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La responsabilità dei comunicatori e dei relatori pubblici ai tempi dell’Infodemia

La responsabilità dei comunicatori e dei relatori pubblici ai tempi dell’Infodemia

In fasi di emergenza collettiva e in una società iperconnessa e comunicativa, ai comunicatori e ai relatori pubblici tocca una parte non secondaria. Non siamo soli e possiamo confrontarci.

Scoppia l’emergenza e come cittadini siamo immersi nell’infodemia, la pandemia informativa che caratterizza ormai tutte le crisi della nostra epoca globalizzata e della nostra società iperconnessa. Dove le reazioni tendono a schiacciare le informazioni, diventando esse stesse le principali fonti informative su cui si sviluppa il dibattito pubblico collettivo. Un dibattito pubblico schizofrenico, caratterizzato da un insopportabile rumore di fondo, da spiegazioni che non spiegano, da esperti che si contraddicono e si attaccano l’uno con l’altro. Sullo sfondo, mentre infuria la pandemia via cavo e wi-fi, ci sono istituzioni e operatori sanitari impegnati ad affrontare l’emergenza sanitaria, sociale ed economica. Ma emergenza e infodemia si fondono, complicano pericolosamente il quadro e richiedono uno sforzo ulteriore e competenze nuove e integrate.

Ebbene, nell’emergenza, oltre ad essere cittadini siamo anche comunicatori e siamo chiamati a offrire le nostre competenze e la nostra professionalità tenendo presente un aspetto cruciale: il dovere di agire in maniera responsabile verso i nostri stakeholder, interni ed esterni, ascoltando le loro aspettative e mettendo in condizione le organizzazioni di gestire al meglio le relazioni e la comunicazione. Saremo soli o avremo a fianco la comunità dei colleghi? Ferpi, come associazione professionale dei professionisti di relazioni pubbliche e della comunicazione, è una comunità che può darci supporto, opportunità di confronto con i colleghi e anche risorse intellettuali per riflettere sulle scelte che dovremo compiere.

Senza star a girare troppo attorno al tema – peraltro non ne abbiamo il tempo – cerchiamo di identificare immediatamente quali sono le nostre responsabilità.

In questi casi è utile cercare un orientamento nei documenti condivisi dalla comunità delle relazioni pubbliche a livello internazionale, per evitare di reinventare la ruota e per orientarci con una bussola precisa. Abbiamo quattro diverse tipologie di responsabilità (cfr. il testo integrale del punto 3 del Melbourne Mandate):

1. sociale, nei confronti delle comunità, territoriali e virtuali di cui facciamo parte;
2. organizzativa, nei confronti delle organizzazioni per le quali lavoriamo;
3. professionale, nei confronti dei colleghi e della comunità professionale;
4. individuale, nei confronti dei nostri amici, cari, followers

In ogni nostro comportamento comunicativo e in ogni nostra scelta professionale dovremo tenere presente che ciò che facciamo ha un impatto su questi quattro livelli e che possiamo influenzarli in maniera proattiva.

Sappiamo già ora che si tratta di una sfida che si esaurirà nel breve periodo: come in tutte le grandi crisi, alla fase acuta seguirà un lungo periodo di recupero. In entrambe queste fasi siamo chiamati a svolgere il nostro dovere cercando di portare valore aggiunto a stakeholder, comunità e colleghi.

Negli anni e nei mesi scorsi abbiamo lavorato su temi simili negli incontri e nelle riflessioni relative alla Carta di Rieti dove sono stati individuati 9 comportamenti responsabili da utilizzare in contesti di crisi naturali. Crediamo che questi possano essere ribaditi e riadattati anche nel contesto dell’attuale crisi, soprattutto nel confronto con i colleghi giornalisti, gli stakeholder più prossimi come i pubblici interni e gli interlocutori primari delle organizzazioni di cui facciamo parte:

  • Agire con responsabilità
  • Ascoltare gli stakeholder
  • Promuovere (per tempo) la cultura della prevenzione
  • Comunicare (con) la scienza
  • Formare alla comunicazione
  • Valorizzare le identità locali
  • Valorizzare il linguaggio
  • Stimolare credibilità e autorevolezza
  • Tutelare le comunità
  • Come comportarci da domani con le comunità in cui siamo insediati? Come comportarci con dipendenti e collaboratori? Come aiutare i nostri leader in azienda?

Non esiste un’unica risposta, ma sicuramente tante diverse soluzioni per casi specifici, che comunque dovranno cercare di tenere a mente la responsabilità che abbiamo nei confronti dei livelli indicati nel Merlbourne Mandate e delle aree di criticità della Carta di Rieti.

Come Ferpi, ad esempio, potremmo cominciare a confrontarci, in maniera costruttiva, attivando un forum sulla nostra intranet con suggerimenti e scambi di best practice.

Non esistono scorciatoie. Proviamo a fare del nostro meglio. Insieme.


Il terzo punto del Melbourne Mandate

Promuovere la responsabilità sociale, organizzativa, individuale e professionale.

L’organizzazione comunicativa comprende che la responsabilità scaturisce da due principi fondamentali:

1. La licenza di operare dell’organizzazione scaturisce dal valore che essa crea per tutti i suoi stakeholder e per la società in senso più ampio.
2. Il valore di un’organizzazione è legato direttamente alla sua reputazione, che a sua volta dipende dalla creazionedi fiducia, dall’azione integra e dall’essere trasparenti circa la strategia dell’organizzazione, il suo funzionamento, l’utilizzo delle risorse e i risultati.

