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La schiavitù moderna è il nuovo rischio reputazionale (e legale) per i manager

La crescente sensibilità sociale dei consumatori obbliga le aziende a controllare con attenzione la supply chain, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, per evitare violazioni dei diritti dei lavoratori.

I consumatori sono perennemente alla ricerca dei prezzi più bassi ma, allo stesso tempo, sono sempre più sensibili a temi quali le violazioni dei diritti dei lavoratori, soprattutto se compiute nei Paesi in via di sviluppo. Le aziende non possono però far notare la contraddizione di queste due richieste perché “il cliente ha sempre ragione”. Ricade dunque su di loro la responsabilità di trovare un giusto equilibrio, con il rischio da una parte di perdere compratori perché i suoi prezzi sono troppo alti e, dall’altra, di subire un pesante danno d’immagine, se non addirittura potenziali azioni legali.

A lanciare l’allarme su questi rischi sono gli esperti di Allianz Global Corporate & Specialty che rilevano come il Global Slavery Index 2018 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) stimi che, a livello globale, circa 40,3 milioni di persone vivano in una condizione di moderna schiavitù. Inoltre, i Paesi del G20 importano prodotti a rischio di provenienza da lavoro forzato per un valore totale di 354 miliardi di dollari, un dato che riguarda soprattutto l’elettronica (pc, cellulari, ecc.) con 200 miliardi di miliardi, seguita dall’abbigliamento (127,7 miliardi), la pesca (12,9 miliardi), il cacao (3,6 miliardi) e la canna da zucchero (2,1 miliardi). La schiavitù moderna non riguarda però solo il Terzo Mondo ma anche l’Italia dove, sempre secondo le stime dell’Ilo ben 145mila persone risultano esserne vittime.

“La principale minaccia che un’impresa deve affrontare a causa dello sfruttamento degli esseri umani nella supply chain, oltre ai potenziali rischi di responsabilità civile quando opera con fornitori, è proprio il danno reputazionale – scrivono gli esperti del colosso tedesco – Una situazione, quest’ultima, sempre più probabile per le aziende che non rispettano gli standard richiesti, soprattutto a seguito dell’accresciuta difesa dei consumatori e persino dei cosiddetti esempi negativi di casi resi di pubblico dominio, molti dei quali guidati da organizzazioni non governative per sensibilizzare l’opinione pubblica“.

Lo sfruttamento degli esseri umani nella supply chain sta dunque diventando una preoccupazione e un importante elemento di esposizione per i consigli di amministrazione, dirigenti e funzionari delle aziende con sede nel Regno Unito, negli Stati Uniti, nell’Unione Europea ed in Australia. “In un momento in cui le autorità di regolamentazione e quelle investigative stanno concentrando un’attenzione senza precedenti sulla responsabilità personale dei dirigenti aziendali, questioni come la schiavitù nella supply chain potrebbero creare problemi importanti per i manager senior – spiega Shanil Williams, Global head of commercial financial lines di Allianz Global Corporate & Specialty – Prevediamo una maggiore applicazione delle norme in materia di diritti umani ed è quindi necessario responsabilizzare i dirigenti nell’essere trasparenti nell’effettuare i controlli delle attività della catena dei fornitori. Le aziende che non adottano misure adeguate per eliminare lo sfruttamento degli esseri umani dalla catena dei loro fornitori possono dover affrontare cause legali”.

Per mettersi al sicuro da questi rischi, le aziende devono impegnare contrattualmente i venditori e i fornitori su salari equi, orari di lavoro e trattamento umano giusti prima di fare affari con loro, implementando inoltre i necessari controlli per affrontare le violazioni. Quando viene scoperta un’infrazione, è importante agire rapidamente e dichiarare pubblicamente che non verranno tollerate violazioni del codice di condotta da parte dei loro fornitori. Esistono infine delle soluzioni assicurative efficaci di risposta alle crisi, che possono contribuire a mitigare l’impatto dei sinistri “reputational”.




