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La guida di Basecamp alla comunicazione interna

La guida di Basecamp alla comunicazione interna

Il come, dove, quando e perché comunichiamo. Forma lunga asincrona? Chat in tempo reale? Di persona? Video? Verbale? Scritto? Via Posta Elettronica? “A” o “in” Basecamp? Come possiamo mantenere tutti aggiornati senza che si perdano in aree che non sono di loro interesse? È tutto qui.

Regole empiriche e filosofia generale

Di
seguito troverai una raccolta di principi generali che cerchiamo di tenere a
mente a Basecamp quando comunichiamo con i compagni di squadra, all’interno dei
dipartimenti, in tutta l’azienda e con il pubblico. Non sono requisiti, ma
servono a creare linee e pratiche condivise su cui attingere quando facciamo
l’unica cosa che influenza tutto il resto che facciamo: comunicare.

  1. Non puoi non comunicare. Scegliere di non discutere di un problema che è sotto gli occhi di tutti è comunicare. Poche cose sono importanti da studiare, praticare e perfezionare quanto una comunicazione chiara.
  2. A volte in tempo reale, asincrono per la maggior parte del tempo.
  3. La comunicazione interna basata su dettagliati progetti scritti, piuttosto che su una tradizione verbale di incontri informali, conversazioni e chat, ha il vantaggio di ridurre notevolmente la possibilità di interrompere o di essere interrotti durante il nostro lavoro durante riunioni, videoconferenze, chiamate o in altre opportunità in tempo reale.
  4. Concedi alle discussioni ragionevoli una quantità di tempo adeguata per svilupparsi e svolgersi. Precipitarsi a giudicare, o richiedere risposte immediate, serve solo ad aumentare le probabilità di prendere cattive decisioni.
  5. Le riunioni sono l’ultima risorsa, non la prima opzione.
  6. La scrittura si solidifica, la chat si dissolve. Le decisioni sostanziali iniziano e finiscono con uno scambio di pensieri completi, non con giostre di botta e risposta. Se è importante, critico o fondamentale, scrivilo, non chattare.
  7. Parlare aiuta solo chi è nella stanza, scrivere aiuta tutti. Ciò include le persone che non sono riuscite ad esserci, o i futuri dipendenti che si uniranno negli anni.
  8. Se le tue parole possono essere percepite in modi diversi, saranno comprese nella variabile peggiore tra quelle possibili.
  9. Non aspettarti mai o richiedere a qualcuno di ricontattarti immediatamente a meno che non si tratti di una vera emergenza. L’aspettativa di una risposta immediata è tossica.
  10. Se devi ripeterti, significa che non sei stato abbastanza chiaro la prima volta. Tuttavia, se stai parlando di qualcosa di nuovo, potresti doverti ripetere per anni prima di essere ascoltato. Scegli le tue ripetizioni con saggezza.
  11. Una scarsa comunicazione crea più lavoro.
  12. Le aziende non hanno problemi di comunicazione, hanno problemi di comunicazione errata. Più piccola è la società, il gruppo o la squadra, minori sono le opportunità di comunicazione errata.
  13. Cinque persone in una stanza per un’ora non sono un incontro di un’ora, è un incontro di cinque ore. Fai attenzione ai compromessi.
  14. Sii proattivo riguardo le domande che ti vengono poste, rispondi agli interrogativi che riguardano il contesto fattuale e spaziale. I fatti sono anche delle informazioni che le persone devono sapere. Il contesto spaziale è il luogo in cui avviene la comunicazione (ad esempio, se si sta discutendo di un compito specifico, è importante ricordarsi di discuterne direttamente nell’area dedicata a quel progetto, non altrove).
  15. La comunicazione non dovrebbe richiedere la sincronizzazione pianificata. I calendari non hanno nulla a che fare con la comunicazione. Scrivere, piuttosto che parlare o incontrarsi, è indipendente dal programma e molto più diretto.
  16. “Adesso” è spesso il momento sbagliato per dire cosa ti è appena passato per la testa. È meglio lasciarlo filtrare attraverso il setaccio del tempo. Ciò che resta è la parte che vale la pena dire.
  17. Chiediti se gli altri si sentiranno obbligati ad affrettare la propria risposta se affretti il ​​tuo approccio.
  18. La fine della giornata può convincerti che quello che hai fatto è buono, ma la mattina può dirti la verità. Se non sei sicuro, dormici sopra prima di dirlo.
  19. Se vuoi una risposta, devi fare una domanda. Le persone in genere hanno molto da dire, ma difficilmente si offriranno volontariamente. Le domande automatiche su un programma regolare aiutano le persone a praticare la condivisione, la scrittura e la comunicazione.
  20. Occasionalmente scegli parole, frasi o paragrafi casuali e premi Elimina. Importava?
  21. L’urgenza è sopravvalutata, “prima possibile” è veleno.
  22. Se qualcosa che stai comunicando è difficile da ascoltare o condividere, invita a fare domande alla fine. Terminare senza questo invito porterà al silenzio del pubblico che farà delle congetture personali. È in questo modo che i rumors vengono alla luce.
  23. Dove metti qualcosa e come lo chiami, ha importanza. Quando si titola qualcosa, inserisci le informazioni più importanti. Tieni a mente che molti programmi informatici troncano testi o titoli lunghi.
  24. Comunica nel momento giusto. La condivisione di qualcosa alle 17:00 può far rimanere qualcuno al lavoro più a lungo. Potresti avere del tempo libero la domenica pomeriggio per scrivere qualcosa, ma pubblicarlo la domenica potrebbe riportare le persone al lavoro nei weekend. Ed il lunedì mattina presto la comunicazione potrebbe essere sepolta da altre cose. Potrebbe non essere un momento perfetto, ma sicuramente c’è un momento sbagliato. Tienilo a mente quando premi Invio.
  25. Fornire buone notizie a seguito di cattive notizie può peggiorare entrambe le comunicazioni. In questo modo, le cattive notizie sembrano essere state sepolte e le buone notizie sembrano essere state introdotte per cambiare l’umore. Sii onesto con ognuna dando loro uno spazio adeguato.
  26. Il tempo è dalla tua parte, la fretta rende le conversazioni peggiori.
  27. La comunicazione può non essere efficace, in particolare la comunicazione verbale. Ogni diceria aggiunge interferenze alla fedeltà. Quando possibile, comunica direttamente con le persone a cui ti stai indirizzando anziché passare il messaggio attraverso degli intermediari.
  28. Chiedi se le cose sono chiare. Chiedi cosa hai dimenticato. Chiedi se c’era qualcosa che qualcuno si aspettava di cui non hai discusso. Affronta le lacune prima che si allarghino col tempo.
  29. Considera dove metti le cose. Una giusta comunicazione nel posto sbagliato potrebbe anche non esistere affatto. Quando qualcuno si affida alla ricerca per trovare qualcosa, è spesso perché non l’ha trovata nel luogo in cui si aspettava che fosse.
  30. La comunicazione spesso si interrompe, quindi una buona comunicazione spesso consiste nel dire la cosa giusta al momento giusto nel modo giusto con il minor numero di effetti collaterali.