Le Relazioni Pubbliche e i professionisti della comunicazione hanno il mandato di:

– Dimostrare responsabilità sociale:

1. Creando e sostenendo processi trasparenti – aperti, onesti e accessibili – e una comunicazione credibile che considerino sia l’interesse pubblico, sia i bisogni organizzativi
2. Sostenendo le strategie di sostenibilità delle comunità da cui l’organizzazione trae le risorse e la licenza di operare.
3. Garantendo che la comunicazione per conto dei datori di lavoro, dei clienti e dei marchi non sopravvaluti il valore dei prodotti e dei servizi, tali da falsare le aspettative dei consumatori e delle altre parti interessate.
4. Definendo i parametri rispetto ai quali il contributo alla società può essere misurato e migliorato. Copyright

– Dimostrare responsabilità organizzativa:

1. Fornendo ai leader consulenza strategica nell’ambito delle relazioni pubbliche e della comunicazione per assicurare decisioni e azioni responsabili.
2. Cercando di allineare gli interessi degli stakeholder interni ed esterni, nonché di garantire che i valori e le azioni dell’organizzazione soddisfino le aspettative della società.
3. Influenzando e dando un contributo alle strategie di sostenibilità dell’organizzazione.
4. Rafforzando una cultura organizzativa di miglioramento tramite il coinvolgimento degli stakeholder interni ed esterni per un dialogo significativo e un cambiamento positivo.
5. Definendo parametri rispetto ai quali valutare e migliorare il contributo delle strategie di relazione e di comunicazione al raggiungimento degli obiettivi organizzativi.

– Dimostrare responsabilità professionale:

1. Conoscendo, rispettando e operando in conformità ai relativi codici di etica professionale
2. Comunicando gli standard professionali che guidano le relazioni pubbliche e la comunicazione agli stakeholder interni ed esterni
3. Assicurando la conservazione e lo sviluppo di competenze tramite iniziative di apprendimento continuo per svolgere il proprio compito in modo responsabile ed efficace.

– Dimostrare responsabilità personale:

1. Assicurando che la propria comunicazione personale sia sempre veritiera e che le azioni personali riflettano l’impegno alla correttezza e la creazione di benefici reciproci anche nel lungo termine.
2. Identificando e apprezzando le differenze tra i propri valori personali e quelli degli stakeholder e delle comunità dell’organizzazione, in linea con le aspettative della società.
3. Assumendosi la responsabilità per gli standard professionali che guidano decisioni e azioni nel quotidiano.
4. Essendo disposti a prendere decisioni difficili – comprendendone le conseguenze – quando le circostanze, la società o l’organizzazione creino le condizioni che impediscono o contraddicono i propri standard professionali individuali.
5. Essendo responsabili delle proprie decisioni e azioni.




Le epidemie rivelano la verità sulle società che colpiscono

Le epidemie rivelano la verità sulle società che colpiscono

La risposta di una nazione al disastro parla dei suoi punti di forza – e dei suoi malfunzionamenti

BOLOGNA,
Italia – Sono seduta nel mezzo di questa città del nord Italia, a due ore di
auto dalle città lombarde che sono state messe in quarantena. In questo preciso
momento, Bologna non avuto nemmeno un singolo caso del nuovo coronavirus. Una o
due persone con la malattia, nota come COVID-19, sono state trasferite qui in
ospedale da altre regioni, ma nessuno intorno a me, o in nessun posto vicino a
me, è malato. Eppure all’università americana dove sono professore ospite,
parliamo di poco altro.

Forse
è perché non sappiamo cosa pensare: la maggior parte di noi non ha mai affrontato
una malattia incurabile e in rapido movimento, anche se non molto letale. Non
siamo abbastanza grandi per ricordare l’influenza spagnola. Ci siamo abituati
all’idea che ci sono sempre vaccini o medicinali che sono stati testati. Ora ci
viene detto – sugli annunci dei treni, sui cartelli, nelle e-mail – di lavarci
le mani, una precauzione che non sembra né sufficiente né rassicurante. Nel
frattempo, l’Università di Bologna, la più antica istituzione accademica in
Europa, è stata chiusa. I musei sono chiusi, le partite di calcio e le
conferenze sono cancellate. Le strade medievali, testimoni di numerose epidemie
passate – la morte nera uccise metà città nel 1348 – sono stranamente vuote,
poiché le persone ascoltano gli avvertimenti e rimangono a casa. Circa la metà
dei miei colleghi ritiene che queste misure rappresentino una grave reazione
eccessiva. L’altra metà ha paura di non fare abbastanza.

Parte
del problema, è che il pericolo non può essere visto: “Una pestilenza non ha dimensioni umane,
quindi le persone si dicono che è irreale, che è un brutto sogno che finirà
“,
ha scritto Albert Camus in “The Plague”. Questo, ovviamente, descrive
moltissimo la situazione attuale: molte persone non possono sopportare l’idea
che qualcosa di invisibile possa cambiare i loro piani. Pubblicato nel 1947,
The Plague è stato spesso letto come un’allegoria, un libro che parla
dell’occupazione della Francia, diciamo, o della condizione umana. Ma è anche
un ottimo libro sulle piaghe e su come le persone reagiscono a loro, un’intera
categoria di comportamento umano che abbiamo dimenticato.

Nel
romanzo, una parte della città in quarantena “continuò con gli affari, in possesso di un’opinione, prendendo accordi
per i viaggi. Perché avrebbero dovuto pensare alla peste, che nega il futuro,
nega viaggi e discussioni?
” I loro equivalenti moderni nella città di
Milano hanno già lanciato una campagna hashtag #Milanononsiferma. Che altre
città hanno seguito. I social media sono pieni di imprenditori e gestori
alberghieri italiani che denunciano il governo per le sue inutili precauzioni.

