1

Coronavirus, Crisi e Coerenza. Le nuove 3 C della Comunicazione in tempi turbolenti

Coronavirus, Crisi e Coerenza. Le nuove 3 C della Comunicazione in tempi turbolenti.

Contenuti.

1. Introduzione. Guardo già al futuro, con le opportunità del presente che sto vivendo.

 2. Coerenza e identità nelle aziende. Valore e rischio reputazionale, dalle grandi aziende alle PMI.

3. Covid-19 o Coronavirus.  Breve storia sul Contesto generale e sulla nuova C della Comunicazione.

3.1 Il “Mood” paura per gli italiani in tempi turbolenti.

4. Crisi. Una C della Comunicazione già ma non del tutto conosciuta. Siamo in crisi? Davanti a quale crisi lo stato italiano si ritrova?

4.1 Fattori comuni di
una crisi nella Pandemia Covid-19. La crisi aziendale esiste?

5. La Comunicazione è una scelta aziendale strategica. Scegliere di comunicare è una responsabilità sociale d’impresa per un grande Brand e per una PMI.

5.1 Una responsabilità sociale d’impresa che va oltre: la Corporate Diplomacy e i nuovi consumatori.

6. Quale scelta strategica adottare e come. Coronavirus e Crisi: analizza le due nuove C nella tua azienda.

6.1 Dall’analisi alla
strategia: Coerenza, la terza nuova C della comunicazione.

Introduzione.

Guardo già al futuro, con le opportunità del presente che sto vivendo.

C’era una volta un imprenditore, quando a causa della
diffusione dell’epidemia del Covid-19, il governo italiano in quel 7 marzo 2020
presentò lo stato di allerta e cominciò a limitare la mobilità e le attività lavorative.
Secondo il decreto questo imprenditore avrebbe avuto comunque la possibilità di
spostarsi per “comprovate esigenze lavorative” (D.P.C.M 08/03/2020), ma decise di sua
spontanea volontà di interrompere qualsiasi sua attività e unica sua fonte di reddito.
Mosso da un forte senso civico, si fermò a prescindere da una forma di libertà concessa,
per andare incontro alla salute stessa dei suoi compagni cittadini.

C’era una volta, sempre ai tempi del Covid-19, un
imprenditore che di fronte a commenti superficiali sulla situazione sanitaria
in Italia da parte di suoi maggiori clienti, decise comunque di non appoggiare
quelle parole. Nonostante avesse timore di compromettere le relazioni con quei
clienti, agì secondo quelle che erano le sue opinioni (comprovate da diverse
fonti): andare contro uno dei tuoi più importanti clienti, poteva essere un
grande rischio, ma non c’era rischio peggiore di quello di andare contro la tua
stessa opinione, e di conseguenza i tuoi stessi valori, la tua stessa identità.

Quel giorno quell’imprenditore agì con coerenza. Non “scese
a compromessi”, (Chris Voss, 2017), mise le carte, i suoi valori sul tavolo, il
rispetto che lui aveva per il suo Stato, e disse la sua. Per quanto l’amigdala
del suo cervello stesse producendo paura per agire diversamente dal suo
cliente, sapeva che non stava agendo in modo egoista, stava solo proteggendo ciò
in cui lui credeva: la sua identità. Fu onesto.

In una fase turbolenta della sua vita lavorativa, quell’imprenditore
ha guardato il presente con gli occhi del futuro, scegliendo di andare oltre il
rischio e cercando nel suo presente critico delle opportunità. Un obiettivo a
lungo termine con l’idea di rafforzare, non tanto perdere, la relazione con i
suoi pubblici, attraverso un approccio umile e coerente.

Coerenza e identità nelle aziende.

Valore e rischio reputazionale, dalle grandi aziende alle PMI.

Coerenza: una parola che richiama un atteggiamento
essenziale per aziende, professionisti e Brands. Utilizziamo il termine “essenziale”
perché, a prescindere dall’entità economica o l’istituzione di cui si parla, la
coerenza può definirsi quel collante capace di legare a sé tutti i valori che
quell’entità intende comunicare, valori che insieme formano un’identità.

L’identità fa parte di ogni azienda o istituzione, a
prescindere dalla loro grandezza. Grandi imprese possono avere più prodotti e
più linee di prodotti e ognuna di queste avere dei propri valori, formare delle
proprie identità, che comunque si ricollegano all’ identità principale, quella
dell’impresa stessa. Medie e piccole imprese possiedono una gamma di prodotti e
un numero di dipendenti inferiore, con turnover di diversa entità. La loro
identità è rappresentata comunque da una piccola comunità che si erge su valori
generalmente trasmessi dal titolare, una figura chiave intorno a cui ruota la
storia dell’azienda. Quando invece ci riferiamo ai liberi professionisti come
consulenti e agenti di commercio, sono loro stessi a rappresentare la propria
identità: si tratta, quindi, di persone professionali dotate di una propria
identità e di valori, su cui costruiscono la propria attività.

Quattro esempi di entità nel mercato: ogni impresa,
grande, media, singola, rappresenta comunque un’identità che si fonda su
valori; valori, che occorre comunicare e dimostrare attraverso azioni,
atteggiamenti, messaggi autentici. L’identità è una figura, una persona che
parla e prova emozioni, e agire diversamente rispetto a quello che la nostra
identità è, non sarebbe come violare l’articolo 494 del codice penale sulla “sostituzione
di persona”?

In un certo senso quell’imprenditore, piuttosto che rischiare
di rovinare la relazione con il suo maggior cliente, ha scelto di non rischiare
di rovinare la relazione con se stesso e di conseguenza, di non sostituire la
sua identità, ha scelto di adottare un atteggiamento coerente, e autentico  scelta che successivamente si è rivelata “saggia”
al fine di proteggere la sua reputazione e la rete di relazioni che con il
tempo aveva costruito.

La coerenza si concretizza, perciò, in una serie di scelte
con risultati a breve, medio e soprattutto a lungo termine. I risultati,
inoltre, si vedono non tanto nella relazione uno:uno, ma uno:molti: scelte
aziendali che rispecchiano una strategia coerente ed efficace portano risultati
positivi a livello reputazionale. La reputazione corrisponde a “ciò che pensano
gli altri di noi” e può, purtroppo, venire meno se non agiamo correttamente o
quanto meno responsabilmente. Trasmettere un’identità chiara e coerente,
attraverso i nostri valori, monitorando cosa il pubblico stesso ha recepito,
significa pensare a proteggere la nostra reputazione.

Covid-19 o Coronavirus.

Breve storia sul Contesto generale e sulla nuova C della Comunicazione.

Nei capitoli precedenti abbiamo parlato proprio di
coerenza e di valori, di identità aziendale e del rischio che l’organizzazione
stessa potrebbe correre se proprio questa non rispetta, appunto con coerenza, i
valori che ci sono alla base della sua identità.

Studiamo e focalizziamoci sul contesto generale, in
particolare sui principali provvedimenti e lo stato Italiano.

Fonti accertano che tra la fine dell’anno 2019 e l’inizio
del 2020 dal villaggio di Wuhan in Cina è partito il primo focolaio del virus
Covid-19, il quale si sarebbe trasmesso nei mesi successivi in tutto il mondo.
Il 31/12/2019 la Cina, di fatti, ha comunicato all’ Organizzazione Mondiale
delle Sanità (OMS – WHO World Health Organization) la comparsa di un virus
sconosciuto e il 30/01/2020 l’OMS ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria
globale. In Italia il 31/01/2020 sono stati confermati i primi due casi di
Coronavirus a Roma “una coppia di turisti cinesi di 66 e 67 anni originari
della provincia di Hubei e sbarcati il 23 gennaio all’aeroporto di
Milano-Malpensa e che avevano visitato la Capitale su di un autobus turistico

(fonte: wikipedia.org),
di conseguenza il governo italiano ha sospeso tutti i voli da e per la Cina e
lo stesso 31/01/2020 ha decretato lo stato di emergenza sanitaria, primo paese
dell’Unione Europea ad adottare simili misure di sicurezza. A partire dalla
fine di febbraio 2020, con le prime vittime e il numero di contagi in crescita,
l’Italia diventa il secondo focolaio per numero di casi nel mondo e il primo
nell’Unione Europea (fonte: Corriere della Sera). Lo stato italiano ha dovuto
man mano richiedere misure sempre più rigide di sicurezza al fine di contenere
l’epidemia, un’epidemia che rischia ad oggi di portare al collasso il sistema
sanitario nazionale. Le strutture non erano e non sono pronte a contenere un
numero così alto di casi per la terapia intensiva, in cui sono previsti un
massimo di 5000 posti (fonte: affaritaliani.it).

Le misure di sicurezza hanno obbligato le aziende ad
apportare cambiamenti a livello di operatività e successivamente, in
particolare dall’ 8 Marzo 2020 con un decreto ministeriale (D.P.C.M 08/03/2020), lo stato italiano ha
richiesto l’interruzione dell’attività stessa, man mano per quasi tutti i
settori merceologici, in quanto non in grado di applicare misure di sicurezza
adeguate, e ha richiesto lo stato di quarantena verso i cittadini italiani.