ROBERTO BURIONI, MEDICO: PERCHÉ IL SUO PERSONAL BRAND FUNZIONA

Roberto Burioni, medico del San Raffaele di Milano (qui la sua bio su Wikipedia), ha assunto gli onori della cronaca grazie al grande risalto che il suo profilo Facebook ha riscosso negli ultimi mesi, nel pieno della battaglia ideologica e legale sull’obbligatorietà dei vaccini.

Roberto Burioni ha contribuito in modo deciso alla sensibilizzazione di migliaia di persone sul tema e questo gli ha permesso di ottenere grande visibilità anche in televisione, sulla carta stampata, in radio e in libreria, con il suo libro “La congiura dei somari”.

Roberto Burioni è diventato un brand o, per meglio dire, un efficacissimo brand ambassador della causa che ha sposato.

Perché il personal brand di Roberto Burioni funziona? Perché non si tratta qui di discutere nel merito degli argomenti che tratta (Dio me ne scampi!) ma è un’evidenza basata sui numeri che il personal brand di Roberto Burioni abbia raggiunto altissimi livelli di notorietà, reputazione e ingaggio (319.777 fan della pagina Facebook alla data del presente post), tanto da essere stato premiato come “Personaggio rivelazione” agli ultimi Macchianera Awards di settembre 2017.

6 motivi del successo del personal brand di Roberto Burioni

  1. Roberto Burioni, medico: la sua tagline evidenzia il suo focus. Al centro di tutto c’è la sua professione, la sua competenza, utilizzata come fattore differenziante in senso verticale («prima di discutere di vaccini, studia 15 anni immunologia» è una sua tipica frase);
  2. Tono di voce: autorevole, ma anche ironico. Consapevole del suo ruolo e dell’asimmetria informativa a suo favore rispetto a molti altri esponenti della parte opposta, non entra in competizione cruda, si dimostra superiore ma senza spocchia, utilizzando, per l’appunto, l’ironia;
  3. Numeri a sostegno delle proprie tesi. Statistiche, statistiche, statistiche. Evidenze scientifiche degli effetti positivi dei vaccini per la nostra società;
  4. Uso di similitudini, metafore e paradossi. Sappiamo che le similitudini e le metafore sono utilizzate per spiegare concetti complessi attraverso nozioni già note. La figura retorica del paradosso, invece, serve a mettere in luce errori logici, come ad esempio a smontare l’idea secondo cui tutti noi dovremmo avere un’opinione in merito ai vaccini attraverso la narrazione di situazioni nelle quali, ad esempio, tutti noi andiamo a discutere col pilota sulla corretta manovra da svolgere per far atterrare l’aereo dove siamo imbarcati;
  5. Storytelling. Mi ha molto colpito una parte dei un suo recente post nel quale criticava il pensiero espresso da Marco Travaglio. Lo riporto di seguito: «Duecentoquarantadue. Marco Travaglio qualche giorno fa ha detto in una intervista che il morbillo “era considerato un tagliando”. Marco Travaglio è nato nel 1964. Nel 1964, 242 bambini sotto i cinque anni sono stati uccisi dal morbillo. […] È un numero, un numero agghiacciante e non un’opinione. Ora io chiedo a voi (e pure a Travaglio) di immaginarvi duecentoquarantadue piccole bare bianche, duecentoquarantadue banchi d’asilo vuoti per sempre, duecentoquarantadue funerali e oltre quattrocento genitori nel dolore per la perdita di un bambino».
    Con quella parola, “immaginatevi”, ha creato una potenza narrativa fortissima attorno ad un asettico numero, 242;
  6. Sorriso empatico: nelle sue foto ufficiali, così come nelle sue comparsate tv e radiofoniche, appare sempre sorridente. Non utilizza il camice bianco, non è vestito in modo eccessivamente elegante, non marca le distanze, anzi, le riduce, si avvicina alle persone, che non si sentono intimorite dalla sua presenza. Questo gli conferisce una capacità di ingaggio molto più elevata dei suoi colleghi.

