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Cosa sono i FUCK, Frequently Underestimated Crisis Kernels.

Cosa sono i FUCK, Frequently Underestimated Crisis Kernels.

Tutti conosciamo le FAQ, le Frequently Asked Questions.

Un po’ meno noti sono i FUCK, ovvero i Frequently Underestimated Crisis Kernels, i Noccioli della Crisi Frequentemente Sottovalutati.

Forse perché me li sono appena inventati.

Scherzi a parte, credo davvero che i casi di crisi apparsi sui social negli ultimi 12 anni siano tutti riconducibili a 3 noccioli di errore.

Sono i casi in cui la comunicazione:

  1. si rifà a stereotipi riguardanti l’etnia, il genere, l’orientamento sessuale, l’aspetto fisico delle persone;
  2. si fa gioco di malattie, calamità, battaglie sociali e ambientali;
  3. si fa aggressiva o latitante di fronte a critiche, scandali o gaffe di un rappresentante del brand. Spesso il Kernel 3 è la conseguenza dell’1 o del 2, ma non necessariamente.

Un esempio recente, un po’ kernel 2, un po’ kernel 3, è successo a Veronica Benini in piena pandemia da Coronavirus. Digital strategist, fondatrice dell’agenzia Spora Srl, della piattaforma Corsetty e dell’evento 9 Muse, scrittrice di libri, con i suoi oltre 100 mila follower Veronica è anche un’influencer con tutti gli onori del caso. E gli oneri.

Tra i suoi numerosi progetti è previsto anche lo sbarco nel mercato latinoamericano, un percorso seguibile online al prezzo di 1.240€ e iniziato ufficialmente il 6 marzo con la sua partenza per la Colombia. In quei giorni il nord Italia era già il primo e principale focolaio europeo del Covid-19 e, anche se il lockdown totale della Lombardia è scattato 24 ore dopo, le follower di Veronica si aspettavano una quarantena volontaria. Quarantena che ha dichiarato in quest’intervista a Vanity Fair ma che è stata smentita dai suoi stessi contenuti su Instagram.

Uno dei post che non potete più vedere sull’account di Veronica Benini, perché è stato cancellato.

In seguito al flame scatenatosi sulla pagina Facebook del magazine, la digital strategist ha optato per un crisis management composto di:

  • cancellazione dei post Instagram che facevano riferimento al suo incontro con altre persone durante la presunta quarantena;
  • silenzio “stampa” riguardo la vicenda, che non è mai stata spiegata proattivamente;
  • blocco dei commenti.

Bloccare i commenti non solo è una difesa che tradisce l’anima della nostra presenza sui social network (caratterizzati dalla comunicazione one-to-one con partecipazione attiva delle parti), ma è come tentare di placare una perdita d’acqua con uno straccio.

Le persone più motivate si riversano altrove. Per esempio, possono ripiegare sulle recensioni della scheda Google della tua azienda, abbassandone il rank.

Recensioni su Google di Spora Srl

Come mostra il grafico di Ninjalitics, la crisi comunicativa ha avuto ripercussioni anche sul numero di follower su Instagram.

Andamento follower base dell’account Instagram Spora

Il 30 marzo l’influencer è tornata in Italia e ha ripreso la pubblicazione sui social – ferma al 15 marzo, dopo l’epurazione dei post compromettenti – parlando nelle Stories di problemi di unghie e panificazione, nel feed di corsi e inizi.

Avete letto tra le righe?

“Per rispetto del mio team che deve incanalare le proprie energie in cose positive non riaprirò i commenti finché non la sistemeremo legalmente. Un gran classicone degli haters è che agiscono in piena ignoranza della legge, ma #odiareticosta.”

Ed ecco l’ultimo, grande classicone della gestione della crisi in Italia: negare di aver sbagliato, rinchiudersi nella propria fortezza e riversare le colpe su coloro che ci hanno attaccati.

Perché le critiche sono costruttive solo nelle caption motivazionali.




Asis Italy Security Manager 4.0: contributi di Guerra, Poma, Tenzi

Asis Italy Security Manager 4.0: contributi di Guerra, Poma, Tenzi

Asis Italy, al Workshop “Security Manager 4.0: Highlights & Hot Topics”, tenutosi nella sala convegni di Axitea a Milano, ha calamitato l’attenzione e l’interesse della platea di Security Managers, grazie ai molti interessanti contenuti dei vari relatori, i quali hanno sviscerato gli aspetti emergenti di un ruolo che sta crescendo e si sta affermando sempre più anche in Italia.

