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Tod’s e l’arte di non comprendere cosa sta succedendo

Tod's e l'arte di non comprendere cosa sta succedendo

Tod’s si trova al centro di un caso di caporalato che avrebbe richiesto lucidità, responsabilità e un’immediata strategia di reputation recovery.

Invece l’azienda ha reagito con una postura difensiva e culturalmente arretrata, dimostrando di non aver compreso la gravità del disastro reputazionale in corso. La scelta di evocare presunti “attacchi al Made in Italy”, come se la magistratura stesse colpendo un simbolo nazionale anziché un sistema illecito di sfruttamento, è stata un errore tanto clamoroso quanto rivelatore: é la classica reazione di chi si percepisce intoccabile. Invece di prendere atto che la filiera nascondeva pratiche criminali, Tod’s ha preferito travestirsi da vittima, negando fatti che proprio i suoi audit esternalizzati avevano già segnalato come sospetti.

La difesa del “non sapevamo, non potevamo sapere”, è una confessione mascherata. Nel 2025, ignorare equivale a essere responsabili, perché i brand globali hanno il dovere di conoscere nel dettaglio la propria catena di fornitura. E Tod’s non solo, da ciò che si apprende dalle cronache, aveva le informazioni, ma ha scelto di gestirle in modo “cosmetico”. Commissionare audit e poi non usarli per correggere il sistema non è una scusante: è una prova di colpa organizzativa.

La comunicazione dell’azienda tradisce l’illusione che la reputazione sia un’operazione estetica, un velo di storytelling capace di coprire qualsiasi ombra. Ma la reputazione moderna è un asset strutturale: trasparenza, responsabilità, governance. Tutti fattori che l’azienda avrebbe dovuto attivare subito e che invece ha rifiutato, mostrando una pericolosa impermeabilità culturale.

Le tecniche di reputation recovery erano note e pronte all’uso: accountability immediata (“non avremmo dovuto non sapere”), audit indipendente entro 48 ore, sospensione dei rapporti con i fornitori coinvolti, pubblicazione di una roadmap di riforma, apertura radicale della filiera ai media e agli stakeholder.

Persino un gesto di ricostruzione simbolica – ad esempio una fondazione autonoma per rigenerare la filiera della moda, finanziata dall’azienda, ma governata da terzi – avrebbe immediatamente invertito la percezione pubblica, trasformando uno scandalo in un’occasione di marcare la propria leadership etica.

Invece Tod’s ha scelto l’immobilismo, la negazione, la retorica dell’assedio. Ha trattato la crisi come un fastidio reputazionale invece che come un terremoto morale. Ha preferito proteggere l’immagine anziché ricostruire la realtà. Il risultato è che non è più solo la filiera a essere sotto accusa, ma la cultura aziendale stessa.

Paradossalmente, Tod’s non sta pagando il prezzo del caporalato in sé, che, pur grave, è una crisi che si può affrontare e risolvere, ma della sua inefficace risposta. Una risposta che suona vecchia, miope, istintiva, completamente inadatta al tempo in cui viviamo.

Tod’s, per ora, ha deciso non affrontare di petto il problema, ricordando ciò che fece Intel quando i suoi microprocessori non erano precisi nei calcoli in virgola mobile.

Il vero disastro non è lo scandalo, ma il modo in cui un’azienda della sua storia e visibilità ha deciso di attraversarlo, incapace di capire che oggi la credibilità non si difende: si dimostra.