Ma
l’invisibilità crea anche incertezza e l’incertezza può essere manipolata in
modo da servire altri fini. Uno dei personaggi di Camus è un prete, ad esempio,
che usa la peste per aumentare il suo gregge: dice alla sua congregazione che
l’epidemia è un modo per punire i non credenti. Nell’Italia moderna, la prima
persona che ha cercato di manipolare l’ansia creata dal coronavirus è stata
Matteo Salvini, il leader italiano di estrema destra che ha immediatamente
chiesto al governo di chiudere i confini del Paese, fermare tutti gli incontri
pubblici e mantenere le persone a casa.

Salvini
senza dubbio avrebbe insistito ulteriormente su questo punto se non avesse
iniziato, quasi immediatamente, a ritorcerglisi contro. Il virus è apparso per
la prima volta in Lombardia e Veneto, le due province italiane dove il suo
partito, la Lega Nord, è più forte. Quando Salvini si è reso conto che un
arresto avrebbe causato il peggior danno economico proprio lì, è passato ad un
argomento diverso: un appello al governo a “difendere l’Italia e gli
italiani” dai rifugiati africani. Non ci sono prove che i rifugiati
africani portino il virus, ma il legame bigotto tra stranieri, impurità e
malattie è molto antico. Marine Le Pen, leader francese di estrema destra, ha
anche invitato la Francia a chiudere il confine con l’Italia, anche se anche
questo è privo di senso, poiché i primi casi francesi sembrano provenire
principalmente da altrove.

Devo
volare a Londra tra qualche giorno e ho attentamente osservato i tabloid di
destra britannici, per valutare il loro livello di isteria. Finora è stato
relativamente basso – sono distratti dal fidanzamento del Primo Ministro Boris
Johnson con la sua ragazza incinta – il che significa che gli aerei
continueranno a volare. Una volta che si concentreranno sul virus, sono certa
che ci saranno chiamate per bloccare tutti i contatti con l’Italia, e sono certa
che questo governo britannico dipendente dai tabloid li ascolterà.

Ma
non tutti si comporteranno male. La storia di Camus ha anche degli eroi,
sebbene questi non siano il tipo di eroi che si trovano nella maggior parte
degli altri romanzi. Gli eroi sono i dottori, i volontari che prestano aiuto e
persino un dipendente pubblico, Monsieur Grand, che cerca di affrontare la
peste registrandola, misurandola e tenendo traccia di ciò che stava accadendo:
Questo insignificante e impressionante
eroe che non aveva altro a raccomandarlo se non un po’ di bontà nel suo cuore e
apparentemente un ideale ridicolo. Ciò significherebbe dare la verità dovuta,
dare la somma di due più due come quattro
“. Monsieur Grand, Dr. Rieux
e pochi altri cercano di usare la scienza, la trasparenza e l’accuratezza per
contenere e controllare la malattia e per salvare quante più persone possibile,
senza cedere all’isteria o alla disperazione: “Può sembrare un’idea ridicola, ma l’unico modo combattere la peste è
con decenza.

Questi
sono i tipi di persone che saranno anche gli eroi della nostra era. Gli scienziati
e gli studiosi di sanità pubblica che hanno immediatamente diffuso informazioni
su numeri e casi; i gruppi di ricerca che hanno immediatamente iniziato a
lavorare sui vaccini; le infermiere e i dottori che hanno deciso immediatamente
di rimanere all’interno delle regioni in quarantena, come molti in Italia e a
Wuhan, in Cina. Non tutti i loro giudizi saranno corretti ed essi non saranno
sempre d’accordo tra loro: non esiste un modo preciso per determinare quali
quarantene e cancellazioni siano prudenti e quali siano irragionevoli, dati i
potenziali effetti economici da un lato e il reale desiderio di rallentare la
diffusione dell’epidemia dall’altro. In Italia, ci sono già stati alcuni litigi
pubblici tra virologi che hanno diverse stime su quanto sarà grave la malattia.

Ma
almeno hanno a cuore l’interesse del pubblico. Ecco una regola empirica da
utilizzare nelle prossime settimane: giudicare i politici in base a quanto e
con che chiarezza si rimanda alle persone che danno la somma di due più due come
quattro. Quello che vogliamo sono informazioni accurate, non informazioni
politicizzate. E più sono, meglio è. Dopo quattro anni di ascolto, nelle parole
di un politico britannico, che “ne
abbiamo abbastanza di esperti
“, questo è il momento in cui il valore
della competenza è diventato improvvisamente cristallino. Improvvisamente, i
fatti contano.

Le
epidemie, come i disastri, hanno un modo per rivelare le verità sottostanti
sulle società su cui hanno un impatto. I cinesi hanno già pagato un prezzo
elevato per la segretezza del loro sistema e per la cultura burocratica
dall’alto verso il basso che ha portato molti, inizialmente, a nascondere la
malattia. Al contrario, uno dei motivi per cui gli italiani non si fanno più
prendere dal panico è che hanno fiducia nel sistema di sanità pubblica,
nonostante Salvini e le sue campagne di disinformazione. L’Italia ha già
testato molte migliaia di persone per il virus – il test è gratuito, ovviamente
– ed è uno dei motivi per cui i numeri sono molto più alti in Italia che
altrove. La gente lo sa e lo ripete l’un l’altro, a volte scherzandoci (“Noi italiani siamo troppo onesti“),
ma è motivo di orgoglio. Pochi altri in Europa, finora, stanno testando così
ampiamente. E, naturalmente, gli Stati Uniti non sta facendo nulla del genere.

