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Quel che non vi hanno detto sugli aiuti esteri all’Italia per il coronavirus

Quel che non vi hanno detto sugli aiuti esteri all'Italia per il coronavirus

Si è molto parlato, nelle ultime difficili settimane di pandemia di coronavirus, degli aiuti esteri ricevuti dalle nostre istituzioni. La parola aiuto è stata quella che maggiormente ha riempito le pagine dei giornali, anzi. Tra gli episodi più eclatanti, che hanno scatenato le attenzioni della stampa e diviso l’opinione pubblica, ci sono le spedizioni di personale medico e dispositivi mandate dalla Cina subito dopo l’inizio del lockdown italiano; il personale sanitario inviato da Cuba in Lombardia; i 30 medici e infermieri dall’Albania accompagnati dal premier Edi Rama in persona, e infine i nove voli militari provenienti dalla Russia con a bordo soldati e apparecchiature mediche. Molti di questi aiuti sono stati accolti in pompa magna direttamente dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, all’aeroporto militare di Pratica di Mare.

Nel racconto pubblico (e giornalistico) ha genericamente prevalso – soprattutto in alcuni casi – il frame della solidarietà internazionale: d’altronde di aiuti si tratta, no? A ben vedere, tuttavia, col proverbiale senno del poi – e alcune inchieste arrivate negli ultimi giorni – vale la pena allargare lo sguardo, per collocare le mosse di questi paesi nei loro contesti politici, che non sempre si sposano al meglio con la vulgata dello stato povero ma dal cuore grande.

I voli russi pagati dall’Italia

L’ex capo politico del M5s Di Maio si è ritrovato coinvolto in un’inchiesta de La Stampa secondo la qualeil costo dei voli dalla Russia sarebbe stato interamente pagato dal governo italiano. Il costo dei voli, secondo la stima più bassa possibile, sarebbe di almeno 500mila euro. Il Foglio, inoltre, citando una fonte militare italiana, ha sottolineato come i mezzi giunti a Pratica di Mare e poi fatti circolare nel territorio nazionale, in particolare in Lombardia, fossero eccessivi rispetto al carico effettivamente trasportato.

“La parte più pesante del carico trasportato dai nove Ilyushin-76 erano mezzi necessari per trasportare i soldati russi e i mezzi per la sanificazione, ma sono tutti mezzi di cui l’Italia già dispone in larga misura: era proprio il caso di trasportarli dalla Russia?”, ha chiesto retoricamente il direttore, Claudio Cerasa.

Garry Kasparov, ex campione mondiale degli scacchi celebre anche dissidente russo, oggi in esilio a New York, ha sottolineato come dietro quegli aiuti possano nascondersi intenzioni propagandistiche. “Quella è un’operazione militare e di intelligence, non certo un aiuto umanitario. Putin, inviando oltre 100 soldati in Italia, si era posto due obiettivi: vincere una campagna di pubbliche relazioni e al tempo stesso installare la propria intelligence sul territorio di un paese Nato” – ha spiegato lo scacchista sempre a La Stampa – “Putin sta affrontando la crisi globale della pandemia come una guerra ibrida, in cui si esporta instabilità in un momento di crisi per l’Occidente”. Una sorta di operazione propagandistica su larga scala, accolta con entusiasmo da partiti come il M5s o la Lega, che non hanno mai fatto troppo per nascondere il loro interesse per possibili alleati a est.

La recita del premier albanese Edi Rama

Un particolare momento di raccoglimento e sdilinquimento nazionale, lo scorso 29 marzo, è stato causato da un video – diventato rapidamente virale – del presidente Edi Rama, primo ministro dell’Albania. “Le sorelle e i fratelli italiani ci hanno ospitati e adottati in casa loro quando l’Albania bruciava di dolori immensi”spiegava il premier albanese con un discorso a effetto davanti alle telecamere della Rai con al suo fianco 30 medici connazionali in partenza per l’Italia, pronti ad affrontare l’emergenza Covid-19. L’Albania sta tuttora gestendo l’emergenza coronavirus in maniera sorprendente, con poco più di 600 positivi, 26 decessi e pochissimi pazienti in terapia intensiva. Ma il suo aiuto al nostro paese, arrivato nel momento più difficile della crisi, ha avuto un enorme valore simbolico: mentre l’Europa dei “paesi ricchissimi” (per usare le parole del premier) stentava a muovere un dito, la piccola Albania decideva di mettersi in moto.

