnia. “La pseudo operazione di marketing sulla Calabria realizzata da Easyjet – ha detto Santelli – è offensiva, miope e ha un chiaro sapore razzista. Si potevano usare tante parole per descrivere la meraviglia e la straordinarietà di una regione unica al mondo, ma la compagnia inglese ha scelto le più becere e le più consunte, realizzando una pubblicità ingannevole che non è altro che una sommatoria di inqualificabili pregiudizi”. 

Santelli ha preso la palla al balzo per invitare Easyjet a fare di più per i calabresi: “A pensarci bene, il modo migliore per rimediare a una gaffe senza precedenti sarebbe quello di incrementare in modo considerevole i voli per la Calabria, in modo da permettere alle migliaia e migliaia di passeggeri di EasyJet di scoprire le infinite meraviglie della nostra terra”.

Su Twitter, il ministro per la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano, ha scritto: “Easyjet chieda scusa, alla Calabria e all’Italia. Non c’è altro da aggiungere”. E Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati twittava a sua volta: “La pseudo campagna marketing di Easyjet fa schifo, insulta i calabresi e un intero territorio. Aspettiamo un mea culpa e soprattutto qualche volo in più da e per la regione. La Calabria è una terra meravigliosa e spero di tornarci presto”.

Di “offese inaccettabili contro la Calabria e l’Italia” ha parlato la leader di FdI Giorgia Meloni, mentre il sottosegretario Anna Laura Orrico, calabrese ed esponente del M5S, manifestava il suo disappunto affermando: “Voglio sperare che sia stato un errore, una clamorosa caduta di stile e professionalità. Perché altrimenti le informazioni che la compagnia aerea Easyjet fornisce sulla Calabria dal proprio sito internet, rappresentano un coacervo di luoghi comuni davvero imbarazzante”.

Sergio Abramo, sindaco e presidente della Provincia di Catanzaro minacciava intanto di adire le vie legali: “Se Easyjet non modifica, non rettifica e, soprattutto, non si scusa con la Calabria e i calabresi, attivero’ l’ufficio legale della Provincia per tutelare nelle sedi opportune l’immagine della nostra terra”.

Reazioni anche dal mondo culturale. Per lo scrittore Gioacchino Criaco qualche colpa ce l’hanno pure i suoi conterranei. “Quotidianamente noi calabresi – ha detto all’AGI l’autore di “Anime Nere” – facciamo il tiro al piccione, poi ci offendiamo quando lo fanno altri. Ma non ci siamo mai ribellati agli stereotipi”.

Secondo Criaco la Calabria “è ormai un fatto consolatorio per tutti. Ci sono regioni che hanno gli stessi problemi, la politica nazionale è quella che è. Ci si consola guardando alla Calabria come alla regione che si trova in fondo a ogni classifica per dire che c’è chi è messo peggio”.

Le scuse della compagnia

In tarda mattinata il mea culpa ufficiale della compagnia: “EasyJet si scusa apertamente con tutti i calabresi e la Regione Calabria per la descrizione contenuta nella scheda informativa all’interno del sito. L’intento originale del testo – spiega una nota – era sottolineare quanto la Calabria sia sottovalutata all’estero da un punto di vista turistico. La Calabria è una terra per noi molto importante, che amiamo e che promuoviamo da sempre con numerosi voli su Lamezia Terme. Ne è una dimostrazione anche il fatto che il primo volo del 15 giugno, che coincide con il ripristino delle operazioni post lockdown, è stato quello verso l’aeroporto di Lamezia Terme. Abbiamo provveduto immediatamente – si legge infine – a rimuovere il testo in questione e avviato un’indagine interna per capire l’accaduto e fare in modo che non accada mai più”.




Faccio cose, vedo gente. Cosa fa un lobbista europeo, spiegato da un lobbista italiano

Faccio cCosa fa un lobbista europeo, spiegato da un lobbista italiano

Nell’Unione europea la professione ha un riconoscimento giuridico, mentre nel nostro Paese la figura non è normata. Il suo lavoro di “rappresentante di interessi” è però sacrosanto, perché porta avanti le istanze di una comunità. E infatti il buon legislatore sa ascoltarlo

Si stanno svolgendo in questi giorni le audizioni riguardanti le proposte di legge in materia di disciplina dell’attività di rappresentanza di interessi. Detta in modo spicciolo si sta cercando, per l’ennesima volta, di normare l’attività di lobbying. Ma chi è e cosa fa il lobbista?