La comunicazione quotidiana

Questa sezione include esempi specifici di come applichiamo la nostra filosofia giorno per giorno in tutta l’azienda. Poiché la comunicazione spesso si interrompe, valutare reciprocamente il tempo e l’attenzione è una considerazione fondamentale. Mantenere le persone al corrente è importante, ma chiedere loro di seguire tutto è una distrazione. Ecco perché seguiamo metodi affidabili e prevedibili per condividere il giusto tipo di informazioni al momento giusto nel posto giusto.

Il set di strumenti di base

Il 98% delle nostre comunicazioni interne avviene all’interno di Basecamp. Ciò significa che tutte le discussioni a livello aziendale, le chiacchiere sociali, il lavoro relativo ai progetti, la condivisione di idee, i dibattiti interni, i check-in automatici, gli aggiornamenti dello stato, gli aggiornamenti delle politiche e tutte le decisioni e gli annunci ufficiali avvengono tutti in Basecamp. Un unico strumento centralizzato tiene tutto insieme e crea un’unica fonte di verità per tutti in tutta l’azienda. Non utilizziamo la posta elettronica internamente (lo facciamo esternamente), non utilizziamo strumenti di chat separati come Slack o Teams e raramente abbiamo incontri di persona. Usiamo Zoom o Skype per la videoconferenza occasionale tra due o tre persone. E di tanto in tanto discutiamo di una richiesta pull in GitHub.

Domanda automatica giornaliera: “A cosa hai lavorato oggi?

Ogni giorno lavorativo alle 16:30, Basecamp (il
prodotto) chiede automaticamente a tutti i dipendenti “A cosa hai lavorato
oggi?” Qualunque cosa le persone scrivano è condivisa con tutti i membri
dell’azienda. Le risposte di tutti vengono visualizzate su un’unica pagina e raggruppate
per data, quindi chiunque sia curioso di sapere cosa sta succedendo all’interno
dell’azienda può semplicemente leggere dall’alto verso il basso. E se hai una
domanda su qualcosa, puoi commentare direttamente nella sezione commenti di
“A cosa hai lavorato oggi?” così da mantenere la conversazione nel
contesto.

Questa routine ha lo scopo di stimolare una forte
riflessione e di allentare il senso di responsabilità. Scrivere ciò che hai
fatto ogni giorno è un ottimo modo per ripensare a ciò che hai realizzato ed al
modo in cui hai trascorso il tuo tempo.

Alcune persone elencano ciò a cui hanno lavorato per
punti. Altri scrivono storie a più paragrafi per condividere – e documentare –
il pensiero dietro il loro lavoro. Non ci sono requisiti qui. Chiediamo a tutti
di scrivere nel proprio stile.

Domanda automatica settimanale: “A cosa lavorerai questa settimana?”

Ogni lunedì mattina, Basecamp chiede automaticamente a tutti “A cosa lavorerai questa settimana?” Questa è un’opportunità per tutti di presentare il quadro generale della loro settimana. Non si tratta di rigurgitare singole attività o di immergersi a capofitto nella descrizione minuziosa della settimana. In genere è solo un quadro generale della settimana che verrà. Gli elementi del quadro generale, i temi generali. Ti prepara al lavoro da svolgere e, collettivamente, dà a tutti un buon senso di ciò che sta accadendo in azienda questa settimana.

Domanda automatica
mensile: “domande sociali”

Ogni poche settimane o una volta al mese, Basecamp farà automaticamente a tutti una domanda di tipo sociale. “Che libri stai leggendo?” Oppure “Hai provato qualcosa di nuovo recentemente?” O “Qualcosa ti ispira ultimamente?” Oppure “Hai visto un design eccezionale di recente?” O “Che cosa hai fatto questo fine settimana?” Queste domande completamente opzionali hanno lo scopo di lasciarti esprimere alcune cose che ti piacerebbe condividere con tutti gli altri, ma che non hai avuto l’opportunità dire. Questo tipo di comunicazione favorisce la socializzazione. Questo è particolarmente utile per i team remoti, come il nostro. Quando ci conosciamo un po’ meglio, lavoriamo un po’ meglio insieme.

← Rifletti ogni 6 settimane: heartbeat (battiti del cuore)

Gli heartbeat riassumono le ultime 6 settimane di lavoro per un determinato team, dipartimento o individuo (se quella persona è un dipartimento composto da un singolo). Sono scritti dal capo del gruppo e sono pensati per essere letti da chiunque in azienda. Riassumono le realizzazioni del quadro generale, descrivono in dettaglio le piccole cose che contano e generalmente evidenziano l’importanza del lavoro. Faranno anche luce sulle sfide e le difficoltà lungo la strada. Sono un buon promemoria che ci ricorda che non è tutto rose e fiori tutto il tempo. A conti fatti, gli Heartbeat sono meravigliosi da scrivere, divertenti da leggere e aiutano tutti, compresi quelli che non sono direttamente coinvolti nel lavoro, a riflettere su lavori ben eseguiti e progressi ben riusciti.

→ Progetto ogni 6 settimane: Kickoffs (calci d’inizio)

I kickoff sono essenzialmente gli opposti di Heartbeat. Invece di riflettere, proiettano. Riguardano tutto ciò che il team prevede di affrontare nelle prossime 6 settimane. Progetti, iniziative, rinnovamenti, qualunque esso sia, se è nella lista, viene riassunto nel Kickoff. I Kickoff descrivono come sarà il lavoro specifico per un gruppo specifico, ma sono anche destinati all’intera azienda. Come Heartbeat, sono scritti dal capo squadra. I kickoffs hanno una portata ampia, quindi non elencano tutti i dettagli del lavoro a venire: sarà compito dei team che svolgerà l’incarico occuparsi di tutte le minuzie del progetto. Non vogliamo sopraffare tutti con particolari che non contano. Se qualcuno è curioso di sapere qualcosa incluso in un Kickoff, è libero di pubblicare un commento e porre una domanda.

Ove pertinente: annunci

Occasionalmente aggiorniamo una politicy interna. Può essere qualcosa relativo alle ferie, o a un nuovo benefit, o il ricordare che “settimana di 40 ore” significa “settimana di 40 ore” e non bisogna lavorare oltre. Quando abbiamo qualcosa da annunciare a livello aziendale, non inviamo un’email. La posta elettronica è decentralizzata e non esiste alcuna registrazione permanente, in un posto permanente, che tutti possono vedere. Invece, lo pubblichiamo sulla bacheca del quartier generale di Basecamp o come commento su un documento di politicy esistente archiviato in Basecamp. Questo significa che tutti vedono la stessa cosa, tutti ascoltano la stessa cosa e tutti conoscono la stessa cosa, compresi i futuri dipendenti che devono ancora unirsi a Basecamp. Ora abbiamo una verità condivisa.

Project work giorno per giorno: nel contesto

Una
comunicazione efficace richiede contesto. Dire la cosa giusta nel posto
sbagliato, o senza i dettagli adeguati, porta al doppio lavoro e alla perdita
dei messaggi. Ecco perché creiamo un progetto Basecamp separato per ogni
progetto su cui lavoriamo. Tutto ciò che riguarda quel progetto viene
comunicato all’interno di quel progetto. Tutti i compiti, tutte le discussioni,
tutti i documenti, tutti i dibattiti e tutte le decisioni avvengono all’interno
dell’area specifica relativa a quel progetto. Chiunque abbia bisogno di
accesso, ha accesso. Ogni progetto Basecamp è lo scrigno con tutto ciò che
qualcuno deve sapere su quel progetto di lavoro.