Tra questi, quelli portati da Paola Guerra, Direttrice Scuola Etica & Sicurezza, con il suo intervento dal titolo “Security in crescita: la persona al centro”, e da Luca Poma, Esperto e Professore di Reputation Management, con “Nuove sfide: mettere in sicurezza l’azienda quando la comunicazione va in crisi”.

S News, Media Partner, ha seguito tutti i lavori dell’assise che ha visto, dopo l’apertura da parte del Presidente Asis Italy Chapter Samuele Caruso, l’intervento del Presidente Eletto Asis International Godfried Hendricks.

Al termine dei lavori S News incontra Paola Guerra e Luca Poma, ed approfondisce i temi trattati nel corso del Workshop anche con Luca Tenzi, International Security Expert, presente in platea, che sottolinea il cambiamento “climatico” nell’ambiente internazionale della sicurezza.

Ecco dunque le interviste, a cura di Monica Bertolo, che condensano molti dei messaggi e delle riflessioni scaturite nel corso dell’evento Asis Italy che, come ha avuto modo di sottolineare il suo Presidente, “ha visto l’amicizia ed il supporto, oltre che di S News, di Hostage Italia, Axitea, Aipsa, Assiv e Cersa”.

Buona visione, dunque!

LUCA POMA, ESPERTO E PROFESSORE DI REPUTATION MANAGEMENT

LUCA TENZI, INTERNATIONAL SECURITY EXPERT




Ces 2020, l’inquietante cena di Westworld dove sapevano tutto di noi

Ces 2020, l'inquietante cena di Westworld dove sapevano tutto di noi

Siamo stati a un particolarissimo evento organizzato da Hbo a Las Vegas, che getta interrogativi allarmanti sul mondo del Grande Fratello digitale

Las Vegas (Usa) – “Ciao Marco, benvenuto, come stai?”. Un uomo elegante con un vestito grigio e una targhetta con scritto “Incite” mi accoglie al NoMad, uno dei ristoranti più raffinati di Las Vegas. Solo che io non l’ho mai visto prima: come ha fatto a riconoscermi? Si tratta solo del prologo della cena inquietante che Hbo ha dedicato a Westworld, la serie tv che tornerà quest’anno con otto nuovi episodi della terza stagione.

Una volta gustato un aperitivo finger food a base di tartare di tonno e fonduta al tartufo, ci siamo accomodati. Al tavolo, insieme a noi di Wired, presenti in esclusiva italiana, anche altre persone: la youtuber Mari col marito, i giornalisti Joanna, lo startupper John, la psicologa comportamentale Liz. Il primo segnale disturbante è arrivato scoprendo che ciascuno aveva un menu diverso dagli altri, personalizzato sui propri gusti, come ha spiegato l’impiegato di Incite, azienda che nello show raccoglie un’enorme mole di dati personali proprio come nella realtà fanno i big della tecnologia. Poi ha iniziato a parlare spiegando che uno dei problemi del mondo moderno è il caos: immersi in un universo pieno di opportunità ma anche difficilmente interpretabile, è sempre più difficile fare delle scelte. “Quindi perché preoccuparsi? Lasciate scegliere a noi per voi”.

Tra ostriche e spaghetti alla nduja e aragosta, bistecca wagyu e tortini al cioccolato, il solerte impiegato di Incite è tornato più volte al tavolo, e ha iniziato a parlare dei commensali: di John, della moglie e dei suoi due figli, ma anche del fatto che sta per pubblicare un board game, mentre lo stesso John annuiva esterrefatto e divertito. O di Liz e della sua passione smisurata per il cioccolato. O ancora di Mari e della sua difficile scelta di lasciare il mondo della danza per mettersi a fare la youtuber di videogame. Finché non si è rivolto a me: “E tu Marco spiegami, perché dopo la laurea in legge hai scelto di fare il giornalista?”. La prima cosa che ho pensato è che avesse sbirciato da qualche parte online trovando il mio percorso di studi, ma sentirsi fare quella domanda da un estraneo di fronte a estranei mi ha raggelato il sangue.