Covid-19 o Coronavirus.

Il “Mood” paura per gli italiani in tempi turbolenti.

Le direttive adottate, specialmente in materia di
comunicazione e informazione, hanno diffuso un clima apparentemente negativo
tra gli stessi cittadini italiani. Numerosi sono gli articoli e le ricerche
condotte in merito ai gap di comunicazione e le emozioni che questi stessi
hanno generato, specialmente la paura.

Afferma Luca Poma, specialista in Crisis Communication e
professore di Reputation Management, che, preso atto della relativa “confusione”,
pare esserci l’impressione che “le autorità abbiano preso la scorciatoia della
paura”: lo stato italiano “avrebbe tagliato corto” innescando nel popolo una
risposta emozionale primaria (teoria dei marcatori somatici) la quale avrebbe
portato al conseguimento dell’obiettivo. Il Governo, scrive Poma, avrebbe terrorizzato
il popolo di fronte a una situazione complessa, al fine di bloccare gli
spostamenti e procedere alle misure di quarantena: tutto ciò per mezzo di un’ “emozione”
e non attraverso la consapevolezza e la presa di coscienza effettiva dei
cittadini: “C’è un divieto, non ho tempo per spiegarti, siamo in emergenza”.
Nonostante le raccomandazioni da parte della comunità scientifica sugli effetti
della paura e dello stato di ansia, come l’aumento del cortisolo, ormone dello
stress e l’abbassamento delle difese immunitarie, lo stato non ha attutito gli
effetti della quarantena. Lo Stato, anzi, avrebbe amplificato lo stato d’animo
negativo nel cittadino italiano medio, a causa della continua disomogeneità delle
strategie di comunicazione e visibilità sui canali informativi ufficiali (tra cui ritardi negli
aggiornamenti), della non centralità delle direttive promosse dal governo
centrale e poi dirette dalle regioni come “a macchia di leopardo”, con
conseguente mancanza di chiarezza in fatto di informazioni scientifiche.

Ricerche condotte, inoltre, dal Team di Consenso.pro
confermano le affermazioni di Luca Poma: “tristezza, attesa e paura” rappresentano
il “Mood” della maggior parte dei cittadini italiani, “dilaga un sentimento
diffuso di paura, un timore legato al possibile contagio, ma più in generale
riconducibile all’imprevedibilità di questo male”.

Lo studio condotto da Ogilvy Public Relations Italia dal
titolo “It’s not (so) irrational” ha analizzato, in seguito, attraverso le
scienze comportamentali, atteggiamenti apparentemente irrazionali, che sono
derivati dal “mood negativo” nella vita quotidiana dell’italiano medio: in
quattro mini episodi, con un tono informale e leggero, spiegano all’utente che “correre
al supermercato per fare scorta di carta igienica”, ad esempio, è una reazione
del tutto normale. “Posti di fronte a pericoli che non siamo in grado di
controllare, scegliamo di combatterne le conseguenze più alla nostra portata,
per placare l’ansia: non so come posso affrontare una pandemia, ma questa
sicuramente porterà all’esaurimento di alcuni prodotti necessari. E’ bene
quindi farne scorta! Problema risolto, ora posso rilassarmi”. Siamo di fronte a
un effetto chiamato “Zero Risk Bias”, “Bandwagon effect” risponde invece al
comportamento non del tutto irrazionale di indossare a tutti i costi la
mascherina anche se non ce n’è bisogno: “quando vediamo tanti intorno a noi
comportarsi in un determinato modo ci viene automatico sentirci diversi. E
spesso sentirci diversi, anche se non siamo in torto, ci mette a disagio. Così sentiamo
l’irrefrenabile bisogno di adeguarci”. Il principio della “Riprova Sociale” dello
psicologo Robert Cialdini, è anch’esso una conferma: “quanto maggiore è il numero di persone che trova
giusta una qualunque idea, tanto più giusta è quell’idea”.

Crisi. Una C della Comunicazione già ma non del tutto conosciuta.

Siamo in crisi? Davanti a quale crisi lo stato italiano si ritrova?

Abbiamo cercato di riassumere la condizione dello stato italiano a livello operativo, economico ed emotivo e, secondo le informazioni trasmesse dai media e dallo stesso governo, l’Italia starebbe affrontando una terribile crisi: la crisi del Coronavirus (fonte: economiaepolitica.it).

Helio Fred Garcia della Logos Consulting Group di New
York, agenzia di consulenza specializzata in Crisis Management e Crisis
Communication, menziona addirittura il Covid-19 come sette tipi di Crisi in una
e illustra le sette dimensioni del crisi del Coronavirus:

  1. Crisi
    della Sanità Pubblica: molti contagi, molti ammalati e gli ospedali non
    riescono a soddisfare la richiesta perché va oltre la loro capacità;
  2. Crisi
    dei Business: qualsiasi tipo di settore viene in quale modo colpito, in quanto
    deve adattarsi alle misure di sicurezza richieste e di conseguenza trovare
    anche nuove alternative per proseguire la propria attività. Questo provoca
    rallentamenti e disagi interni;
  3. Crisi
    Economica: il Covid-19 ha portato un recessione dell’economia e qualsiasi
    azione comporta gravi rischi;
  4. Crisi
    dell’Informazione: comunicazione non chiara, incompleta, talvolta
    intenzionalmente ingannevole, che porta confusione tra i pubblici;
  5. Crisi
    sulle Competenze governative: il governo non ha fornito risposte chiare e
    tempestive;
  6. Crisi
    Sociale: lo stato d’animo che si è diffuso è molto negativo e fa leva su
    emozioni quali paura e ansia, destando persino reazioni violente e facendo
    venir meno valori comuni;
  7. Crisi
    della Salute Mentale e psichica: i cittadini non agiscono in maniera
    consapevole ma quasi irrazionale, sono spaventati per la loro salute, per il
    loro lavoro e per il senso di costrizione dato dalle misure di quarantena. Uno
    stato d’animo patologico che dovrebbe essere senz’altro trattato da esperti.

Cosa è però una crisi? Partiamo dal principio.

Semplicemente: la crisi è un evento straordinario, interno
o esterno a un’organizzazione, che provoca la destabilizzazione del clima
aziendale con conseguente negatività nello stato emotivo e attira una visibilità
e copertura più ampia dei media. La crisi non è un’emergenza, non è un evento
ordinario che può essere gestito attraverso i mezzi abituali (Poma, Vecchiato,
2012). La destabilizzazione aziendale provoca un rischio a breve/lungo termine
livello reputazionale, di immagine e di profitto.

Crisi. Una C della Comunicazione già ma non del tutto conosciuta.

Fattori comuni di una crisi nella Pandemia Covid-19. La crisi aziendale esiste?

Occorre adesso collegare i fattori comuni di una
situazione di crisi al caso del Coronavirus.

Frenesia, pericolosità, destabilizzazione, eccezionalità,
alta visibilità, sono tutti fattori comuni in un evento critico, e nella realtà
sono fattori che ritroviamo molto chiaramente nel contesto divulgato con l’epidemia
del Covid-19. Si tratta di un evento esterno che ha provocato una
destabilizzazione dell’ambiente sociale e politico, il quale di conseguenza ha
richiesto ai fini di contenimento pandemico, precisi e stretti provvedimenti,
cambiando le abitudini dei cittadini e nell’operatività aziendale. Le aziende
perciò hanno dovuto reintegrarsi e riadattarsi al nuovo ambiente che si è creato.
In breve, l’epidemia da Covid-19 non ha di per sé scatenato una “crisi
aziendale”, ma una “crisi di contesto”, il quale potrebbe destabilizzare l’ambiente
interno di un’ organizzazione e portare a una perdita di controllo nelle
attività operative e di comunicazione. Solo dopo questa comprovata
destabilizzazione, potremmo discutere a livello di crisi aziendale.

In materia di Crisis Management, il processo di gestione
della crisi aziendale, Scott Kronick, CEO Ogilvy Asia, in un articolo
intitolato “How to comunicate in turbulent times?” non a caso ha deciso di
citare l’autore e speaker Brian Tracy: “non puoi controllare quello che ti
succede, puoi solo controllare le tue reazioni nei confronti di quello che ti
succede”. Scott Kronick riferiva il suo articolo alla crisi del Covid-19 e
quella citazione mette in chiaro che: tu, come organizzazione, non puoi
controllare quello che ti succede intorno, ma un contesto esterno critico non è
detto che possa portare d’altronde a una crisi aziendale. Un’azienda può influenzare,
può non restare neutrale politicamente (Cino V., Fontana A., 2019) ma non può comunque
avere il controllo degli eventi esterni, ma può certamente controllare ogni
scelta e attività organizzativa, quella che Tracy chiama “reazione”, nei
confronti di ciò che succede fuori. E’ la scelta che cambia le carte in tavola.

E’ come l’organizzazione si muove e comunica, in un
contesto già di per sé turbolento, che può provocare, e non, danni
reputazionali ed economici.