Mai snaturare un brand

Infine, un’ultima considerazione fresca di cronaca. Molti pensavano che avrebbe accettato la proposta di Matteo Renzi di candidarsi nelle liste del PD. Io ho sempre sperato che ciò non accadesse, per il semplice fatto che avrebbe rovinato un posizionamento di brand così ben costruito.

La sua candidatura, infatti, avrebbe indebolito notevolmente la base del suo brand, quel «Roberto Burioni, medico» sul quale si fondano la sua reputazione e la sua azione.

In conclusione, Roberto Burioni dimostra come la forza di un singolo, con un forte personal brand, possa essere enormemente maggiore rispetto alla comunicazione di carattere istituzionale.Tags




TIM, sanzione da 27,8 milioni dal Garante Privacy

Grave sanzione del Garante Privacy a TIM per l’uso indiscriminato di dati personali per finalità di telemarketing: 27,8 milioni e nuovi divieti.

Il Garante Privacy non perdona e per TIM il costo è salato. Nelle ore in cui dall’Autorità Antitrust giunge una esemplare sanzione contro le bollette a 28 giorni, infatti, anche il Garante per la Protezione dei Dati Personali infligge una pesante sanzione contro il gruppo. Complessivamente si tratta di una cifra pari a 27,8 milioni di euro, con motivazioni particolarmente ben argomentate a dimostrazione di quanto approfondita sia stata la disamina dell’Autorità relativamente ai vari casi segnalati.

La sanzione è stata comminata, spiega il Garante, per “numerosi trattamenti illeciti di dati legati all’attività di marketing” che avrebbero complessivamente interessato “alcuni milioni di persone“:

Dal gennaio 2017 ai primi mesi del 2019, sono pervenute all’Autorità centinaia di segnalazioni relative, in particolare, alla ricezione di chiamate promozionali indesiderate effettuate senza consenso o nonostante l’iscrizione delle utenze telefoniche nel Registro pubblico delle opposizioni, oppure ancora malgrado il fatto che le persone contattate avessero espresso alla società la volontà di non ricevere telefonate promozionali. Irregolarità nel trattamento dei dati venivano lamentate anche nell’ambito dell’offerta di concorsi a premi e nella modulistica sottoposta agli utenti da Tim.

Le indagini sarebbero state portate avanti in collaborazione con il Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche della Guardia di Finanza e le accuse sono varie:

  • Tim ha dimostrato di non avere sufficiente contezza di fondamentali aspetti dei trattamenti di dati effettuati“;
  • le società di call center incaricate da Tim hanno, in molti casi, contattato gli interessati senza il loro consenso“, arrivando addirittura a chiamare una sola persona per ben 155 volte e chiamando a più riprese anche utenti non presenti negli elenchi dei contattabili;
  • assenza di controllo da parte della società sull’operato di alcuni call center“;
  • errata gestione e il mancato aggiornamento delle black list dove vengono registrate le persone che non vogliono ricevere pubblicità“;
  • acquisizione obbligata del consenso a fini promozionali per poter aderire al programma Tim Party con i suoi sconti e premi“;
  • “nella gestione di alcune app destinate alla clientela, inoltre, sono state fornite informazioni non corrette e non trasparenti sul trattamento dei dati“;
  • “la gestione dei data breach non è poi risultata efficiente“.

Oltre alla sanzione a TIM sarebbero state imposte 20 misure correttive nelle proprie pratiche abituali ed in modo particolare è stato vietato l’uso dei dati della clientela raccolti tramite app quali “My Tim”, “Tim Personal” e “Tim Smart Kid”. Un giro di vite estremamente rigido, insomma, che il Garante intende veder messo a punto entro un tempo massimo di trenta giorni.




Digital Health C’è ancora spazio per l’uomo?

La digital health (sanità digitale) è un insieme di conoscenze e di attività associate all’uso di tecnologie digitali, finalizzate alla prevenzione e al miglioramento della qualità delle cure e dei servizi sanitari. Essa si compone di un ampio ventaglio di tecnologie già ampiamente in uso e destinate a svolgere un ruolo sempre più importante per la nostra salute.