Che quei 30 medici e infermieri albanesi siano, come si dice in questi casi, eroi non ci piove. Del presidente Rama però ha scritto bene Nicola Pedrazzi sul sito specializzato dell’Osservatorio Balcani e Caucaso: “Abilissimo nello sfruttare le debolezze del nostro giornalismo sugli esteri”, l’italofono ministro albanese Edi Rama è “un artista prestato alla politica”, ma anzitutto “un politico controverso, sia dal punto di vista della gestione del potere interno sia per quanto concerne la sua ambigua politica estera”. Oltre a non essere considerato uno stinco di santo (eufemismo) dalle opposizioni – che lo accusano di essersi intestato la spedizione umanitaria a cose fatte, dando un cappello istituzionale a un’iniziativa volontaria di carattere privato – Rama, secondo il giornalista esperto di Balcani Alberto Negri, avrebbe agito per puro interesse economico ed elettorale: “La popolazione albanese in Italia è di circa 500mila persone”, ha scritto Negri sul Quotidiano del Sud, “un quinto di tutta la popolazione albanese, che genera rimesse fondamentali per l’economia di Tirana”, cioè circa 130 milioni di euro nel solo 2017 (più, ovviamente, il sommerso). E quel quinto di albanesi che vivono al di là dell’Adriatico votano, nemmeno a dirlo.

C’è anche un precedente, e nemmeno troppo lontano nel tempo: nell’agosto del 2018, Rama è entrato a gamba tesa nella politica italiana, offrendosi di accogliere venti migranti della nave Diciotti, bloccata al porto di Catania dall’allora ministro degli Interni Matteo Salvini. La mossa anche allora è stata accolta da una commozione bipartisan e grossolane interpretazioni antropologiche, noncuranti del fatto che nessun asilante della Diciotti è mai arrivato in Albania e che il 100 per cento del carico umano di quello sbarco ha raggiunto la Francia, la Germania, il Belgio, quegli “indifferenti paesi europei” – già allora – che nel discorso politico del governo Conte I non avevano dimostrato il cuore e l’europeismo della piccola Albania.

L’Albania di Edi Rama ha da pochi giorni ottenuto l’apertura dei negoziati di adesione all’Ue, con il voto unanime al Consiglio europeo e il supporto diplomatico dell’Italia. In questa congiuntura internazionale favorevole, scrive Pedrazzi, “Rama è tornato a fare quello che meglio ha fatto negli ultimi sette anni di premierato: bucare l’attualità europea”. Con gesti che fanno parlare di lui in patria, e dimenticare la realtà del suo piccolo stato periferico, una democrazia fragile con un parlamento abbandonato dalle opposizioni – che si sono dimesse in massa – e il consenso interno molto basso.

La Croce rossa cinese

La diplomazia statunitense ha espresso preoccupazione per il fatto che la spedizione di massa di forniture mediche dalla Cina verso altri paesi abbia come scopo quello di estendere ulteriormente l’influenza cinese nell’Ue, il maggiore partner commerciale di Pechino.

Questa strategia, di per sé del tutto legittima, potrebbe tuttavia anche essere accompagnata da una vistosa attività di disinformazione, con il leitmotiv dei sistemi democratici che non sono in grado di proteggere i propri cittadini. Secondo un’analisi di Social Data Intelligence, quasi la metà dei post su Twitter pubblicati tra l’11 e il 23 marzo con l’hashtag #forzaCinaeItalia è opera di account automatizzati. E prodotto da un bot è anche oltre un terzo di quelli con l’hashtag #grazieCina. Laura Rosenberger, direttore dell’Alliance for Securing Democracy, ha spiegato come il governo cinese abbia mutuato dalla Russia diverse tattiche della disinformazione via internet con lo scopo di ripulire la propria immagine dopo i ritardi che hanno causato l’esplosione della pandemia a Wuhan.

Ma forse l’aspetto più preoccupante di questa campagna è che uno dei suoi volti principali, la Croce rossa cinese, è una consociata interamente di proprietà del Partito comunista di Pechino. Nelle scorse settimane, la ong ha fornito forniture e competenze mediche ad alcune delle nazioni più colpite dal Covid-19, come Spagna, l’Iran e anche l’Italia.

Il problema è che le ong come la Croce rossa cinese sono stati a lungo uno dei principali strumenti del Pcc, spesso creati e sostenuti dal governo, per dirottare la società civile. Questo patrocinio consente loro di espandersi rapidamente e di promuovere il loro marchio a livello internazionale. Enti di beneficenza privati con elevati standard di trasparenza non mancano in Cina, ma le ong come la Croce rossa cinese giocano con regole a parte, con cellule del partito al loro interno e un rapporto strettissimo con il Comitato centrale. Al tempo degli aiuti, tali entità aumentano a dismisura la loro portata.

Esagerate o no che siano queste ricostruzioni, il soft power di Pechino sembra funzionare. Secondo un recente sondaggio di Swg la popolarità della Cina è vertiginosamente aumentata nell’opinione pubblica italiana nell’ultimo anno, mentre la gli Stati Uniti e l’Unione Europea perdono terreno.




Torneremo a viaggiare? Ripensare il turismo ai tempi del Covid-19

Torneremo a viaggiare? Ripensare il turismo ai tempi del Covid-19

Tra i settori più colpiti dall’emergenza Covid-19 c’è certamente quello del turismo. Secondo un’indagine condotta da Confturismo-Confcommercio, l’Italia, tra le mete europee più gettonate, dal primo marzo al 31 maggio ospiterà 31,625 milioni di turisti in meno con una perdita stimata di 7,4 miliardi di euro.