Inoltre,
prendiamo sul serio il contesto spaziale. Se stiamo discutendo di un’attività
specifica, ne discutiamo nella sezione commenti sotto l’attività stessa. Se
stiamo parlando di un documento specifico, ne discutiamo nei commenti allegati
a quel documento. Le comunicazioni rimangono attaccate alla cosa di cui stiamo
discutendo. Questo fornisce la storia completa in un posto affidabile.
L’alternativa è terribile: la comunicazione staccata dal materiale originale,
discussioni ovunque, conversazioni frammentate che mancano di interi pezzi di tempo
e dettagli, ecc. La funzione “tutto è commentabile” di Basecamp è ciò
che lo rende possibile per noi.

Altre risorse

Abbiamo
descritto in dettaglio i pro e i contro della chat rispetto alla scrittura in
forma lunga nella nostra famigerata guida “Group
Chat: Group Stress
“. Consigliamo
vivamente di dargli un’occhiata.

Troverai
anche una spiegazione dettagliata di come i nostri team lavorano
quotidianamente su progetti software in “Shape Up: Stop
Running in Circles and Ship Work that Matters
“.

Gli
esclusivi grafici Hill
di Basecamp ci aiutano a vedere dove stanno realmente i progetti senza dover
fare affidamento su riunioni di stato inefficienti, stand-up giornalieri o
regolari verifiche di persona.

Vale
la pena dare un’occhiata anche al Manuale della società Basecamp. Spiega come siamo strutturati, come definiamo
titoli e ruoli, il nostro pacchetto completo di benefici, i valori della nostra
azienda, le responsabilità di singoli collaboratori, manager e dirigenti e
altri elementi essenziali.

Qualunque altra cosa?

Speriamo che questa guida sia stata utile, ma siamo sicuri che ci stiamo perdendo qualcosa. Quali domande hai ancora? Cosa speravi di imparare e non hai trovato? C’era qualcosa di più confuso che possiamo chiarire? Cosa avrebbe reso questa guida più utile? È un lavoro in corso e, se necessario, ci aggiorneremo in base al tuo feedback. Si prega di inviare domande, suggerimenti e pensieri direttamente all’autore, Jason Fried, a jason@basecamp.com. Grazie!




Coronavirus, a rischio il valore del marchio Italia. “Serve una grande campagna nazionale”

Coronavirus, a rischio il valore del marchio Italia. "Serve una grande campagna nazionale"

Era il decimo al mondo, oltre 2 mila miliardi di dollari

Quando il Coronavirus e le sue ricadute socio-economiche saranno alle spalle, di quanto si sarà svalutato il marchio “Italia”, che secondo Brand Finance nel 2019 era il decimo più pregiato al mondo con un valore di 2.110 miliardi di dollari, di poco superiore al Pil tricolore? Se lo domanda, con preoccupazione, la società britannica che è tra i leader internazionali nel prezzare i marchi di aziende e, in questo caso, Stati. L’ultimo aggiornamento, dell’ottobre scorso, ha visto l’Italia scendere dall’ottavo al decimo posto come valore del marchio nazionale, scavalcato dalla Corea del Sud e dai principali Paesi del G7

Tuttavia lo choc con cui il Paese tra i più belli e visitati al mondo ha iniziato il 2020 rischia di ripercuotersi fortemente sul “brand Italia”, che a dire della società nata a Londra nel 1996 è “uno dei principali asset di questa nazione”. Sono numerose, in queste due settimane, le evidenze che dimostrano come gli effetti economici legati all’attuale crisi dipendano molto dalla crisi d’immagine. I dati che attestano l’Italia come il terzo Paese più contagiato nel mondo, e peggio ancora la percezione che il mondo ha nei confronti degli italiani e dei prodotti locali, rischiano di fare molto più male che non il Coronavirus stesso.

“Disdire una vacanza in Sicilia, dove il numero dei contagiati è ridicolo, oppure bloccare il Grana Padano, che non può trasmettere il virus, dipende sicuramente dalla pessima immagine che abbiamo trasmesso oltre confine – afferma Massimo Pizzo, dirigente italiano di Brand Finance – Questa crisi d’immagine, che impatta sia sul business sia sul soft power della nazione, è particolarmente rilevante perché danneggia i punti di forza della nostra immagine: il Made in Italy, il turismo e lo stile di vita; non ha invece reale impatto sui nostri punti di debolezza nel percepito internazionale come la gestione della cosa pubblica o la leadership nella ricerca scientifica”.

Il dirigente di Brand Finance suggerisce, per correre ai ripari, “un piano che non si limiti a gestire la crisi, ma una vera e propria strategia per gestire il brand nazione, analoga a The Great Campaign quella lanciata qualche anno dal Regno Unito”. Allora fu una strategia che sembrò funzionare: l’isola ha aumentato le entrate economiche originate da immagine e reputazione nazione nonostante la Brexit, raggiungendo nel 2019 un valore del brand Regno Unito di 3.851 miliardi di dollari, molto più della sua previsione di Pil 2019 (pari a 2.720 miliardi).

“Il team che dovrà gestire la crisi d’immagine dell’Italia – aggiunge Pizzo – non dovrebbe limitarsi a coinvolgere guru della comunicazione, ma dovrebbe innanzitutto condurre analisi di marketing e finanziarie per stabilire lo stato attuale del marchio, Italia identificando i fattori su cui focalizzare la strategia con relativo impatto economico tenendo conto dei costi e di ritorni sugli investimenti”.




Coronavirus: gli aspetti psicologici dell’epidemia e cosa fare

Coronavirus: gli aspetti psicologici dell’epidemia e cosa fare

La situazione di emergenza dovuta alla pandemia di COVID-19 mette a dura prova la nostra salute psicologica. Le preoccupazioni e l’incertezza aumentano con l’aggiornamento quotidiano dei dati su contagio e letalità del virus e sul suo approssimarsi ai luoghi in cui viviamo. Tuttavia, aumenta solo in modo lento e forzato la consapevolezza dell’impatto devastante che una comunicazione non responsabile e carente sugli aspetti psicologici può avere sulla comunità.

Preoccupazioni e incertezza si sono accentuate dopo le ulteriori necessarie indicazioni del decreto del 9 marzo che ha cambiato drasticamente le nostre abitudini quotidiane, restringendo al minimo i nostri spostamenti e le nostre attività allo scopo di contenere l’epidemia. Stiamo vivendo un’emergenza mondiale che genera reazioni psicologiche sia individuali che collettive.

Tra le risposte collettive ci sono state, soprattutto nelle prime fasi della diffusione dell’epidemia e in corrispondenza delle regolamentazioni governative, reazioni di massa caratterizzate dall’allontanamento dalle zone più critiche (ricongiungendosi alle famiglie in altre regioni, raggiungendo la casa al mare o in montagna, andando in vacanza,…) e dall’assalto ai supermercati.

Sono entrambi comportamenti dettati dalla necessità di reagire a una situazione di crisi e con un’intensità a essa proporzionata. Più tali episodi sono riportati senza spiegazioni sui mezzi di comunicazione, più tendono a ripetersi. Per quanto riguarda la spesa, quello che viene veicolato è di solito un messaggio di scarsità di risorse (ad esempio, ‘non si trovano più le penne rigate’, ‘svuotati gli scaffali della carta igienica’) che induce ulteriori eccessi negli acquisti. «Non è panico questo, è una reazione che ha una sua razionalità, date le informazioni ricevute», ha spiegato Lorenzo Montali a Stefano Dalla Casa su Wired.

