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Rivoluzione etica nel business, è l’ora della reputation

Rivoluzione etica nel business, è l'ora della reputation

Reputation : è una delle nuove parole di questi anni ed è decisiva per la comprensione della società contemporanea.

Sta a significare la fama, la reputazione che una certa azienda ha ma in un ambito preciso che va al di là della qualità e investe piuttosto i valori ossia la responsabilità ambientale, etica, sociale. Più l’azienda ha un comportamento giusto rispetto ai diritti dei lavoratori, alla provenienza delle materie prime che utilizza, all’impronta ambientale del suo funzionamento compreso lo smaltimento, maggiore è la sua buona reputazione, più forte la propria identità valoriale. L’indice di reputation ha anche un risvolto business: l’impegno ha maggiori possibilità di attrarre i consumatori ed influenzare le loro decisioni di acquisto, come emerge dallo studio di Accenture Strategy, Global Consumer Pulse Research “From Me to We: The Rise of the Purpose-led Brand”.

Oggi gli utenti non si interessano solo alla qualità dei prodotti, ma osservano sempre più come si comportano le aziende nei confronti della società e orientano le proprie decisioni di acquisto di conseguenza. In Italia, il 71% dichiara di voler acquistare beni e servizi dalle aziende che riflettono i valori in cui crede e quasi un consumatore su due (47%) ha smesso di acquistare un prodotto a causa delle azioni di un’azienda, non in linea con la propria etica personale.
Da un brand ci si aspetta che prenda una posizione chiara su questioni sociali, culturali, ambientali e politiche (per il 73% dei consumatori italiani) e che sia trasparente su come produce e distribuisce i propri prodotti (per l’83%) fornendo rassicurazioni tangibili sulle proprie posizioni in tema di sostenibilità ambientale e sociale e su come promuove condizioni di lavoro appropriate. Il 61% degli utenti, nell’acquistare un brand, un prodotto o un servizio, tiene in considerazione anche come si comportano i leader aziendali, il modo in cui comunicano i loro valori e se li mettono in pratica nella vita quotidiana.
Nella realtà odierna, il brand non appartiene più solo all’azienda, ma sono i consumatori e i diversi stakeholder che contribuiscono a costruirne la sua forma attuale: il 63% dei clienti ritiene, infatti, di poter influenzare la posizione di un’azienda su questioni di interesse pubblico.
È l’autenticità e il sistema valoriale di un’azienda a stare a cuore ai clienti: il 63% orienta le proprie decisioni di acquisto in base a questi due fattori. Il loro desiderio è anche che i brand trattino bene le persone e l’ambiente: il 78% è orientato ad acquistare prodotti da aziende che utilizzano ingredienti di buona qualità e rispettano i diritti umani, mentre il 68% vuole rivolgersi a imprese che si impegnano per il miglioramento dell’ambiente e per la riduzione dell’utilizzo di materiali plastici. Addirittura, il 76% dei consumatori attribuisce più alle aziende che alle istituzioni la responsabilità di guidare il cambiamento sociale e si aspetta che siano proprio i CEO a prendere iniziative verso la sostenibilità, senza attendere imposizioni normative.

“Non basta più che le aziende siano pronte a risolvere le possibili criticità che si presentano nella realtà quotidiana: ora sono l’impegno a supporto dei valori condivisi e della sostenibilità ad influenzare fortemente le scelte dei consumatori, che si aspettano trasparenza rispetto alla fornitura dei prodotti, alla loro tracciabilità e alla garanzia di condizioni lavorative sicure” ha dichiarato Beatrice Lamonica, Sustainability Lead di Accenture Strategy. “Oggi, le aziende sono consapevoli che devono tenere in grande considerazione la sostenibilità sociale e ambientale, non tanto come semplice dovere o osservanza delle normative vigenti, ma come un elemento fondamentale del proprio DNA e come un’opportunità di innovare, differenziare ed accrescere il proprio business.”