Un dato che innesca una serie di reazioni a catena e determina conseguenze importanti. Ad esempio, Astoi Confindustria Viaggi, l’associazione che rappresenta i tour operator italiani, prevede un progressivo ritorno alla normalità solo nel 2021, con una perdita di fatturato nel settore che potrebbe oscillare dal 35 al 70%. La preoccupazione monta anche all’interno delle organizzazioni locali che, con il passare del tempo, temono un peggioramento del fatturato rispetto al 50% precedentemente prefissato.

Il quadro, dunque, sembra essere poco confortante e non solo a livello nazionale. L’Untwo, l’Organizzazione mondiale del turismo, prevede un crollo del 20-30% degli arrivi di turisti internazionali nel 2020 rispetto allo scorso anno. Se così fosse, le percentuali si tradurrebbero in un calo equivalente a sette anni di crescita del comparto.

COME PREPARARE LA RIPARTENZA

Anche questi pochi dati dimostrano, dunque, quanto sia importante intraprendere delle azioni immediate per ridurre i rischi di una marginalizzazione a lungo termine di un settore così importante per il nostro Paese, con una strategia di ripresa una volta che anche questa emergenza sarà finita. Perché ci sarà una ripresa, è solo questione di tempo e di comunicazione. Come ho già avuto di spiegare in questa rubrica, alcuni settori sono certamente più sensibili all’emergenza Covid-19 e sono stati costretti a convertire il proprio business online e a cambiare la propria strategia comunicativa.

Come riportato da un articolo recentemente pubblicato da Aspen, internet è improvvisamente diventato più rilevante, per fare acquisti, per informarsi, per lavorare. Joy Marino, presidente del Milan Internet Exchange, centro di smistamento del traffico tra i vari operatori, ha reso noto che a partire dal 10 marzo scorso il traffico sulle macchine del Mix è aumentato da 0,75 a 1,1 terabit al secondo. Dunque, settori come quello del turismo, già da subito, per cercare di tutelare il proprio business, dovrebbero monitorare e fornire informazioni dettagliate ai turisti attraverso i social e gli strumenti digitali; investire in azioni di marketing territoriale; riflettere sulle offerte proposte; costruire e rendere forte la rete di operatori e la comunità di riferimento preparando la ripartenza.

SFRUTTARE LA RETE PER UNA COMUNICAZIONE TEMPESTIVA

È infatti importante che gli strumenti digitali vengano sfruttati in tutti i modi per dare comunicazioni chiare, trasparenti e, soprattutto, tempestive, relativamente a quanto sta accadendo sul territorio in merito alle variazioni turistiche. Questo costante monitoraggio e questa costante informazione devono essere affiancati da una buona strategia di marketing che, a sua volta, deve essere suggellata da una incisiva strategia comunicativa. Un esempio di quanto può essere fatto in questo settore, attraverso l’engagement dei propri clienti e campagne di comunicazione online, è il Gruppo Alpitur con la campagna “Alpitur è con te” lanciata a febbraio. Riflettere sulle proposte offerte è fondamentale per ingaggiare quanti più clienti o potenziali tali.

Per questo motivo, come si legge su un articolo di Prima Online, il messaggio e gli obiettivi della campagna di Alpitour sono stati finalizzati a rassicurare i propri clienti, comunicando la flessibilità dell’offerta, senza puntare su riduzioni economiche o promesse che, probabilmente, non potrebbero essere mantenute. Secondo Alpitur, infatti, in questa fase di incertezza, le persone non sono alla ricerca di uno sconto, ma di una rassicurazione e di una parvenza di normalità e quotidianità che le faccia evadere da questo clima di incertezza. È importante, inoltre non abbandonare i nuovi clienti, ma reinventarsi e continuare a comunicare costantemente con loro anche in un periodo di crisi. Alla luce di ciò, Alpitur ha quindi garantito la prenotazione di viaggi in tranquillità perché in grado di assicurare, fino a due settimane prima, annullamenti senza alcuna penale. La campagna di comunicazione sembra aver dato i suoi frutti raggiungendo oltre 3,5 milioni di persone, con oltre 12 milioni di Impression e più di 40 mila interazioni sotto i post.

CONTRO L’INCERTEZZA BISOGNA TRASMETTERE COMPETENZA E FLESSIBILITÀ

Un altro aspetto cruciale per il settore del turismo in questo momento di crisi è il ruolo della comunicazione interna, ovvero la comunicazione con i propri agenti e dipendenti per i quali, molto spesso, l’annullamento di un viaggio può diventare un momento di conflitto con il cliente. Trasmettere informazioni chiare ai propri dipendenti è, più che mai, fondamentale. Attraverso una serie di strumenti e linee guida fornite dalla stessa azienda, i dipendenti saranno in grado così di gestire il cliente in una fase d’incertezza, trasmettendo professionalitàcompetenza e flessibilità, caratteristiche fondamentali in questo momento. Inoltre, è importante mandare segnali di apertura e disponibilità, il cliente si sentirà di poter condividere i propri dubbi solo se inserito in un contesto che glielo consente.