Solo con un’informazione responsabile è possibile affrontare le preoccupazioni e l’incertezza di tutta la comunità, evitando che si trasformino in comportamenti apparentemente incontrollati che, tuttavia, possono diventare rischiosi durante un’epidemia.

Nel suo blog, nel 2012, lo psicologo sociale John Drury suggeriva tre strategie di comunicazione:

  • Evitare l’espressione “non fatevi prendere dal panico”.
  • La convinzione che ci sia “panico” rende logico agire in modo individualistico.
  • “‘Il panico della spesa’ non è panico”.

Per Drury, spesso sono i mass media, più che i politici, a ricorrere al cliché del ‘panico’ per descrivere le code dei consumatori e l’accumulo di scorte” e aggiungeva che “quando le persone pensano a se stesse come identità sociale (ad es, ‘sono membro della mia comunità’) sono più collaborative, meno pronte a fare code e più disposte a condividere con estranei le merci in diminuzione”.

In una recente revisione degli studi sulla psicologia delle masse e comportamento collettivo, Drury riporta che “la cooperazione che si verifica in molte emergenze e catastrofi è spiegabile in termini di processi di identità sociale, che riflettono le relazioni preesistenti oppure il nuovo senso di appartenenza derivante dall’esperienza comune”. I professionisti della gestione delle emergenze devono essere, quindi, “consapevoli dell’uso della comunicazione per costruire un’identità condivisa e della necessità di aiutare la comunità a collaborare, fornendo ad essa continuo supporto”.

Anche la riluttanza con cui abbiamo aderito alla quarantena nazionale ha risentito delle modalità di comunicazione. Come ha spiegato lo psicologo sociale Armando Toscano Linkiestapsicologicamente la situazione non è facile” e “le fasi della metabolizzazione di una novità come l’epidemia, che comporta una ‘sospensione della normalità’ sono diverse”.

Attualmente siamo in una fase di iniziale “rassegnazione” e del forte tentativo di creare un’identità sociale attraverso gli affollati ed emozionanti incontri dai balconi o sui social network. Quello che manca è un coordinamento nazionale che curi quotidianamente anche la comunicazione sull’impatto psicologico dell’epidemia di COVID-19.

Da un lato, non abbiamo un gruppo di riferimento di psicologi sociali, cognitivo-comportamentali, ecc. che informi la comunicazione istituzionale e, dall’altro, non abbiamo una rete organizzata di psicologi nei servizi territoriali che, operando in conformità alle evidenze scientifiche, sia almeno sufficiente a garantire interventi accessibili a tutti.

Il lavoro sul campo è lasciato all’enorme impegno di associazioni, di gruppi regionali, di centri o di singoli che gratuitamente forniscono supporto telefonico. Tralasciando le considerazioni sul consueto messaggio che il lavoro di specialisti psicologi e psicoterapeuti non valga una retribuzione e che non sia parte di un piano – come professione sanitaria in una situazione di emergenza – interno al Sistema Sanitario Nazionale, sarà sufficiente questa rete sfrangiata ad affrontare i mesi di pandemia e i suoi effetti a lungo termine?

Oltre alle risposte collettive ci sono poi le risposte individuali che variano in base alle risorse e al contesto di ciascuno che, a loro volta e nel loro insieme, modulano i livelli di ansia e di paura sperimentati. Se poi già ci si trovava in determinate condizioni psicopatologiche, di fragilità o di disabilità la situazione tra preoccupazioni, incertezza e sconvolgimenti del quotidiano può diventare molto difficile da gestire.

Abbiamo selezionato e tradotto di seguito alcune indicazioni per affrontare l’emergenza da COVID-19 stilate da enti ufficiali e che si rivolgono a diversi gruppi. Le prime sei indicazioni sono tratte dalla nota sugli aspetti psicosociali e di salute mentale dell’epidemia di COVID-19 della Rete per la Salute Mentale e il Supporto Psicosociale (MHPSS, Mental Health & Psychosocial Support Network) del Comitato permanente Inter-Agenzia IASC (Inter-Agency Standing Committee) delle Nazioni Unite – Briefing note on addressing mental health and psychosocial aspects of COVID-19 Outbreak- Version 1.0 –, le ultime tre sono pubblicate da centri di riferimento statunitensi o britannici per i disturbi ossessivo-compulsivo, d’ansia e post-traumatico da stress.

Gestione dello stress da epidemia negli anziani (IASC MHPSS)

Gli adulti più anziani, specialmente se in isolamento o con declino cognitivo/demenza, possono diventare ansiosi, arrabbiati, agitati, eccessivamente sospettosi durante l’epidemia/la quarantena. Occorre: fornire supporto emotivo attraverso le reti informali (famiglie) e i professionisti della salute mentale; condividere resoconti semplici su ciò che sta accadendo e fornire informazioni chiare su come ridurre il rischio di infezione; ripetere le informazioni ogni volta che sia necessario.

Per le persone anziane in residenza assistenziale (ad es., case di cura), gli amministratori e il personale devono garantire che siano in atto misure di sicurezza per prevenire il contagio e l’insorgere di preoccupazioni eccessive o panico. Allo stesso modo, è necessario fornire sostegno al personale di assistenza che potrebbe trovarsi a rimanere per lunghi periodi con i residenti e a non poter stare con la propria famiglia.

Occorre prestare particolare attenzione ai gruppi ad alto rischio, cioè alle persone anziane che vivono da sole/senza parenti stretti, che hanno uno stato socioeconomico basso e/o condizioni di comorbilità come declino cognitivo/demenza o altre condizioni psicopatologiche.

Le persone anziane potrebbero avere un accesso limitato alle app di messaggistica. Occorre fornire, attraverso modalità accessibili, informazioni e fatti precisi sull’epidemia di Covid-19, la progressione, il trattamento e le strategie efficaci per prevenire l’infezione.

Le persone anziane potrebbero non avere familiarità con l’uso di dispositivi o metodi di protezione oppure rifiutarsi di usarli. Occorre che le istruzioni su come utilizzare i dispositivi di protezione siano comunicate in modo chiaro, conciso, rispettoso e paziente.

Le persone anziane potrebbero non sapere come utilizzare i servizi online per la spesa quotidiana, la consulenza o l’assistenza. Occorre fornire informazioni dettagliate e aiuto pratico, se necessario; distribuire beni e servizi come materiali di prevenzione (ad es. mascherine, disinfettanti) e alimenti può ridurre l’ansia nella vita di tutti i giorni; prescrivere agli anziani semplici esercizi fisici da eseguire a casa/in quarantena favorisce il mantenimento della mobilità.

Rispondere ai bisogni delle persone con disabilità durante l’epidemia (IASC MHPPS)

Le persone con disabilità e i loro caregiver affrontano barriere che potrebbero impedire loro di accedere alle cure e alle informazioni essenziali per ridurre il rischio di infezione da COVID-19.