Secondo l’analisi di Accenture, un calo di fiducia può avere un forte impatto sulla competitività di un’azienda e influenzarne negativamente il fatturato. I consumatori non sono più solo degli acquirenti, ma partecipatori attivi che investono tempo e attenzione e vogliono condividere un sistema di valori con le aziende a cui si rivolgono.

Le nuove sfida per i brand che vogliono avere successo

“Siamo di fronte ad una rivoluzione etica nel business, frutto di un’evoluzione complessa che ha progressivamente trasformato l’approccio dei brand nei confronti dei loro clienti. Fino a qualche anno fa le aziende orientavano decisioni e investimenti con l’obiettivo di accrescere la fedeltà del proprio target; in seguito hanno cambiato modo di porsi per ottenere un coinvolgimento attivo degli utenti fino ad arrivare, in una nuova fase, a cercare di essere iper-rilevanti nei confronti del pubblico. Oggi, devono necessariamente aderire a un sistema di valori rilevante e condiviso con i consumatori, che in Accenture abbiamo definito “Purpose” ha commentato Fabio De Angelis, Managing Director – Accenture Strategy, Advanced Customer Strategy Lead. 

Per rafforzare il proprio brand e costruirsi un successo che duri nel tempo, è fondamentale creare e implementare relazioni forti con i propri utenti. Per riuscire a farlo le aziende devono iniziare seguendo alcuni semplici passi:

• definire chiaramente il perimetro del proprio business, determinare il ruolo più ampio che si desidera avere nella vita dei consumatori e focalizzarsi su un ambito di loro interesse. Le aziende leader possono farlo cercando di capire cosa sta a cuore ai propri utenti, perché i propri dipendenti hanno scelto di lavorare per loro e perché le altre aziende collaborano con loro. In questo modo troveranno l’essenza della propria esistenza e gli elementi distintivi che possono fare la differenza.

• essere chiari e autentici: le persone si accorgono di ciò che non è genuino. Se un’azienda si impegna realmente a supporto di un sistema valoriale condiviso, i suoi principi guideranno ogni decisione aziendale e promuoveranno le connessioni tra consumatori, dipendenti e azionisti. Tutto ciò, però, richiede una guida forte, basata sulle azioni più che sulle parole.

• coinvolgere i consumatori a un livello più profondo: se interagiscono attivamente con le società e partecipano al loro successo, è possibile utilizzare questa “energia” coinvolgendo i clienti nella co-creazione di nuovi prodotti o servizi e nella progettazione di iniziative o partnership, portandoli ad investire nella crescita dell’azienda in cambio di vantaggi personalizzati. Includere i clienti nel proprio ecosistema di innovazione aiuterà le aziende ad essere rilevanti, a comunicare più fortemente ed efficacemente i propri valori e a identificare nuove opportunità di crescita per ampliare il proprio mercato.




Reputazione, un asset strategico che orienta le scelte dei clienti

Reputazione, un asset strategico che orienta le scelte dei clienti

Henry Ford diceva che “le due cose più importanti non compaiono nel bilancio di un’azienda: la reputazione ed i suoi uomini”. Erano gli inizi del ‘900, non esisteva il web ed il binomio qualità/prezzo era il mantra di ogni strategia commerciale. Tuttavia, il grande imprenditore statunitense già evidenziava l’importanza della reputazione, concetto che oggi è diventato imprescindibile, tanto da poter determinare la crescita o il declino di un’azienda.

Una recente ricerca di Accenture1 che ha coinvolto 30.000 consumatori nel mondo rivela ad esempio che il 63% degli acquirenti orienta le proprie decisioni di acquisto di prodotti e servizi in base al sistema valoriale di un’azienda e all’autenticità delle sue azioni. Ciò significa che, da soli, qualità e prezzo non sono più sufficienti per costruirsi una buona reputazione e incontrare il consenso del mercato.