LE AZIENDE DEVONO REINVENTARSI SENZA ABBANDONARE IL CLIENTE

Infine, è cruciale, in questa fase di lockdown, prevedere subito una ripartenza. Come ho avuto modo di dire più volte, si ripartirà, certamente con lentezza e misurandoci con dei mercati molto diversi rispetto a quelli a cui eravamo abituati, ma si ripartirà e per farlo al meglio è necessario programmarlo fin da questo momento. Sarà necessario portare avanti le giuste campagne di comunicazione e di marketing, ingaggiare il proprio target ed espandere la propria rete attraverso il supporto della comunità locale e degli stakeholder di riferimento. Non sarà possibile, fin da subito immaginare in che modo l’attività potrà riprendere. Potremo accedere ai musei o partecipare a tour guidati? Viaggiare in Europa senza problemi? Alloggiare nelle strutture alberghiere desiderate? Tutto questo è difficile prevederlo, per questo è necessario che le aziende del settore si reinventino e non abbandonino il cliente: tour virtuali gratuiti online, webinar in cui esperti raccontano posti esotici, è questa la comunicazione fruttuosa in un periodo di incertezza.

In conclusione, seppur sia difficile immaginare il futuro del settore turismo, è necessario mettere in atto alla giusta strategia comunicativa che sia in grado di comunicare flessibilità e disponibilità e sia completata da profonda professionalità e competenza. Non abbandonare i propri clienti e reinventarsi attraverso gli strumenti digitali potrà certamente aiutare a riprendere l’attività quando l’emergenza sarà finita, ma tutto questo deve essere accompagnato da una precisa e costante comunicazione interna che sia in grado di legare territori, clienti e dipendenti.




Tesi di laurea: COME LA GESTIONE PROATTIVA DI UNA CRISI AZIENDALE PUÒ RAFFORZARE LA REPUTAZIONE: IL CASO GENIO IN 21 GIORNI

Libera Università Maria Assunta, Roma – Dipartimento di scienze umane
Corso di Laurea in Marketing & Digital Communication, Anno Accademico 2018 – 2019

COME LA GESTIONE PROATTIVA DI UNA CRISI AZIENDALE PUÒ RAFFORZARE LA REPUTAZIONE: IL CASO GENIO IN 21 GIORNI
How the proactive management of a firm’s distress may enhance its reputation: the case “Genio in 21 Giorni”

Tesi di Ludovica Russo – Relatore Prof. Luca Poma
A questo link, il testo integrale della Tesi (225 pagine), qui di seguito, il testo dell’Introduzione della tesi:


INTRODUZIONE

L’attività delle Relazioni Pubbliche è radicalmente cambiata rispetto ad un decennio fa, ogni utente è potenzialmente un critico e le informazioni diffuse dai media possono essere parzialmente influenzate dalle imprese che, a seguito dello sviluppo del consumer empowerment, trovano sempre più complesso poter gestire le relazioni su questi mezzi di comunicazione.

I social media sono gli artefici della selezione di notizie che hanno il potere di focalizzare l’attenzione del pubblico su un numero limitato di temi; infatti ad oggi quello che un tempo era “lo ha detto il Tg” è diventato “lo ho letto su Facebook”. Si pensi al recente clima di isteria collettiva generato dal coronavirus, che per tasso di mortalità si colloca poco al di sopra di una normale influenza.

Tramite i social media molto spesso vengono trasmessi involontariamente dei messaggi che possono essere soggetti a false interpretazioni da parte degli utenti e ad avere una risonanza non quantificabile che sfugge al controllo delle agenzie di Public Relations. Spesso i responsabili aziendali hanno una paura terribile delle crisi che si possono sviluppare online, non curanti che esse non sono determinate dalle critiche degli utenti bensì dalla gestione errata delle risposte.

La reputazione non è più definita esclusivamente da ciò che le imprese fanno o dicono ma da come gli stakeholder percepiscono e rispondono agli output dell’impresa; è fondamentale valorizzare i rapporti con i differenti pubblici e discriminarli tra di loro, al fine di elaborare una strategia di comunicazione differenziata, volta a migliorare la percezione che essi hanno dell’azienda.

Le organizzazioni che costruiscono le relazioni fondate sulla percezione di valori condivisi con i propri stakeholder, hanno maggiori possibilità di contare, in un momento di crisi, su un atteggiamento iniziale di fiducia e sull’allineamento dell’opinione pubblica alla posizione dell’azienda. Va da sé che non è sufficiente che le relazioni siano improntate su interessi reciproci degli interlocutori se l’azienda non mostra con i propri comportamenti che i valori professati, portanti dalla società in cui opera, governano realmente l’azienda. La capacità relazionale di un’organizzazione è il fattore che incide maggiormente sull’entità delle conseguenze derivanti da una crisi d’impresa, poiché in grado di trasmettere fiducia all’opinione pubblica; infatti le persone sono maggiormente disposte a perdonare un’organizzazione se legate da una relazione di fiducia con essa. Da ciò emerge l’importanza del Reputation Management, la sottocategoria delle Relazioni Pubbliche che si focalizza sulla comunicazione che alimenta la corporate image affinché essa rimanga positiva a lungo e sia fonte di vantaggio competitivo.