Negli
Stati Uniti, temo che potremmo apprendere che né il nostro sistema di sanità
pubblica né il nostro “sistema” in senso più ampio abbia capito come
costruire sentimenti di fiducia. Anche se disponiamo del sistema sanitario più
tecnologico del mondo, anche se abbiamo i migliori chirurghi e le migliori
attrezzature, non abbiamo creato una cultura della salute pubblica che induca
fiducia. Il sistema ospedaliero è stato ridotto all’osso; non c’è capacità supplementare
(di intervento, ndt), e tutti lo
sanno. Se le persone devono pagare per essere testate, in molti possono
rifiutare. Se le persone devono essere messe in quarantena, possono scappare.

Peggio
ancora, invece di cercare di fermare le teorie della cospirazione, è possibile
che il nostro governo le creerà. Il presidente Trump ha già definito il
coronavirus un “imbroglio” e si sta concentrando a riguardo su diversi
tipi di pensiero magico[1]. In un
solo specifico discorso sul coronavirus, Trump ha dichiarato contemporaneamente
che “sta per scomparire; un giorno –
come un miracolo – scomparirà”;
che “lo
sai, potrebbe peggiorare prima che migliori”;
che “vedremo cosa succede, nessuno lo sa”.
Se la gente lo ascolta, saremo in grado di contare il costo di quella disonestà
e di quel pensiero magico, e misurarlo nel numero di morti, nella diffusione
della malattia, nel numero di persone che ignorano le quarantene o le
precauzioni.

Anche
se questo non è il peggior tipo di epidemia immaginabile, è un bene il fatto
che ora stiamo imparando queste cose, perché il nuovo Coronavirus potrebbe
rivelarsi solo una prova per altro. Ora gli incendi sembrano più letali perché
più persone vivono in aree vicine alle foreste che spesso bruciano, e sono
molte le nuove malattie che sono anche il risultato dell’espansione umana in
tutto il pianeta. Come la SARS o l’Ebola, il COVID-19 sembra essere un’altra
malattia che è passata dal regno animale all’umano e che poi ha viaggiato
rapidamente a causa di treni, automobili, aerei e persone che si raggruppavano
in luoghi pubblici.

Come
scrisse David Quammen in “Spillover: infezioni animali e la prossima pandemia
umana”, queste malattie ci ricordano “la
vecchia verità darwiniana (la più oscura delle sue verità, ben nota e
perseverantemente dimenticata) che l’umanità è un tipo di animale,
indissolubilmente connesso con altri animali: in origine e nella sua
discendenza, in malattia e in salute
“. Anche quando questi tipi di
virus regrediscono o scompaiono, non necessariamente se ne vanno via. Possono
mutare, possono essere ospitati in altri animali e possono riemergere.

Anche questo era
stato predetto dal personaggio del dottor Rieux di Camus. Lui sapeva che “la piaga del bacillo non muore o scompare
per sempre, che può rimanere dormiente per anni e anni in mobili e cassapanche
di lino; che trascorre il suo tempo in camere da letto, cantine, bauli e
librerie; e che forse sarebbe arrivato il giorno in cui, per la rovina e
l’illuminazione degli uomini, avrebbe risvegliato i suoi topi e li avrebbe
mandati a morire in una città felice.

Questa volta potremmo
essere fortunati, ma dovremmo sfruttare l’opportunità per prepararci, sia
mentalmente che a livello medico, per l’epidemia che verrà dopo, e per quella ancora
successiva.


[1] un
tipo di processo mentale in cui le associazioni tra un soggetto e un oggetto
non rispondono a una relazione di causa-effetto come nella logica deduttiva, ma
risultano collegati tra loro per somiglianza, simpatia, oppure contiguità in
quanto parti di un tutto (fonte: Wikipedia)




Classifica Gartner supply chain 25: perché apple è la leader dei leader?

Classifica Gartner supply chain 25: perché apple è la leader dei leader?

La società Gartner ogni anno identifica le migliori supply
chain del mondo secondo il modello del demand driven value networks che è un
modello creato dalla stessa società. Questo modello prescrive un’integrazione
di dati e processi i quali traducono i segnali che provengono dalla domanda di
mercato in una risposta che l’intera supply chain deve dare per massimizzare il
valore creato e minimizzare il rischio. Questo modello prevede un coordinamento
integrato delle diverse funzioni di make, source, delivery e plan. Questa
classificazione è costruita sulla base di un punteggio che ogni singola supply
chain riceve in alcuni ambiti. Un 50% della valutazione sono criteri soggettivi
perché basati sulle opinioni di alcuni esperti mentre l’altro 50% è oggettivo
in quanto basato su alcuni indicatori di performance della società in analisi.

La classifica è composta da i Gartner Supply Chain Masters,
cioè i campioni, e poi la classifica delle 25 aziende che si sono distinte
nella gestione della supply chain. Per essere campioni bisogna essere per
almeno 7 volte in 10 anni tra le prime 5 posizioni. I campioni sono Apple,
procter&gamble, Amazon,McDonald’s e Unilever.

Mi domando ora come mai Apple è la leader tra i campioni. L’azienda ha dei fornitori esclusivi, in questo modo l’impresa può acquistare in anticipo i prodotti intermedi e ridurre il time to market necessario per introdurre il nuovo prodotto nel mercato, inoltre questo rapporto di esclusività con i fornitori è parte del vantaggio competitivo e diventa una barriera all’entrata. La logistica è gestita in maniera molto attenta dal punto di vista finanziario e c’è un tasso di rotazione molto alto in grado di minimizzare i costi di mantenimento delle scorte e un lead time (tempo di consegna) abbastanza contenuto.