Per cui cari economisti, cari imprenditori e uomini di
mercato, non per provocarvi, ma per portarvi un messaggio di ottimismo ben
comprovato: le vostre aziende non è detto siano in crisi, ma badate bene alle
vostre scelte, perché il contesto è rischioso e ogni mossa può minacciare la
vostra realtà e compromettere la vostra reputazione da un lato, ma dall’altro
allo stesso tempo può aprirvi un ventaglio di opportunità.

Il nostro caro vecchio imprenditore dei tempi del Covid-19
ha effettuato una scelta precisa di fronte al suo cliente, maturando un
atteggiamento prudente e analizzando il contesto e la sua stessa azienda:
questa scelta ha cambiato il suo futuro.

La Comunicazione è una scelta aziendale strategica.

Scegliere di comunicare è una responsabilità sociale d’impresa per un grande Brand e per una PMI.

Perché scegliere di comunicare? Perché qualsiasi azione o
non azione che noi come azienda adottiamo, porta comunque a un’esposizione.
Parlava quello che noi comunicatori definiamo quasi un “mentore”, lo psicologo
e sociologo Paul Watzlawick: “non si può non comunicare”. Nella sua Pragmatica
della Comunicazione, Watzlawick espone cinque Assiomi (fondamenti) di
comunicazione e il primo afferma “l’impossibilità di non comunicare”. Potremo
scegliere di non esporci come azienda, di adottare le misure operative di
sicurezza richieste, e aspettare che nuovi decreti riportino la situazione alla
normalità, ma anche questa in verità si tratta di una scelta. “Qualsiasi
comportamento – parole, silenzi, attività o inattività – ha valore di messaggio
e influenza gli altri interlocutori che non possono non rispondere a queste
comunicazioni” (Watzlawick, 1971, p.41).

Se da un lato dobbiamo scegliere perché qualsiasi tipo di
nostra attività, persino una non attività, trasmette un messaggio al nostro
pubblico, dall’altro lato la scelta di comunicare consapevolmente un messaggio è
anche una responsabilità nei confronti dei nostri pubblici.

Di conseguenza un’organizzazione o un libero professionista
che si relaziona esternamente (o anche internamente nel caso di un’azienda),
dal momento in cui sancisce un legame, qualsiasi tipo di mossa faccia, crea
comunque una forma di interazione. E’ , inoltre, responsabilità sociale ed
etica dell’impresa o del professionista, intervenire consapevolmente quando il
suo stesso pubblico domanda o chiede comunque una guida.

Scendiamo nel dettaglio e parliamo di Brand, “amici” che
ci accompagnano nelle giornate della nostra vita. Avete presente il logo della
Coca Cola? L’ha ideato un designer pressoché molto famoso, si chiamava Walter
Landor. Landor non solo ha disegnato un logo, ma ha disegnato un Brand: insieme
alla stessa Coca Cola Company, ha dato vita a un “prodotto” (o meglio un’azienda)
e l’ha reso persona. Una persona che il suo pubblico potesse immaginare, a cui
dare persino un “volto” e infine, Walter Landor ha aggiunto: “i prodotti
vengono realizzati nelle fabbriche, ma i Brand, quelli si realizzano nella
mente”.

Prendendo spunto da Landor, oggi Ogilvy Public Relations
nel bel mezzo di un’epidemia, ha dichiarato attraverso Piyush Pandey, Chief Creative Officer
Worldwide: “i prodotti sono realizzati nelle fabbriche, ma i Brand sono
realizzati all’interno dei cuori delle persone. Quando sei nel cuore delle
persone, tu hai una responsabilità. Una responsabilità per far loro piacere e
una responsabilità di essere parte integrante delle loro vite quando si sentono
in pericolo”.

I Brand creano emozioni, i Brand rappresentano un idolo in
cui il pubblico può identificarsi, i Brand non sono soltanto dei prodotti e chi
fa comunicazione lo sa molto bene. Chi vive nella mente delle persone,
influenza il loro atteggiamento e le loro opinioni, diventa come una guida e di
conseguenza ha una responsabilità. I Brand hanno responsabilità.

Le stesse PMI possono avere un Brand o essere loro stesse
un Brand, per cui ciò non toglie loro da alcuna responsabilità. Il Brand, di
fatti, può non essere un prodotto, il Brand può essere l’azienda stessa e di conseguenza
può essere il singolo consulente. Non a caso si è diffuso il “Personal Branding”,
quella branchia del Branding che lavora per costruire un’identità di marca sul
singolo, o su un gruppo ristretto. L’imprenditore citato all’inizio del testo
pensiamolo adesso come un consulente, un libero professionista: lui è il Brand
di se stesso. Il Brand di se stesso ha dei valori, che lo spingono ad agire
secondo una precisa identità, che risponde come azienda (se stesso) a domande
che il pubblico gli pone. Essere unici non significa non poter essere degli
idoli, il tuo pubblico può immedesimarsi in te anche se sei un consulente.
Frank Merenda, ad esempio, è uno dei tanti economisti e speaker, che smuovono a
livello emozionale i loro pubblici in modo piuttosto “duro” (caldo). Quell’imprenditore,
comunque, ha dimostrato di aver colto la sua responsabilità e ha scelto di
compiere azioni responsabili per la società e per il suo pubblico di
riferimento: ha agito.

La Comunicazione è una scelta aziendale strategica.

Una responsabilità sociale d’impresa che va oltre: la Corporate Diplomacy e i nuovi consumatori.

Aver definito i Brand come una persona e aver sottolineato
la loro responsabilità, anche a livello di PMI, può non bastare per comprendere
perché è importante comunicare.

Di Coca Cola non ci stanchiamo mai, per cui perché non
citare Vittorio Cino, Direttore European Affairs di Coca-Cola Company, il quale
insieme ad Andrea Fontana, Presidente di Storyfactory e Presidente dell’Osservatorio
Italiano di Storytelling, spiegano il concetto della nuova disciplina della “Corporate
Diplomacy”. “Le aziende giocano un significativo ruolo politico e sociale, in
aggiunta a quello economico, con un impatto a livello locale, nazionale e
transnazionale. I processi di globalizzazione (a cui sono stati sottoposti
tutte le aziende e i liberi professionisti allo stesso modo) spingono […] ad
entrare nell’arena del dibattito politico e sociale, rendendoli partecipe dell’elaborazione
di valori pubblici e privati. Il mondo del business è sempre più conscio del
proprio capitale sociale e della propria responsabilità” (Cino, Fontana, 2019
pag. 15).

Come anticipato nel capitolo 5, nel periodo di diffusione
dell’epidemia Covid-19, se da un lato le imprese cercano di “coniugare il
business con l’impegno sociale e ambientale”, attraverso iniziative di
responsabilità sociale di impresa, dall’altro è il pubblico stesso a richiedere
una risposta all’impresa stessa o al suo consulente di riferimento (si chiama
consulente non a caso…).

Viviamo poi nell’era dei Millennials e dove la “generazione
z” (degli anni 2000) sta prendendo sempre più spazio, dove un nuovo Consumatore
si sta interfacciando: un “consumato-re” più autonomo, pro-attivo ed esigente
che dialoga con le aziende utenti online e offline, un individuo responsabile
che tra i suoi bisogni richiede valori appunto sempre più legati all’eticità (Fabris
G., 2003) e premia aziende serie e socialmente responsabili (Fabris G., 2010).

Dobbiamo, quindi, scegliere di comunicare perché di fronte
a noi abbiamo un consumatore più esigente, che richiede alle aziende una
risposta, specie nei confronti di quelle organizzazioni che condividono i suoi
stessi valori.

Comunicare è un nostro dovere e se non lo facciamo,
sappiamo che abbiamo comunque trasmesso un messaggio e una nostra scelta e ci
vuole un attimo a far crollare la nostra reputazione.

Quale scelta strategica adottare e come.

Analizza le nuove due C nella tua azienda: Coronavirus e Crisi.

Certamente non esiste una strategia universale, ma
esistono passaggi chiari e fondamentali da applicare per elaborare una
strategia di risposta alla crisi precisa, coerente ed efficace.

Il primo passo è senza dubbio analizzare la nostra
azienda: comprendere come è posizionata al momento sul mercato, come sta
rispondendo il nostro settore alla diversificazione delle attività, capire come
il pubblico sta reagendo alle misure restrittive che avete dovuto applicare (e
che sicuramente avrete già fatto).

Sul tecnico un’analisi SWOT e Benchmark (anche verso i
competitori) può essere un punto di partenza. Semplicemente “capire come siamo
messi” è fondamentale per tutti, a prescindere dalla grandezza della nostra
realtà. E’ necessario comunque analizzare uno scenario più “ampio” non solo a
livello nazionale, ma europeo se non addirittura mondiale, per comprendere fino
a che punto si spingono i blocchi operativi e così le stesse opportunità nel
nostro settore.

La diffusione del Covid-19, i provvedimenti di sicurezza
da parte dello stato italiano, da parte dei governi mondiali e altri istituti,
hanno destabilizzato l’ambiente di riferimento: è comprovato, senz’altro siamo
di fronte a una crisi di contesto e occorre necessariamente capire come la
nostra azienda è minacciata e quanto ad oggi è stata attaccata.