In linea generale le tecnologie associate alla sanità digitale possono essere raccolte entro tre ambiti di attività.

Tecnologie per l’archiviazione, la consultazione e la gestione di dati sanitari

Sono le tecnologie attualmente più diffuse e riguardano molte attività di uso corrente, come la possibilità di prenotare visite ed esami o di consultare e gestire i dati personali archiviati sul proprio cellulare o conservati su database digitali gestiti da imprese private o da istituzioni pubbliche, come il fascicolo sanitario elettronico. Quest’ultimo è una sorta di cartella sanitaria gestita dalle Regioni e accessibile on-line dove sono archiviati i dati relativi alla propria salute: esiti di esami diagnostici, prescrizione di farmaci, referti di pronto soccorso, ricoveri e altri dati di interesse sanitario.

Smart device e telemedicina

È un settore in vorticosa espansione e riguarda lo sviluppo di micro-sensori indossabili, inseriti in orologi, scarpe, magliette, cinture, occhiali, chips sottocutanee o ingeribili, capaci di misurare diversi parametri biologici quali il livello di glucosio, la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, la temperatura corporea, il sudore o capaci di rilevare l’attività fisica, la quantità e la qualità del sonno, le calorie consumate e molto altro ancora1.

Tali dati possono essere analizzati e utilizzati da chi li indossa per monitorare il proprio stato di salute o per gestire specifiche patologie, oppure possono essere trasmessi a distanza al proprio medico curante o a centri di riferimento da cui ricevere indicazioni personalizzate di diagnosi e cura o suggerimenti per modificare i propri stili di vita. Chi dispone di uno Smartphone Apple (App Salute) può già rendersi conto del futuro che ci aspetta.

Intelligenza artificiale e robot

Si tratta di macchine capaci di elaborare enormi volumi di dati e nelle loro forme più evolute di simulare il comportamento umano. In effetti, in medicina, come in molti altri campi della conoscenza, le informazioni di cui tener conto al momento di decidere sono così numerose e così mutevoli che nessuno può competere con le straordinarie capacità di elaborazione di un’intelligenza artificiale.

Per esempio, vi sono applicazioni come Watson dell’IBM che supportano le decisioni cliniche sfruttando la loro potenti abilità di analisi o come Skin vision capace di identificare in pochi secondi e con ottima precisione i tumori della pelle, a partire da una fotografia scattata con lo smartphone. Ma la cosa più sorprendente è che tali sistemi, avvalendosi dei dati che via via ricevono, sono capaci di imparare e di decidere in modo autonomo (deep learning). Per esempio, sono in grado di distinguere la retina di un uomo da quella di una donna, utilizzando criteri che nessuno finora è stato in grado di spiegare o imparare da soli giocare a Go (un complesso gioco cinese) sbaragliando i migliori giocatori del mondo con mosse nuove e imprevedibili.

Aspetti etici

Le implicazioni bioetiche della digital health sono molteplici e si differenziano in relazione al tipo di tecnologia presa in considerazione e al contesto in cui viene utilizzata. Le varie situazioni hanno spesso contorni sfumati e pertanto più che di norme dovremmo parlare di valori, di principi e di responsabilità. In linea generale possiamo far riferimento a tre diversi aspetti etici.

Privacy

Le informazioni personali, anche quelle ottenute mediante gadget o social network, sono in grado di garantire l’anonimato, sono conservate in modo sicuro e possono essere utilizzate a scopo di ricerca?

Le notizie di cronica ci informano con una certa frequenza che database contenenti milioni di dati personali sono stati ripetutamente violati da ingegnosi attacchi informatici da parte di hacker o facendo leva sull’integrità delle persone implicate nei sistemi di archiviazione dei dati, mostrando la fragilità degli attuali sistemi di protezione.