La nuova dittatura dell’algoritmo riscrive i processi della creatività

Il 10% del budget media viene destinato alla sperimentazione per presidiare simultaneamente tutte le piattaforme

Altro che limpida e trasparente. Un rubinetto dal quale sgorga acqua torbida diventa la metafora del mondo contemporaneo inquinato dalle fake news nel tempo dominato dall’intelligenza artificiale. È una visione apocalittica quella dell’agenzia Reuters, che dopo ben 175 anni – e per la prima volta nella sua storia – decide di lanciare la prima campagna pubblicitaria. Il film combina tecniche di produzione cinematografica con l’intelligenza artificiale generativa e arriva in un momento in cui le organizzazioni giornalistiche si trovano ad affrontare crescenti sfide sull’informazione inquinata da artefatti sintetici. Così nella campagna l’AI viene utilizzata per distorcere e offuscare le immagini che vengono poi contrapposte a quelle nitide dei reportage. Per il Reuters Institute Digital News Report 2025 oltre la metà del campione intervistato a livello globale ha dichiarato di essere preoccupato per le notizie che legge online siano vere o false. Una difficoltà elevata in America, dove il 73% del campione condivide queste preoccupazioni.

Perimetro allargato

L’elefante è nella cristalleria, sintetizzano gli analisti. «L’intelligenza artificiale amplia ciò che il marketing può misurare e creare, se progettato con rigore sperimentale». È quanto ha riportato l’Harvard Business Review, in un pezzo dal titolo evocativo: «Come l’AI sta trasformando il mercato». Quello che ne viene fuori è un nuovo perimetro strategico e operativo. «Nel prossimo decennio l’AI influenzerà il modo in cui i professionisti del marketing interagiranno e comunicheranno coi clienti con nuovi prodotti e servizi», argomentano i ricercatori del Journal of the academy of marketing science. Perché emergono nuovi canali, formati innovativi e formule relazionali che sparigliano le carte rispetto al passato. Così per i brand l’AI funge da volano di creatività.

Lo evidenzia la nuova indagine condotta dal centro di ricerca X.ITE dell’Università Luiss per Digital Angels e presentata in anteprima sul Sole24OreTecnologia, mercato e organizzazioni stanno trasformando ecosistema e filiera. Realizzata su un campione di 100 leader aziendali e 400 consumatori, evidenzia come l’AI stia cambiando la progettazione e ridefinendo i parametri della produzione di contenuti pubblicitari. Un cambio di paradigma che incide sulle campagne, ma anche sul capitale umano e sui processi. «L’AI guida il futuro della comunicazione, con un impatto superiore a quello generato fin qui dagli influencer e dai formati immersivi e rappresenta un supporto fondamentale nella creazione di contenuti personalizzati, utile anche per aumentare la precisione del targeting e per ottimizzare la pianificazione delle campagne. Di fatto aiuta il management combinando automazione, creatività generativa e targeting predittivo per lo sviluppo di campagne ottimizzate in tempo reale», afferma Marco Francesco Mazzù, Direttore X.ITE Research Center e professore di marketing alla Luiss Business School.

Nuova relazione aumentata

Quello che si definisce è una relazione aumentata tra brand, agenzie e pubblici connessi. «Emerge un equilibrio nuovo: meno interruzione, più rilevanza. La frammentazione dei mezzi ha ridotto l’attenzione e imposto una comunicazione più mirata. Le tecnologie predittive consentono di personalizzare messaggi e momenti, ma servono visione e responsabilità per usarle bene. L’intelligenza artificiale ha reso accessibili risultati un tempo riservati a team esperti, ma ha anche livellato la qualità: per questo è sempre più importante interpretare gli obiettivi, guidare con la testa e saper fare davvero la differenza», afferma Piermario Tedeschi, managing director di Digital Angels e professore di digital marketing all’Università Luiss.

Emerge così che fino al 10% del budget media viene destinato alla sperimentazione. Una propensione più elevata tra le realtà che adottano strategie data-driven. «Negli ultimi anni abbiamo visto una forte frammentazione dei canali: i mezzi offline si sono in parte digitalizzati, mentre l’ecosistema online si è arricchito di nuove piattaforme accanto ai grandi hub tradizionali. TikTok per il social e-commerce, Amazon nel retail media, Spotify per l’audio advertising, influencer marketing e programmatic stanno crescendo rapidamente. Gli investimenti digitali garantiscono ritorni più immediati, ma l’offline resta centrale per copertura e frequenza. È l’equilibrio tra i due che massimizza il risultato», dice Tedeschi.

