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Non solo Patagonia: abbigliamento sportivo e sostenibilità

Non solo Patagonia: abbigliamento sportivo e sostenibilità

Nei giorni scorsi ASICS, azienda giapponese di abbigliamento sportivo, è stata riconosciuta da CDP leader nella lotta contro i cambiamenti climatici grazie all’impegno nella gestione sostenibile della propria filiera. Il brand è rientrato nella Supplier engagement leaderboard di CDP (ex Carbon Disclosure Project), organizzazione non profit indipendente che offre un sistema per misurare, rilevare, gestire e condividere a livello globale informazioni riguardanti l’impatto ambientale con l’obiettivo di incoraggiare i diversi attori (imprese, istituzioni, associazioni etc.) ad avviare azioni di mitigazione dell’impatto ambientale.

ASICS è stata inserita in classifica per le azioni finalizzate a ridurre le emissioni e per gestire i rischi climatici all’interno della propria catena di approvvigionamento ed è stata selezionata in quanto società parte dei global Esg indexes, Dow Jones sustainability indices e dell’indice Ftse4Good series/Ftse blossom Japan index.

ASICS è stata recentemente inclusa nell’Annuario della sostenibilità 2020 pubblicato da S&P global, per le performance nell’ambito della sostenibilità delle top 15% aziende mondiali nei propri settori di riferimento.

Cosa c’è di nuovo
Tutti conoscono l’impegno di Patagonia, diventata per molti simbolo di impresa sostenibile (non solo perché è una B Corp). Meno noto l’impegno di tante altre aziende del settore che hanno avviato un percorso positivo per trovare una soluzione alla crisi ambientale in atto. ASICS, per esempio, si è impegnata a ridurre le emissioni di gas a effetto serra relative al prodotto del 55% a livello mondiale entro il 2030.




Plastica addio: il 2020 sarà l’anno del packaging commestibile? Dalle capsule monodose ai pasti in aereo, tutte le novità

Plastica addio: il 2020 sarà l’anno del packaging commestibile? Dalle capsule monodose ai pasti in aereo, tutte le novità

Se ne parla da molto tempo, ma forse sarà il 2020 l’anno della svolta per il packaging commestibile, o comunque del tutto biodegradabile: alcuni prodotti stanno infatti conquistando piccole fasce di mercato e cominciano a collaborare con i grandi marchi globali, ma le previsioni sono tutte di crescita esponenziale.

A fare il punto è la rivista Chemical & Engineering News, settimanale dell’American chemical society, che parte con un esempio: le bevande monodose in capsule (o pod, analoghe a quelle per detersivo) distribuite alla maratona di Londra del 2019, tutte confezionate con la pellicola Ooho a base di alghe dell’azienda londinese Notpla. Queste capsule hanno rimpiazzato le migliaia di bicchieri e bottiglie in plastica che costellavano il percorso della gara per giorni. I corridori potevano mangiare anche la pellicola, oppure scartarla (in questo caso si dissone in 4-6 settimane).

Le capsule sono solo uno dei tanti prodotti – cannucce, involucri, bicchieri, coperchi e molto altro – realizzati, con alghe, zuccheri, amidi di patate, scarti alimentari, proteine del latte e altro ancora. Tutti materiali a elevate prestazioni e migliori rispetto alle bioplastiche, che non sono commestibili e che, in molti casi, secondo gli autori, hanno un’impronta ambientale complessiva non molto distante da  altri involucri.

Competere con un materiale come la plastica – molto difficile da eguagliare quanto a prestazioni – è complicato, e oltre a questo bisogna fare i conti con i dubbi sull’igiene, perché qualcuno potrebbe non gradire il fatto di mangiare alimenti o bere bevande toccate da mani non pulite (non a caso si consiglia di maneggiarli con guanti monouso). Come ha spiegato Stefano Farris, dell’Università di Milano, ci sono poi questioni non trascurabili, come il fatto di abituarsi a mangiare cose che si sono sempre scartate e buttate.

notpla ooho bustine monodose condimenti take away
65 ristoranti londinesi stanno sperimentando le capsule Ooho per i condimenti in collaborazione con Just Eat