Nel corso degli anni ci sono stati molti eventi che hanno messo in luce come alcune organizzazioni abbiano più successo di altre sia nel rispondere che nel sopravvivere a eventi inaspettati e ad improvvisi cambiamenti di scenario. La realtà ha dimostrato che le organizzazioni incapaci ad ambientarsi al mutevole ambiente in cui operano e, che non riescono a rispondere adeguatamente agli eventi che le trascendono, sono destinate al declino.

Il sopraggiungere di minacce o di avversità ha condotto spesso le organizzazioni a risultati insoddisfacenti, a causa di una tendenza insita nella cultura organizzativa che è volta ad enfatizzare le soluzioni già note ed intraprese, invece di cercare tecniche di apprendimento che siano flessibili e adattabili in situazioni potenzialmente pericolose. La capacità di un’azienda di gestire con successo un evento critico è in parte connessa alla sua capacità di comunicare correttamente con i propri stakeholder, poiché per risultare credibile presso il pubblico essa deve dimostrarsi affidabile, assumendosi certe responsabilità.

Certamente l’uso della sola comunicazione non è sufficiente per gestire una situazione di crisi in modo efficiente, in quanto vi è un insieme di fattori che bisogna considerare per prevenire, combattere e ridurre i danni provocati da un evento critico. Il crisis management è quel processo che consente di sviluppare misure preventive, piani di gestione e valutazioni a posteriori rispetto a uno o più eventi critici.

Nessuna organizzazione è immune dall’essere colpita da certi eventi drammatici che potremmo definire di crisi, nonostante l’atteggiamento con il quale esse operano sia volto a prevenirle, ma la totale incapacità di moltissime imprese, multinazionali, banche d’affari ed organizzazioni complesse ci hanno dimostrato che la difficoltà riscontrata nel fronteggiare gravi situazioni di crisi reputazionali ha un denominatore comune, riconducibile alla non corretta, chiara ed organica gestione dei rischi potenziali che precedono l’evento critico. Rispondere in modo strategico ad eventi negativi che investono l’impresa è possibile soltanto mediante una corretta mappatura dei rischi, in modo da evitare risposte irrazionali, eccessivamente emotive o casuali.

Alla base di questo elaborato vi è lo studio delle attività del crisis management e delle loro condizioni di applicazione. L’interesse rispetto a questo tema mi è sorto a seguito dell’analisi di alcune case history, da cui è emerso che spesso i manager hanno interpretato erroneamente un’emergenza come una crisi, non affrontandola quindi con un adeguato ed ordinario piano di gestione, generando una crisi nelle successive conseguenze pratiche; si pensi ad esempio al cosiddetto Effetto Streisand. Al contempo molte aziende hanno dimostrato di non avere la cultura aziendale e gli strumenti di management consoni a gestire in modo adeguato e razionale le loro reazioni dinanzi ad eventi critici che le hanno coinvolte, e non hanno avvertito il bisogno di consultare tempestivamente un esperto di crisis management; poiché da una parte hanno sottovalutato l’evento dall’altra hanno sopravvalutato le proprie capacità.

Il caso aziendale che ho voluto presentare in questo elaborato è Genio in 21 Giorni, il cui core business risiede in una serie di corsi riguardanti le tecniche di apprendimento strategico. L’azienda ha subito una campagna di accuse – infondata e denigratoria – nata in Italia e proliferata in Spagna. Le fake news divulgate inizialmente da un forum italiano hanno causato danni consistenti all’immagine e alla reputazione della società, alle quali purtroppo l’azienda non ha saputo rispondere in tempo.

Tuttavia Genio in 21 Giorni ha saputo cogliere la crisi reputazionale e reagire nel migliore dei modi, rendendosi conto di non aver monitorato i segnali deboli di crisi, di dover colmare un grande vuoto comunicativo che ha accompagnato la società per anni e di dover implementare una serie di procedure interne. Il primo capitolo dell’elaborato inquadra l’attività specifica del crisis management nella più ampia totale corporate communication. Si focalizza sugli aspetti preliminari alla gestione di una crisi d’impresa, quali la gestione degli asset intangibili e del rischio reputazionale.

Il fine ultimo di questo capitolo è di far comprendere l’importanza dello sviluppo della resilienza organizzativa, alla luce della possibilità concessa a chiunque di diffondere notizie a basso costo – che, tra l’altro, è il motivo principale per cui negli ultimi quindici anni abbiamo assistito alla proliferazione di fake-news e alla nascita dell’internet crisis potential.