La conversazione a tavola è proseguita immaginando come l’impiegato di Incite conoscesse tutti quei dettagli sulle nostre vite, e sottolineando la necessità di condividere il meno possibile online per evitare appunto di essere spiati. Dopo il dessert e uno spettacolare zucchero filato a tavola è arrivato il colpo di scena. Una executive di Incite è salita sul palco e ha ribadito il concetto: prendere decisioni è difficilissimo, quindi affidatevi a noi.

E rivolgendosi al nostro tavolo ha iniziato a raccontare la storia di Liz, che messa in mezzo, si è irrigidita: ha studiato, ha incontrato il marito, ha dovuto decidere se spostarsi dall’Ohio in California, se seguire la carriera o avere figli. Tutto mentre sullo schermo gigante di fronte a tutti scorrevano le foto della sua vita: quella della laurea, quella del matrimonio e delle vacanze. Tutto apparentemente scontato finché la donna non ha rivelato il dilemma attuale di Liz, mostrato attraverso una mail privata: “La scorsa settimana Liz ha ricevuto un’importante offerta di lavoro in New Mexico, ma accettare vorrebbe dire mettere in pericolo il suo matrimonio”.

Al mio tavolo Liz era ormai atterrita, una completa estranea venuta per godersi una cena e suo malgrado messa totalmente a nudo di fronte a una sessantina di sconosciuti. I commensali al mio tavolo avevano sguardi tra l’imbarazzato, lo sconcertato e il divertito. “Non preoccuparti”, ha detto la donna sul palco “lascia decidere a noi cosa sarà del suo futuro”, e Liz con gli occhi ormai colmi di lacrime ha preso la sua borsa ed è scappata via. Per un attimo lo sgomento si è impadronito di noi: e se fossimo stati noi al posto di Liz? Esposti fino ai nostri più intimi segreti.

Forse era tutto uno show, un inquietante show organizzato da Hbo, in cui un’attrice ha finto per due ore di essere un’ospite qualsiasi seduta al nostro tavolo. Ma il dubbio resta. L’ultimo regalo dell’impiegato di Incite è stato un foglio per ciascuno di noi, con una frase che definisce la nostra personalità, la data di nascita, la professione e l’aspettativa di vita. Secondo l’azienda ideatrice di Westworld vivrò 75 anni, 5 mesi e 16 giorni. Tocchiamo ferro.




Psicofarmaci ai bambini: business miliardario. Con beneplacito di Speranza

Psicofarmaci ai bambini: business miliardario. Con beneplacito di Speranza

Passa la nuova legge finanziaria, ma senza alcun emendamento utile per garantire sicurezza a bambini e adolescenti sottoposti a “cure” a base di psicofarmaci

Ovunque nel mondo cresce il numero di minori sottoposti a terapie con psicofarmaci, sia nel caso dei bambini iperattivi e troppo “distratti” a scuola, che nel caso – opposto – degli adolescenti “depressi”: inoltre, l’abbassamento dell’età media di prescrivibilità delle molecole psicoattive ha consolidato negli anni un business da oltre 20 miliardi di dollari all’anno, tra Europa e Stati Uniti. 

Quello che doveva essere per qualcuno “un problema solo americano” interessa invece ora anche il nostro Continente, nonostante la massiccia somministrazione precoce di questi prodotti farmaceutici su cervelli ancora in via di sviluppo non sia considerata eticamente e clinicamente opportuna da non pochi rappresentanti della comunità scientifica, tanto meno come “soluzione di prima linea” per i problemi e disagi dei minori.

Quel che è certo, ed è scientificamente provato, è che lo psicofarmaco non è mai di per se, da solo, una soluzione, dal momento che si limita ad intervenire sui sintomi, raramente li risolve, e non migliora il rendimento scolastico, senza considerare il problema degli effetti collaterali e iatrogeni, come dimostra la più recente letteratura scientifica.

Il marketing del farmaco però si fa sempre più aggressivo, ed è forse questo il vero problema: l’infanzia rappresenta un nuovo e molto redditizio segmento di business per le multinazionali farmaceutiche, le quali finanziano circa l’80% della ricerca mondiale, e – se è vero che ci salvano la vita con molti prodotti utili – è altrettanto vero che, ad esempio, tendono a non pubblicare mai le ricerche scientifiche con esito negativo, così da non nuocere al profilo commerciale dei propri brevetti, coma ha dimostrato ad esempio il caso clamoroso del Paxil®, molecola antidepressiva della Glaxo® venduta come “sicura” grazie alla pubblicazione di studi scientifici alterati, e che invece era inefficace e anche pericolosa, dal momento che poteva stimolare idee suicidarie sui ragazzini, al punto che la casa farmaceutica ha dovuto ammettere le proprie colpe e pagare una multa miliardaria .