Non cogliere questa nuova dinamica può essere molto negativo per le aziende: in Italia2, il 47% degli intervistati ha dichiarato di non acquistare prodotti di realtà di cui non condivide i valori e le azioni concrete.

Cos’è la brand reputation?

Secondo una definizione da manuale, “la reputazione di un’organizzazione è la fusione di tutte le aspettative, percezioni ed opinioni sviluppate nel tempo da clienti, impiegati, fornitori, investitori e vasto pubblico in relazione alle qualità dell’organizzazione, alle caratteristiche e ai comportamenti, che derivano dalla personale esperienza, il sentito dire o l’osservazione delle passate azioni dell’organizzazione3.

In pratica, la brand reputation è la valutazione complessiva e stabile nel tempo, condivisa da più stakeholder, che riguarda un’impresa, e per estensione i prodotti e i servizi che offre. Il comportamento dei suoi dirigenti, il rapporto con gli stakeholder, il modo di comunicare: tutto contribuisce a costruire la reputazione di un’azienda.

Le variabili della brand reputation sono molteplici ma possono essere raggruppate in tre dimensioni:

  • una che attiene più strettamente al lavoro dell’azienda: corporate identity, prodotti e servizi, luogo di lavoro, governance, performance economiche;
  • l’aspetto emotivo che l’azienda riesce a generare (stima, fiducia, ammirazione, disapprovazione), che emerge da come l’opinione pubblica (media, web) ne parla;
  • le intenzioni comportamentali espresse dalle persone in termini di decisione di acquisto, di investimento, di aspirazione a lavorare nell’azienda considerata.

Di certo c’è che la costruzione di una buona brand reputation è un processo lungo ed in costante evoluzione, perché la considerazione può mutare col variare del paradigma valoriale e delle priorità condivise dall’opinione pubblica.

In effetti, una realtà che ha una lunga storia, da sempre contraddistinta da una buona reputazione, potrebbe vederla crollare da un momento all’altro se non riuscisse più ad essere in sintonia con il sentire comune della società. In questo senso,valgono le parole di Warren Buffet, secondo cui “ci vogliono 20 anni per costruire una buona reputazione, cinque minuti per distruggerla”. Oggi verrebbe da dire che in realtà bastano anche pochi secondi per distruggere quanto costruito in anni di lavoro, vista la rapidità e capillarità con cui informazioni ed opinioni viaggiano attraverso il web.

I fattori chiave per costruire una buona brand reputation nel terzo millennio

Nella ricerca citata, Accenture ha chiesto ai consumatori quali sono i fattori che li guidano verso la scelta di acquistare prodotti o servizi di un brand piuttosto che un altro, al di là di prezzo e qualità. Ecco le risposte che hanno ottenuto più del 50% delle preferenze:

  • l’azienda è trasparente sulla provenienza delle materie prime e sulle condizioni dei lavoratori;
  • l’azienda tratta bene i suoi dipendenti;
  • l’azienda crede nella riduzione della plastica e nel miglioramento dell’ambiente;
  • il brand non si limita a vendere prodotti e servizi, ma si impegna per qualcosa di più grande, in linea con i miei valori personali;
  • l’azienda si impegna per questioni sociali e culturali in cui crede;
  • il brand supporta e agisce in favore di cause che condivido;
  • il brand fa ciò che dice e mantiene le promesse;
  • il brand ha valori etici e dimostra autenticità in tutto ciò che fa;
  • dimostra passione e attenzione verso i prodotti e servizi che vende.

Key Word #1: Responsabilità

I primi sei punti evidenziati dalla ricerca potrebbero essere sintetizzati nel concetto di responsabilità ambientale e sociale e riflettono l’accresciuta sensibilità dell’opinione pubblica verso questi temi.

Buona parte dei consumatori (il 76%, secondo la ricerca Accenture) pensa che le aziende abbiano la responsabilità, anche più delle istituzioni, di guidare il cambiamento sociale e lo sviluppo sostenibile. Sempre lo stesso studio dice, ad esempio, che il 78% dei consumatori è orientato ad acquistare prodotti da imprese che utilizzano ingredienti di buona qualità e rispettano i diritti umani, mentre il 68% vuole rivolgersi a aziende che si impegnano per il miglioramento dell’ambiente e per la riduzione dell’utilizzo di materiali plastici.