Nel secondo capitolo si entra nel vivo del crisis management e delle sue fasi, spiegando cosa sia una crisi e perché si differenzia da una semplice issue. In una parte di esso viene discussa l’importanza di possedere alcuni strumenti manageriali evoluti, come i modelli di risk management che ipotizzano i rischi non tradizionali che potrebbero sorgere da situazioni non predeterminabili – ossia eventi che hanno una bassissima probabilità di verificarsi ma con un potenziale impatto devastante per l’impresa -. Il ruolo strategico della comunicazione, ampiamente discusso nel primo capitolo, viene ripreso in questo capitolo poiché la comunicazione di crisi è la componente critica di successo del crisis management. Inoltre a causa dell’affollamento informativo spesso il pubblico tende a minimizzare e sovrastimare la portata di alcuni eventi, in questo contesto il risk communication è di primaria importanza, avendo il fine di stimolare le corrette azioni di risposta verso i rischi reali e di appianare il dislivello tra il rischio percepito e quello reale rispetto ad un evento. L’obiettivo del capitolo risiede nel far comprendere l’importanza per un’impresa di agire in modo proattivo – ossia attuare un costante monitoraggio dei segnali deboli di crisi e delle aree maggiormente vulnerabili – affinché siano identificate le issue e tempestivamente gestite.

Il terzo capitolo del presente elaborato spiega come la diffusione di alcune notizie di dubbia affidabilità – a cui assistiamo da quindici anni a questa parte – abbia generato una vera e propria “scienza delle fake news”, e come l’abbassamento drastico del costo di diffusione delle notizie abbia ridotto la tolleranza per le visioni alternative del mondo, amplificato la polarizzazione delle opinioni ed aumentato la disponibilità nel credere alle notizie che sono ideologicamente affini alle proprie, e allo stesso tempo abbia incrementato la chiusura a nuove fonti di informazione. Questo capitolo introduce un fenomeno che in Italia sta emergendo da circa un decennio e – seppur indirettamente – connesso alla proliferazione delle fake news, ossia la diffusione di gruppi “anti-sette” o di “difesa di vittime delle sette”, che molto spesso, con il pretesto di combattere manipolazioni immaginarie, sono i veri manipolatori della realtà oggettiva.

Il capitolo, a tal proposito, espone i meccanismi mentali che portano le persone a credere alle fake news, e quali siano le tecniche giornalistiche ricorrenti adottate per la produzione di campagne sensazionalistiche e, ovviamente, di fake news. Il quarto capitolo è dedicato all’azienda Genio in 21 Giorni, spiegando nel dettaglio i servizi che offre, la reason why della sua esistenza, il controllo di qualità dei servizi commercializzati, l’importanza del CRM nel management aziendale, nonché l’excursus delle accuse mosse alle imprese che commercializzano il corso “Genio in 21 Giorni”.

Ho avuto il piacere di condurre un’intervista a Massimo De Donno, Amministratore Delegato di Genio in 21 Giorni, al quale ho posto una serie di domande per comprendere meglio il suo punto di vista – e quello dell’azienda – in merito alla crisi reputazionale avuta e a come vi hanno reagito. Il capitolo termina con la spiegazione delle attività e delle azioni messe in atto da Genio in 21 Giorni per rispondere alla campagna di black PR che ha causato la crisi e del programma di rilancio immediato tipico del post-crisi.

L’elaborato si conclude con un documento – che si trova in appendice – contenente l’analisi scientifica – condotta il 6 ottobre 2018 dal Dr. Pepe Rodríguez, Direttore della Squadra Multidisciplinare per la Consulenza e Assistenza in Problemi Settari (EMAAPS) – volta a valutare se l’azienda distributrice del corso “Genio in 21 Giorni” in Spagna, si avvicinasse al profilo di una “setta” – in virtù dell’accusa mossa all’azienda stessa.




TESI DI LAUREA: COMUNICAZIONE REPUTAZIONALE: METODOLOGIE E STRUMENTI DI VALUTAZIONE DELLA REPUTAZIONE AZIENDALE

Libera Università Maria Assunta, Roma – Dipartimento di scienze umane
Corso di Laurea in Marketing & Digital Communication, Anno Accademico 2018 – 2019

COMUNICAZIONE REPUTAZIONALE: METODOLOGIE E STRUMENTI DI VALUTAZIONE DELLA REPUTAZIONE AZIENDALE
REPUTATIONAL COMMUNICATION: METHODOLOGIES AND TOOLS OF EVALUATION OF THE CORPORATE COMMUNICATION

Tesi di Davide Emanuele nappi – Relatore Prof. Luca Poma
A questo link, il testo integrale della Tesi (146 pagine), qui di seguito, il testo dell’Introduzione della tesi:


INTRODUZIONE

Nell’epoca attuale, ove per “attuale” è da intendersi recentissima, un nuovo paradigma economico si sta imponendo quia regula servanda est, alternativo e multiface.

L’”economia della reputazione”, fondata sul credito attribuito vicendevolmente agli attori protagonisti delle interazioni di mercato, si propone come modello economico e finanziario altro, pienamente rispondente alle attenzioni riservate alle nuove modalità relazionali. La reputazione di una azienda diventa certificato di garanzia del suo saper e voler fare bene, nel rispetto delle aspettative di tutti i soggetti che si interfacciano, a vari livelli e con tassi di interesse diversificati, con il sistema imprenditoriale, gli stakeholders.