Per comprendere come è posizionata la nostra attività in
base a questa particolare crisi, possiamo assolutamente riferirci al processo
di Crisis Management, processo che definisce la gestione della crisi, al fine
di elaborare una strategia di preparazione o di risposta corretta. Tale
processo mira in particolare a obiettivi a lungo termine, come salvaguardare la
reputazione aziendale e il rapporto con gli Stakeholders di riferimento, come
permeare l’organizzazione di stimoli pro-attivi al fine di riuscire a cogliere
opportunità che possono derivare da un qualsiasi cambiamento.

Il Crisis Management si divide in tre fasi: Fase Research
o Prevenzione, Fase Response o Gestione della Crisi e Fase Recovery o gestione
del Dopo Crisi. All’interno del processo di Crisis Management si colloca la
Crisis Communication. Questa raggruppa tutte le attività di comunicazione dell’impresa
nelle tre fasi.

Appurato il processo di gestione della crisi e le fasi che
lo compongono, resta comunque da comprendere che tipo di strategia scegliere, e
ripetiamo che non esiste una strategia universale da poter applicare sempre e
per chiunque, ma esistono delle linee guida.

In un contesto turbolento scatenato dall’epidemia del
Coronavirus, occorrerebbe comprendere in quale fase del processo di Crisis
Management si colloca. Se  uniamo queste
riflessioni e queste analisi riusciremo di nuovo a comprovare quanto riferito
al punto 4.1: non è detto quindi che ci troviamo già in una fase di gestione
della crisi aziendale, la nostra organizzazione può risentire del contesto
esterno destabilizzato e procedere a programmare, quindi prevenire la gestione
della crisi.

In fase di prevenzione, o in fase di gestione, il contesto
resta comunque turbolento, la differenza sta nel fatto che il contesto abbia già
causato o meno una destabilizzazione, avvenuta direttamente dall’esterno,
oppure a una mal gestione interna delle attività operative e di comunicazione.
In questo ultimo caso è necessaria un’analisi ben più approfondita: analizzare
i passi compiuti in precedenza e tutte le operazioni che hanno portato alla
perdita di controllo, attraverso una strategia non efficace. Ciò non significa
comunque che ogni nostro “sforzo” sia stato vano! Magari va solo un attimo….
rifinito.

Quale scelta strategica adottare e come.

Dall’analisi alla strategia: Coerenza, la terza nuova C della comunicazione.

Dopo aver analizzato in quale posizione si trova l’azienda
rispetto alla destabilizzazione lasciata dal Coronavirus, crisi aziendale o
non, resta comunque appunto quel contesto turbolento là fuori e bisogna in
qualche modo comunicare il nostro stato per responsabilità sociale d’impresa,
oltre che di comunicazione di crisi. Questa si tratta di una scelta strategica:
“ridefinire gli obiettivi di comunicazione” possiamo affermare sia il secondo
passo adeguato da compiere.

Ricordiamo che esistono linee guida che possono aiutare la
nostra azienda o la nostra libera professione ad adottare scelte strategiche
efficaci, per comunicare la nostra “opinione” e la nostra “presenza” all’interno
di un contesto turbolento.

Andiamo quindi a disporre vari esempi di comunicazione qui
di seguito, per trasformare i nostri obiettivi in scelte operative efficaci e
coerenti con la nostra strategia.

Manuali fanno riferimento agli studi di Coombs (2007), un’azienda,
una qualsiasi entità economica, può scegliere di negare, ridurre l’evento
critico, ridimensionare, ridurre o scusarsi e assumere atteggiamenti proattivi
nei confronti dei suoi pubblici.

Un altro esempio viene da Scott Kronick, CEO Ogilvy Public
Relations Asia Pacific. Nel suo articolo “How to communicate in turbulent
times?”, mette in luce quelle che sono le azioni fondamentali che vanno intraprese
da un punto di vista comunicativo in situazioni di crisi e illustra il metodo
DRIVE: un metodo di approccio di comunicazione efficace in cinque step, lo
stesso approccio che Ogilvy Public Relations sta tenendo nei confronti dei suoi
stessi clienti. “DRIVE”
aiuta a guidare uomini di comunicazione nel realizzare una reazione efficace
focalizzandosi sui messaggi e sui propri valori aziendali: determina chi ha
bisogno di sapere cosa, rifinisci il messaggio, informa il tuo pubblico,
focalizzati sui valori, esamina le conseguenze.

Se torniamo ad analizzare la scelte dell’imprenditore
protagonista ormai delle nostre ricerche ai tempi del Covid19, lui stesso ha
seguito l’approccio DRIVE, concentrando le sue scelte sui suoi valori
(aziendali), rafforzando la sua identità e ha applicato una strategia coerente.

All’interno di Ogilvy Public Relations Italia, il Team di
PR and Influence, ha presentato “R.A.I.S.E.”, un nuovo modello di
coinvolgimento strategico che fa leva sull’importanza dell’ Influencer
Marketing. L’Influencer Marketing è una grande leva strategica perchè: “Reach,
raggiunge le piattaforme su cui il target oggi spende più tempo”, “Advocacy,
promuove e sostiene, vivendo esperienze reali come il pubblico stesso, “Integration,
integra più leve di comunicazione e marketing”, “Simplification, semplifica la
realizzazione di contenuti anche durante il lockdown”, “Empathy, fornisce
competenze dirette alle esigenze dei pubblici”.

Un esempio anche dalla Global Alliance, la Federazione internazionale che raggruppa le associazioni professionali delle Relazioni pubbliche e della comunicazione del mondo. Global Alliance presenta, invece, un elenco di 12 consigli che “dovrebbero e potrebbero” guidare la comunicazione responsabile sulla pandemia in continuità con quanto esplicitato nel Code of Ethics a nel Melbourne Mandate.

  1. Prima di comunicare, pensa all’impatto del tuo messaggio al di fuori della tua organizzazione;
  2. Non nascondere l’impatto della pandemia. Sii realistico nelle tue comunicazioni, basandoti su dati di fatto;
  3. Usa un linguaggio semplice e chiaro per ridurre al minimo la drammatizzazione della situazione;
  4. Includi una visione di speranza;
  5. Diffondi buoni esempi e buone prassi;
  6. Identifica e legittima le emozioni delle persone;
  7. Dai la priorità alle informazioni provenienti da fonti ufficiali;
  8. Evita di condividere notizie false. Sii critico nei confronti delle fonti di informazione;
  9. Non saturare le reti con inutili messaggi;
  10. Non perdere tempo nella mera critica della comunicazione pubblica. Prova ad essere costruttivo con l’ente pubblico per migliorare la comunicazione;
  11. Supporta il lavoro dei media fornendo informazioni accurate al momento giusto;
  12. Lo humour può essere un antidoto a sentimenti depressivi e di crisi, purché non sia frivolo.

Consulenti di comunicazione, tra cui Rossella Sobrero,
Presidente della Ferpi Federazione Relazioni Pubbliche Italiana, consigliano di
tenere caldi i contatti e far leva sull’importanza delle relazioni, applicando
ogni mezzo possibile per mettersi dalla parte dei nostri pubblici di
riferimento.

A supporto delle affermazioni di Rossella Sobrero, in
ambito delle PMI riportiamo l’esempio di un’azienda situata in provincia di
Venezia che opera nel settore informatico, Omega Soluzioni Informatiche, la
quale ha realizzato una sorta “Manuale Anticrisi” per permettere a tutti i suoi
clienti di continuare la propria attività lavorativa da casa: il manuale,
intitolato “Flexworking”, fornisce in modo chiaro e semplice consigli
strategici e operativi come supporto alla continuità aziendale. Una PMI, che
durante il periodo destabilizzante nato dalla diffusione dell’epidemia del
Covid-19, ha cercato di non lasciar andare le relazioni, ha fatto leva sui suoi
valori interni e sulla sua identità aziendale, per comunicare attraverso il suo
business messaggi chiave che potessero essere di supporto ai pubblici di
riferimento.

Sarebbero molti gli esempi e le strategie di comunicazione
che potremmo trattare per rispondere alla domanda: quale è la strategia
migliore da adottare?

Le strategie in effetti sono molteplici, ma tutte
rispondono a un solo principio: la coerenza.

Principio con cui abbiamo aperto questa ricerca, principio
con il quale il nostro protagonista imprenditore si è presentato quando ha
scelto di non stare dalla parte del suo cliente, che mostrava un’opinione
totalmente contraria a lui.

Lo scopo di queste pagine è, infatti, sensibilizzare
coloro che, oltre alla comunicazione, devono fare business, e quindi gli imprenditori,
perché ad oggi è una nostra responsabilità farsi trovare preparati. E’ allo
stesso tempo una nostra responsabilità reagire, nel caso in cui non fossimo
preparati. Sopratutto è una nostra responsabilità applicare scelte strategiche
di comunicazione per evitare danni reputazionali in futuro che siano
assolutamente coerenti con quella che è la nostra identità aziendale.