Investire per diminuire il proprio impatto ambientale, sostenere iniziative per ridurre la plastica o risolvere alcune criticità ambientali, essere attenti alla provenienza delle materie prime, rispettare i diritti dei lavoratori e migliorare il loro benessere, adottare politiche di inclusione e di abbattimento delle diseguaglianze, supportare iniziative sociali e culturali nel territorio di riferimento: tutte queste sono buone prassi che incidono profondamente su una buona brand reputation.

Non a caso, secondo l’Osservatorio sulla Sostenibilità della Società Italiana Comunicazione, realizzato in collaborazione con Format Research4, la “linea di investimento” più perseguita è quella della sostenibilità che, per il 35,4% delle aziende rappresenta «il modo di fare impresa da qui in avanti» e che per 6 realtà su 10 (58,3%) porta ad un aumento della brand reputation.

Key Word #2: Credibilità

Tornando all’elenco delle risposte dei consumatori, un altro tema che risalta è quello che potremmo definire della credibilità. Quando le persone dicono di apprezzare un brand che “mantiene le promesse”, e che “dimostra autenticità in tutto ciò che fa”, dicono sostanzialmente che non bastano le promesse e gli impegni formali, perché la valutazione si basa sui fatti concreti.

Il rapporto di fiducia che si può instaurare tra un’azienda e gli stakeholder sulla base di valori comuni e condivisi va curato nel tempo ed alimentato da azioni e comportamenti coerenti, che mettono in pratica quanto comunicato con le parole. In questo rapporto tra azienda e stakeholder, diventa fondamentale l’intermediazione di realtà terze, il più possibile oggettive, indipendenti e imparziali, che possano testare e confermare la bontà di ciò che l’impresa dice e fa. Enti di ricerca, istituti che conferiscono dei premi, ma anche stampa, esperti qualificati e influencer possono contribuire ad accrescere la buona reputazione laddove attestino la coerenza e la trasparenza di un’azienda.

D’altro canto, il rischio legato alla perdita di credibilità è altissimo: se il rapporto di fiducia viene tradito, è molto difficile poi recuperarlo. In questo senso, le nuove modalità di comunicazione, in particolare il web, possono rappresentare una grande opportunità ma anche una minaccia. Sono un’opportunità perché consentono alle aziende di comunicare direttamente con gli stakeholder e dare visibilità alle proprie azioni. Tuttavia, la notizia di un possibile “errore” ha potenzialità distruttive, perché si diffonde rapidamente e capillarmente. Senza contare, tra l’altro, il pericolo di essere vittima di “fake news”, che fa sorgere l’esigenza da parte delle aziende di tutelarsi dal rischio reputazionale.

Key Word #3: Customer Experience

Infine, l’ultimo punto dell’elenco stilato in base ai risultati dell’indagine Accenture fa riferimento ai prodotti e servizi e chiama in causa la customer experience. Il prodotto o servizio offerto resta infatti centrale nella valutazione della buona reputazione di un’azienda. Rispetto al passato, tuttavia, la valutazione del consumatore non è più solo sulla qualità del bene o sul prezzo, ma su tutta l’esperienza di acquisto – un processo che inizia quando la persona si rende conto di avere un bisogno, si consolida nel momento in cui acquista il bene o il servizio, e prosegue anche oltre, perché comprende l’assistenza post-vendita e il modo in cui l’azienda conserva e tutela i dati raccolti.

Si tratta quindi della interazione-relazione tra impresa e cliente, che può determinare la reputazione di un brand. Un prodotto di ottima qualità venduto senza assistenza o da un addetto scortese influirà probabilmente in modo negativo sulla valutazione dell’azienda da parte del cliente. E se il cliente deciderà di raccontare la sua esperienza negativa, l’opinione entrerà nel flusso delle informazioni che contribuiscono a creare la reputazione del brand.