Ma il futuro del biopackaging sembra comunque roseo. Secondo la società internazionale di analisi economiche Transparency Market Research, la domanda è destinata a salire del 6,9% all’anno fino al 2024, per un giro d’affari annuale di 2 miliardi di dollari. La crescita è trainata da accordi come quelli che hanno fatto 65 ristoranti della capitale britannica con Just Eat, che prevede la distribuzione di condimenti in capsule Ooho. Anche il marchio di alcolici Glenlivet in una recente manifestazione, la London cocktail week, ha distribuito solo bevande confezionate con lo stesso materiale.

Mentre la Notpla sta sperimentando packaging per cibi pronti quali pasta o patatine, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico la newyorkese Loliware propone cannucce aromatizzate realizzate con derivati da alghe marine e microalghe rosse. Una volta bagnate, queste cannucce sono indistinguibili dalla plastica per 24 ore, possono essere mangiate o, se scartate, si degradano in due mesi. La catena dei Marriott Hotel e l’azienda di alcolici Pernod Ricard hanno iniziato a sostituire le loro cannucce in plastica con quelle della Loliware, e si prevede di venderne 30 miliardi entro la fine dell’anno.

L’indonesiana Evoware si è invece lanciata sugli involucri per hamburger, le bustine di condimento dei noodles istantanei e i sacchetti di caffè. Il fatto che si tratti di un’azienda del secondo paese al mondo per produzione di rifiuti plastici è particolarmente significativo, così come lo è il sostegno che lo sviluppo dei suoi prodotti – a base di alghe – potrebbe dare all’economia locale.

loliware cannucce commestibili
Loliware propone cannucce commestibili derivate dalle alghe che somigliano a quelle in plastica

Un altro approccio punta sulle proteine del latte che, se opportunamente lavorate, offrono prestazioni molto elevate e, in più, possono essere recuperate dagli scarti dell’industria casearia. Nel caso delle pellicole create da ricercatori dello US Department of Agricolture, gli ingredienti di base sono la caseina con aggiunta di proteine della frutta come la pectina. Le miscele ottenute riescono a offrire una resistenza all’ossigeno 500 volte superiore a quelle dei plastificanti tradizionali. In questo caso si stanno ultimando partnership con aziende che possano produrre le pellicole di proteine del latte su grande scala, ma già si pensa di usarle per i formaggi e altri alimenti altamente deperibili.

Materiali completamente biodegradabili sono in studio anche per altre funzioni nell’ambito alimentare. La messicana E6PR, che propone una bioplastica degradabile  per tenere insieme le lattine di birra (in unità di sei), già adottata dalla Corona e da decine di altri marchi nazionali e internazionali.

attine birra packaging biodegradabile
L’azienda E6PR realizza un packaging per lattine in bioplastica biodegradabile

Restano difficoltà tecniche da superare come la suscettibilità all’umidità, che complica il trasporto e l’immagazzinamento di alcuni di questi materiali, nonché il contatto con certi alimenti (si pensi, per esempio, al gelato o alle bevande calde). Inoltre è necessario che le fonti primarie non siano inquinanti, e che i costi non siano troppo alti, ma la ricerca va avanti. Questo tipo di packaging potrebbero avere applicazioni in settori cruciali, come quello degli involucri per i fast food, degli snack e degli alimenti deperibili.

Inoltre ci sono applicazioni con grandi potenziali come, per esempio, quello dei pasti sugli aerei o sulle navi, che potrebbero diventare come quelli immaginato dallo studio di design PriestmanGoode. Un pranzo su un vassoio fatto con fondi di caffè, contenuto in piatti di crusca di grano e noce di cocco, protetto da coperchi commestibili (per esempio di wafer) e accompagnati da capsule a base di alghe e latte per salse e condimenti. Anche in Italia sono già in vendita stoviglie di questo genere: la tavola è insomma destinata a cambiare, e non solo per le pietanze presenti.