Tali sistemi sono certamente destinati ad evolvere tecnologicamente ma dovranno definire adeguate procedure di raccolta del consenso informato, contrastare il crescente monopolio delle informazioni, adottare meccanismi di protezione e di controllo sulle modalità di accesso agli archivi e fornire indicazioni chiare sull’utilizzo dei dati e sul diritto all’oblio, in modo da restituire credibilità e affidabilità alle varie iniziative in atto, a molte delle quali sarebbe impossibile rinunciare2.

Efficacia e sicurezza

Quali vantaggi si possono ottenere in termini di salute dall’applicazione delle nuove tecnologie digitali e su quali prove si basano i benefici attesi? Le nuove tecnologie digitali possono arrecare danni a chi le utilizza o alla popolazione in generale?

Tutte le innovazioni afferenti alla digital health, come del resto ogni altra tecnologia sanitaria, prima di essere immesse sul mercato dovrebbero aver dimostrato la loro utilità, cioè la loro capacità di migliorare alcuni aspetti correlati alla salute individuale, collettiva o del pianeta (specificando quali) e soprattutto dovrebbero poter attestare di non essere dannose.

A questo riguardo si veda il nutrito dibattito in merito alla potenziale pericolosità per l’uomo e per l’ambiente conseguente all’esposizione dell’intero pianeta, alle radiofrequenze emesse dalla rete wireless di quinta generazione, 5G3.

Autonomia, dignità e rispetto della persona

Le nuove tecnologie digitali tengono conto della dignità della persona, delle sue specifiche esigenze e della sua autonomia decisionale?

Le tecnologie digitali che si avvalgono di parametri biochimici, genetici e funzionali per orientare le decisioni che riguardano la nostra salute sono destinate a trasformare radicalmente il modo di affrontare i problemi di salute e le relazioni tra professionisti e pazienti. In questo ambito si celano alcuni degli aspetti etici più critici della digital health, di cui dobbiamo almeno avere consapevolezza.

Le tecnologie dedicate a questo scopo sono distribuite su un ampio spetro di attività. Nei casi più semplici, le decisioni sono di tipo “meccanico”: specifici sensori rilevano un certo parametro biologico o funzionale e, al bisogno, attivano gli opportuni rimedi: glicemia-insulina, dolore-analgesico, stato d’ansia-ansiolitico, ecc.

Nei casi più sofisticati ci troviamo di fronte a decisioni di tipo “cognitivo” dove un’Intelligenza Artificiale (IA), costituita da reti neurali artificiali, orienta le decisioni che riguardano la nostra salute utilizzando in modo integrato i dati provenienti da diverse fonti: parametri biologici e funzionali, informazioni genetiche, inclinazioni, attitudini, gusti, preferenze, dati ambientali e sociali, letteratura biomedica e farmacologica e molto altro ancora. In un mondo dominato da interessi commerciali e da evidenze scientifiche aleatorie da chi saranno controllati i criteri utilizzati per la definizione degli algoritmi o delle reti neurali?

Inoltre, l’introduzione di IA capaci di apprendere dai dati e di decidere in modo autonomo sulla base di criteri indefiniti e non completamente tracciabili (black box) lascia intravedere inesplorati dilemmi etici. A chi è attribuita la responsabilità di decisioni che sfuggono al controllo umano? Le IA potranno essere dotate di personalità giuridica?

Di fatto, in nome della presunta capacità di una macchina intelligente di rispondere alle specifiche esigenze dell’individuo, stiamo progressivamente trasferendo la nostra autonomia decisionale a IA che agiscono secondo criteri almeno in parte indefiniti, che potrebbero essere dotate di personalità giuridica e controllate, come ci ricorda Harari, da una piccola élite di umani potenziati4 a cui verrebbe affidato il destino del mondo.

In questa visione l’uomo si trasformerebbe, suo malgrado, in un atomo sociale: uno dei milioni di soggetti il cui comportamento, ancorché dotato di un certo grado di libertà è controllato da un intricato sistema di algoritmi capaci di infilarsi nelle nostre vite e generare pattern comportamentali e fenomeni sociali a cui è impossibile sfuggire e che nessuno è in grado di prevedere, né tantomeno di governare.