Partendo da tali presupposti, il presente lavoro vuole essere innanzitutto un’esposizione dello stato dell’arte della letteratura più interessante sul tema, e si avvale di contributi multidisciplinari mutuati da studi di matrice psicologica, sociologica, economica, finanziaria, comunicativa pura, di marketing e organizzazione e gestione aziendale.

Si è cercato di chiarire, nel I Capitolo, cosa si intende per “Reputazione aziendale”, come e perché molto spesso si faccia confusione con termini che invece hanno un significato ben preciso e diverso da quello veicolato dal significante “reputazione”; quanto sia fondamentale una comunicazione efficace, efficiente e sincera, mirata sì alla costruzione di una buona reputazione ma anche al suo mantenimento, alla luce della considerazione che essa sia mutevole e dinamica.

Si afferma, senza paura d’esser smentiti, che la reputazione sia da considerarsi tra uno degli asset intangibili più importanti nella faretra di un’impresa, capace di creare valore o di depauperare, a seconda dell’importanza che le si riserva. È evidente, per chi scrive, che il riverbero sulle performance aziendali del vettore fiduciario reputazionale sia tangibile, riscontrabile tra le righe del bilancio aziendale e nel valore del capitale economico. Una solida corporate reputation consente ad una azienda in condizioni ordinarie di poter capitalizzare condizioni che garantiscano vantaggi competitivi in relazione all’approvvigionamento di risorse o alle istanze di credito ai mercati finanziari e di gestire un premium price per la propria offerta. In condizioni avverse o addirittura di crisi, inoltre, un’impresa di buona reputazione può godere del cosiddetto buffer effect, ovvero una rete protettiva, un paracadute, in virtù proprio del capitale fiduciario riconosciutogli dalla collettività e, più specificatamente, dai propri stakeholders.

Giacché contribuisce alla creazione del valore, sono qui proposti, nel II Capitolo, i più validi modelli di misurazione della reputazione aziendale, rispondendo alla necessità di dare soddisfazione al desiderio di pragmaticità che è nella natura dei rerum oeconomicarum, e quindi di indagare il fenomeno in maniera quantitativa.

Nel processo di reputation building rientra anche l’attenzione fondamentale al risk management, come misura preventiva ma non per ciò stesso da tenere in secondo piano.

Nel terzo e ultimo capitolo viene proposto un modello multistadio di misurazione della reputazione aziendale, attraverso la raccolta di informazioni e dati che, analizzati, diano un outcome numerico e poi percentuale, quindi facilmente misurabile e incorporabile in bilancio. Tale modello di indagine è stato somministrato ad un campione di 120 profili, circa la reputazione di un’azienda che negli anni scorsi ha attraversato crisi reputazionali di vario genere, derivanti da altrettanti scandali di natura etica: Uber Technologies Inc (Uber); ma che nell’ultimo periodo, con il cambio di management, sembra essersi ripresa.

I risultati ottenuti sono in linea con le più importanti e famose classifiche reputazionali internazionali, redatte annualmente dai più importanti istituti di ricerca e monitoraggio della reputazione.




Tesi di laurea: SOCIAL PURPOSE E BRAND ACTIVISM. LE AZIENDE PRENDONO POSIZIONE: COME LO COMUNICANO, COME VIENE PERCEPITO DAL PUBBLICO.

Libera Università Maria Assunta, Roma – Dipartimento di scienze umane
Corso di Laurea in Marketing & Digital Communication, Anno Accademico 2018 – 2019

SOCIAL PURPOSE E BRAND ACTIVISM. LE AZIENDE PRENDONO POSIZIONE: COME LO COMUNICANO, COME VIENE PERCEPITO DAL PUBBLICO.
SOCIAL PURPOSE AND BRAND ACTIVISM. COMPANIES TAKE POSITION: HOW TO COMMUNICATE IT, HOW IT IS PERCEIVED BY THE PUBLIC.

Tesi di Edoardo Greco – Relatore Prof. Luca Poma
A questo link, il testo integrale della Tesi (111 pagine), qui di seguito, il testo dell’Introduzione della tesi:


INTRODUZIONE

Nel contesto socio culturale e geo politico attuale, caratterizzato da diverse problematiche a livello globale, in primo luogo il collasso climatico, la disuguaglianza e quindi la discriminazione di genere e di razza, la diffusa corruzione, l’estinzione delle specie animali e la sovra popolazione in alcune zone del Mondo ci conducono alla nascita di conflitti come ad esempio quelli per acqua, cibo, trasporti e istruzione.

Le attuali piaghe che incidono sul benessere collettivo della comunità, stanno portando ad una rivisitazione dei ruoli nella società. Le aziende sono chiamate, non più esclusivamente a generare profitto, creare posti di lavoro, produrre beni o fornire servizi, ma a prendere posizione attivamente sui temi più caldi della società contemporanea, pronte ad impegnarsi e prodigarsi per il raggiungimento del bene comune.