Oltre le campagne

Intanto i brand sperimentano utilizzi che estendono la creatività. In America Nike ha sviluppato un sistema AI a tre livelli per analizzare dati soci-comportamentali e generare contenuti personalizzati. In Australia Mars è riuscito ad analizzare i segnali di acquisto, navigazione, streaming e ha incrociato i dati per dialogare direttamente con il cliente. In questo caso l’AI non è solo creativa, bensì operativa. È il trionfo della simultaneità che si contrappone a modelli di linearità. «L’ecosistema media è caratterizzato dalla moltiplicazione dei contenuti e dei punti di accesso, da percorsi di consumo non lineari e dall’utilizzo simultaneo di più dispositivi. La competizione non riguarda più solo la quantità ma anche la qualità dell’attenzione, variabili, queste, che incidono direttamente sul valore dei media e sulle performance di marca. L’adozione di metriche basate sull’economia dell’attenzione, in aggiunta a metriche più classiche, diventa cruciale per comprendere capacità di concentrazione e reale impatto dei messaggi», conclude Mazzù.

In un mondo distratto occorre andare oltre l’effetto wow. Ci prova la campagna di Bmw «Real, For Real», che ha indagato il sovraccarico di contenuti generati dall’AI, proponendo l’autenticità come valore differenziale e posizionamento. Sorprendere nel tempo con costanza e con pazienza. Perché dimostrare di essere vicini al cliente è ancora il modo migliore per intercettare la sua lealtà. Lo sostiene anche William Higham, autore del bestseller «The next big thing»: «Quali brand sceglieranno i consumatori? Quelli disposti ad aiutarli!»




Spazzatura digitale: dal Brasile, una ricetta assertiva per combattere la disinformazione on-line

Spazzatura digitale: dal Brasile, una ricetta assertiva per combattere la disinformazione on-line

Val la pena, per chiunque si occupi di comunicazione e di reputation management, approfondire la figura di questo personaggio sui generis, principale paladino impegnato in Brasile nella lotta alla disinformazione online.

Il suo lavoro è la risposta più efficace ed eclatante a chi – per convinzione o per semplice provocazione – considera già persa la lotta contro la deregulation voluta dalle Big tech, Facebook Meta e X (ex Twitter) in testa, imprese golose di spazzatura digitale in grado di solleticare l’attenzione delle maree crescenti di analfabeti funzionali – spesso incidentalmente di destra – capaci di generare un numero impressionante di like e un costante e crescente hype, che favorisce l’aumento degli accessi alle piattaforme e quindi, in diretta conseguenza, l’aumento dei ricavi pubblicitari, ormai quasi interamente gestiti da algoritmi di intelligenza artificiale.

Una carriera in prima linea, a rischio della vita

Figlio della classe media, cresciuto a San Paolo, frequentò la facoltà di legge; a 20 anni era già procuratore, fra i 30 e i 40 anni ha ricoperto vari incarichi governativi nelle istituzioni regionali, tra cui Segretario alla Giustizia e Capo della Sicurezza Pubblica, con delega al controllo delle forze di Polizia (oltre 100.000 agenti alle sue dipendenze) e infine Ministro della Giustizia federale, a Brasilia, nel 2016. L’anno dopo è stato nominato Giudice nel Tribunale Supremo Federale, e poi – occupa oggi entrambe le cariche – Presidente del Tribunale Superiore Elettorale, l’organo che in Brasile sovraintende alla regolarità dello svolgimento delle elezioni. Qualcuno sostiene sia il secondo uomo più potente del Brasile dopo il Presidente: di sicuro è un uomo che non ha paura di fare la cosa giusta scontrandosi con i colossi della Silicon Valley. Al punto da rischiare la vita.