  • Barriere ambientali. La comunicazione del rischio è essenziale per promuovere la salute, per prevenire la diffusione dell’infezione e per ridurre lo stress nella popolazione, tuttavia le informazioni spesso non sono preparate e condivise per includere le persone con disabilità comunicative. Molti centri sanitari non sono accessibili alle persone con disabilità fisiche a causa delle barriere architettoniche e della mancanza di sistemi di trasporto pubblico accessibili.
  • Barriere istituzionali. Il costo dell’assistenza sanitaria impedisce a molte persone con disabilità di potersi permettere servizi essenziali e mancano dei protocolli definiti per prendersi cura delle persone con disabilità in quarantena.
  • Barriere attitudinali. Pregiudizi, stigmatizzazione e discriminazione nei confronti delle persone con disabilità, inclusa la convinzione che non siano in grado di contribuire alla risposta alle epidemie o prendere decisioni, possono aggiungere stress alle persone con disabilità e ai loro caregiver durante l’epidemia di COVID-19.

Se i caregiver devono essere trasferiti in quarantena, è necessario predisporre piani per garantire un supporto continuo alle persone con disabilità che necessitano di assistenza. Aggiungiamo che il ruolo dei caregiver va considerato anche per gli anziani che necessitano di assistenza quotidiana. In generale, occorre tener conto anche dei loro bisogni sommersi dal momento che, nel periodo di quarantena, i caregiver possono essere ancora più esposti all’impatto negativo delle cure quotidiane sulla propria salute fisica e psicologica.

Messaggi e attività per aiutare i bambini a gestire lo stress durante l’epidemia (IASC MHPPS)

Incoraggiare l’ascolto attivo e un atteggiamento comprensivo con i bambini. I bambini possono rispondere a una situazione difficile in diversi modi: aumentando la dipendenza dagli adulti di riferimento, manifestando ansia, rabbia o agitazione, ritirandosi, presentando incubi, enuresi notturna, frequenti cambiamenti di umore, ecc.

I bambini di solito si sentono sollevati se possono esprimere e comunicare la loro inquietudine in un ambiente sicuro e supportivo. Ogni bambino ha il suo modo di esprimere le emozioni (con attività creative, con il gioco, ecc.).

I bambini spesso colgono i segnali emotivi dagli adulti di riferimento, quindi il modo in cui gli adulti rispondono alla crisi e gestiscono le proprie emozioni è molto importante.

Se un bambino deve essere separato dal suo caregiver primario, è necessario assicurarsi che sia fornito un adeguato supporto e che, quando possibile, siano mantenuti contatti regolari e frequenti (ad es. tramite telefono, videochiamate).

I bambini dovrebbero continuare a mantenere il più possibile le abitudini e gli orari regolari oppure devono essere guidati a nuove routine quotidiane che comprendano attività scolastiche, gioco, relax, attività sociali.

Ai bambini devono essere fornite informazioni adatte all’età su ciò che sta accadendo, su come ridurre il rischio di infezione e su come tenersi al sicuro.

Le nuove tecnologie stanno rendendo meno difficile la vita in quarantena. Tuttavia, sono molti i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze che non hanno accesso ai dispositivi digitali o a una connessione sufficiente a garantire il mantenimento delle interazioni con i coetanei e la continuazione degli apprendimenti. Si tratta di un problema sociale che accentua le disuguaglianze durante i periodi di crisi e nelle fasi successive.

Attività per adulti in isolamento/quarantena (IASC MHPPS)

Esercizio fisico (ad es. Yoga, tai chi, stretching); esercizi cognitivi; tecniche di rilassamento (ad es., respirazione, meditazione, mindfulness); lettura di libri e riviste; riduzione del tempo trascorso a guardare immagini impressionanti alla TV; riduzione del tempo dedicato ad ascoltare dicerie; ricerca di informazioni da fonti affidabili limitata a 1-2 volte al giorno, anziché ogni ora.

Supporto alle persone che lavorano per affrontare l’epidemia (IASC MHPPS)

Per chi lavora sul campo

Sentirsi stressati è abbastanza normale nella situazione attuale. Gestire lo stress e il benessere psicosociale durante questo periodo è importante quanto gestire la salute fisica.

La necessità di stare lontani dalla famiglia può rendere molto più difficile una situazione già impegnativa. In questi casi, oltre a mantenere i contatti, sarebbero necessari percorsi di supporto interni e definiti.

Se lo stress peggiora, gli operatori possono sentirsi sopraffatti e in colpa. Lo stress cronico può influire sul benessere mentale e sul lavoro anche dopo un miglioramento della situazione.

Per direttori e responsabili

Proteggere la propria equipe dallo stress cronico aiuta a mantenere gli standard del lavoro svolto.

Monitorare regolarmente il benessere del personale, garantire un’efficiente comunicazione e aggiornamenti tempestivi aiutano a mantenere il controllo, mitigando le preoccupazioni e l’incertezza. Assicurare delle riunioni brevi e regolari consente agli operatori di esprimere le proprie preoccupazioni e di porre domande, incoraggiando il sostegno tra colleghi.

Attualmente, mentre noi assistiamo al diffondersi del contagio, l’aspetto più allarmante è la mancanza di dispositivi di protezione nei diversi setting sanitari e assistenziali. Ad esso seguono la scarsità di ore di riposo e la mancanza di direttive per garantire la salute psicologica, oltre a quella fisica, di operatori che lavorano in condizioni difficilissime e che nelle aree più critiche affrontano la perdita di pazienti, colleghi e familiari. Un adeguato supporto dovrebbe  tempestivamente rispondere soprattutto ai bisogni di chi si trovava già in situazioni personali di difficoltà.

Promozione della salute mentale e del benessere nelle comunità colpite da COVID-19 (IASC MPHSS)

È normale sentirsi tristi, angosciati, preoccupati, confusi, spaventati o arrabbiati durante una crisi. È importante parlare con persone di fiducia e contattare amici e familiari.

Quando è necessario restare a casa, è importante mantenere uno stile di vita sano (includendo una dieta adeguata, la regolarità del sonno, l’esercizio fisico e i contatti con le persone care).

Fare riferimento a un operatore sanitario, un professionista specializzato o un’altra persona di fiducia quando prevale il senso di sopraffazione.

Consultare solo fonti affidabili per avere informazioni sui rischi e sulle precauzioni. Ridurre il tempo dedicato a seguire la copertura mediatica dell’epidemia.

Dal rapporto IACS – MHPSS restano fuori altre categorie come i migranti, i detenuti e le persone che già vivevano in ambienti critici o ai margini della società e che possono subire un impatto psicosociale più grave in una situazione di crisi come l’epidemia di COVID-19.

Trascurare l’impatto psicologico a sua volta può avere una ricaduta sull’esposizione ai rischi di contrarre il virus e sull’osservazione delle limitazioni volte a ridurre il contagio, con conseguenze negative sul contenimento dell’infezione.

Indicazioni per affrontare l’epidemia per le persone con Disturbo Ossessivo Compulsivo (International OCD Foundation)

È importante ricordare che questa è una situazione temporanea e che ci si può sentire a disagio. Questo non vuol dire che la propria condizione stia peggiorando.