Per analizzare il livello della complessità della supply
chain di Apple la confronto con quella di Amazon, focalizzandomi su alcuni
indicatori, tenendo sempre conto che si tratta di due business diversi. Il
primo elemento di confronto è il tasso di rotazione delle scorte il quale
misura quanto è efficiente l’impresa ad impiegare le risorse finanziare nelle
attività di magazzino. Indica quante volte nel tempo preso in esame (di solito
un anno) il magazzino si rinnova completamente e serve a calcolare qual è il
tempo necessario affinché i mezzi finanziari investiti nella merce vengono
recuperati.  Amazon ha un tasso di
rotazione delle scorte di 10 ed Apple di 75. In pratica questo significa che
l’intero magazzino di Apple viene venduto in soli 5 giorni (365\75). Per
ottenere questo risultato Apple si è dotata di una macchina di gestione che
coordina il rifornimento delle componenti, l’assemblaggio fino alla logistica e
la distribuzione. Amazon però opera in un settore diverso quindi è normale che,
essendo un venditore, abbia molti più magazzini propri. McDonald’s, ad esempio
ha un indice di rotazione di 142,4, perché opera nell’industria alimentare dove
i prodotti sono deperibili. Un altro elemento di confronto è il ciclo di vita
del prodotto cioè per quanto tempo siamo in grado di vendere un certo prodotto.
Amazon ha un ciclo di vita di 3 mesi mentre Apple di 12. Fare una previsione
della domanda di un prodotto stagionale è più difficile che farla di un
prodotto che ha un ciclo di vita più lungo. Infine per considerare la
complessità delle due supply chain devo far riferimento al numero di prodotti
che l’azienda ha in magazzino e di quanti magazzini centrali dispone. Amazon
gestisce 135 milioni di prodotti fisici diversi appoggiandosi a 28 magazzini
mentre Apple ha 26 mila prodotti in un unico magazzino in California. Viene da sé
che è più facile fare previsioni per 26 mila prodotti situati in un unico
luogo.




Coronavirus, cosa fanno le aziende italiane per combattere il virus

Coronavirus, cosa fanno le aziende italiane per combattere il virus

Dopo gli oltre 150 casi accertati nel nord Italia, le aziende, a partire dalla Unilever di Casalpusterlengo (Lodi) dove lavorava il 38enne contagiato per primo, il paziente 1, stanno mettendo in campo una serie di misure per contenere l’epidemia. Assolombarda sta fornendo agli imprenditori – che hanno preso d’assalto le linee telefoniche dell’associazione – una serie di informazioni ed un decalogo del comportamento da adottare, coerenti con quanto già diffuso dal Ministero della Salute e dalla Farnesina. Ecco le principali misure prese dalle aziende, a partire da lunedì 24 febbraio.

Lvmh
Lvmh, la multinazionale francese del lusso, ha dato ai suoi manager, già da qualche giorno, indicazione di non viaggiare da e per l’Italia verso le altre sue sedi internazionali. Lo si apprende da fonti qualificate.

Armani e Tod’s
Giorgio Armani ha deciso di chiudere per una settimana gli uffici di Milano e le sedi produttive che si trovano in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Trentino e Piemonte. Al personale coinvolto dalla misura, presa per fronteggiare l’emergenza coronavirus, non saranno trattenute le ferie. Dirigenti e responsabili di funzioni – spiegano dalla maison – dovranno comunque garantire disponibilità e reperibilità.

Giorgio Armani oggi ha presentato la collezione della linea che porta il suo nome con una sfilata a porte chiuse. Scelta poi presa anche dal marchio Laura Biagiotti. Tod’s ha preferito optare per smart working e limitazione delle trasferte per qualche giorno

Gucci
Già dalla giornata di domenica 23 Gucci ha informato i propri dipendenti invitandoli a limitare le trasferte, preferendo modalità di comunicazione a distanza (video-conference), e incoraggiando l’utilizzo dello Smart Working per tutti i colleghi della sede di Milano.

Tim
Nelle regioni oggetto delle ordinanze, Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna Tim ha deciso di “sospendere gli interventi tecnici non urgenti mentre per gli interventi non rinviabili saranno adottate tutte le misure e dotazioni necessarie ai tecnici per operare in totale sicurezza”. Tra le misure messe in campo per fronteggiare l’emergenza Coronavirus il gruppo, spiega un portavoce, in quelle regioni ha anche “favorito l’accesso allo Smart working e incentivato l’utilizzo di strumenti di comunicazione a distanza per limitare gli spostamenti”.

Enel
Enel ha disposto lo smart working «fino a data da destinarsi per tutti i colleghi che lavorano o hanno residenza in uno dei comuni interessati da ordinanze pubbliche» relative al coronavirus. Lo fa sapere il gruppo aggiungendo di aver disposto in via precauzionale, pur non essendo stato riscontrato alcun contagio tra i propri dipendenti, lo smart working «per i colleghi che lavorano in qualsiasi sede nella quale si sia a conoscenza di un contatto diretto avvenuto, anche al di fuori del contesto lavorativo, tra un collega e una persona risultata positiva al virus». Queste disposizioni saranno applicate anche al personale terzo che opera nelle sedi Enel.