Alcuni militari golpisti nel 2023 lo hanno fatto seguire per settimane, e il 15 dicembre un gruppo di rivoltosi armati con armi pesanti – come hanno confermato le indagini, che hanno smascherato il complotto, coordinato su una chat Signal – ha circondato la sua casa, per rapirlo o ucciderlo. Il programma era di fare poi irruzione nei palazzi governativi, creare le condizioni per l’annullamento delle elezioni che avevano visto Bolsonaro sconfitto, e proclamare lo stato d’assedio: all’ultimo momento, sulla chat è arrivato l’ordine di abortire l’operazione, molto probabilmente a causa del mancato sostegno di alcuni ambienti militari, con i quali De Moraes aveva stretto ottimi rapporti durante il suo mandato di un anno da Ministro della Giustizia.

Lo stato di diritto in Brasile in quei giorni agitati ha rischiato molto, anche se queste vicende non hanno più di tanto fatto notizia nel nostro Paese. L’annullamento del tentato golpe non ha tuttavia impedito a una folla di oltre 4.000 persone, aizzate sui Social network, di irrompere negli edifici governativi, devastandoli, e mettendo in scena proteste violente “fotocopia” rispetto a quelle scatenate dai fedelissimi di Trump in USA nel gennaio 2021. Durante quella notte infuocata, De Moraes – senza attendere l’alba – emise migliaia di mandati di arresto, inclusi quelli per il Segretario alla Sicurezza del Distretto Federale e per il Comandante della Polizia Militare, che erano collusi con i rivoltosi: “Il rischio era l’effetto domino, dovevo agire subito, e mandare un messaggio chiaro a tutto il Paese: il caos non può essere tollerato”, ha dichiarato il Giudice.

Buoni e cattivi nell’arena digitale

Elon Musk non ha esitato ad attaccare De Moraes, definendolo “un cattivo travestito da giudice” e paragonandolo – parole di Musk – a “una via di mezzo tra Voldemort, il cattivo di Herry Potter, e un Sith di Guerre Stellari”. Bolsonaro, egualmente, lo odia, e Trump ha sollecitato da Washington iniziative contro di lui (la recente decisione della Casa Bianca di elevare al 50% i dazi sulle merci brasiliane importate in USA ha il sapore di una vendetta politica). La Trump Media ha inoltre avviato una causa contro il Giudice in USA (l’eventuale sentenza sarà comunque ininfluente in Brasile) accusandolo di “voler comprimere la libertà di espressione”; tuttavia, l’amministrazione Trump – in nome di un curioso ideale di libertà di espressione a corrente alternata – ha avviato una campagna di sanzioni rivolte verso chi sostiene la Corte Penale Internazionale, come anche contro chiunque abbia preso posizione contro le manovre militari israeliane a Gaza.

In ogni caso molti osservatori qualificati si chiedono: istigare all’odio le folle tramite appelli online e diffondere deliberatamente disinformazione sui canali digitali, significa davvero promuovere e difendere la libertà di espressione?

L’ex Presidente Bolsonaro – recentemente sottoposto a misure restrittive, condannato a ben 27 anni di carcere per sedizione, tentato golpe e attentato alla Costituzione – ha potuto contare per la sua propaganda elettorale su veri e propri “squadroni digitali” che hanno inondato internet di disinformazione funzionale alla sua agenda politica, accusando falsamente i suoi avversari di pedofilia, paventando complotti inesistenti, minacciando di rapire o uccidere giudici, diffondendo accuse di illegittimità rivolte al Tribunale Supremo e lamentando un – presunto, inesistente – malfunzionamento del sistema elettorale, ovviamente “difettoso” solo quando il risultato ha penalizzato Bolsonaro, e invece perfettamente funzionante quanto lui venne eletto alla presidenza. Poi, non appena una specifica accusa, inventata, veniva smentita, le equipe di troll ne costruivano a tavolino un’altra, in un ciclo senza fine, continuando “ad avvelenare i pozzi”.