Per quanto possiamo essere delle grandi, medie, piccole o
persino singole entità, abbiamo i nostri valori, abbiamo una nostra identità e
non esiste strategia più forte ed efficace di una strategia coerente con noi
stessi. Ricordiamo, l’ambiente è già destabilizzato a sufficienza, non andiamo
a creare ancora più caos nella mente dei nostri pubblici e sopratutto
riflettiamo: siamo davvero in grado di affrontare un periodo turbolento come la
situazione data dal Covid-19 e a seguire la perdita di fiducia nella nostra
identità ?

Agiamo responsabilmente, o come scrive il nostro Luca
Poma, “non agiamo come un popolo bue o come italiani immaturi”.

Agiamo consapevolmente e responsabilmente, e sopportiamo questo stress perché: dalle peggiori crisi nascono anche grandi opportunità.

Bibliografia

Chris V., Tahl R., Never Split the Difference: Negotiating as if Your Life Depended on It, Random House Business Books, London, 2017.

Cialdini R. B., Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, Giunti Editore, Firenze, 2013.

Cino
V., Fontana A., Corporate diplomacy. Perché le
imprese non possono più restare politicamente neutrali,
Egea Editore, Milano,
2019, pp. 15.

Coombs W. T., Protecting
organization reputations during a crisis: the development and application of
situational crisis communication theory
,
Corporate Reputation Review, vol. 10, 2007.

Coombs W. T., Ongoing
Crisis Communication: planning, managing, and responding,
Sage, Thousand Oaks, 2007.

Fabbri
G., il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Francoangeli Editore,
Milano, 2003.

Fabris
G., La società post crescita, Egea Editore, Milano, 2010.

Watzlawick
P., Beavin  J. H., Jackson D. D., Pragmatica
della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e
dei paradossi,
Casa Editrice Astrolabio Ubaldini, Roma, 1971, pp. 41.

Poma
L., Vecchiato G., La guida del sole 24 ore al Crisis Management, Gruppo
24Ore, Milano, 2012.

Sitografia

affaritaliani.it Il primo quotidiano digitale dal 1996 (https://www.affaritaliani.it/cronache/coronavirus-aggiudicata-la-gara-per-5000-posti-in-terapia-intensiva-657625.html)

Angi: responsabilità sociale d’impresa e innovazione sociale ai tempi del Covid-19. Intervista a Rossella Sobrero http://www.today.it/partner/angi/angi-intervista-rossella-sobrero.html)

Consenso.pro e team, gestione di campagne di consenso (https://www.consenso.pro)

Corriere della Sera (https://www.corriere.it/salute/malattie_infettive/cards/coronavirus-perche-l-italia-ha-molti-piu-casi-altri-paesi-europei/cosa-potrebbe-essere-successo-nostro-paese_principale.shtml)

Economia e Politica. Rivista online di critica della politica economica (https://www.economiaepolitica.it/l-analisi/crisi-da-coronavirus-italia-europa/)

Ferpi Federazione Relazioni Pubbliche Italiana. Coronavirus: 12 consigli per una comunicazione responsabile (https://www.ferpi.it/news/coronavirus-12-consigli-per-una-comunicazione-responsabile)

Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 8 Marzo 2020 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2020/03/08/59/sg/pdf)

Global Alliance: 12 consigli per una comunicazione responsabile (https://www.marketingjournal.it/global-alliance-12-consigli-per-una-comunicazione-responsabile/)

Governo
Conte e Coronavirus. Analisi sulle frequenze della paura, di Luca Poma (https://formiche.net/2020/03/governo-conte-coronavirus-paura/)

Logos Leadership Lesson: Seven Dimensions of the COVID-19 Crisis by Helio Fred Garcia President Logos Consulting Group (https://youtu.be/4SdpHh7tGJM)

Ogilvy Public Relations, “How to communicate in turbulent times” by Scott Kronick, (https://www.ogilvy.com/uploads/O200316_Paper_COVID(1).pdf)

traduzione italiana a cura di Francesca Serena Fronzoni “Come comunicare in tempi di crisi” (https://cdn.ferpi.it/media/post/c8dglqc/covidhowtocommunicatekronick.pdf)

Ogilvy Consulting Italia: COVID-19: i brand e le persone. Come le scienze comportamenti ci aiutano a comunicare al meglio quando il mondo sembra impazzire. (https://www.ogilvy.it/doc_din/OC_COVID19_BrandPersone_200409.pdf)

Ogilvy Consulting Italia: L’influencer marketing ai tempi del Covid-19: come cambia il rapporto tra brand e influencer. (https://www.linkedin.com/posts/ogilvy-italia_brand-e-influencer-ai-tempi-del-covid-19-activity-6651763138897211392-CqPN)

The Business Insider, sito web di notizie dal mondo della finanza e del business (https://www.businessinsider.org)

Wikipedia, l’enciclopedia libera (https://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale)

(https://it.wikipedia.org/wiki/Pandemia_di_COVID-19_del_2020_in_Italia)




Politica psicosomatica e comunicazione algoritmica

Politica psicosomatica e comunicazione algoritmica

Viviamo in un eone
comunicativo fatto di immersione, ottundimento, dati (troppi dati?) e troppa
emotività.

Per anni, noi
comunicatori, ci siamo accasciati al tepore del nostro fuoco di bivacco, a
tratti per snobismo, a tratti per
conformismo profondo e edipico.

Poi
è arrivato il virus.

Da
quel momento, di decreto in decreto, abbiamo imparato a fare i conti con un virus
letale che ha fermato il mondo intero fino a chiudere persino il buco
dell’ozono (tanto ha prodotto l’arresto produttivo e l’inamovibilità di cose e
persone).

Ma
a differenza dell’altro Virus letale (Outbreak), descritto nel film di Wolfgang
Petersen del 1995, questo non ha ragioni in laboratorio.

È
accaduto.

E
questo ha finito col ripresentarci violentemente la domanda sul significato
della vita, sul suo limite, sulla nostra vulnerabilità. Perlomeno nelle
latitudini dove non c’è la consuetudine alla morte per malattie endemiche o
alla morte per stenti.

Non
solo.

Ci
ha rimesso nelle mani degli esperti, di coloro che agitano modelli
statistici, studiano la predittività, elaborano mappe, predispongono alla cura.

La guerra alla
competenza pare subire, grazie all’attacco virulento della malattia
respiratoria acuta da SARS-CoV-2, uno stop improvviso (temporaneo?).

L’immagine dei volti
dei sanitari marchiati dagli elastici delle mascherine, instancabili e
irrefrenabili, fanno ora parte degli almanacchi degli eroi e – tra qualche
tempo – persino dei nostri campi elisi.

Su questo, la salsa
italica ha amplificato le gesta dei nostri soccorritori connazionali per
riappacificarci con un sano sentimento patriottico.

Ricordate qualche
settimana fa, Philippe Daverio alle prese con Boris Johnson, inquilino di Downing
Street: “Noi siamo Enea che prende sulle spalle Anchise, il suo vecchio e
paralizzato padre, per portarlo in salvo dall’incendio di Troia, che protegge
il figlio Ascanio, terrorizzato e che quella Roma, che Lei tanto ama, l’ha
fondata. Noi siamo Virgilio che quella storia l’ha regalata al mondo. Noi siamo
Gian Lorenzo Bernini che, ventiduenne, quel messaggio l’ha scolpito per
l’eternità, nel marmo. Noi siamo nani, forse, ma seduti sulle spalle di quei
giganti e di migliaia di altri giganti che la grande bellezza dell’Italia
l’hanno messa a disposizione del mondo”.

E noi?

Noi comunicatori, in vista della Fase 2, dovremmo porci alcune domande di fondo e di prospettiva sul perché ultimamente la nostra professione è finita per ricoprire il ruolo di “grande industria di ricerche di mercato”, come l’ha definita Willian Davies in Stati Nervosi, il bel volume pubblicato in Italia da Einaudi.

Abbiamo mobilitato
(non nobilitato) grandi masse con le emozioni, i frame del momento, i trend
demoscopici sulla percezione. Il tutto addomesticato da algoritmi.

Siamo stati
sballottati a forza nella cultura dell’oltraggio, nelle infinite arene per la spettacolarizzazione
del dibattito, nelle macellerie dei ‘like’.

Tanto ha tuonato – insomma – che ha finito per piovere e ora, alla ripartenza, dopo questa lunga ma opportuna fase di rallentamento e di introspezione collettiva, prendiamoci tutto il tempo per riformulare il nostro ruolo e ribadirlo ai nostri datori di lavoro, pubblici o privati che siano, tornando alla funzione originaria di ‘servizio pubblico’.

Certi
del dovere della persuadibilità, dovremmo ripartire per dare voce all’inquietudine,
alle paure, all’ansia, ma con una prospettiva di pubblica utilità, con tutto
l’accompagnamento interpretativo che occorre, contribuendo – se possibile con
nuovi linguaggi e posture – a ridurre il rancore che nei mesi precedenti
l’arrivo del virus abbiamo visto visibilmente e consapevolmente aumentare.