Fonte immagini: NotplaLoliwareE6PR




L’avvento dell’equity crowdfunding in Italia

L’avvento dell’equity crowdfunding in Italia

Il 2019 è stato l’anno da record
per il crowdfunding in Italia. A sostenerlo è l’osservatorio
enterpreneurship&finance del politecnico di Milano, il quale, dopo aver
analizzato i dati sul crowdfunding nel periodo 2014-2019 ha osservato come ci
sia stata un’impennata nella raccolta nel primo trimestre del 2019. Se infatti
alla fine del primo semestre dello scorso anno risultavano circa 82 milioni di
euro raccolti attraverso le piattaforme internet abilitate a partire dal 2014,
ben 27 milioni sono stati raccolti a partire da gennaio 2019.

Secondo lo studio, a partire
dall’introduzione della normativa sul crowdfunding, avvenuta nel 2012, al 30
giugno 2019, sulle piattaforme autorizzate sono stati presentati 401
collocamenti di cui 261 chiusi positivamente 103, senza raggiungere il target
minimo previsto e 37 ancora in corso nella data dell’analisi. Di queste ben 170
sono state presentate tra il primo luglio 2018 e il 30 giugno 2019, al ritmo di
una ogni due giorni. Anche il tasso di successo delle operazioni è aumentato
nel primo semestre del 2019, passando dal 71% (valore medio del campione a
partire dal 2014) al 75%. Nel dettaglio la maggior parte di queste richieste
sono avvenute da parte di start up innovative.

Cosa ha causato un aumento del crowdfunding nel 2019?

Ad attirare più investitori è stata
la modifica dell’assetto regolamentare. Sin dal 2018 sono stati introdotte
dalla consob  importanti novità come la
definizione dei requisiti per la copertura assicurativa minima da offrire agli
investitori sia a livello di singolo investimento sia a livello complessivo per
la piattaforma e a partire dal 2019 l’alzamento al 40% (dal 30%) delle aliquote
per le detrazioni fiscali (per le persone fisiche) e delle deduzioni (per le
persone giuridiche) a favore di chi investe nel capitale di rischio di startup
e PMI innovative.

Nonostante la maggior attrattività
dell’equity crowdfunding in Italia, i numeri sono ancora di molto inferiori
rispetto gli altri paesi europei. Uno studio condotto dal Cambridge Centre for
Alternative Finance sul crowdinvesting, con riferimento il 2017, ha evidenziato
come, a fronte di 581 milioni di euro investiti in Europa nel crowdfunding, 333
milioni fossero stati investiti nel Regno Unito, 48 milioni in Francia, 20 in Germania
e solo 11,5 in Italia. 

Le prospettive per il futuro

La sfida per il futuro è in mano
alle piattaforme le quali dovranno scegliere attentamente il target di aziende
da accompagnare alla raccolta e quali tipologie di investitori coinvolgere. Di
fatto nel mercato del crowdfunding non c’è spazio per tutte le aziende e la
crescita della raccolta oltre che qualitativa dovrebbe essere anche qualitativa.




Corporate social responsibility, il nuovo focus della travel industry

Corporate social responsibility, il nuovo focus della travel industry

Alcuni player del settore si confrontano sul tema della sostenibilità sempre più importante all’interno delle dinamiche aziendali

La corporate social responsibility è la nuova sfida del turismo. Tutti i player, grandi e piccoli, se ne occupano attivamente. Dall’offerta di viaggi sostenibili e rispettosi, all’adozione di processi che limitano e compensano l’impatto ambientale, alla realizzazione di iniziative volte a favorire modelli di consumo sostenibili, la travel industry è in prima linea nella tutela del pianeta nella sua totalità.

“Oggi i turisti sono disposti a pagare anche un 10% in più per un prodotto turistico sostenibile – afferma Francesco Palumbo, direttore Toscana Promozione -. La nostra regione ha sposato a pieno questa causa con un progetto che incentiverà l’utilizzo di mezzi pubblici ed elettrici per spostarsi nelle zone sia della costa che dell’entroterra, promuovendo anche l’installazione di colonnine di ricarica elettrica sia nelle strutture ricettive che negli stabilimenti balneari. Inoltre invitiamo tutti i turisti a segnalarci disagi e rifiuti lungo i cammini sparsi nei nostri territori. In questo modo il viaggiatore non diventa fonte di impatto ambientale, ma prezioso partner”.