Wind Tre
Wind Tre, a seguito delle misure di controllo e prevenzione della diffusione del Coronavirus, ha deciso di raccomandare a tutti i dipendenti che operano nelle regioni Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Friuli Venezia Giulia di utilizzare lo amart working. L’ azienda assicurerà anche gli interventi necessari e urgenti da parte dei propri tecnici, che opereranno in regime di sicurezza e nel rispetto delle indicazioni ricevute dalle autorità competenti. Wind Tre ha sottolineato a tutti i dipendenti l’importanza di attenersi alle norme igieniche basilari per ridurre l’esposizione e la possibile trasmissione del virus, anche tramite le disposizioni riportate nell’opuscolo informativo redatto dal ministero della Salute e dall’Istituto superiore di sanità.

AB medica: robotica a sostegno delle aziende ospedaliere
L’ azienda lombarda leader nella produzione e nella distribuzione di tecnologie medicali, nonché punto di riferimento per la robotica chirurgica in Italia , ha deciso, per questo periodo di emergenza, di offrire pro-bono una tecnologia avanzata per la disinfezione delle infezioni ospedaliere ai principali centri ospedalieri in prima linea nella lotta al Coronavirus.
“La nostra è un’iniziativa doverosa e di carattere sociale – dichiara Aldo Cerruti, presidente del gruppo AB medica – siamo in Lombardia, abbiamo soluzioni valide ed efficaci, non mancheremo di metterle a disposizione per l’emergenza di questo periodo laddove più necessario”.
AB medica, oltre a un’apparecchiatura innovativa utilizzata in questo ambito, dispone di soluzioni di telemedicina ospedaliera e domiciliare che nell’attuale situazione potrebbero risultare molto utili a garantire un monitoraggio continuo dei pazienti.
“Prendersi cura del paziente – prosegue Cerruti – è un impegno collettivo che coinvolge innumerevoli attori, dai medici, agli infermieri ai manager delle aziende ospedaliere sino ad arrivare alle istituzioni e alle aziende che sono attive nel mondo sanitario. In una situazione di criticità diffusa siamo tutti egualmente chiamati a indirizzare i nostri sforzi in maniera sinergica.”

Unilever (sede di Casalpusterlengo, Lodi)
Le attività del centro di ricerca della multinazionale dove lavora il 38enne contagiato dal coronavirus sono ferme per effettuare i test necessari e in attesa delle indicazioni delle autorità sanitarie, riporta l’Ansa. Nell’azienda era scattata già nella mattinata del 21 febbraio la procedura di emergenza e sono stati eseguiti i tamponi sui dipendenti per capire se qualcuno possa essere stato contagiato. È stata chiusa la mensa. Sono già stati attivati i protocolli ministeriali previsti. La gestione dell’azienda è in capo alla Regione Lombardia.

Ikea: esentati lavoro residenti Comuni coinvolti
«Alla luce dell’ordinanza emessa dal ministero della Salute e dalla Regione Lombarda, Ikea Italia ha provveduto a esentare dalle attività lavorative tutti i dipendenti residenti nei Comuni indicati dall’ordinanza, non tutti i dipendenti della Regione Lombardia ed è in contatto con ciascuno di loro per verificare le loro condizioni di salute». È quanto ha fatto sapere Ikea in una nota.

Mae (Fiorenzuola d’Arda, Piacenza)
Sono una settantina i dipendenti sottoposti a controlli. Il dipartimento di Igiene pubblica dell’Ausl piacentina aveva già contattato il medico competente della Mae per avviare la vigilanza sui lavoratori. Il 21 febbraio l’azienda è stata chiusa prudenzialmente per iniziativa del titolare. Se il dipendente Mae, rientrato dalla Cina il 21 gennaio e andato a cena con il paziente zero, già negativo al tampone, dovesse essere negativo anche agli ulteriori accertamenti, l’approccio verrà modificato di conseguenza.

Eni (San Donato Milanese, Milano)
La multinazionale dell’energia lascia a casa per una settimana i dipendenti residenti nei comuni di Codogno, Casalpusterlengo, Castiglione d’Adda. Lavoreranno da remoto in smart working.

Saipem (San Donato Milanese, Milano)
L’azienda controllata da Eni ha già mandato a casa dal 21 febbraio tutti i dipendenti residenti nei comuni di Codogno, Casalpusterlengo, Castiglione d’Adda e attivato lo smart working.

Snam (San Donato Milanese, Milano)
L’ufficio del personale sta contattando uno a uno i dipendenti che risiedono nei comuni in provincia di Lodi indicati tra quelli a rischio. L’indicazione che viene data loro è di rimanere a casa ed evitare il più possibile i contatti sociali.

Inail Lombardia
La direzione regionale Lombardia dell’Inail ha disposto la chiusura di tutti gli sportelli amministrativi (aziende e lavoratori) e degli ambulatori medici presenti sul territorio. Le sedi restano comunque operative ed è garantito il presidio dei canali telematici e telefonici.

Arcelor Mittal
«Per meglio tutelare la salute di tutti i nostri colleghi – si legge in una lettera del direttore delle risorse umane – si ritiene necessario, con effetto immediato, che tutti i residenti» nei Comuni di Castiglione d’Adda, Casalpusterlengo e Codogno, o che si siano recati ed abbiano avuto frequentazioni con la popolazione di quelle aree «negli ultimi 14 giorni, prestino, da subito e fino a nuove disposizioni, l’attività professionale presso la propria abitazione, lascino il luogo di lavoro ed evitino contatti sociali». L’azienda ha anche sospeso le trasferte verso molte aree asiatiche.