Mentre qualche ostinato – forse eterodiretto, o carente di onestà intellettuale – continua a negare l’evidenza, sostenendo che non vi è stato negli anni un incremento delle diagnosi e della prescrizione e vendita di psicofarmaci, le aziende dal canto loro sono più schiette, e parlano serenamente di mercato globale e miliardario degli psicofarmaci per bambini, pubblicando ricerche di mercato entusiaste sulla profittabilità di questo business .

Nel mentre, il modello italiano – invidiatoci anche da varie nazioni estere – che con la sua rete di protezione ha permesso di “contenere” le prescrizioni improprie di questi discussi prodotti farmaceutici, rischia di essere messo in crisi dall’inerzia dei politici: l’appello al Ministro Speranza delle Associazioni no-profit della Rete Sostenibilità e Salute è caduto fin ora inascoltato, e nessun investimento in tal senso è previsto nella manovra Finanziaria approvata in questi giorni.

Uno scenario poco rassicurante, nel quale l’imperativo può essere uno solo: prudenza e applicazione del principio di precauzione. La scuola non deve diventare l’anticamera dell’ASL: che tipo di risposta noi adulti siamo disposti a dare ai problemi dei più piccoli? Sedare il sintomo e basta, risolvendo il problema solo fintanto che il “distributore automatico di pillole” fa il proprio lavoro? Oppure indagare i motivi profondi del disagio, mettendoci noi stessi in discussione, e nel contempo difendendo un modello di intervento e di tutela, quello italiano, che ha garantito fino a oggi il contenimento del preoccupante e rischioso fenomeno dell’iper-medicalizzazione dei più piccoli?

Riflettiamo sul rapporto di noi adulti con i bambini: spesso, per ogni bambino che lancia un allarme e manifesta il proprio disagio, c’è un adulto che non vuole o non può ascoltarlo, e che trova maggiore serenità nella certezza di una diagnosi e nella soluzione “facile” di una pastiglia miracolosa, piuttosto che nel doversi mettere lui stesso in discussione; oppure c’è un sistema scolastico depotenziato nella sua capacità pedagogica e di gestione delle differenze, o un ambiente familiare attorno al bambino per qualche motivo ostile o inadeguato.

Le soluzioni per difendere un approccio differente a queste delicate tematiche ci sono, nel nostro Paese, e comporterebbero stanziamenti finanziari ridicoli da parte del Ministero della Salute, se paragonati ad altri costosi interventi in sanità.

Chissà se – Ministro Speranza permettendo – i bambini italiani potranno contare in futuro su questa rete di protezione, o se il modello “made in USA” prenderà piede anche da noi, con tutte le contraddizioni e i rischi per la salute dei minori che porta con se.

Parla l’esperto: intervista ad Enrico Nonnis, Dirigente di Neuropsichiatria infantile e membro di Psichiatria Democratica

Dottore, ci sono ben poche certezze che il sistema di monitoraggio delle prescrizioni per l’iperattività infantile, per anni gestito efficacemente dall’Istituto Superiore di Sanità, possa continuare ad esistere per come l’abbiamo potuto apprezzare in questi anni, e tanto meno pare vi sia l’intenzione di estendere questo sistema al controllo delle prescrizioni per la depressione adolescenziale, che – dal punto di vista delle multinazionali farmaceutiche – pare essere il nuovo business per gli anni a venire. Perchè?