L’elaborato si propone di studiare il nuovo ruolo che le aziende pioniere sono pronte a rivestire, dedite ad aiutare e risolvere, non ad aggravare, i maggiori problemi che affliggono il Mondo, spiccando per la propria eticità e trasparenza.

All’interno del primo capitolo si introdurrà il concetto di Corporate Social Responibility, mettendo in risalto la sua storia e gli eventi che ne hanno contraddistinto l’evoluzione. Si iniziò a parlare di eticità del business nel lontano 1950, riferita al ruolo esclusivo del businessman, fino a giungere all’attuale definizione che prevede comportamenti responsabili, sinceri e duraturi con tutti i portatori d’interesse dell’azienda.

Il focus a questo punto si sposta sui contesti di applicazione della CSR.

Le aziende dovranno impegnarsi nei rapporti con gli stakeholder interni con particolare riferimento alle risorse umane, e quelli esterni, attraverso l’introduzione di concetti come l’etica di prodotto e della comunicazione. Infine questa sarà chiamata alla salvaguardia dell’ambiente: i propri processi di produzione non dovranno in nessun modo influire ed impattare negativamente sul Mondo in cui viviamo.

Il processo di affermazione della CSR ha richiesto molto tempo, infatti i documenti internazionali ed europei, presi come riferimento per inquadrare con precisione la materia, risalgono al periodo attuale. I primi passi in direzione della creazione di una società più etica e responsabile in termini normativi, sono stati mossi nel dicembre del 1984 con la stesura della “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”.

Durante il corso degli anni, numerose commissioni si sono susseguite e hanno affrontato i problemi di natura etica che stavano emergendo in particolare modo nei confronti dello strapotere dimostrato dalle multinazionali. I documenti redatti in questi anni rivestono un ruolo fondamentale, in riferimento principalmente al “Global Compact e all’Agenda 21”.

Il capitolo primo si conclude con l’introduzione del concetto di bene comune. Il secondo capitolo si apre, invece, con l’indagine riguardante l’innovativa idea di Brand Activism, nato come la naturale evoluzione della Corporate Social Responsibility associata alla “Teoria del bene comune”. Verranno distinte le attività svolte da un brand definito “progressive” da quelle di uno detto “regressive”, in base alle azioni svolte, ai suoi impatti sul pianeta e la relazione con gli stakeholder.

Il capitolo si propone di mostrare le linee guida che un’azienda deve seguire per attuare politiche di brand activism, volte alla creazione di vantaggio competitivo e di benessere per la comunità. Verranno inoltre esplicitate le maggiori cause di conflitto e decadenza della nostra società, temi che le aziende sono chiamate ad affrontare attivamente, sfruttando la loro possibilità di raggiungere un bacino d’utenza enorme, veicolando messaggi responsabili ed etici, e attraverso l’impegno in cause sociali mediante manifestazioni, prese di posizione e soprattutto donazioni.

La ricerca ha lo scopo di esaltare le due tecniche di comunicazione esterna maggiormente diffuse tra i brand che fanno dell’attivismo una strategia con cui creare valore: l’advertising emozionale e il Cause Related Marketing.

Attraverso il girato di spot emozionali per media tradizionali come la televisione o mediante l’utilizzo dei social network, le aziende potranno veicolare messaggi dal forte impatto, sensibilizzando la propria audience, combattendo politiche di discriminazione razziale e sessuale, o farsi promotori di messaggi per il benessere della collettività o la salvaguardia dell’ambiente.

Le azioni di Cause Related Marketing portano un sostegno attivo a numerose cause sociali, promuovendo allo stesso tempo le vendite dell’azienda e differenziandola per i propri valori di riferimento, esplicitati nella mission. Verranno analizzati inoltre i programmi di CRM più largamente diffusi: Transactional programs, Message promotion programs, Licensing programs e il Joint fund raising.

In riferimento alle tecniche utilizzate per comunicare le attività di brand activism, sono state presentate diverse campagne attuate da brand leader nel settore in primo luogo Diesel, brand sotto la direzione di Renzo Rosso, ma anche Guna, attiva nel settore farmaceutico, che ha fatto sentire il suo notevole appoggio alla Marcia per la Pace e la Non Violenza, Nike in collaborazione con la King Baudounin Foundation e la partnership tra Coca-Cola e WWF.

Il terzo e ultimo capitolo si propone invece di mostrare la percezione del pubblico quando viene stimolato da attività di brand activism, attraverso l’analisi di tre ricerche primarie raccolte negli ultimi anni negli Stati Uniti: la “Battle of wallets: the changing landscape of consumer activism” di Weber Shandwick, la “Meaningful Brands” redatta da Havas ed infine, “Championing Change in the Age of Social Media” ad opera di Sprout Social.

L’intero elaborato si pone l’obiettivo di fare chiarezza riguardo l’innovativo concetto di Brand Activism, mostrando, la connessione che intercorre tra gli obiettivi di business dell’azienda e quelli sociali, i vantaggi ed i rischi che si corrono comunicando i propri valori e le proprie idee ed infine, indagando la risposta dell’audience a prese di posizione forti e non prive di rischi da parte dei brand.