Trenord
Trenord ha invitato il proprio personale a “indossare prontamente le mascherine» se in presenza di «un caso ragionevolmente sospetto». L’azienda invita il personale a «evitare contatti ravvicinati» con le eventuali persone segnalate. Tra le altre indicazioni quella di «lavarsi spesso le mani, evitare il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute, non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani e coprire la bocca e il naso in caso di sternuti o colpi di tosse».

Luxottica (sede di Milano)
Un dipendente della sede milanese dell’azienda di occhiali sta affrontando la trafila degli esami sul Coronavirus dopo aver comunicato nella giornata del 21 febbraio all’azienda di essere preoccupato perché in contatto con una persona che ha avuto contatti con uno degli infettati dell’area di Codogno. Secondo quanto si apprende, il dipendente non mostra alcun sintomo dell’infezione e per precauzione è stato posto in ‘smart working’, con il suggerimento di tornare a casa e iniziare gli esami medici. Luxottica ha posto in ‘smart working’ anche una ventina di dipendenti residenti nell’area dei Comuni dove è stato segnalato il focolaio.

Vodafone
In linea con le indicazioni del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità anche Vodafone ha intensificato le misure di controllo e prevenzione della diffusione del Coronavirus.
«Da ieri – precisa l’azienda – sono state sospese tutte le trasferte di lavoro che devono essere preventivamente autorizzate dalla Direzione HR con il supporto del medico aziendale; i dipendenti sono stati inviati ad utilizzare la mascherina in caso di utilizzo di mezzi pubblici». I dipendenti provenienti dalle zone del cordone sanitario devono lavorare in smart working fino a mercoledì 26 febbraio e a Milano «i dipendenti di una sede secondaria in cui ha lavorato un consulente residente a Codogno devono lavorare in smart working fino a mercoledì 26 febbraio»

Etra (Padova)
Da lunedì 24 febbraio e fino a data da destinarsi, tutti gli Sportelli Clienti della multiutility padovana Etra resteranno chiusi al pubblico a causa della presenza del Coronavirus. «Il provvedimento – spiega il Presidente del Consiglio di Gestione di Etra, Andrea Levorato – è stato deciso dal Responsabile della Sicurezza in coordinamento con i vertici di Etra, in linea con le prescrizioni diffuse dalla Protezione Civile, dalla Regione Veneto e dal Ministero della Salute che dispongono di evitare contatti con la popolazione, specialmente nel territorio di Padova Sud, ma, in via precauzionale, anche nelle aree adiacenti». Per quanto concerne il personale saranno presi provvedimenti di massima cautela per gli operatori della raccolta porta a porta (mascherine e occhiali di protezione sono già in dotazione, ora ci sarà la prescrizione di indossarli sempre), senza comunque sospendere il servizio di pubblica utilità e garantendo l’igiene del territorio.

Intesa San Paolo
Con riferimento alle misure di tutela dal Coronavirus (COVID – 2019), Intesa Sanpaolo rende noto di aver disposto la chiusura delle filiali dei Comuni oggetto dei provvedimenti governativi: Codogno, Castiglione d’Adda, Casalpusterlengo, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo e San Fiorano in provincia di Lodi; Vò Euganea in provincia di Padova. In tutti questi Comuni restano operativi gli sportelli ATM. In tutti gli altri Comuni italiani, le filiali sono regolarmente aperte. Intesa Sanpaolo è pronta ad attivare le misure richieste anche in altri Comuni se si rendesse necessario su indicazione delle autorità.

Trenitalia
“Installazione a bordo treno di dispenser di disinfettante per mani” e “consegna al personale di apposito equipaggiamento protettivo (mascherine con filtro e guanti monouso”. Sono alcune delle misure messe in atto dal Gruppo Fs che ha attivato “procedure particolari per garantire la gestione di situazioni riconducibili a possibili casi” di Coronavirus. Previsto anche un “potenziamento delle attività di pulizia disinfettanti a bordo dei treni della flotta di Trenitalia” e diffusione del vademecum del ministero della Salute ai passeggeri.

Comune di Milano
Il Comune di Milano ha deciso di sospendere dalle attività lavorative i dipendenti dell’amministrazione e delle società controllate che provengono dai comuni “dove sussiste un cluster di infezione”, come ha dichiarato il sindaco, Giuseppe Sala, in una nota diramata dopo il tavolo di lavoro che si è riunito nella mattinata del 22 febbraio a Palazzo Marino. Il Comune ha dato così attuazione all’ordinanza del Ministero della Salute e della Regione Lombardia. A quanto si apprende sono 14 i dipendenti del Comune sospesi dal lavoro.

Mediaset
I giornalisti inviati nelle aree a rischio coronavirus dovranno essere sottoposti a tampone prima di poter rientrare in azienda. Lo ha deciso – secondo quanto si apprende – Mediaset a tutela dei lavoratori della sede di Cologno Monzese.

Task force di Confindustria
«Confindustria si è resa disponibile a fornire supporto e informazioni alle imprese che si trovano ad affrontare difficoltà logistiche e di gestione delle risorse», spiega la vicepresidente per l’internazionalizzazione, Licia Mattioli. «Abbiamo inoltre costituito – dice – una ‘Task force Coronavirus’ per rispondere alle richieste del sistema in maniera sempre più efficiente e puntuale. Questa task force costituirà il punto di riferimento per l’unità di crisi della Farnesina, il ministro egli Esteri, il ministero della Salute e la Presidenza del Consiglio con cui saranno condivise le informazioni e le problematiche segnalate via via dalle imprese»

«È ancora presto per fare un bilancio dei danni del Coronavirus sull’economia italiana», indica ancora la vicepresidente di Confindustria, «ma è importante essere consapevoli che queste ripercussioni andranno a innestarsi su uno scenario economico già in difficoltà. Guardando in particolare al settore del lusso, è indubbio che gli impatti saranno significativi. Pensi che i consumatori cinesi rappresentano circa il 33% delle vendite dei turisti in Italia».

