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Un po’ di Danimarca a Milano

Un po’ di Danimarca a Milano

Gabriel, azienda specializzata nella produzione e nella fornitura di prodotti tessili per l’arredamento, sbarca nella città meneghina e inaugura il suo primo showroom in Italia

Milano sta vivendo un periodo storico molto positivo. Attrae diverse realtà internazionali, in particolar modo legate al mondo del design, che reputano fondamentale la propria presenza in città. Come Gabriel, marchio danese di prodotti tessili per l’arredamento, che ha scelto il capoluogo lombardo come meta per l’inaugurazione del suo primo showroom in Italia.

CEO Anders Hedegaard Petersen, Paola Monzani, Head of branch in Italia, CCO Claus Møller
CEO Anders Hedegaard Petersen, Head of branch in Italia Paola Monzani, Chief Commercial Officer Claus Møller

“Parte della Global Strategy di Gabriel è l’espansione attraverso nuovi showroom a livello internazionale. Lo spazio di Milano diventerà una parte fondamentale di questa strategia al fine di ampliare la presenza dell’azienda nei mercati in crescita. Il nostro obiettivo è quello di creare opportunità uniche per lo sviluppo del prodotto, Academies ed eventi”, afferma Claus Møller, Chief Commercial Officer.

Showroom Milano
Area clienti, showroom Milano

Lo store ha una superficie di 150mq ed è inserito in un prestigioso palazzo storico dei primi del ‘900 nel cuore della città, in Piazza Castello 24, con vetrate con vista sul Castello Sforzesco. Una posizione funzionale che consentirà allo showroom di diventare un punto d’incontro per i professionisti del settore dell’arredo per meeting, presentazioni di prodotti e workshop. All’interno le nuove collezioni e i tessuti di maggior successo di Gabriel, tra cui Breeze, Harmony, Just, Mica Mood.

Showroom Milano
Area clienti, showroom Milano

Lo stesso Claus Møller racconta i motivi che hanno spinto Gabriel a compiere questa scelta: “Avere uno showroom con il proprio customer service è parte integrante della nostra strategia per essere vicini ai nostri clienti. Gabriel avrà un’organizzazione più solida e un posizionamento più forte sul mercato come fornitore leader di tessuti e servizi per l’industria del mobile”.

Showroom Milano
Showroom Milano

Gabriel possiede una storia centenaria: fondata in Danimarca nel 1851 da tre soci con l’ambizioso obiettivo di creare una fabbrica di produzione tessile sostenibile, ora è presente anche negli Stati Uniti e in Asia. L’azienda, che conta circa 1000 dipendenti in diversi paesi, ha sede ad Aalborg.
Particolarmente interessante il programma di Corporate Social Responsibility incentrato sulla sostenibilità ambientale lungo tutta la catena di produzione fino al consumatore finale.

Headquarter Aalborg, Gabriel
Headquarter Aalborg, Gabriel



Le innovazioni in campo biometrico consentono una riduzione dei costi in cambio dell’accesso privilegiato ai nostri dati

Le innovazioni in campo biometrico consentono una riduzione dei costi in cambio dell’accesso privilegiato ai nostri dati

Big Data e algoritmi, lo stato sociale digitale è una realtà Intelligenza artificiale.

Non è il malgoverno populista a mettere a repentaglio le democrazie liberali europee. O meglio, non solo. Il 5 febbraio, la corte olandese ha ordinato l’arresto del sistema informatico SyRI (System Risk Indication), utilizzato dal governo per identificare possibili frodi fiscali, con l’accusa di non superare il vaglio della Convenzione europea dei diritti umani, e di mettere troppa pressione a soggetti economicamente vulnerabili.

SVILUPPATO dal Ministero affari sociali olandese, SyRI era in grado di prevedere chi tra i beneficiari del welfare sia più incline a commettere frodi a danno dello stato, dichiarare il falso per ottenere sussidi economici e violare schemi lavorativi che garantiscono l’accesso a certi servizi. I dati dei beneficiari venivano saccheggiati da banche, società recupero crediti e registri abitativi, per sviluppare un grado di sorveglianza «indicato» ai soggetti a rischio frode, e preservare il benessere economico della società.

GLI ORGANI DI GIUSTIZIA statali, su cui si basa l’essenza normativa del liberalismo stesso, fanno sempre più fatica a conciliarsi con la prorompenza della tecnologia, che agisce ormai indisciplinata anche all’interno dello stato sociale. Non vi sono più arene pubbliche che non siano totalmente fuse con la scienza dei dati, ma è nella gestione del welfare che si intravede la deriva di austerità delle democrazie europee. Lo stato sociale digitale è una realtà, alimentato da innovazioni in campo biometrico (impronte digitali e scansione dell’iride) e fomentato dall’interesse governativo verso un’efficienza automatica e rigorosa. Con la promessa di fornire accuratezza scientifica e riduzione di costi amministrativi, machine learning e algoritmi vengono sovvenzionati in cambio di un accesso privilegiato e sregolato ai nostri dati.