Il tema della sostenibilità sta diventando sempre più importante nel settore turistico e questa evoluzione viene testimoniata da Karin Fischer, founder di Connecting Stories. “Me ne occupo dal 2001 e, da allora, ho notato uno sviluppo di consapevolezza. Se prima questo argomento veniva percepito quasi come un orpello all’interno delle dinamiche aziendali, oggi invece è visto in maniera strategica passando da una voce di spesa a una forma di investimento“.

Paladina dell’ecosostenibilita’ anche Best Western che da 10 anni promuove con le sue strutture associate il progetto Stay for the planet insieme a Lifegate. “Grazie alla formazione e alle partnership con alcuni fornitori abbiamo diminuito del 20% l’impatto di consumi idrici, energetici e di rifiuti all’interno dei nostri hotel – spiega Sara Digiesi, chief marketing officer di Best Western -. Con la campagna Stay plastic less, poi, abbiamo ridotto l’uso della plastica legato agli amenity kit e al food & beverage. A volte può esserci difficoltà a far passare questo messaggio all’interno dei nostri hotel ma ogni giorno facciamo qualche passo e, in questa direzione, riusciamo a sensibilizzare anche i 5 milioni di ospiti delle nostre strutture italiane”.

Anche la Val Trompia e la Val Sabbia sono state oggetto di un importante progetto di sostenibilità sostenuto, dal 2016, da Fondazione Cariplo. “Un investimento di 10 milioni di euro per far rinascere queste aree puntando sia sullo sviluppo turistico, grazie ai 3500 km di pista ciclabile Green Way, sia creando nuovi posti di lavoro collegati all’ospitalità lungo questa tratta favorendo anche il ritorno in zona delle nuove generazioni”.

La social responsibility passa anche dagli eventi e dall’ambito f&b ad esso collegato. “I nostri interlocutori sono sia i viaggiatori sia le aziende. In entrambi i casi cerchiamo di lavorare con fornitori con un codice etico e con garanzie di sostenibilità – afferma Isabella Maggi,direttore marketing e comunicazione di Gattinoni -. Ad esempio doniamo a comunità e associazioni il cibo in esubero agli eventi, o ancora collaboriamo con la Fondazione Rava e con il Wwf per far sì che il semplice viaggio si trasformi in un’esperienza arricchente. La sostenibilità sta diventando sempre più un driver di viaggio per i Millennials e il nuovo prodotto MatePacker sposa proprio la sostenibilità anche delle comunità e delle destinazioni che si visitano. Noi cerchiamo di trasmettere questo tipo di sensibilità anche alle nostre adv che speriamo possano seguirci in questo cammino”.

In prima linea su questo percorso anche Federcongressi & eventi. “Abbiamo dato vita al programma Food for good, in collaborazione con Banco Alimentare ed Eco Evento, per dare una seconda vita a tutti gli alimenti in eccesso negli eventi – spiega Gabriella Ghigi -. Tutti coloro che vorranno aderire al progetto potranno contattare la nostra segreteria e noi metteremo in moto i volontari più vicini per andare a raccogliere il cibo e portarlo alle mense caritatevoli. Abbiamo già recuperato oltre 144mila pasti e 6700 kg di pane e frutta, ma c’è ancora tanto da fare”. 




Dnf, gli standard dei commercialisti Ue

Dnf, gli standard dei commercialisti Ue

La federazione dei commercialisti europei auspica una razionalizzazione globale degli standard di reporting non finanziario, e propone un organismo internazionale da affiancare allo Iasb. L’obiettivo è combattere il greenwashing e integrare non financial e financial.