Reputazione: sarà la “moneta” del futuro?

La brand reputation è già oggi un asset strategico per le imprese, e probabilmente lo diventerà sempre di più, alla luce della crescente sensibilità dell’opinione pubblica ai temi della sostenibilità ambientale e sociale.

Secondo il Reputation Institute5per migliorare la propria reputazione le aziende devono porsi obiettivi superiori rispetto alle proprie performance economiche e operare coerentemente con questi obiettivi. La qualità dei beni e servizi offerti continuerà ad essere centrale, ma una buona reputazione potrà sempre più fare la differenza nell’ambito della competitività. L’impegno nella sostenibilità ambientale e sociale, l’attenzione alla protezione dei dati dei clienti, oltre che alla loro esperienza di acquisto, l’impegno per il territorio sono aspetti che, in qualche modo, dovranno sempre di più entrare a fare parte del “bilancio” aziendale.

In questo contesto, come si sta muovendo Allianz? Il gruppo, di cui fa parte Darta Saving, ha da tempo intrapreso un strada ben precisa nel segno della sostenibilità, del miglioramento della customer experience6 e della trasparenza come strumento essenziale per costruire una credibilità duratura. Tale impegno è stato riconosciuto da autorevoli realtà che si occupano di misurare la reputazione del brand.
Nel 2017, il gruppo è stato inserito nella classifica stilata da KPMG Nunwood dei 50 migliori brand in Italia per customer satisfaction, e nel 2019 il Reputation Institute ha confermato la presenza di Allianz tra i 150 migliori brand dell’Italy RepTrack7. Questa classifica, che valuta la reputazione dei brand, vede Allianz al terzo posto per i servizi finanziari e al secondo tra le realtà assicurative.


1. https://www.accenture.com/_acnmedia/Thought-Leadership-Assets/PDF/Accenture-CompetitiveAgility-GCPR-POV.pdf
2. http://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/societa_diritti/2019/04/15/rivoluzione-etica-nel-business-e-lora-della-reputation_ee52841e-1ccd-4fdb-a122-8877384fc19f.html
3. Roger Bennett, Rita Kottasz (2000), “Practitioner perceptions of corporate reputation: an empirical investigation”
4. https://www.ilsole24ore.com/art/ambiente-territorio-e-welfare-sostenibilita-piace-imprese-e-fa-bene-conti-AEqOviCF
5. https://www.reputationinstitute.com/reputation-macro-trends
6. https://assets.kpmg/content/dam/kpmg/it/pdf/2017/06/KPMG-2017-L-era-della-Customer-Experience.pdf
7. https://insights.reputationinstitute.com/website-assets/italy-reptrak-2019




Incendi in Australia: il supporto delle grandi imprese

Incendi in Australia: il supporto delle grandi imprese

Gli incendi sono un problema che affliggono la maggior parte
del globo durante i periodi estivi. Quest’anno la sorte peggiore è toccata all’Australia
la quale, a seguito di incendi appiccati spesso con dolo, ha bruciato per mesi.
A farne maggiormente le spese, oltre alla flora locale, sono stati gli animali.
Si stima che circa 500 milioni di animali siano morti a causa delle fiamme.
Visto che la fauna australiana è composta da creature uniche al mondo, in
quanto si sono evolute separatamente nell’isola, si teme che gli incendi
abbiano comportato l’estinzione di almeno una specie. La specie in questione è
un marsupiale endemico, simile ad un topo che abita solo in un’area
all’estremità occidentale dell’isola, completamente distrutta dalle fiamme. A
rischio sarebbero anche i koala, si stima infatti che ne siano morti almeno
25.000 esemplari e i koala australiani sono gli unici al mondo non effetti da
clamidia, un’infezione batterica simile all’hiv. 31 le morti tra le persone e i
danni dal punto di vista economico sono incalcolabili.