ANCHE LA DANIMARCA ha sperimentato l’intelligenza artificiale per monitorare minori a rischio maltrattamento. Presentato in via sperimentale dall’Alleanza Liberale e congelato dopo le critiche dell’opposizione, il progetto Gladsaxe utilizzava i dati forniti dal sistema centralizzato di welfare per creare un vero e proprio modello di punteggio comportamentale. Gli algoritmi incrociavano il numero di identificazione attribuito alla nascita con i dati raccolti sul nucleo familiare, assegnando ai genitori un punteggio in base a indicatori quali reddito, educazione, divorzio, quartiere di residenza, ritardo dal dentista (300 punti) o dal dottore (1.000 punti), e problemi di salute mentale (3000 punti). Un punteggio anomalo allertava i servizi sociali, che intervenivano per prevenire abusi e procedere all’affido. Al governo danese era stato concesso di ricorrere a una scappatoia nelle nuove norme europee sui dati digitali per utilizzare i dati raccolti con un unico pretesto per scopi completamente diversi.

LA DIGITALIZZAZIONE del welfare, scrive il relatore Onu Philip Alston, non è maligna in sé, ma si adatta al solco scavato dalle politiche neoliberali che ovunque in Europa hanno tagliato i budget per le politiche sociali, introdotto modelli comportamentali e forme di condizionalità molto rigide, stravolgendo l’idea moderna che lo Stato debba rendere conto all’individuo. Echeggiando il Foucault di Sorvegliare e Punire, Alston scrive che in tempi di austerità digitale i cittadini diventano sempre più visibili ai loro governi, mentre essi svaniscono.

IN QUESTE ZONE D’OMBRA le big tech proliferano. L’avvento del digitale in politica ha permesso al settore privato di appropriarsi di grandi fette di servizi pubblici, come in Germania, Canada e Usa, dove Ibm ha contribuito a informatizzare i sistemi di assistenza sociale (Sams), o Mastercard e Visa che in Sud Africa e Australia distribuiscono i bonifici sussidiari. Il ruolo di queste compagnie è troppo spesso opaco e «sostituisce i legislatori nel determinare le direzioni in cui si muoveranno le società e i valori che guideranno questi sviluppi», scrive Alston.

CON IL WELFARE STATE digitale, tra le numerose criticità, la perdita di interazione umana è sicuramente la più rilevante. I servizi digitali rischiano di eliminare gran parte dell’empatia necessaria per fornire cura e assistenza adeguata, qualità non più indispensabile per resistere all’automazione. Nel caso danese, i funzionari pubblici che lavorano per individuare abusi su minori e frodi non saranno in grado di capire e spiegare perché un algoritmo ha identificato una famiglia per un intervento precoce o un individuo per un controllo approfondito. Con il progredire del deep learning i processi algoritmici diventeranno solo più incomprensibili per gli operatori sociali, relegati ad affidarsi ai risultati di questi processi, senza alcun accesso significativo ai dati e alla loro elaborazione




Gimme5, la app per i piccoli risparmiatori

Gimme5, la app per i piccoli risparmiatori

Seguendo il trend della digitalizzazione della gestione di
portafoglio, un team di italiani ha ideato l’applicazione Gimme5. Quest’app, disponibile
sia per Android che per iOs è rivoluzionaria nel settore dell’investimento
privato in quanto consente di investire anche somme piccolissime (il minimo è 5
euro). Come emerge dal sito web dell’app lo scopo è proprio quello di evitare
che il piccolo risparmio rimanga fermo sul conto in banca.

Dopo aver scaricato la app e versato i primi fondi (c’è
anche la possibilità di scaricare una demo), il cliente sceglie, in base al
proprio profilo di rischio e rendimento, un fondo comune di investimento
esterno alla app nel quale investire il proprio denaro. Gli investimenti che si
possono fare sono diversi: si può investire in fondi comuni a basso rischio,
oppure, se si vuole ottenere un maggior rendimento anche su fondi che investono
in asset più rischiosi. Nel dettaglio il profilo ‘’prudente’’ investe in fondi
comuni i quali, a loro volta, possono investire fino ad un massimo del 30% in
azioni e fino al 100% in obbligazioni, il profilo dinamico in fondi in cui il
capitale è investito fino ad un massimo del 50% in azioni e fino al 100% in
obbligazioni mentre, in ultimo, nel profilo aggressivo non vi è alcun limite
nella scelta di strumenti finanziari nei quali il fondo può investire.  Si possono anche impostare degli obiettivi da
raggiungere (ad esempio la cifra necessaria per l’acquisto di un’auto) ed entro
quanto tempo. I fondi possono essere inviati a Gimme5 tramite bonifico oppure
in automatico, attraverso il RID\SDD e si possono prelevare in qualsiasi
momento.

La app risulta molto competitiva dal punto di vista dei
costi in quanto l’attivazione è gratuita e non ci sono costi fissi per la
tenuta dell’account. I costi di gestione sono dello 0,80% sulle somme investite
(commissioni di gestione per servizi analoghi sono intorno all’1,50% di norma)
e il costo del rimborso degli investimenti è di un euro a prescindere
dall’ammontare. Dal punto di vista fiscale l’imposizione è uguale a quella di
un qualsiasi investimento ossia del 26% sui profitti.