  • Esempi di cosa fare: stabilire un limite di tempo di 5 minuti al giorno per la lettura di notizie e aggiornamenti da fonti attendibili. Concentrarsi sui fatti piuttosto che sulle emozioni provate. Fare delle pause, concedendosi attività piacevoli. Mantenere il più possibile le abitudini quotidiane. Se è in corso un trattamento, affrontare con il proprio terapeuta le preoccupazioni legate all’epidemia di COVID-19.
  • Esempi di cosa non fare: evitare la tentazione di sapere “tutto” sul nuovo coronavirus SARS-CoV-2. Non trascurare le linee guida di fonti sanitarie affidabili, anche se possono non aderire al piano terapeutico predefinito (ad esempio, durante l’epidemia non bisogna ridurre il numero di lavaggi delle mani). Non lasciare che il distanziamento fisico impoverisca le reti di supporto.

Indicazioni per affrontare l’epidemia per le persone con Disturbo d’ansia (Anxiety UK)

La situazione attuale ha creato molta incertezza che potrebbe essere difficile da affrontare per coloro che hanno un disturbo d’ansia preesistente, come l’ansia per la salute. In questi casi, la situazione può sembrare estremamente scoraggiante e preoccupante e, con l’ampia copertura mediatica, è comprensibile che alcune persone possano sentirsi sopraffatte e fare previsioni catastrofiche, immaginando gli scenari peggiori.

L’ansia per la salute può far avvertire qualsiasi tipo di sintomo come la condizione peggiore. In primo luogo, è necessario limitare l’esposizione alle notizie sull’epidemia di COVID-19: serve solo a nutrire la paura.

Per ristabilire il controllo, alcune azioni indicate sono: riconoscere e accettare l’incertezza, non dare credito ai propri pensieri, spostare l’attenzione sulle proprie azioni e attività.

Gestione dello stress associato all’epidemia (Centro nazionale statunitense per il Disturbo Post-traumatico da stress)

L’epidemia di COVID-19 ha il potenziale per aumentare lo stress e l’ansia, sia per la paura di contrarre il virus sia per l’incertezza su come l’epidemia ci influenzerà socialmente ed economicamente.

  • Esempi di cosa fare, per tutti: aumentare il senso di sicurezza. Cercare il supporto di familiari, amici, ecc. e di coloro che vivono la stessa situazione. Coltivare le attività che danno più calma. Migliorare il senso di controllo e la capacità di sopportazione. Accettare le circostanze che non possono essere modificate e concentrarsi su ciò che è possibile modificare.
  • Esempi di cosa fare, per chi ha vissuto situazioni ad alto rischio per la vita: riconoscere e accettare la realtà della situazione. Prepararsi ad affrontare le emozioni e l’angoscia senza esserne sopraffatti/e. Distrarsi dalle emozioni inutili rimanendo occupati mentalmente e fisicamente. Cambiare le espressioni autoriferite da “questo è un momento terribile” a “questo è un momento terribile ma posso farcela”. Cercare aiuto per prendere decisioni o intraprendere azioni.

È opportuno aggiungere anche qui un estratto della sezione dedicata a “Gestire lo stress degli operatori sanitari associato all’epidemia“:

Un forte orientamento al servizio, la mancanza di tempo, le difficoltà nel soddisfare o riconoscere i propri bisogni, lo stigma e la paura di essere rimossi dalle proprie funzioni durante una crisi possono impedire al personale di richiedere supporto se si verificano reazioni di stress. I datori di lavoro dovrebbero essere proattivi nell’incoraggiare le cure di supporto in un’atmosfera priva di stigmatizzazione, coercizione e paura di conseguenze negative.

Il rischio di disturbo post-traumatico da stress dovrebbe essere attentamente valutato e prontamente affrontato sia negli operatori sanitari sia nelle persone che hanno subito le conseguenze peggiori dell’epidemia di COVID-19.

Ci troviamo in una situazione nuova, con un virus nuovo che gli scienziati di tutto il mondo stanno studiando e siamo in grado di imparare a convivere con l’incertezza: bisogna dubitare di chi fa previsioni su quello che accadrà perché i dati sono ancora insufficienti.

In questo momento è importante non affidarsi a professionisti non accreditati, a tecniche non riconosciute, a ingannevoli trattamenti che promettono di prevenire l’infezione da COVID-19 con esercizi psicologici di dubbia validità o con amuleti!

È possibile imparare a convivere con la situazione di incertezza che accompagna questa pandemia, continuando a pianificare le nostre attività e a mantenere la vigilanza. Lo stiamo facendo insieme. Continuiamo a farlo con pazienza e compassione. Se si ha bisogno di aiuto è importante rivolgersi al proprio psicologo/psicoterapeuta o al proprio medico di fiducia per avere indicazioni oppure fare riferimento alle associazioni e ai professionisti accreditati (verificati nell’apposita pagina dell’ordine degli psicologi o dell’ordine dei medici).

È, però, auspicabile una pianificazione istituzionale tempestiva di modalità di comunicazione responsabile e di interventi di supporto psicosociale basati sulle evidenze scientifiche, per affrontare con strategie di prevenzione l’impatto sul benessere psicologico e sulla salute mentale dell’epidemia di COVID-19 e dei suoi effetti economici e sociali a lungo termine.

Finora la comunicazione è stata orientata per lo più alla denuncia dei comportamenti negativi o alla confusione e poco tesa a migliorare la percezione del rischio anche nei gruppi di persone che tendono a sottovalutarlo. Come hanno evidenziato Wise e collaboratori, in uno studio appena pubblicato ma non sottoposto a revisione, è necessario, da un lato, estendere i metodi di sensibilizzazione alle persone che non cercano informazioni da sole e, dall’altro, educare ai benefici dei comportamenti di protezione per favorirne la diffusione anche in chi tende a minimizzare il rischio personale percepito.

Durante la quarantena, che priva gli individui della loro libertà, dovrebbe essere adottata ogni misura tale da renderla tollerabile il più possibile, concludono Brooks e collaboratori in un articolo di revisione pubblicato sulla rivista The Lancet a fine febbraio. Affinché questo avvenga, è necessario spiegare alle persone quello che sta accadendo, informare su quanto durerà, suggerire attività da svolgere, fornire una comunicazione chiara, assicurare le forniture essenziali e rinforzare il senso di altruismoIn assenza di tali azioni la quarantena diventa un’esperienza negativa che può avere effetti a lungo termine sulla salute psicologica.

Anche per quanto riguarda gli interventi di supporto e prevenzione sul campo, soprattutto per le persone più colpite, finora ha prevalso un’ondata di solidarietà da parte degli psicologi (#noipsicologicisiamo) in mancanza di un’ipotesi di coordinamento. Nel messaggio del 18 marzo dell’Ordine degli psicologi alla comunità professionale viene specificato che: “Il CNOP [Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi] si è attivato e continua a lavorare per il massimo coinvolgimento pubblico ed istituzionale della professione. Alcuni segnali e risposte importanti dal Governo sono già visibili nel testo del DL n.14 del 9 marzo (che prevede specificamente gli Psicologi tra le figure che possono essere assunte nel SSN per fronteggiare l’emergenza), ora è in mano alle singole Regioni ed Aziende sanitarie per l’applicazione in base alle esigenze locali”.




Non è una guerra: perchè il la pandemia da Coronavirus rappresenta un’occasione unica per “ricostruire” il significato di bene comune

Non è una guerra: percè il la pandemia da Coronavirus rappresenta un'occasione unica per "ricostruire" il significato di bene comune

Di Michael Marder, professore di ricerca IKERBASQUE presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università dei Paesi Baschi (UPV/EHU), Vitoria-Gasteiz, Spagna. È autore di numerosi articoli scientifici e 15 libri e collaboratore di LA Review of Books, The Guardian, New York Times, El Pais e altre pubblicazioni internazionali.