Nonostante in Europa queste notizie siano passate un po’ in
sordina, sono molte le aziende che hanno lanciato iniziative per cercare di
sensibilizzare la popolazione e aiutare l’Australia. Tra le varie azioni
promosse, alcune aziende hanno lanciato prodotti in edizione limitata, il cui
ricavato è stato devoluto a favore dell’Australia. Lush, ad esempio, ha
lanciato un sapone a forma di koala il cui ricavato verrà devoluto al Bush
Animal Fund per aiutare i gruppi di salvataggio degli animali mentre Balenciaga
ha lanciato delle felpe e delle t-shirt con disegnato un cucciolo di koala e i
ricavi delle vendite saranno devoluti per la lotta agli incendi.

Il gruppo Kering ha donato oltre un milione di dollari
australiani ad organizzazioni locali di soccorso e Kfc Australia ha devoluto
700 mila dollari alla croce rossa per far fronte al disastro. Unilever Australia
invece elargirà beni primari ma anche prodotti per la pulizia a coloro che sono
rimasti senza casa e si è impegnata ad aiutare i propri partner commerciali in
loco che hanno subito danni.




HUMAN

HUMAN

L’ospite di questa settimana del mio blog è Danilo Piton di HUMAN

Ciao Danilo e benvenuto sul mio blog. La tua società Human è nata pochi mesi fa: da chi è partita l’idea?
Ciao Rossella e grazie per la visibilità che ci offri. L’idea di Human nasce nell’estate del 2017. Discutendo tra amici, ci siamo sentiti soli nella nostra volontà di partecipare alla sfida lanciata dai Sustainability Developements Goals delle Nazioni Unite. Sembrava essere una questione riservata a Stati, Organizzazioni e Aziende, mentre noi crediamo che siano prima di tutto le persone a poter fare la differenza nel contrastare i cambiamenti climatici.
E allora ci siamo chiesti: se le aziende pianificano le loro attività per la sostenibilità, perché non dare anche alle persone la possibilità di realizzare il proprio percorso verso la sostenibilità?
Per questo abbiamo realizzato una web app che permette alle persone di conoscere l’impatto ambientale del proprio stile di vita e di stabilire le azioni per diventare più sostenibili.
Dopodiché possono condividere questo impegno con tutti propri profili social, perché quando facciamo qualcosa di buono è bene che tutti lo sappiano affinché si uniscano a noi.
L’obiettivo di HUMAN è comunicare la bellezza di essere sostenibili per coinvolgere gli altri nel piacere della sostenibilità. Ed ecco che una semplice idea si è trasformata in innovazione e in uno strumento semplice e quotidiano diventa la base per creare una community.
Il problema dei cambiamenti climatici è sempre più attuale. Con la vostra proposta vi rivolgete alle imprese per coinvolgere le persone: ci spieghi meglio?
La HUMAN Web app è lo strumento. Si tratta di un contenitore di “Awareness campaign” con cui vengono affrontati argomenti specifici a tema ambientale e che vengono messe a disposizione delle aziende, affinché possano divenire seminatrici di sostenibilità presso i loro stakeholder.
L’utente, sottoscrivendo una “Campagna di Awareness”, aderisce alla comunità di valori ed esperienze realizzata dalla specifica azienda.