Leonardo e Pirelli
I due gruppi hanno sospeso “a scopo precauzionale e con effetto immediato” trasferte nazionali e internazionali.

Zurich
La compagnia assicurativa ha chiesto di lavorare in smart working ai dipendenti di Milano, Brescia, Modena, Rimini, Padova e Torino anche se non ci sono casi di contagio tra i dipendenti. E tutti invitano a ripianificare le riunioni trasformandole in conference call, a sospendere i viaggi all’estero e in Italia verso le 4 regioni coinvolte




Il coronavirus terrorizza, il clima no: come nasce la percezione del rischio

Il coronavirus terrorizza, il clima no: come nasce la percezione del rischio

Analisi delle dinamiche con cui si innesca una mobilitazione globale

Con le prime vittime italiane del coronavirus e i casi di contagio anche nel nostro Paese è scoppiata la fobia. Cittadine isolate, scuole chiuse, eventi annullati, protocolli d’emergenza. A livello globale la comunità medico-scientifica lavora per trovare una cura, il Fondo monetario ha rivisto al ribasso le stime di crescita, sono spuntate mascherine ovunque ed è partita una mobilitazione che ha pochi precedenti nella storia. Tutto questo in poco più di un mese e a fronte di un bilancio che, mentre scriviamo, è arrivato a 2461 morti. Secondo il Climate Index Risk negli ultimi 20 anni i fenomeni meteorologici estremi aggravati dal cambiamento climatico hanno causato 500 mila vittime nel mondo. L’Oms stima che tra il 2030 e il 2050 la crisi del pianeta ne provocherà altre 250 mila ogni anno. Solo in Italia l’inquinamento dell’aria è la causa di circa 80 mila decessi l’anno (Aea). E i ricercatori dell’Ipcc calcolano che entro il 2100 le perdite economiche dovute all’emergenza climatica oscilleranno tra gli 8,1 e i 15 trilioni di dollari. Lo scenario è apocalittico, ma oggi per scongiurare la catastrofe ambientale non c’è stata una reazione altrettanto forte. Perché?

«Per dare una risposta bisogna analizzare le dinamiche con cui avviene la costruzione sociale del rischio» spiega Giovanni Carrosio, sociologo dell’Ambiente presso l’università di Trieste. «Per comunicare efficacemente non basta utilizzare dati oggettivi o un approccio razionale, perché la percezione dei rischi è un fenomeno molto complesso che prende forma in base al vissuto e alle credenze delle persone». Questo porta a «sottovalutare o sovrastimare un evento e contemporaneamente innesca reazioni che non sono proporzionate al fenomeno». L’esempio classico è la nostra sensazione nel viaggiare in auto o in aereo. «Razionalmente tutti sappiamo che volare è più sicuro che guidare, ma tutti abbiamo più paura di prendere il volo che di sederci al volante».

I fattori scatenanti

Alla costruzione sociale del rischio concorrono tantissimi fattori, anche molto diversi tra loro. «La scienza e la fiducia che le persone ripongono in essa giocano un ruolo chiave, ma lo stesso fanno elementi simbolici, irrazionali». Proprio parlando di coronavirus abbiamo assistito a episodi di discriminazione nei confronti di cittadini cinesi solo su base razziale, un istinto che risulta più forte di studi scientifici o calcoli probabilistici. Per Marco Bagliani, docente di Cambiamento climatico, strumenti e politiche all’università di Torino, «il parallelismo tra coronavirus e crisi climatica chiama in causa la psicologia dei disastri». Particolare importanza assumono tempi, spazi e ricadute sociali. «L’epidemia del coronavirus si sviluppa su una scala temporale breve e rispetta i tempi tipici dell’attenzione, mentre il cambiamento climatico varia su una scala temporale più lunga. Parlando di spazi, l’epidemia ha una sua collocazione: le città, gli ospedali, una nave in quarantena, mentre la crisi del nostro pianeta non si sviluppa per forza sotto i nostri occhi». Infine le ricadute sulla vita delle persone: «Mettersi in gioco per fermare il virus prevede un sacrificio a breve termine (limitare i viaggi, indossare le mascherine), provare a contrastare il cambiamento climatico invece significa rivedere gli stili di vita per sempre».

L’unico modo per rendere meno dolorosa questa svolta sarebbe cercare quella che Carrosio – citando Alexander Langer – definisce una «transizione socialmente desiderabile». E cioè «non una rinuncia totale, ma un cambiamento frammentato in piccoli traguardi che si portino dietro anche miglioramenti della vita e delle condizioni sociali». Questo approccio può fare la differenza. Ne è convinto anche Luca Iacoboni, responsabile Clima ed Energia di Greenpeace. «Quindici anni fa gli ambientalisti erano considerati tutti catastrofisti. Poi alcuni studi hanno svelato che è meglio comunicare speranza e far leva sui buoni propositi delle persone». Certo, una ricetta vincente per convincere e mobilitare le persone non esiste. «Forse il metodo migliore è arrivare a una sintesi: per indurre all’azione bisogna dire che c’è speranza e contemporaneamente essere determinati nel pretendere azioni concrete». Il mondo dell’attivismo sembra destinato a cambiare a partire da questi impulsi: «L’impegno delle persone sarà più intersecato a livello sociale, meno battaglie isolate e più obiettivi comuni a difesa delle fasce più deboli».