Proprio come le precedenti guerre contro la povertà, la droga e il terrorismo, una nuova “guerra contro COVID-19” è destinata al fallimento se si utilizza un linguaggio militaristico. Possiamo vincere solo se ripristiniamo il bene comune rovinato da decenni di politiche neoliberiste.

Quando parliamo dell’attuale pandemia di coronavirus e di una risposta concertata ad esso, dovremmo dire inequivocabilmente: “Questa non è una guerra”. È vero che questo contraddirà direttamente la posizione di molti leader mondiali, che hanno dichiarato guerra al virus. Ma negare la necessità di un inquadramento militaristico, non significa chiudere un occhio su quanto sia critica la situazione. Al contrario, aiuterebbe a cercare un modo alternativo di affrontare la crisi del coronavirus, di ispirare le persone all’azione collettiva e individuale e, in definitiva, di creare un mondo migliore quando l’attuale pandemia si esaurirà.

Medicina militaristica

La moderna medicina occidentale è incline a utilizzare linguaggi strategie di tipo militare. Diciamo che qualcuno “combatte una malattia”, che il defunto ha “perso una battaglia” con un’afflizione letale, che i tumori possono essere “aggressivi” e che, pertanto, dovrebbero essere “attaccati in modo aggressivo” con la chemioterapia. Questo modo di concettualizzare e praticare la medicina si coniuga perfettamente con la narrazione della “guerra al virus”.

Premesse storiche della “guerra al virus”

Dagli anni ’60, i governi di tutto il mondo (a cominciare dagli Stati Uniti) hanno esteso la metafora della guerra oltre il contesto delle ostilità militari come tradizionalmente inteso. Nel 1964, il presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson annunciò l’inizio di una “guerra alla povertà” per descrivere il suo tentativo di gettare le basi di uno stato sociale. Nel 1971, il presidente Richard Nixon definì l’abuso di droga “nemico pubblico numero uno” e dichiarò una “guerra alla droga”. Nel 2001, il presidente George W. Bush ha lanciato la sua chiamata alla “guerra al terrore” globale in risposta agli attacchi dell’11 settembre al World Trade Center di New York. La “guerra” del 2020 sul coronavirus dovrebbe essere vista nel contesto di queste dichiarazioni.

Nemico invisibile

Con ogni nuova dichiarazione, il presunto nemico divenne sempre più invisibile, privo di contorni riconoscibili e quindi la sua presenza potrebbe palesarsi praticamente ovunque. Con un nemico non facilmente localizzabile e potenzialmente sempre presente, la guerra diviene totale, focalizzando tutta la realtà.

La logica della guerra

Il nemico invisibile che figura in una guerra contro il coronavirus confgura una guerra senza una chiara “prima linea”. Ma se la prima linea viene cancellata, il fronte non scompare: viene tracciato tra ognuno di noi e persino all’interno di ognuno di noi, data l’incertezza sul fatto che uno sia infetto o meno dal coronavirus.

Un altro elemento tipicodellai guerra che viene distorto nelle circostanze attuali è la reale possibilità di uccidere e essere ucciso. Né il virus stesso, né quelli che infetta, hanno l’intenzione di uccidere chiunque. Quindi, in un paradigma di guerra, il ruolo del virus è ambiguo: è un nemico o un’arma? Un corpo umano potenzialmente infetto è l’arma del virus o è esso stesso un nemico? I leader che ricadono nelle metafore militaristiche hanno la responsabilità di determinare il diffondersi di un pensiero che distorce tutto in questa logica.

Vittoria

Nelle guerre che si estendono oltre la sfera dei conflitti armati tra le comunità umane, la vittoria è irraggiungibile. Così c’è la solo sconfitta. Non solo le guerre contro la droga, il terrore e ora un virus diventano onnicomprensive; non solo cancellano la prima linea e una figura nemica riconoscibile, ma hanno anche un termine temporale indeterminato, nessuna cessazione definitiva delle ostilità. Un concetto gonfiato di guerra corre il rischio di diventare una lotta per una causa persa fin dall’inizio.

Pace

Supponendo che si possa dichiarare la propria vittoria o ammettere di essere stato sconfitto in tali guerre, come sarebbe il tempo di pace che segue? In effetti, la pace non è affatto contemplata nelle ostilità contro il terrore o un virus. L’obiettivo massimalista che hanno è la completa eliminazione del nemico, il suo totale annientamento. Queste sono guerre senza pace e, quindi, senza la fine che le limiterebbe, nel tempo o nello spazio concettuale.

Distruzione del bene comune

Dopo decenni di politiche neoliberiste che hanno portato alla privatizzazione di società di servizi pubblici e fondi pensione, all’erosione dei diritti dei lavoratori, alla cessione dalla sanità pubblica e ad altri settori e servizi vitali, l’esperienza e il concetto stesso di bene comune sono stati svuotati. Di conseguenza, un appello alla popolazione affinché agisca per il bene comune cadrà inascoltato e non produrrà gli stessi effetti desiderati e carichi emotivamente di una dichiarazione di guerra, che al invece implica necessità di mobilitarsi, combinare gli sforzi individuali e fare sacrifici.

Un’opportunità unica

Per quanto terrificante e tragica, la pandemia di coronavirus presenta un’opportunità unica: ricostruire un senso di bene comune e infondere in esso un nuovo significato, fondato sull’esperienza.

Dovremmo concentrarci sui piccoli atti di gentilezza e solidarietà che ci circondano. Ciò include le persone che offrono ai vicini più anziani un aiuto per l’acquisto di cibo, provviste o medicine, il prendersi cura dei più vulnerabili. Per non parlare degli enormi rischi che il personale medico corre nel trattamento delle persone che hanno contratto il virus. Insieme ad alcune azioni del governo, come l’abolizione della differenza tra i sistemi sanitari pubblici e privati, queste esperienze possono rinvigorire la nozione stessa di bene comune.

Se un appello al bene comune dovesse avere di nuovo senso, se dovesse guidare il nostro comportamento in uno stato di crisi, sarebbe significativamente più efficace nel superare una situazione di emergenza rispetto agli appelli da stato di guerra che continuano a propinarci.




Airbus, Boeing e il Pentagono. Così il virus preme su Aerospazio e Difesa

Airbus, Boeing e il Pentagono. Così il virus preme su Aerospazio e Difesa

Tra le due sponde dell’Atlantico crescono i timori che, dopo l’emergenza, una nuova crisi si abbatta su Aerospazio e Difesa. Dopo Boeing, è il colosso franco-tedesco Airbus a premere per aiuti pubblici. Sul fronte della Difesa, il rischio di recessione alimenta la paura di tornare ai tagli sperimentati dopo la crisi del 2008. Il Pentagono si mette in moto e accelera i pagamenti per le aziende Usa

Il virus si diffonde nell’aerospazio. Dopo Boeing, è l’europea Airbus a cercare aiuti pubblici per far fronte all’emergenza coronavirus. Il colosso franco-tedesco ha cancellato il dividendo e aumentato la linea di credito, sulla scia di previsioni drammatiche per il trasporto aereo globale. Sul fronte della Difesa, il rischio di recessione alimenta ovunque i timori di tornare ai tagli di budget sperimentati dopo la crisi del 2008, quando negli Stati Uniti scattò la sequestration e l’Italia avviò una lunga sfilza di bilanci risicati. Il Pentagono però si è già messo in moto per evitare gli scenari più bui, accelerando i pagamenti per le aziende Usa e dotandosi di maggiore flessibilità in sede contrattuale. La Difesa europea, invece, resta non pervenuta.