Le Nazioni Unite, con i Sustainability Developements Goals, hanno stabilito i target che devono essere raggiunti dagli stati membri; gli stati membri da parte loro hanno chiesto alle aziende di impegnarsi verso il traguardo comune; le aziende saranno agevolate nel raggiungimento dei loro obiettivi incentivando la diffusione della HUMAN WebApp presso i loro dipendenti e clienti.
Vogliamo raggiungere le aziende che condividono con noi la fiducia nelle persone e la volontà di incentivare la coscienza sostenibile. Crediamo che grazie al coinvolgimento delle aziende potremo ottenere più facilmente la visibilità necessaria a coinvolgere un numero di utenti rilevanti per un cambiamento significativo.
La tecnologia è fondamentale per trovare soluzioni finalizzate alla riduzione dell’impatto ambientale: quanto è stata importante per voi?
Per HUMAN tecnologia significa comprendere l’impatto associato a consumi e comportamenti e disporre della capacità di rappresentazione delle campagne nel contesto digitale identificato.
La certificazione dei processi di misura necessari alla quantificazione degli impatti collegati ai comportamenti degli utenti è stata ottenuta grazie a una collaborazione con il Dipartimento Ingegneria Ambientale del Politecnico di Torino, sotto la direzione scientifica del professor Blengini. I processi di Life Cycle Assessment assegneranno i valori da associare alle singole risposte oggetto di valutazione nelle campagne di Awareness.
La tecnologia ci permette anche di essere flessibili e assecondare i bisogni delle aziende e delle persone. Per esempio: HUMAN non è una app, bensì una web app, e quindi non richiede all’utente di dover scaricare nulla. Offre anche la possibilità di raccogliere e raccontare informazioni rilevanti sull’impegno per la sostenibilità, con una suite completa di strumenti di analisi dei dati, progettata dal team di Human e dai nostri partner tecnologici.
Infine è proprio il nostro team e le sue competenze tecnologiche e trasversali a dare energia a questo progetto, adattandosi velocemente agli obiettivi che le company possono dichiarare, con dinamicità ed entusiasmo.
Quali sono gli obiettivi che vi siete dati per il 2020?
Il 2020 per noi è un anno cruciale, dal 30 gennaio andremo in produzione. I contatti avviati con alcune aziende early adopter ci hanno permesso di mettere a punto la HUMAN App e i Seeding Sustainability, i servizi pensati a supporto delle aziende, in modo da presentare la nostra soluzione al mercato CSR.
Inoltre parteciperemo al Giro d’Italia della CSR per aggiungere la proposta di HUMAN ai vari volti della sostenibilità. Sarà un anno nel quale andremo a mettere a punto il nostro modello di vendita, anche grazie ad alcuni accordi commerciali di distribuzione, con lo scopo di procedere all’internazionalizzazione a partire dal 2021.
Il rafforzamento del Team e l’arricchimento di competenze ci permetterà di dare vita alla nostra vision: realizzare la piattaforma digitale più usata per diffondere le campagne di sostenibilità, e così unire aziende, persone e istituzioni nel miglioramento concreto dell’ambiente.