In chiusura, la app risulta essere uno strumento utile per
tutti coloro che vogliono cominciare a risparmiare o investire piccole somme e
magari non possiedono conoscenza in materia finanziaria, senza perdere la
disponibilità dei propri soldi in quanto, come già detto, è sempre possibile
prelevare o versare fondi.




Assomac, 500 piante per il Madagascar

Assomac, 500 piante per il Madagascar

Assomac, associazione nazionale che rappresenta i costruttori di tecnologie, finanzia un progetto agro-forestale attraverso la piantumazione di 500 piante in Madagascar. L’azione è promossa in collaborazione con Treedom, unica piattaforma web al mondo che permette di piantare un albero a distanza e seguirne la crescita online.

“Si tratta di un’attività concreta, coinvolgente e trasparente per comunicare l’impegno dell’Associazione per la sostenibilità – afferma la presidente di Assomac Gabriella Marchioni Bocca – Un percorso pienamente coerente con i Sustainable Development Goals fissati dalle Nazioni Unite e in particolare con l’obiettivo 15, finalizzato a un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre”.

Il progetto sottoscritto da Assomac apporta trasformazioni positive a livello ambientale, come riassorbimento CO2, riforestazione, tutela della biodiversità, contrasto dell’erosione del suolo e desertificazione, ma anche una ricaduta positiva per la comunità nel luogo prescelto.

“Assomac, da sempre, è impegnata sul tema della sostenibilità, che risulta essere sempre più strategica per le aziende – continua la presidente Marchioni Bocca – Le scelte da intraprendere non sono mirate esclusivamente a interventi migliorativi del processo produttivo, ma anche alla partecipazione attiva a iniziative più ampie per la tutela del pianeta. Per questo abbiamo aderito con convinzione all’iniziativa di Treedom, grazie alla quale gli alberi piantati assorbono CO2 generando un beneficio per l’intero pianeta.”

Ogni singolo albero viene piantato, fotografato, geolocalizzato ed è visibile online: sul sito Assomac sarà possibile seguire l’evoluzione del progetto.




Leader della sostenibilità, L’Oréal si aggiudica una tripla A

Leader della sostenibilità, L'Oréal si aggiudica una tripla A

Per il quarto anno consecutivo L’Oréal è stata riconosciuta tra i leader globali nella sostenibilità d’impresa dall’organizzazione no-profit internazionale Cdp, il cui processo annuale di rendicontazione e misurazione ambientale è considerato il ‘gold standard’ della trasparenza in ambito di sostenibilità aziendale. Il gruppo si è aggiudicato un posto nella A List in tutte e tre le categorie del Cdp, ovvero cambiamento climatico, sicurezza delle risorse idriche e foreste. Tra le 8.400 aziende analizzate L’Oréal è una delle uniche sei ad aver ricevuto quest’anno una A in tutte e tre le categorie ed è la sola ad aver ottenuto una tripla A per quattro anni consecutivi.
Questo riconoscimento è il risultato delle iniziative a lungo termine intraprese da L’Oréal per ridurre le emissioni di anidride carbonica, contrastare la deforestazione lungo la propria supply chain, migliorare la gestione delle risorse idriche e diventare un modello di leader della nuova economia sostenibile.

Da molti anni, spiega Jean-Paul Agon, presidente e ceo di L’Oréal, “siamo profondamente impegnati a trasformare radicalmente la nostra azienda e adottare un modello di business sempre più responsabile. Questo eccellente risultato è il frutto della costante determinazione dei nostri team e degli obiettivi particolarmente ambiziosi che abbiamo fissato nel 2013, come parte del nostro programma di sostenibilità ‘Sharing Beauty With All’”.

“Siamo ovviamente orgogliosi di questa straordinaria performance, ma sappiamo anche che dobbiamo proseguire nel nostro impegno, continuando a ridurre il nostro impatto ambientale in linea con quanto richiesto dalla comunità scientifica e alla luce dei bisogni del pianeta. Per noi è un imperativo morale e il presupposto per il successo a lungo termine della nostra azienda” conclude Agon.

“I rischi d’impresa derivanti dall’emergenza climatica, dalla deforestazione e dall’insicurezza delle risorse idriche sono enormi, ma lo sono anche le opportunità derivanti dalla loro gestione ed è evidente che il settore privato svolge un ruolo vitale in questo momento decisivo. Le aziende inserite nella A List guidano il mercato in termini di sostenibilità d’impresa, affrontando i rischi ambientali e preparandosi per crescere nell’economia del futuro” afferma Paul Simpson, ceo del Cdp.

Sono oltre 8.400 le aziende che quest’anno hanno risposto al questionario e hanno sottoposto al Cdp i propri dati per essere valutate in maniera indipendente sulla base del suo metodo di punteggio. Le aziende ricevono un giudizio da A a D che prende in considerazione la completezza della rendicontazione, la sensibilità verso i rischi ambientali e la loro gestione, nonché l’adozione di best practice associate a leadership ambientale, inclusa la definizione di target ambiziosi e significativi. Alle aziende che non predispongono la rendicontazione o forniscono dati insufficienti viene assegnata una F.