International non-reporting standards board: un coordinamento globale per armonizzare gli standard di rendicontazione non finanziaria (dal Gri a Sasb) e connetterli con quelli finanziari. È questa la proposta, ambiziosa, formulata da Accountancy Europe nel suo ultimo rapporto “Interconnected standard setting for corporate reporting”, pubblicato lo scorso dicembre. La federazione dei commercialisti europei, che riunisce 51 organizzazioni professionali nazionali (fra le quali il Consiglio nazionale dei commercialisti italiani), si posiziona in maniera netta nel dibattito sulla standardizzazione della disclosure: «Cambiamenti climatici, degrado ambientale, diritti umani e squilibri sociali» sono al centro dell’attenzione di aziende, investitori, policy maker e società civile. «Centinaia di framework e standard di rendicontazione, oltre che regolamenti legislativi», mirano a rendere pubblicamente disponibili le informazioni relative a questi problemi. Tuttavia, prosegue il report, il proliferare di iniziative eterogenee sulla disclosure non finanziaria, non coordinate fra loro, «sta generando confusione e aumentando le potenzialità di greenwashing».

L’organizzazione riconosce in primis come gli aspetti non finanziari, non rilevati dalla contabilità “classica”, rappresentino una componente importante del valore di mercato delle aziende. La natura dei rischi e i driver di valore rendono necessaria per investitori, stakeholder e per le stesse aziende una gamma più ampia di informazioni. Le imprese stanno rispondendo a queste esigenze, ma, secondo Accountancy Europe, in maniera «incoerente e non coordinata». Data la varietà delle opzioni disponibili per comunicare i dati non finanziari, chi redige i bilanci è in grado di «fare acquisti», scegliendo fra i diversi standard. Una possibilità che può spingere a una rendicontazione «selettiva e sbilanciata». L’altro lato del problema, secondo l’associazione, riguarda chi utilizza l’informazione: gli analisti devono spesso affrontare un sovraccarico di informazioni, a cui peraltro contribuiscono direttamente «richiedendo dati basati su framework e standard differenti». Una situazione che genera «mancanza di trasparenza sul mercato e danneggia la fiducia», oltre ad ostacolare la definizione di politiche efficaci per affrontare le grandi sfide della sostenibilità.

Per questo motivo, Accountancy Europe propone l’istituzione di uno standard setter globale, l’International non-reporting standards board (Insb), che vada ad affiancare l’International accounting standards board (Iasb) in un sistema di governance complessivo per il reporting aziendale. L’obiettivo è quello di armonizzare i vari standard di disclosure non finanziaria e connetterli con quelli finanziari: «È necessaria un’impostazione standard e interconnessa per il reporting aziendale, in grado di coordinare, razionalizzare e consolidare le numerose iniziative di rendicontazione non financial esistenti e creare un set di metriche globali». Standard coerenti a livello internazionale (che, specifica il report, dovranno includere anche le raccomandazioni Tcfd), oltre a limitare il greenwashing, ridurrebbero i costi e la complessità della rendicontazione, faciliterebbero le comunicazioni in un sistema economico integrato a livello globale, e consentirebbero una risposta più efficacie a problemi epocali come il cambiamento climatico.

Il nuovo quadro di governance globale degli standard di reporting, da implementare con un processo graduale, rafforzerebbe «la collaborazione fra settore pubblico e privato» e sarebbe basato su un sistema a tre livelli: Iasb e Insb (incaricata di emanare i nuovi standard) farebbero riferimento a un comune organismo di governace, la Corporate reporting foundation, a sua volta supervisionata da un organo di monitoraggio. Nel rapporto, Accounancy fornisce inoltre anche tre versioni alternative della struttura di governance proposta, ed elenca per ognuna i punti di forza e le debolezze.

L’organizzazione ha aperto una consultazione pubblica per raccogliere pareri e suggerimenti sulla proposta, da inviare all’indirizzo jona@accountancyeurope.eu entro il 31 marzo 2020. La proposta di Accountancy Europe è stata anche ripresa dal World Economic Forum che a Davos ha proposto una razionalizzazione delle metriche, ossia una proposta di integrazione delle metriche non finanziarie, con un framework «sistemico» realizzato insieme alle big four della consulenza (Sul tema si legga l’articolo “Davos, presentati standard Esg globali”)