Il lobbista non è affatto un uomo misterioso affamato di potere. Non è neanche il Remy Danton di House of Cards, o meglio forse qualcuno sì. Il lobbista o rappresentante di interessi, è colui il quale veicola ad un pubblico decisore un interesse di un gruppo, di un’azienda, di un’associazione o di un circolo bocciofilo. Cerca di tradurre le esigenze di una comunità affinché queste possano avere tutela a livello normativo. Esatto, tutela normativa. Il lobbista si impegna per realizzare un impianto giuridico consono all’attività del proprio cliente o azienda, facendo parte di una categoria non normata. Cioè?

Il lobbista italiano, differentemente da quanto accade negli Stati Uniti o nella Unione Europea, non ha un riconoscimento giuridico e, come “Balto”, sa solo quello che non è. Vive nel limbo normativo dove si intersecano piccole regolamentazioni settoriali, regionali e locali ma è totalmente privo di una legge di contesto che possa dire «cosa fare ma soprattutto cosa non fare». Questo rende ancora più confusa la figura del lobbista che nel momento in cui gli si chiede «ma tu di preciso che fai?» sente un brivido scorrere lungo la schiena.

«Cosa fai nella vita?», «Faccio il lobbista». Come canta Francesco Guccini, di cui recentemente si sono festeggiati gli ottant’anni, «…e chi fa il giornalista si vergogna». Oggi la stessa frase potrebbe essere usata per poter dire «…e chi fa il lobbista si vergogna».

Si vergogna perché è associato a corruzione e malaffare e perché porta, nella usata e abusata narrativa comune, un velo nero che lo avvicina a Dart Fener senza considerare l’Anakin Skywalker che è in lui.

Vestendo gli abiti, jeans e camicia, di “rappresentante di interessi” potrei, credo a buon ragione, affermare che normare l’attività di lobbying non solo è giusta ma è un passo di civiltà. Voglio tralasciare i “salamelecchi giuridici”, le erudizioni ed il latinorum degli “istituti”, parola che al primo anno di giurisprudenza significava tutto ma che in realtà non si capiva mai fino in fondo, e portarmi su di un altro contesto. Quello che viviamo tutti i giorni, quello sociale, quello politico. Partendo da una semplice domanda. Ma il lobbista che fa?

Dal «faccio cose, vedo gente» alla realtà, ne passa eccome. Ne passano ore di studio, ne passano giorni di approfondimento, ne passano ricerche, letture ed analisi. Ne passa una buona dose di pazienza. Perché è molto più complesso capire cosa scrive il Legislatore che non cosa faccia il lobbista. Legislatore. Altra parola strana, valida risposta a tutte le domande d’esame e scritta con la maiuscola perché così diceva il “Torrente” (noto manuale di diritto privato, ndr).

Dietro queste ore passate fondamentalmente a “leggere e scrivere” c’è qualcosa che accarezza la mitologia di questo mestiere: l’associazionismo e il vivere in comune. Il lobbista rappresenta gli interessi organizzati meritevoli di tutela.

Interesse. Organizzato. Meritevole di tutela. Tre parole su cui poter trascorrere settimane di simposi, convegni, “inviti a partecipare” e congressi. Parole su cui materiale e svariate tesi di laurea, tra cui la mia, non cessano di elucubrare.

Ma io, che di giuridico ho forse solo il titolo accademico, voglio raccontare il romanticismo di queste parole. Cosa merita tutela? La libertà? Certo. Le possibilità? Ovvio. L’opportunità? Esatto. Ma di cosa? Di poter raccontare al mondo una storia. Un’idea. Così come il lobbista la racconta al proprio interlocutore. Quello che i più bravi chiamano law maker.

È tra lo svolgimento della storia e il suo epilogo che entra in scena il lobbista, che con qualche strumento tecnico racconta la sua versione o quella dell’organizzazione che rappresenta. La pone all’attenzione di chi, su quella storia, avrà il potere di aggiungere o togliere dei tasselli importanti. Tramite una norma, un ok, una legge o “un fondo dedicato”. Perché poi la poesia lascia spazio al mondo e il mondo lascia spazio al denaro.

Interesse organizzato allora? È la parte strumentale. L’organizzazione convoglia in un grande imbuto la voce di migliaia di altre storie, la compatta, la razionalizza e diventa così l’output della stessa. Portandola, appunto, con gli strumenti tecnici del rappresentante di interessi, alle orecchie del Legislatore. Che quando ascolta, assimila, dibatte, critica e osserva merita la tanto agognata lettera maiuscola.