Sdegnarsi
per la retorica, per la subalternità di alcuni ruoli invece centrali – come il
nostro – ribadendo che il professionista della comunicazione non è un mero
esecutore ma ha lo scopo di tenere insieme le relazioni, fornire spiegazioni e
trovare il giusto garbo per essere univoci, chiari, adamitici, onesti,
disintermediati.

Avversare
l’arguzia senza scopo, i questuanti delle redazioni, l’analfabetismo in ogni
dove, la facile condiscendenza.

È
un pensiero insubordinato il mio, on the road, me ne rendo conto e di questo
chiedo scusa anticipatamente.

Ma
che occorra passare dal like al live è ormai scontato e la costante cyber
guerra cui abbiamo assistito prima dell’arrivo del virus, a botte di fake news,
violazione dei dati, soprusi linguistici e stilistici, non può più trovarci
disarmati.

“Chi
non ha una spada ne compri una”.

Il
consiglio evangelico[1]
è tonico e calza a pennello. Contro il conformismo che abbiamo talvolta contributo
a far nascere occorre imbastire un corpo a corpo con la sintassi che poche
volte si è vista nel nostro Paese.

Per
evitare che tornino giorni in cui qualcuno possa affermare che i fatti sono
inconsistenti e la non verità (o la post verità) è la sola certezza del momento;
giorni in cui l’infodemia, figlia di bias pregiudizievoli, e la fiducia cieca
in fonti autoselezionate, possano tornare peggiori del peggior virus.

La
storia per coloro che maltrattano la nostra professione è un magazzino di
costumi di teatro. Non ce lo possiamo più permettere, a partire da nostri
stessi, dalla cura della vista quotidiana della nostra immagine riflessa allo
specchio.

Per provare a focalizzare una certa operatività, mi sono imposto 15 regole che vi illustro brevemente. Sono poco più che appunti che necessitano di ulteriore impegno.

  1. Frenare lo struggimento. La Fase 2 deve
    essere focalizzata sulla ripartenza, sulle energie disponibili e sulla
    creatività già presente: passare da una fase di ‘Melancovid’ (come l’ha
    definita Liberation nei giorni scorsi) ad una fase proattiva, sulla base della
    voglia di ricominciare da dove ci si è fermati.
  2. Costruire gli anticorpi all’amnesia che verrà. In questo
    periodo abbiamo fatto i conti con noi stessi, con i nostri limiti e virtù. Nel
    periodo della distanza sociale massima possibile abbiamo scoperto gesti di
    solidarietà inequivocabili, utile medicina per il pessimismo disfattista che
    spesso ci attanaglia.
  3. Fare ricorso all’intelligenza collettiva. Noi siamo rete
    sociale ma anche professionale, una filiera di competenze: da questo assunto
    dovremmo rifondare la nostra laboriosità per offrire interpretazione dei
    conflitti, spiegazione dei processi, public engagement.
  4. Basta prodotti standard. Non possiamo
    più tornare alla comunicazione da scaffale, da riporto, da talk show. Se il
    messaggio è pensato per le persone, dobbiamo riconsiderare tone of voice,
    parole, atteggiamenti, immagini, situazione per situazione, orecchio per
    orecchio, occhio per occhio.
  5. Al via un’epoca dallo sguardo molecolare. Il virus ha
    abituati a immagini di dettaglio, a frammenti della situazione: vorrei
    abituarmi ad un approccio prossimale e non distale o massimalista alle cose.
  6. Riformulare il corredo genetico del comunicatore. Serve un
    CRISPR vero e proprio: una forbice molecolare capace di modificare il DNA della
    comunicazione per concepire i messaggi in relazione alle reali necessità o
    capacità delle persone. Incidere per specifici obiettivi e non per tutte le
    stagioni.
  7. Non più cieco peer-to-peer. Evitare la
    divulgazione di contenuti a nodi equivalenti o paritari che non siano stati
    verificati nelle fonti, nei copyright, e nelle committenze, soprattutto quest’ultime.
  8. Occorre un’energia metabolica nuova, con radici
    senzienti
    (come per le piante). Significa ripartire dalle accademie e dalle
    università, dove spesso si annida la ricerca, l’avamposto, il vivaio di
    intelligenze. Le nuove generazioni sono assai più pronte alla ricerca condivisa
    e alla sperimentazione.
  9. I dati sono l’altro ambiente in cui viviamo. La nostra
    identità di persona è il risultato dell’accuratezza che mettiamo nella gestione
    dei nostri dati. Occorre aumentare la nostra consapevolezza per i mondi
    immateriali che frequentiamo e ridimensionale la forza muscolare delle nostre
    performance in rete, meno gridate e più selezionate.
  10. Augmented
    Intelligence.
    La vera intelligenza aumentata è il capitale umano
    professionale che ci circonda. I migliori progetti culturali, le narrazioni più
    avvincenti, le campagne più proficue, sono il frutto di un confronto
    interdisciplinare assiduo e continuativo. Anche tra diverse agenzie.
  11. No a superumani che
    salvano il mondo.
    Nessun capitan Marvel, nessun Avengers. La
    quotidianità ha i suoi eroi che spesso non conosciamo ma restano umani in ogni
    loro circostanza. La Fase 2 riparta dalla narrazione dei ‘lavori solidi’ che
    non ricordiamo ma che sono determinanti per far funzionare le cose, soprattutto
    nei periodi di crisi.
  12. Stop alla stregoneria
    nell’informazione.
    Ripartiamo dai fatti e dai dati. L’interpretazione –
    per essere tale – deve dichiarare il suo intento da subito, in modo univoco,
    organizzato, leale. Soprattutto nessuna investitura oratoria preventiva nel
    momento in cui si moltiplicano ovvietà e omissioni maldestre.
  13. Temporalità in bilico. Quello che
    abbiamo chiamato per anni ‘tempo libero’ è una reliquia inconsistente. Ciò che
    è accaduto dovrebbe farci riflettere sul fatto che tutto il nostro tempo a
    disposizione non è affatto libero ma deve essere gestito con un progetto e una
    finalità. Indietro non si torna.
  14. La civiltà festiva
    non regge più al confronto con il reale
    . Le città sono altro
    e i mille lavori sommersi che fanno funzionare le nostre comunità compongono e
    determinano una civiltà che poco ha a che spartire con l’effimera esperienza
    della sola festa. Una festa senza invitati e senza un invito preciso semplicemente
    non esiste.
  15. Uso sacrale del
    silenzio.
    Prendere la parola a proposito, con cognizione di
    causa, prendendo le distanze dall’arte propagandistica che spesso ha
    caratterizzato le urla scomposte dei direttori pro tempore.

Per il momento è tutto qui.

Nessuno zelo particolare, ve l’assicuro.
Soltanto il timore che alla ripresa, in questa cosiddetta Fase 2, si rimetta
l’elmetto e si torni come prima al fatticidio, alle strumentalizzazioni, alla
comunicazione dopata, alla prosa nerboruta e alla saliva e dunque ai favori, al
buon rendere, all’esercizio banale del potere machista.

Vorrebbe dire, nel caso infausto, non aver
compreso la particolarità di questa necessaria rinascita.

Una suggestione: gli utenti Macintosh e Linux
sanno che i colori sono 16.777.216. L’occhio umano ne coglie soltanto 10.000.000.

Vorrei sapermi contentare di ciò che vedo e
di ciò che vi apprestate a vedere con i vostri occhi.


[1] Luca
22,36




Il Coronavirus sta mettendo alla prova la Corporate Social Responsibility (e il risultato è sorprendente)

Il Coronavirus sta mettendo alla prova la Corporate Social Responsibility (e il risultato è sorprendente)

Come le aziende in Italia e nel mondo stanno aiutando a contrastare l’emergenza

  • Dalle misure rivolte ai dipendenti, alle raccolte fondi, sino alle riconversioni, la Corporate Social Responsibility si esprime in tanti modi al tempo del Coronavirus
  • Le persone credono veramente che la loro azienda abbia uno scopo e dei valori chiari quando il management sacrifica la redditività a breve termine per aderire a quei valori.

Sono molte le aziende che si stanno impegnando socialmente per far fronte all’emergenza COVID-19. Un senso di responsabilità che si è inizialmente espresso grazie allo smart working, come soluzione per le imprese impiegate nel settore dei servizi. Anche molte compagnie che non avevano mai previsto il lavoro da casa si sono adoperate per garantire la salute e il benessere dei propri dipendenti.

Altri hanno optato per non chiudere il luogo di lavoro, prevedendo però una quotidiana sanificazione degli impianti, una turnazione del personale per rispettare le distanze di sicurezza e l’acquisto di prodotti per la protezione individuale.

Numerosi gli aiuti economici arrivati da parte delle aziende e degli stessi imprenditori e manager, in favore di ospedali, Croce Rossa e Protezione Civile. La maggior parte di queste offerte sono state utilizzate per comprare macchinari o per riadattare le strutture all’emergenza.

Non dimentichiamo che alcune fabbriche hanno deciso di interrompere la produzione di beni non necessari per cambiare o accelerare la produzione di materiali essenziali per contrastare il virus.