In effetti, già oggi, in cambio di qualche like su banali storielle o invitanti prodotti di consumo, stiamo regalando i nostri dati personali a potenti imprese tecnologiche (entità astratte, giuridicamente riconosciute) che mediante algoritmi elettronici plasmano i nostri desideri, manipolano i nostri bisogni, condizionano i consumi e da ultimo controllano i nostri destini.

Perché ciò si realizzi non è necessario che via sia qualcuno dotato di una mente superiore capace di progettare l’intero sistema e di prevederne gli sviluppi. Di fatto sono le decisioni, di per sé irrilevanti, di milioni di persone che attraverso un’immensa rete relazionale in continua, rapida evoluzione, creano pattern comportamentali che regolano i rapporti sociali e danno forma al nostro futuro. Pattern comportamentali che si modificano molto più velocemente del tempo necessario alle istituzioni sociali per riconfigurarsi, con il rischio che da questo incessante rimescolamento di dati emerga qualcuno privo di scrupoli e abbastanza scaltro per cavalcare il sistema e spingere la società verso una pericolosa deriva etica.

Considerazioni finali

Non v’è dubbio che la nostra vita e la nostra salute dipenderanno in misura crescente dalle nuove tecnologie digitali che, peraltro, già oggi guidano gran parte delle nostre scelte quotidiane: alimentazione, viaggi, consumi, tempo libero, lavoro, finanza, comunicazioni, formazione, cultura e molto altro ancora.

In ambito sanitario le tecnologie digitali possono essere una grande opportunità per rendere più efficienti i servizi, semplificare l’accesso alle prestazioni, evitare perdite di tempo per passaggi amministrativi e burocratici, consentire la raccolta e la consultazione di dati, migliorare le capacità diagnostiche (visual pattern recognition), aiutare le persone e i professionisti ad accedere alle migliori conoscenze disponibili suggerendo le opzioni più appropriate al singolo caso.

La rivoluzione digitale è destinata inevitabilmente a trasformare in modo profondo la medicina e il modo di esercitarla dobbiamo quindi prendere coscienza dei benefici, dei rischi e degli aspetti etici ad essa associati5.

Le nuove IA, grazie alla loro capacità di gestire enormi volumi di dati sono certamente un valido supporto decisionale, da cui non possiamo prescindere. Dobbiamo, però, riconoscere che l’uomo si comporta contemporaneamente, ma in modo non disgiunto, sia come entità biologica che come persona.

La natura biologica dell’uomo può essere indagata e controllata attraverso strumenti di tipo deterministico (algoritmi biochimici), ma i valori, i sentimenti, le aspettative, le emozioni, quantunque dipendano da elementi di natura biologica, non si possono indagare attraverso l’analisi di variazioni molecolari o le variazioni di segnali elettrici: esse sono proprietà emergenti o, come ci ricorda Federico Faggin6, espressioni dirette della coscienza. Anche la più dettagliata conoscenza delle sinapsi non ci aiuterà a capire i disturbi mentali e viceversa la psicoterapia non potrà essere utilizzata per spiegare il funzionamento dei neuroni. I disturbi mentali non violano le leggi della chimica, della fisica e della biologia ma non si possono spiegare con esse. Sono aspetti irriducibili della medesima realtà.

La medicina deve saper utilizzare entrambi gli approcci perché la cura si avvale tanto degli aspetti biologici (di tipo meccanico, riconducibili alla fisica classica), quanto di quelli legati alla relazione, al rapporto di fiducia, di compassione e di empatia che si instaura tra persone (medico e paziente) e che non possono essere sostituiti da un robot, per quanto evoluto e dotato di “regole morali” che ne delimitano i possibili campi di azione (agenti morali artificiali).

Di fronte ad un’occlusione intestinale prevalgano di certo gli aspetti biologici, ma nelle fasi di fine vita sono gli aspetti umani a imporsi. È compito del professionista acquisire le necessarie competenze per adeguarsi alle circostanze.