I PROBLEMI DI AIRBUS

A segnare il trend è un gigante del calibro di Airbus. Come avevano previsto gli esperti, il gruppo ha deciso di cancellare il dividendo per il 2019 (1,80 euro per azione, pari a 1,4 miliardi di euro), annullando anche le previsioni di bilancio per il 2020. La misura più significativa è però il ricorso a una linea di credito elevata da 20 a 30 miliardi. Il numero uno del gruppo Guillaume Faury ha parlato di “tempi eccezionali”, ed è per questo che i più informati parlano di richieste dirette al governo francese per dare supporto al settore aerospaziale.

UN DURO COLPO IN ARRIVO

L’obiettivo è soprattutto tenere in vita la corposa filiera, mentre Airbus ha escluso con forza ogni scenario di salvataggio per l’azienda, sebbene non escluda rimodulazioni ulteriori di attività a seconda dell’evoluzione del contagio. Già la scorsa settimana, gli stabilimenti in Francia e Spagna avevano visto la chiusura di quattro giorni per le attività di sanificazione, mentre era arrivata la revisione al ribasso del rating (fino a “neutral”) da parte di JP Morgan Cazenove. Gli analisti prevedono che il colosso franco-tedesco “subirà un duro colpo” sulle consegne.

LA SITUAZIONE DI BOEING

Dall’altra parte dell’Atlantico tutti gli occhi sono puntati su Boeing, su cui peraltro già prima del coronavirus pesava la messa a terra da ormai un anno del 737 Max in seguito ai due drammatici incidenti. Venerdì scorso, il costruttore americano ha annunciato la sospensione del dividendo, l’estensione dello stop al riacquisto di azioni proprie già scattato ad aprile 2019 e il congelamento degli stipendi per il ceo David Calhoun e per il presidente del board Larry Kellner.

VERSO IL SUPPORTO DI TRUMP

Misure che sono state lette come un tentativo di demolire ogni critica avanzata sulla richiesta già presentata di supporto governativo: 60 miliardi di dollari in garanzie per ottenere linee di credito poderose. Sempre venerdì, è stato d’altra parte lo stesso presidente Donald Trump a chiarire che ci saranno “limiti” alle aziende che beneficeranno del supporto statale, tra cui proprio l’assenza di iniziative di buyback. Il presidente era stato il primo a promettere sostegno a Boeing.

DAI COSTRUTTORI ALLE COMPAGNIE

Le difficoltà dei costruttori non sono solo il frutto della riduzione delle attività in uffici e stabilimenti, ma soprattutto della riduzione imponente del traffico aereo, fenomeno che ha già colpito con forza la prima linea del settore: le compagnie. Su tutti i vettori (anche quelli più strutturati) soffiano venti di crisi, tra revisioni al ribasso di rating e stime di perdite globali nell’ordine delle centinaia di miliardi di dollari. Secondo l’Associazione internazionale del trasporto aereo (la Iata, che riunisce 290 compagnie aeree), in Europa la crisi riguarda 12,2 milioni di posti di lavoro. Il comparto si attende ripercussioni maggiori di quelle sperimentate dopo l’11 settembre, dopo la crisi finanziaria del 2008 e dopo la Sars.

LA RICHIESTA DI SOSTEGNO

La richiesta già presentata ai governi del Vecchio continente è di un sostegno complessivo, su scala globale, per 200 miliardi di dollari. “Senza un aiuto adatto, le compagnie non saranno pronte a riprendere le operazioni” quando terminerà l’emergenza, ha detto il vice presidente della Iata Rafael Schvartzman. “Molti vettori non esisteranno più”. D’altra parte, le stime di Eurocontrol mostrano riduzioni di traffico significative, dell’87% per l’Italia, nel 57% per la Francia e del 37% per il Regno Unito solo per citare alcuni tra i maggiori Paesi europei.

IL SETTORE DELLA DIFESA

Non è estraneo a ipotesi di criticità il comparto della Difesa, su cui rischiano di pesare due fenomeni. Nel breve termine, l’interruzione di alcune attività potrebbe incidere sulle filiere industriali, con riduzioni di liquidità difficili da affrontare. Lo ha spiegato su queste colonne il presidente dell’Aiad, Guido Crosetto: “Le aziende sono abituate a fatturare, scontare le fatture ed effettuare i pagamenti; non potendo farlo, salteranno i pagamenti (ne saltano anche molti adesso) e il prossimo mese saranno in molte di più a non poter pagare; è come un domino: la debolezza di molte si abbatterà su tutte”.

I TIMORI ITALIANI

Nel lungo termine, le preoccupazioni riguardano l’ipotesi di recessione una volta terminata l’emergenza. Allora, i budget per la Difesa potrebbero vedere riduzioni significative, come fu nel caso della crisi del 2008-2009. Una situazione temuta in particolare in Italia, dove solo per il 2020 sono emersi segnali incoraggianti su un’inversione di tendenza rispetto ad anni di budget piuttosto risicati (lo spiegavamo qui). Certo, quando bisognerà capire dove e come tagliare, è opportuno considerare che la Difesa resta un comparto strategico, a forte impatto sull’economia nazionale (a partire dagli investimenti in ricerca e sviluppo) e soprattutto determinante per la sicurezza nazionale.

LE MISURE DEL PENTAGONO

Non è un caso che il Pentagono (che per il 2020 si è già visto autorizzare una spesa da 730 miliardi di dollari) abbia messo in atto misure significative per affrontare la situazione e tutelare il comparto a stelle e strisce. Misure che partono proprio dalla crisi di liquidità nel breve periodo. Domenica, il dipartimento guidato da Mark Esper ha informato di aver aumentato i pagamenti progressivi sui contratti in essere, dall’80 al 90% dei costi per le grandi aziende e dal 90 al 95% per le medie e piccole. L’obiettivo è aumentare i flussi di cassa per evitare carenze di liquidità, ragion per cui sono stati accelerati i pagamenti ai prime contractor, chiedendo loro di fare lo stesso sulle rispettive filiere. La misura era stata chiesta dalle aziende americane con il supporto anche del Congresso.

AZIENDE STRATEGICHE

Nella stessa nota, tra l’altro, il Pentagono ribadiva l’importanza di tutelare il settore da eventuali scalate dall’esterno (esigenza su cui si discute anche in Italia). È anche per questo, nota DefenseNews, che tutto il comparto è stato inserito dal dipartimento della Difesa nella lista delle “infrastrutture critiche” stilata dal dipartimento per la Sicurezza nazionale. Tale elemento, oltre ad alzare la soglia d’attenzione su tentativi sospetti dall’esterno, serve per permettere alle aziende di proseguire le attività anche nel caso in cui gli Stati federati (è successo a New York) imponessero lo stop per l’emergenza coronavirus.