E il modo in cui le grandi aziende stanno rispondendo a questa crisi è un momento determinante che sarà ricordato per decenni.

Se da anni si parla ormai di come le aziende debbano avere uno scopo sociale e rispondere a un insieme di valori, o di quanto abbiano a cuore i loro dipendenti e gli altri stakeholder, ora è il momento di portare avanti questo impegno. Le persone credono veramente che la loro azienda abbia uno scopo e dei valori chiari solo quando vedono il management prendere una decisione che sacrifica la redditività a breve termine per aderire a quei valori.

coronavirus

Gli esempi più significativi di Corporate Social Responsibility

Moda

Gucci invita tutti i suoi follower a diventare #GucciCommunty, dando un contributo economico per combattere la situazione di crisi che stiamo affrontando, attraverso due campagne di crowdfunding.

Una dedicata al nostro paese, a sostegno della Protezione Civile “per sostenere il servizio sanitario italiano e la creazione di nuovi posti letto nelle terapie intensive”. È possibile partecipare alla raccolta fondi attraverso la piattaforma di Intesa SanPaolo ForFunding o tramite la story salvata sul profilo Instagram del brand.

L’altra campagna esorta a fare una donazione al Fondo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sempre grazie alla funzione “donate” nella IG Stories del canale www.instagram.com/Gucci.

Al momento del lancio, Gucci ha devoluto 1 milione di euro in favore della campagna per l’Italia e un altro milione al COVID-19 Solidarietà Response Fund della fondazione delle Nazioni Unite. L’obiettivo finale è di arrivare a raccogliere 10 milioni per entrambi i progetti. Facebook si impegnerà a doppiare la cifra complessiva delle donazioni.

L’iniziativa fa seguito al progetto del gruppo Kering (di cui Gucci fa parte), ossia produrre oltre 1 milione di maschere e camici per il personale sanitario, in risposta all’appello della regione toscana.

Questa pandemia ci chiama a un compito inaspettato, ma è una chiamata alla quale rispondiamo con decisione, supportando il lavoro straordinario del personale sanitario, dei medici e degli infermieri che sono ogni giorno in prima linea nella lotta contro l’epidemia di Covid-19, in Italia e nel resto del mondo. Sostenendoci a vicenda saremo in grado di superare questa crisi: uniti, ancora più di prima.

Queste le parole di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, e Marco Bizzarri, Presidente e CEO.

Bizzarri, inoltre, ha donato 100 mila euro a favore dell’azienda sanitaria di Reggio Emilia, sua città d’origine.

Giorgio Armani è stato il primo a riconoscere la gravità del problema, decidendo di sfilare a porte chiuse. In principio con aiuti in favore della Protezione Civile e degli ospedali di Milano, Roma, Bergamo, Piacenza e Versilia, per un valore complessivo di 2 milioni di euro. A partire dal 26 marzo tutti i suoi stabilimenti produttivi italiani hanno iniziato a produrre camici per il personale sanitario. È così che lo stilista piacentino decide di rimane vicino al nostro paese.

Moncler ha offerto 10 milioni per mettere in moto il progetto promosso dalla Regione Lombardia. Realizzare un polo ospedaliero con 400 posti di rianimazione nell’ex Fiera di Milano.

Milano è una città che ha regalato a tutti noi un presente straordinario. Non possiamo e non vogliamo abbandonarla. È un dovere di tutti restituire alla città ciò che fino ad ora ci ha dato.

Pronuncia con orgoglio Remo Ruffini, presidente e amministratore delegato dell’azienda tessile.

In tanti hanno elargito ingenti somme di denaro e convertito la produzione delle loro fabbriche in materiali essenziali per contrastare il virus. Dalle mascherine, ai camici, fino agli igienizzanti per le mani. Valentino, Versace, Trussardi, Dolce & Gabbana, Bulgari, Prada, Gruppo Miroglio, Geox, Calzendonia e The Ferragnez, solo per citarne alcuni.

C’è chi come Trussardi ha deciso di destinare anche il 100% dei ricavi dell’eCommerce all’acquisto di respiratori e ventilatori polmonari.

corporate social responsibility

Auto e trasporti

FCA e Ferrari, insieme a Marelli, metteranno i loro impianti e dipendenti a disposizione di Siare Engineering International, leader nella progettazione e produzione di apparecchiature medicali a livello mondiale.

L’obiettivo è la fabbricazione di nuovi respiratori polmonari per i pazienti.

https://youtu.be/3GgdH6lJ864

Pirelli, grazie alla collaborazione con China Construction Bank, ha deciso di donare 65 ventilatori per la terapia intensiva, 5.000 tute protettive per chi lavora negli ospedali e 20.000 mascherine alla Lombardia.

In un momento di così grande difficoltà, vogliamo stare vicini alla nostra regione e al nostro paese. Dobbiamo dunque ringraziare tutti i nostri partner che ci hanno aiutati in questa iniziativa, per supportare il sistema sanitario in modo rapido ed efficace.

Spiega Marco Tronchetti Provera, CEO della società.

Il gruppo Aponte segue le orme della Gnv Splendid, ovvero la “nave ospedale” ferma a Genova, offrendo la disponibilità di stazionare al porto di Palermo una nave MSC. Un piano B per la quarantena di coloro che risultano positivi al tampone o per i casi confermati di COVID-19.

Settore farmaceutico

La Bayer dona 1 milione di euro agli ospedali della Lombardia per acquistare macchinari per la terapia intensiva.

Menarini ha prodotto tonnellate di gel disinfettante da offrire agli ospedali.

La Roche si impegna a fornire gratuitamente il suo farmaco contro l’artrite, per il tempo necessario e a tutte le Regioni che lo richiedono. Infatti secondo la comunità scientifica questo prodotto sembra migliorare la capacità respiratoria nei pazienti positivi al virus.

corporate social responsibility

Intrattenimento

C’è un tempo per ogni cosa, e questo per tutti è il tempo per restare a casa, per essere responsabili, per proteggere noi stessi, i nostri cari, le persone più deboli, il Paese.

Queste sono le prime parole del comunicato stampa di Sky del 17 marzo.

L’emittente mostra la sua vicinanza agli italiani e il suo incoraggiamento a stare in casa tramite una programmazione aperta a tutti gli abbonati (nessun limite di pacchetto), senza costi aggiuntivi e lancia una campagna di raccolta fondi per sostenere la Protezione Civile.

Per ora non si sa con certezza fino a quando l’offerta rimarrà valida, l’unico aggiornamento è che dal 4 aprile ci saranno due nuovi canali creati ad hoc. Sky Cinema IoRestoACasa 1, con film per tutta la famiglia e Sky Cinema IoRestoACasa 2, indirizzato a un pubblico più adulto.

Infinity, la piattaforma streaming on demand del Gruppo Mediaset, offre due mesi gratuiti per provare il servizio.

MYmovies mette a disposizione (fino al 5 aprile e a costo zero) 50 film da visionare tramite la prenotazione di posti digitali nelle sale web.

Settore bancario

Il presidente di Intesa SanPaolo annuncia:

In un momento così difficile per l’Italia, destiniamo alla ricerca sul Covid-19 un milione di euro, una misura che si aggiunge alle donazioni alla sanità nazionale, al sostegno economico a privati e imprese, a iniziative di raccolta fondi per progetti meritori.

Insieme ce la faremo!” è lo slogan con cui Banca Mediolanum, in collaborazione con ClassCNBC, ha presentato l’iniziativa che si è tenuta il 19 marzo. Un approfondimento circa le previsioni economiche e finanziarie della crisi, grazie ai commenti di esperti del settore. Inoltre la Banca ha effettuato donazioni per l’emergenza sanitaria e organizzato una raccolta fondi.

UBI Banca ha devoluto 5 milioni di euro a istituti ospedalieri e centri di ricerca direttamente impegnati nella gestione dell’emergenza.

Sport

La Roma ha raccolto 50 mila euro grazie alla fondazione RomaCares, il presidente Pallotta ha donato altri 50 mila euro e il club ha aperto una pagina su GoFundMe (piattaforma di crowdfunding americana) per la raccolta fondi in favore dell’Istituto Spallanzani di Roma.

corporate social responsibility

Anche altre società come Inter, Milan e Parma si sono impegnate con importanti donazioni, senza dimenticare gli aiuti economici da parte dei singoli giocatori tra cui DyBala, Pazzini, Balotelli, Donnarumma, Ilicic e allenatori come Filippo Inzaghi.

L’ex calciatore invita i suoi follower ad agire tutti insieme, ognuno in base alla proprie possibilità.

corporate social responsibility

Il valore della Corporate Social Responsibility

Questi sono solo alcuni esempi di Corporate Social Responsibility nel nostro paese.

Dall’attenzione ai dipendenti, a chi combatte in prima linea negli ospedali, a ogni singolo cittadino chiamato a stare in casa per proteggere se stesso e gli altri. Alle aziende che davanti a difficoltà come questa non si fermano. Ciò che non va dimenticato è che in questo momento così critico, le imprese hanno la possibilità di mostrare l’autenticità dei propri valori e in tante lo stanno facendo nel modo giusto, nel modo che non sarà facile dimenticare.