Imprese sostenibili: crescono di numero, cala il budget

Imprese sostenibili: crescono di numero, cala il budget
  • Nel 2019 gli investimenti in csr hanno sfiorato la cifra di un miliardo e ottocento milioni di euro, in crescita del 25% rispetto al 2017
  • L’investimento medio nel 2019 tocca i 241mila euro, ma le attese sul 2020 parlano di una riduzione del 16%
  • “Bisogna reggere l’urto dell’emergenza covid-19 pensando a nuovi modelli di sviluppo, ancora più sostenibili”, commenta Roberto Orsi dell’Osservatorio Socialis

Negli ultimi 20 anni l’attenzione delle imprese italiane per la responsabilità sociale e lo sviluppo sostenibile ha conosciuto una crescita costante. Ma i conti della crisi si fanno sentire sui bilanci e il covid-19 potrebbe bloccare il trend positivo, portando a una contrazione dei budget stanziati

Le imprese italiane sono sempre più attente alla responsabilità sociale e allo sviluppo sostenibile, ma la pandemia potrebbe frenare il trend positivo degli ultimi 20 anni. Sebbene resti forte l’interesse, al punto che le aziende che investiranno in corporate social responsibility (csr) nel 2020 potrebbero aumentare fino al 95%, i conti della crisi si fanno sentire sui bilanci e i budget stanziati si preparano a subire una contrazione o, nella peggiore delle ipotesi, anche un annullamento.

Secondo il IX rapporto sull’impegno sociale delle aziende in Italia promosso dall’Osservatorio Socialis e realizzato dall’Istituto Ixè, nel 2019 gli investimenti in csr hanno sfiorato la cifra di un miliardo e ottocento milioni di euro, in crescita del 25% rispetto al 2017, e hanno riguardato il 92% delle imprese italiane con più di 80 dipendenti. L’investimento medio ha dunque toccato i 241mila euro, contro i 209mila del 2017, ma le attese sul 2020 parlano di una riduzione del 16%.

“I dati confermano il radicamento e il valore del fenomeno – commenta Roberto Orsi, direttore dell’Osservatorio Socialis – Ora si tratta di reggere l’urto dell’emergenza covid-19 pensando a nuovi modelli di sviluppo, ancora più sostenibili, più attenti alle persone, all’ambiente, al contenimento degli sprechi, dove la tecnologia e l’innovazione sposano la responsabilità sociale”. Secondo Orsi, sarà necessario un approccio metodico, con il “sostegno di una politica di premialità fiscale dedicata a chi dimostra di operare in ottica integrata: sociale, economica e ambientale”.

Secondo l’analisi, il 37% delle aziende aveva già stanziato a inizio anno un budget per la csr (si parla mediamente di 130mila euro), ma a causa della crisi economica ha dovuto o deciso di ridurlo o annullarlo. Il 40%, invece, lo ha lasciato invariato, dichiarando di voler dedicare alla responsabilità sociale d’impresa mediamente 293mila euro nel 2020. Ma c’è anche chi non aveva previsto un budget (il 18%) e ha spostato lo sguardo sul tema solo in seguito allo scoppio dell’emergenza epidemiologica, dichiarando di voler investire mediamente 153mila euro.

Ma dove vanno a finire questi flussi? Secondo i ricercatori, il 66% delle imprese italiane si concentra in particolare sulle iniziative interne all’azienda stessa, come la formazione del personale (49%). Quasi la metà pone l’attenzione sul territorio vicino alla sede dell’impresa, mentre solo l’8% volge lo sguardo verso i paesi esteri, “confermando la volontà delle aziende di migliorare il rapporto con il territorio e le comunità di appartenenza”, si legge in una nota. Un rapporto che, per quattro aziende su dieci, potrebbe migliorare proprio grazie alla csr: il 49% ritiene che tale tipologia di investimenti abbia un impatto positivo anche sulla propria immagine, visto la crescente attenzione dei consumatori sul tema.

Non manca poi l’interesse per l’impatto ambientale. Il 42% delle aziende investe in tecnologie innovative per ridurre l’inquinamento e favorire un migliore smaltimento dei rifiuti, mentre il 38% punta sull’efficientamento del risparmio energetico.

In un’ottica futura, otto imprese su 10 immaginano di integrare la corporate social responsibility nel modello di business, specialmente quelle provenienti dal Nord Italia e attive nei settori della farmaceutica, delle telecomunicazioni, del manifatturiero e della finanza. Se il 70% ha già un responsabile dedicato nel proprio organico, l’80% sostiene che una specializzazione in csr possa rappresentare un plus in termini di competenze. A tal proposito, le comunicazioni interne della direzione (per il 52%) e gli incontri periodici con i dipendenti (per il 42%) sono le strade più utilizzate per diffondere un’adeguata cultura aziendale sull’argomento.