L’analisi di un’importante agenzia indipendente di fact-checking ha confermato che solo 4 delle 50 immagini più condivise nella campagna elettorale di Bolsonaro erano autentiche, mentre le restanti 46 contenevano offese e diffamazioni ai danni dei suoi avversari; e anche chi sollecitava attenzione sulle dinamiche della disinformazione veniva attaccato: l’agenzia di fact-checking in questione ricevette 56.000 minacce sui canali digitali in un solo mese, mentre nel contempo le segnalazioni per post disinformativi online sono aumentate durante la campagna elettorale di Bolsonaro in modo impressionante, + 16.000% rispetto alla tornata di elezioni precedenti.

È possibile lottare contro il populismo estremista digitale?

In Brasile la libertà di espressione è costituzionalmente garantita, ma con maggiori accortezze rispetto gli USA: sono infatti vietati i discorsi razzisti, la diffamazione (anche online) e i crimini contro lo stato di diritto.

De Moraes è convinto che il Brasile – in questo periodo storico – sia il terreno di prova più importante per le strategie di affermazione del potere politico attraverso internet, parte di un disegno populista strutturato, e a modo suo intelligente: “la libertà di espressione in Brasile viene invocata e travisata per aver mano libera nell’offendere, diffamare, minacciare e intimidire. Questa è la libertà di espressione, per certe persone”.

Quando De Moraes ha chiesto a X il blocco di alcuni account che diffondevano notizie palesemente false e istigavano all’odio, X non l’ha fatto; De Moraes allora ha imposto delle sanzioni contro la compagnia, ma X non ha pagato; allora il Giudice ha semplicemente bloccato i conti bancari dell’azienda in Brasile, e da un giorno all’altro ha emesso un ordine esecutivo che ha reso fuori legge X in tutto il Paese. Musk, dicono fonti a lui vicine, è stato scosso da queste iniziative, molto incisive: a quel punto X ha pagato le multe (circa 5 milioni di dollari) e rimosso gli account sotto accusa, e De Moraes ha rapidamente fatto riattivare X in Brasile. Questo match è la prova definitiva che l’unico linguaggio che certi populisti comprendono (e in parte rispettano) è quello dell’assertività.   

In un altro caso, quando Bolsonaro prima ha minimizzato il rischio da pandemia Covid-19 sostenendo che era superfluo prendere precauzioni anche elementari contro il contagio (il Brasile ha stabilito uno dei record mondiali di mortalità da virus), e poi ha disposto tramite il Ministero della Salute la sospensione della pubblicizzazione delle statistiche di mortalità giornaliera, crescenti in modo esponenziale, De Moraes ha emesso senza esitazione un ordine esecutivo che ha obbligato il Ministero a riprendere la pubblicazione dei dati entro 48 ore.

De Moraes nell’intervista al New Yorker ha affermato convintamente: “la libertà di espressione non è la libertà di diffondere odio e pregiudizi, né idee contrarie all’ordine Costituzionale”. Alcuni Deputati brasiliani, tuttavia, hanno ribattuto che la lotta all’odio e alla pubblicazione di falsità online non andrebbe combattuta a colpi di sentenze di un Tribunale, bensì attraverso una legge, e hanno sollecitato il Parlamento a prendere in carico il problema. Le piattaforme digitali hanno però respinto ogni proposta di dialogo, e diverse di esse hanno diffuso messaggi ostili su questo argomento. Un senatore, ex capo della Polizia Statale del nord-est, ha dichiarato: “la maggioranza del Parlamento teme ritorsioni da parte delle big-tech. Immaginate solo di candidarvi con un algoritmo che lavora contro di voi”, e ha aggiunto “le indagini di De Moraes forse sono autoritarie, ma per ora sono l’unica soluzione possibile”.