E’ vero, il monitoraggio delle prescrizioni di farmaci istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità attraverso il Registro Nazionale è stato un valido strumento non solo per la rilevazione dell’uso dei farmaci in età evolutiva ma anche come garanzia del corretto iter diagnostico, applicato dai servizi in maniera rigorosa, secondo le linee guida nazionali e internazionali grazie alla sorveglianza dell’Istituto Superiore di Sanità, evitando e limitando un uso non corretto degli psicofarmaci. Inoltre il Registro ha rappresentato, sia pur parzialmente, un utile strumento epidemiologico della patologia, e anzi si sarebbe desiderato un più incisivo monitoraggio delle diagnosi dei disturbi psicopatologici riguardanti l’età evolutiva. A oggi, vi è incertezza che il Registro possa continuare a esistere, e tanto meno che possa essere esteso come strumento di monitoraggio ad altri disturbi dell’età pediatrica, e ciò è davvero preoccupante. Credo che non vi siano motivi particolari se non una sorta di “disattenzione” del mondo politico e istituzionale nei confronti delle problematiche e dei servizi sanitari di Neuropsichiatria Infantile, che nonostante l’auspicio di tutti (ma solo a parole!) andrebbero rinforzati e resi centrali e cardine del Servizio sanitario pubblico, proprio per le caratteristiche di eccellenza che rappresentano. 

L’Italia ha per certi versi costituito un’eccellenza in questi anni, su queste tematiche, consolidando un approccio prudente a queste somministrazioni, centrando il sistema sull’appropriatezza delle prescrizioni e sull’attento monitoraggio delle somministrazioni. Il venir meno del Registro e dei sistemi di controllo correlati, potrebbe aprire all’utilizzo più disinvolto di questi psicofarmaci? 

Si potrebbe determinare un vulnus non solo nell’uso appropriato dei farmaci ma anche nell’iter diagnostico dei disturbi e nella loro rilevazione epidemiologica. L’uso dei farmaci, in vari casi utile, deve sempre essere integrato in iter terapeutici articolati, proprio per rispondere alla complessità dei disturbi neuropsichiatrici propri dell’età evolutiva.

Ci si sarebbe fin qui aspettati un’attenzione maggiore da parte del Ministro della Sanità, anche in considerazione della sua particolare sensibilità politica. A suo avviso le cose potrebbero cambiare in futuro?

Conoscendo la sensibilità del Ministro Speranza nei confronti delle problematiche psicopatologiche riguardanti l’età pediatrica, sono certo che una giusta informazione e sensibilizzazione nei confronti degli organi ministeriali consentirà di proseguire ed estendere le funzioni del Registro. Aggiungo che serve predisporre un grande piano di azione nazionale per la Neuropsichiatria Infantile, che ha tra le sue caratteristiche non solo la cura dei disturbi in età evolutiva ma soprattutto la prevenzione e l’intervento precoce al fine di evitare o limitare, in molti casi, le patologie che condannano alla sofferenza i cittadini in età adulta.




Una vacanza di 5 giorni allunga la vita: lo dice la scienza

Una vacanza di 5 giorni allunga la vita: lo dice la scienza

I parametri legati alla longevità migliorano: i risultati di un esperimento

Bastano cinque giorni di vacanza per potenziare visibilmente l’attività del sistema immunitario e soprattutto per migliorare i parametri del sangue legati alla longevità: lo dice la scienza.

Sono i risultati di una ricerca condotta dall’Istituto Icahn for Genomics and Multiscale Biology presso il Mount Sinai di New York e pubblicata sulla rivista “Translational Psychiatry”.

Ecco l’esperimento: 102 donne tra i 30 e i 60 anni sono state mandate in vacanza per cinque giorni di relax in un centro a Carlsbad, in California.  Durante il soggiorno alcune hanno partecipato a sessioni di yoga e meditazione, altre si sono semplicemente godute il relax.

Prima della partenza e al loro ritorno le donne sono state sottoposte a un prelievo di sangue, da cui è emerso che in tutte le “vacanziere” i valori del sangue sono cambiati in meglio. In particolare, è migliorata la funzione immunitaria e si sono ridotte le risposte di difesa eccessive, che spesso provocano reazioni allergiche e malattie autoimmuni.

Inoltre sono stati osservati cambiamenti favorevoli nell’attività di molti geni, tra cui quelli legati a reazioni infiammatorie. Nelle donne che hanno praticato yoga e meditazione si è osservato un potenziamento dei processi di riparazione del Dna.

“Il relax consente al corpo di liberarsi da posture scorrette e di tipo difensivo, per esempio spalle chiuse e irrigidite, e di ridurre il livello di stress, che a sua volta influenza lo stato di benessere del corpo e in particolare il funzionamento del sistema immunitario”, ha spiegato il direttore dell’Istituto Eric Schadt.

Che dire, ecco perché a volte è il dottore che vi prescrive di andare in vacanza!