Se non teniamo conto dei due diversi approcci corriamo il rischio di affidare la nostra vita a professionisti o ancor peggio ad agenti artificiali, sempre più potenti sul piano tecnico e sempre più efficienti nel gestire un immenso numero di informazioni, ma incapaci di stabilire una relazione con la persona, di mettersi in sintonia con i suoi desideri, le sue paure, i suoi bisogni e senza alcuna consapevolezza delle conseguenze etiche associate alle diverse decisioni possibili.

Computer, IA e robot sono potenti strumenti di supporto decisionale e grazie al loro aiuto faremo meno errori, saremo più efficienti e (forse) avremo più tempo da dedicare ai pazienti ma dobbiamo essere ben consapevoli che con essi sono in gioco la libertà e la dignità della persona.

1 Collecchia G: La medicina digitaleWall Street International Magazine, 2 febbraio 2019.
2 OECD: Recommendation of the Council on Health Data Governance.
3 International Appeal: Stop 5G on Earth and in Space.
4 Harari Y N: Homo Deus: breve storia del futuro. Saggi Bombiani 2017.
5 Floridi L et al: AI4People – An Ethical Framework for a Good AI Society: Opportunities, Risks, Principles, and Recommendations. Minds and Machines (2018) 28:689–707.
6 Faggin F: Silicio Dall’invenzione del microprocessore alla nuova scienza della consapevolezza. Mondadori 2019.




Aprilia: una ripresa virtuosa grazie alle alleanze strategiche

Aprilia: una ripresa virtuosa grazie alle alleanze strategiche

Dopo anni di forte crescita e gradi successi dovuti
all’innovatività e la qualità tecnologia dei propri prodotti, nel 1989 Aprilia
ha dovuto affrontare un momento di grave difficoltà dovuta alla concorrenza da parte
dei competitor giapponesi, come Honda, Yamaha, Suzuki e Kawasaki i quali
godevano di un costo del lavoro minore, maggiori risorse economiche e migliori
tecnologie. L’azienda veneta iniziò quindi a perdere quote di mercato a favore
dei competitor asiatici.

L’amministrazione decise di affidare ad una società di
consulenza il compito di effettuare un’analisi di mercato, al fine di
verificare la miglior strategia possibile per fronteggiare la concorrenza
giapponese. I risultati fecero emergere che, per esser competitivi sul mercato
dei motocicli, l’azienda avrebbe dovuto fatturare tra i 1000 e 1200 miliardi di
lire a fronte di un fatturato per l’anno 1989 di 200 miliardi di lire. Si
sarebbero poi resi necessari importanti investimenti in innovazione tecnologica
e sviluppo prodotto.

A seguito di questa analisi di mercato l’AD dell’azienda di
motocicli decise di scomporre la produzione della moto nei suoi 13 elementi
fondamentali e di verificare chi fosse il miglior fornitore, per ogni pezzo,
dal punto di vista tecnologico e innovativo. Vennero individuate le 13 aziende
e Aprilia, senza stipulare un contratto, affidò loro il compito di creare una
specifica parte della moto. A queste aziende venne lasciata molta autonomia,
esse infatti avrebbero potuto, previa comunicazione, lavorare anche per competitor
di Aprilia e scegliere in libertà i propri fornitori. La casa madre si sarebbe
occupata solo di design, marketing e gestione dell’immagine.

La scelta strategica di Aprilia, per quanto ‘’pericolosa’’
sotto alcuni punti di vista ha portato una notevole ripresa, in termini di
quota di mercato e fatturato, per l’azienda veneta. Se da una parte i vantaggi
per l’impresa sono facilmente intuibili come l’abbattimento dei costi fissi in
termini di impianti e personale il miglioramento del rapporto con gli attori
della filiera dall’altra, esternalizzando completamente la produzione, ha perso
il know-how specifico. Inoltre, soprattutto vista l’assenza di un contratto
scritto, ha rischiato che le aziende fornitrici potessero interrompere il
rapporto di fornitura con pochissimo preavviso e così di trovarsi senza una
componente necessaria impossibile da riprodurre all’interno.