De Moraes nella conclusione dell’intervista concessa al New Yorker ha dichiarato: “I Social media rappresentano il potere più grande, perché non solo influenzano le persone, ma generano la maggior quantità di entrate pubblicitarie al mondo, dando alle aziende che li controllano la forza finanziaria per orientare i risultati elettorali. Se non si agirà ora per controllare questi strumenti, presto sarà troppo tardi”.

In USA è “terra di nessuno”, mentre in Europa, negli ultimi anni, c’è stato un significativo giro di vite sulla disinformazione online, sia mediante l’approvazione di direttive comunitarie, che per iniziativa di singoli Stati. La Francia ad esempio ha formulato ripetutamente – e inizialmente senza alcun successo – varie accuse contro Telegram, piattaforma sospettata di aver ospitato attività criminali, dal traffico di droga (innumerevoli account permettevano il contatto diretto con spacciatori di droghe pesanti e con venditori di armi) al terrorismo jihadista. La situazione si è risolta non appena un Giudice ha emesso un ordine di arresto per uno dei fondatori della App: improvvisamente, gli account che Telegram “non avrebbe potuto neppure tracciare”, sono stati rimossi. Il Brasile ha preso già da tempo una posizione molto netta a riguardo, tramite le azioni di De Moraes e dei suoi colleghi giudici.

Il Tribunale Supremo Federale dove si trova l’ampio e luminoso ufficio di De Moraes è ubicato a Brasilia, vicino alla Camera dei Deputati e al Palazzo Presidenziale, nella piazza cosiddetta “Dei Tre Poteri”, luogo simbolo dello “spazio pubblico” brasiliano per antonomasia: forse, il segreto per non dichiararsi vinti contro la strapotere delle big tech, e avviare una possibile riscossa dello Stato di diritto, sta lì, in un luogo quanto mai fisico e non virtuale, nonché nel cervello e nel coraggio di uomini come De Moraes, che hanno le idee chiare sull’urgenza di contrastare le derive populiste montanti nel mondo in particolare sui canali digitali, e lottare senza quartiere contro gli oceani di spazzatura che ammorbano la rete.




I “Signori della truffa” a cui Mark Zuckerberg non vuole rinunciare

I “Signori della truffa” a cui Mark Zuckerberg non vuole rinunciare

«Il vostro cammino verso l’indipendenza finanziaria. Con un piccolo investimento di 240 € avrete l’opportunità di raggiungere un reddito stabile. Immaginate che il vostro reddito aumenti ogni mese e che guadagnate fino a 45mila euro. Senza investire somme enormi e senza il rischio di perdere tutto». A parlare è la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, o meglio, un video generato dall’intelligenza artificiale che, tramite la tecnica del deepfake, imita la voce e le sembianze della premier per indurre lo spettatore a investire poche centinaia di euro in cambio della promessa di una futura e imperitura rendita finanziaria.

Si tratta – inutile dirlo – di una truffa, che sfruttando voce e sembianze della premier tenta di indurre in errore chi vi si imbatte. La stessa sorte della premier era toccata, tra gli altri, anche a Salvini, Schlein, Calenda e al giornalista Fabio Fazio.

Un’inchiesta pubblicata dalla Reuters getta luce sul fenomeno e rivela come Meta «guadagna una fortuna» da annunci fraudolenti o che pubblicizzano beni o prodotti illegali.

I documenti di Meta su cui la Reuters è riuscita a mettere le mani – relativi al periodo 2021- 2024 – mostrano come l’azienda di Palo Alto guadagni attivamente dall’enorme mole di annunci truffaldini. Le proiezioni interne relative al 2024 hanno stimato che circa il 10% del fatturato annuo complessivo – pari a 16 miliardi di dollari – sarebbe stato generato dalla pubblicazione di annunci di truffe o prodotti illegali.