Youtube quanto paga gli Youtuber?

Un articolo su Medium getta luce sui guadagni effettivi degli youtuber, che seguono regole e criteri piuttosto misteriosi.

La youtuber Shelby Church, che lavora in questo modo da oltre dieci anni, spiega nell’articolo che ha vari video che hanno oltre un milione di visualizzazioni, ma non tutti le vengono pagati da Youtube allo stesso modo. Per esempio, un suo video visto quasi quattro milioni di volte le ha fruttato circa 1300 dollari, ma un altro suo video visto solo 700.000 volte ha guadagnato di più.

Questa variabilità è molto estrema: tre milioni di visualizzazioni possono fruttare dai 6.000 ai 15.000 dollari, ma le è capitato di guadagnarne anche 40.000 con due milioni di visualizzazioni.

Le ragioni di questa variabilità sono importanti per chiunque stia pensando di fare carriera come youtuber. Prima di tutto, il guadagno dipende dal paese in cui risiedono gli spettatori. Church nota che gli spettatori in India fruttano 1,16 dollari per migliaio, mentre quelli americani generano incassi quasi quattro volte maggiori (4,08 dollari per migliaio). Altri paesi ad alto rendimento sono il Canada, la Germania e il Regno Unito.

Anche la durata del video ha la sua importanza: se dura più di dieci minuti, può contenere due pubblicità invece di una e quindi in genere frutta il doppio.

Occorre tenere presente, inoltre, che Youtube si trattiene il 45% di quei dollari per migliaio, per cui fate bene i vostri conti.

In ogni caso, Shelby Church rileva che a lei un milione di visualizzazioni produce un incasso medio che oscilla fra i 2000 e i 5000 dollari. Scegliete quindi bene gli argomenti, la durata e la lingua nella quale realizzate i vostri video, se avete ambizioni di farne una fonte di guadagno, e tenete presente che molti youtuber guadagnano dalle sponsorizzazioni o dall’indotto più che dalla monetizzazione diretta dei propri video.




Pubbliche relazioni: la Russia sfida le superpotenze a colpi di engagement

Pubbliche relazioni: la Russia sfida le superpotenze a colpi di engagement

La presenza della società di pubbliche relazioni Ketchum dietro il governo russo ha destato stupore e scandalo. Eppure, per gli addetti ai lavori, questa sembra quasi una banalità. Comunicazione e pubbliche relazioni, in uno scenario così delicato in cui i social rappresentano il maggior canale di divulgazione delle informazioni, costituiscono mezzi utili ai governi nella costruzione del proprio posizionamento. È dunque importante fermarsi a ragionare su come reinventare il settore alla luce di queste nuove esigenze.

In un periodo storico in cui tutte le notizie diverse dal coronavirus passano in secondo piano, c’è un’altra questione ha particolarmente colpito e che è, forse, passata un po’ di nascosto nella cronaca monopolizzata in questi giorni dalla difesa dal Covid-19 e dalle decisioni europee: Vladimir Putin e le Pr di Stato, per citare il titolo dell’articolo pubblicato pochi giorni fa sull’Huff Post.

Ma andiamo per gradi. Molti giornali e trasmissioni italiane si sono interrogati sul ruolo giocato dalla Russia sullo scacchiere mondiale nel corso della pandemia da quando, a marzo, cortei militari russi hanno calpestato il suolo nostrano per sostenere il governo di Roma nel fronteggiare il dilagare del coronavirus. L’intervento russo non ha tardato a sollevare perplessità, tanto che un importante quotidiano come La Stampa, sempre a fine marzo, aveva manifestato i propri dubbi in merito pubblicando un’inusuale lettera aperta indirizzata al direttore dall’ambasciatore russo in Italia, Sergei Razov.

Alla lettera, il giornalista de La Stampa rispondeva sottolineando il fatto di essere in possesso di informazioni provenienti da «fonti politiche di alto livello», asseriva che «l’80% degli aiuti russi sarebbe totalmente inutile o poco utile». Un attacco plateale che ha goduto fin da subito di una grande eco. La risposta di Sergei Razov non ha tardato ad arrivare, ribadendo che non ci sono stati, né mai ci saranno, secondi fini negli aiuti russi.

IL LAVORO DELL’AGENZIA KETCHUM PER IL GOVERNO RUSSO

Dietro queste polemiche si cela una realtà incontrovertibile e oramai impossibile da eludere: l’Italia è diventata lo scenario di una serrata competizione tra le maggiori potenze mondiali che stanno cercando di ridefinire le loro influenze nel nostro Paese. La pandemia ha infatti offerto un’occasione unica per chiarire i bilanciamenti di interessi e poteri. In un Paese in cui la comunicazione è controversa e inquinata e si confondono gli aiuti cinesi e il sostengo degli Stati Uniti, la Russia sembra aver trovato terreno fertile per incrementare quella potrebbe sembrare una grandissima operazione di pubbliche relazioni internazionali, il cosiddetto soft power. Ci si è sorpresi che a supportare le iniziative del governo russo e del suo presidente, Vladimir Putin, vi fosse la società di pubbliche relazioni Ketchum che, dietro compenso pari a 23 milioni di dollari da metà 2006 a metà 2012 più altri 17 provenienti da Gazprom, avrebbe “piazzato” molti articoli filo governativi su giornali di rilevante importanza internazionale come il New York Times. Inoltre, l’agenzia Ketchum sarebbe riuscita, grazie ad un sottile lavoro di lobby, a riconoscere a Vladimir Putin il ruolo e la copertina di Personaggio dell’anno pubblicata sul Times nel 2007.

L’USO DI PR PER LA COMUNICAZIONE POLITICA RISALE ALLA GUERRA DEL GOLFO

Aldilà del giudizio morale che può facilmente scappare dalle nostre labbra, è possibile ancora stupirsi davvero dinnanzi a queste notizie? Anzi, come sottolineato dall’articolo dell’Huff Post, è molto più strano che, al giorno d’oggi, una informazione del genere diventi notizia, piuttosto dovremo stupirci se gli Stati, ed i governi protempore che li guidano, non si avvalgono di professionisti della comunicazione, soprattutto per iniziative che escono dalla gestione ordinaria della cosa pubblica. Certamente, alla luce della delicatissima situazione che stiamo vivendo, l’idea di essere diventati terreno di una campagna di pubbliche relazioni internazionale ci può sorprendere e forse anche spaventare, ma quel che è certo è che questo modo di operare non è nuovo: già nel corso della Guerra del Golfo del 1991 si era parlato molto dell’ingaggio di società di pubbliche relazioni da parte del Kuwait. Mentre la Casa Bianca per decenni si è avvalsa del colosso Usa delle Pr, Burston & Marseller. Avevamo dunque veramente bisogno dell’inchiesta di BuzzFeed News e di ProPublica per ricordare l’importanza delle pubbliche relazioni e della comunicazione anche per i Governi? Forse sì e questo ci permette di riflettere sul nostro mestiere e sulle sue implicazioni future.

SERVE TRASPARENZA DA PARTE DEI GOVERNI

In un’era sempre più digitalizzata e in una società che sta vivendo uno sconvolgimento che sembra essere inarrestabile, la notizia relativa al lavoro svolto dalla società Ketchum per il governo russo ha destato scalpore e diffidenza. Comunicata nel modo corretto, questa informazione sarebbe servita semplicemente a ribadire un concetto che, troppo spesso, è stato omesso e soppiantato: le attività di pubbliche relazioni, di comunicazione e di stakeholder engagement sono diventate, e lo saranno sempre più, imprescindibili anche per i governi. Solo una comunicazione trasparente e chiara su cosa svolgono queste società e come vengono ingaggiate dai governi potrà evitare che l’opinione pubblica si sorprenda o si schernisca. Oggi è normale per gli Stati affidare la propria comunicazione ad agenzie, perché, in un mondo sempre più complesso, nessuno, neanche gli Stati, possono prescindere dalle pubbliche relazioni, dalla creazione di strategie comunicative adeguate e dalla costruzione ragionata ed efficace della propria reputazione che è sempre più alla mercé di chiunque. È importante, dunque, che chiunque operi nel settore possa farlo senza doversi celare nell’ombra, screditando così la sua stessa attività.

Creare una strategia di stakeholder engagement e di comunicazione su territorio straniero è controverso quanto complesso

In conclusione, seppure le attività svolte dalla Russia possano spaventare per ambizione e determinazione, quel che risulta essere evidente è che la Federazione è certamente molto avanti rispetto a noi: creare una strategia di stakeholder engagement e di comunicazione su territorio straniero è controverso quanto complesso. È dunque necessario, per tutti quelli che “stanno a guardare” cercare di orientare i propri pensieri e il proprio business verso una nuova forma di brand reputation, quella degli Stati. Questo richiederà una profonda revisione di strategie, obiettivi e mezzi e richiederà agli addetti ai lavori di allargare i propri orizzonti e di reinventarsi: ora, più che mai, su un terreno così sconnesso, gli Stati avranno sempre più bisogno di questo appoggio.