Un documento datato dicembre 2024 mostra come ogni giorno sulle piattaforme di proprietà di Meta – Facebook, Instagram e Whatsapp – vengano mostrati agli utenti 15 miliardi di annunci “ad alto rischio”; mentre un altro documento della fine del 2024 indica come Meta guadagni 7 miliardi di dollari di entrate ogni anno solo da questa categoria di annunci truffaldini.

Molti di questi annunci provengono da attori che agiscono in modo abbastanza sospetto da essere segnalato dai sistemi di sicurezza interna di Meta. Il problema è che l’azienda rimuove questi inserzionisti solo nel caso in cui i suoi sistemi predittivi automatizzati indicano una probabilità percentuale almeno del 95% che questi commettano una frode, nel caso in cui sia inferiore Meta, nonostante consideri che l’inserzionista possa facilmente essere un truffatore, gli addebita tariffe più elevate come penale, aumentando i suoi ricavi. Inoltre a causa dei sistemi di profilazione chi, per sbaglio o scientemente, clicca su un annuncio fraudolento vedrà sempre più annunci dello stesso tipo.

I documenti visionati dalla Reuters «presentano una visione selettiva che distorce l’approccio di Meta alle truffe» ha scritto il portavoce di Meta, Andy Stone, in una dichiarazione. Secondo Stone le stime che il 10% dei ricavi di Meta derivino da annunci di truffe e simili sono «parziali ed eccessivamente inclusive» e ha aggiunto che «noi combattiamo aggressivamente frodi e truffe perché gli utenti delle nostre piattaforme non vogliono questo tipo di contenuti, gli inserzionisti non le vogliono e nemmeno noi le vogliamo».

Allo stesso tempo però i documenti rivelano una ricerca interna di Meta i cui risultati mostrano che i suoi prodotti sono diventati un pilastro dell’economia globale delle frodi e come sia più facile per gli attori maligni fare pubblicità sulle piattaforme Meta che su quelli dei suoi concorrenti.

Le agenzie di controllo di vari Paesi hanno iniziato a chiedere a Meta maggiori sforzi nel combattere le frodi proprio in un momento in cui l’azienda di Palo Alto sta versando enormi quantità di denaro – circa 72 miliardi di dollari quest’anno – nell’intelligenza artificiale. E pur riconoscendo che si tratta di «un’enorme quantità di denaro» l’amministratore delegato di Meta, Mark Zuckerberg, ha rassicurato gli investitori che l’attività pubblicitaria di Meta è in grado di finanziare l’investimento.

I documenti infatti mostrano come Meta abbia valutato i costi legati all’aumento delle pubblicità fraudolente rispetto ai costi derivanti dalle eventuali sanzioni pecuniarie. I carteggi indicano chiaramente che Meta punta a diminuire le sue entrate da questo tipo di attività, ma allo stesso tempo l’azienda teme che le brusche riduzioni dei ricavi pubblicitari che ne deriverebbero possano influenzare negativamente le sue proiezioni di guadagno.

Contestualmente l’azienda prevede sanzioni legate all’attività pubblicitaria fraudolenta fino a 1 miliardo di dollari, cifra ben al di sotto dei ricavi che Meta genera dalle pubblicità truffaldine. Meta infatti guadagna 3.5 miliardi di dollari solo dalle pubblicità che «presentano un rischio legale più elevato» come quelle citate in apertura e, piuttosto che intensificare il controllo sugli inserzionisti per tutelare i propri utenti l’azienda ha deciso d’intervenire solo in risposta ad un’imminente azione normativa.

Inoltre Meta avrebbe posto dei limiti rispetto a quante entrate è disposta a perdere nel contrasto alle inserzioni fraudolente. Un documento risalente allo scorso febbraio indica come nella prima metà del 2025 non sia stato consentito all’ufficio responsabile della verifica degli inserzionisti non è stato consentito di adottare misure che sarebbero potute costare all’azienda una quota pari allo 0,15% del fatturato totale, equivalente a 135 milioni di dollari sui 90 miliardi guadagnati da Meta nei primi sei mesi del 2025.

A ottobre del 2024, in un contesto di crescenti pressioni nel contrasto alle truffe online, i dirigenti di Meta hanno presentato a Zuckerberg un piano di «approccio moderato» nei confronti delle truffe. Ad ogni modo Meta sembrerebbe essersi impegnata nel diminuire le percentuali delle entrate derivanti dalle pubblicità fraudolente o illegali al 7,3% entro la fine di quest’anno, al 6% entro il 206 e al 5,8% entro il 2027. Non viene specificato quando dovrebbe essere portata allo 0%.

«Il sentimento che si prova è lo stupore – commenta Luca Poma, professore in Reputation management e Scienza della comunicazione presso l’Università Lumsa – è l’ennesima volta in cui Meta finisce in una tempesta reputazionale per la sua attenzione al profitto prima di qualunque altra cosa. È un’attitudine nota da anni, è l’ennesima fuga di documenti che mostra come Meta sia perfettamente conscia dell’utilizzo delle proprie piattaforme da parte di pedopornografi, trafficanti di droga e altri criminali e come le reazioni per ripulire piattaforma siano state blande. Ci sono stati numerosi casi di ex dipendenti di Facebook che dopo essersi licenziati hanno fatto emergere come, sia negli Usa che in Europa che in Italia, Meta sottostima rischio reputazionale e non risponde alle domande che gli vengono poste. L’unico motivo per cui l’azienda non è già fallita è che è in una posizione dominante».




Un Sapientino speciale valorizza le diversità e l’inclusione

Un Sapientino speciale valorizza le diversità e l'inclusione

Trentadue attività di difficoltà progressiva su schede che valorizzano le unicità di ciascuno, e un mazzo di 20 carte con codice Braille e superfici tattili, per favorire nei piccoli giocatori la consapevolezza che la conoscenza della realtà può avvenire attraverso canali sensoriali alternativi, talvolta indispensabili.

Una versione speciale dell’iconico gioco Sapientino è stata creata e donata dall’azienda Clementoni di Recanati (Macerata) alla Fondazione Lega del Filo d’Oro. Realizzato per entrare nel catalogo dei regali di Natale della Fondazione e sostenere progetti dell’ente a favore di persone con sordocecità e pluridisabilità psicosensoriale, il gioco invita i bimbi a scoprire la ricchezza della diversità tramite attività pensate per stimolare curiosità, cooperazione e consapevolezza.

La Fondazione del Filo d’Oro Ets, punto di riferimento in Italia per la sordocecità e la pluridisabilità psicosensoriale, e Clementoni, hanno promosso l’evento “Il valore sociale del gioco” presso il Centro Nazionale dell’Ente a Osimo. L’incontro nasce nell’ambito del progetto di ricerca-azione di Clementoni, che coinvolge enti sanitari, università e associazioni con l’obiettivo di promuovere e tutelare il benessere dei bambini, e non solo, attraverso il gioco. In questa occasione, le due realtà hanno presentato il progetto in anteprima.

“Il Sapientino ha accompagnato generazioni di bambini nell’apprendimento e nella scoperta del mondo: oggi, grazie alla collaborazione con la Lega del Filo d’Oro, diventa ancora di più uno strumento di inclusione e di valorizzazione della diversità”, commenta Pierpaolo Clementoni, direttore Ricerca avanzata e Area Test Clementoni spa. “Alla Lega del Filo d’Oro, – ricorda Rossano Bartoli, presidente della Fondazione Lega del Filo d’oro – il gioco ha un valore fondamentale: è parte integrante del percorso educativo e riabilitativo delle persone con sordocecità e pluridisabilità psicosensoriale, perché favorisce la relazione, stimola le abilità e apre nuove possibilità di comunicazione”.