Ecco come Facebook scopre cosa compri nei negozi fisici per mostrarti pubblicità pertinenti. E come negare il consenso

Ecco come Facebook scopre cosa compri nei negozi fisici per mostrarti pubblicità pertinenti. E come negare il consenso
  • Facebook raccoglie informazioni su quello che compri — tanto online quanto nei negozi fisici — per poterti proporre pubblicità che corrispondono a quegli acquisti.
  • La pratica è uno dei molti modi con cui Facebook sfrutta la sua ricchezza di dati degli utenti per offrire agli inserzionisti strumenti per individuare un pubblico specifico.
  • Analizziamo come Facebook impara a conoscere la tua attività offline, e come negare il consenso.

Se recentemente hai comprato qualcosa in un negozio fisico, potresti avere notato un incremento nella quantità di pubblicità di Facebook collegata a quel negozio o all’articolo acquistato. Il fenomeno — documentato dagli utenti di Reddit e di Twitter — non è una coincidenza.
Tramite le sue partnership con i rivenditori, Facebook sa quello che gli utenti stanno acquistando, tanto online quanto nei negozi reali. I dati vengono quindi impiegati per proporre pubblicità, in base a ciò per cui le persone spendono probabilmente soldi.
Qualsiasi impresa può inviare a Facebook informazioni sui clienti, comprese informazioni identificative convertite in codice, o hashed, come e-mail, nome o numero di telefono, oltre a una traccia dei loro acquisti. Facebook usa quelle informazioni per abbinare gli acquisti ai profili degli utenti, consentendo alle imprese di proporre pubblicità a quelle persone direttamente sulle app di Facebook.
Il servizio di pubblicità è già stato usato da vari clienti pubblicitari di Facebook, tra cui Macy’s e Dick’s Sporting Goods.
Ad agosto Facebook ha implementato uno strumento di “off-Facebook activity” che consente agli utenti di vedere il modo in cui il social network misura le loro attività esterne al sito.
I ricavi pubblicitari rappresentano la gran parte del fatturato di Facebook: dei 17,6 miliardi di dollari guadagnati dalla compagnia nel terzo trimestre del 2019, 17,3 provenivano dalla pubblicità. Gli inserzionisti ricorrono a Facecebook in parte anche per le precise informazioni demografiche offerte a proposito degli utenti, avvalorate dai suoi strumenti che permettono di realizzare pubblicità perfettamente mirate.
Business Insider ha chiesto a Facebook di spiegare in che modo viene a conoscenza degli acquisti offline delle persone. Ecco come funziona il procedimento, e come negare il consenso.
Tutto inizia quando acquisti qualcosa, online o in un negozio. Il distributore può conservare informazioni su di te grazie all’acquisto.

Hunter Martin/Getty Images

Se il distributore vuole proporre a quei clienti pubblicità su Facebook, può inviare a Facebook dettagli di quanto acquistato, insieme a informazioni che potrebbero abbinare quell’acquisto a un profilo Facebook.

Getty Images

Le informazioni di identificazione personale inviate dalle imprese possono includere nome, e-mail, telefono o data di nascita.
A Facebook bastano solo pochi data point da parte dei rivenditori per creare una “custom audience”, ovvero un gruppo di utenti che essa ha rilevato aver fatto acquisti presso quel rivenditore.
Secondo uno studio pubblicato all’inizio dell’anno, gli algoritmi riescono a identificare con certezza le persone in base ad appena pochi data point anonimi — e poche compagnie hanno così tanti dati di utenti quanto Facebook.
Tutte le informazioni identificatrici vengono convertite in codice prima di essere inviate dei rivenditori a Facebook e vengono successivamente cancellate una volta impiegate per abbinare un utente a un acquisto, secondo un portavoce di Facebook.

Associated Press

L’hashing è una pratica comune riguardante la privacy dei dati che converte dati in puro testo in un codice che può essere letto solo da un algoritmo.
Una volta che il dato convertito viene eliminato, resta solo l’abbinamento, Facebook ha cioè usato le informazioni fornite dai rivenditori per abbinare profili di utenti specifici a quell’azienda.

NOAH BERGER/AFP via Getty Images

A questo punto, i rivenditori possono comprare spazi pubblicitari su Facebook che verranno mostrati direttamente alla “custom audience” di utenti a loro abbinati.
 

Getty

Sono molti i rivenditori che usano questi strumenti pubblicitari, compresi Macy’s e Dick’s Sporting Goods.

Business Insider/Jessica Tyler

“Con le custom audience dedotte dalle visite ai negozi  abbiamo coinvolto nuovamente i clienti passati in uno dei nostri negozi con una pubblicità mirata su Facebook”, è quanto detto in una dichiarazione da parte di un portavoce di Dick’s Sporting Goods. “E, usando un pubblico molto simile formato da persone corrispondenti a quelle che hanno visitato il nostro negozio, abbiamo dischiuso un pubblico più ampio di nuovi clienti da raggiungere, incrementando il passaggio in negozio e le vendite”.
Un portavoce di Macy’s ha detto che il rivenditore ha usato le pubblicità Facebook per aumentare le vendite nei negozi. “Siamo incoraggiati dai risultati positivi osservati nei negozi ed entusiasti di continuare a provare il pacchetto offline di Facebook per alimentare la nostra crescita”, ha detto il portavoce.
Gli utenti possono negare il consenso alle inserzioni basate su eventi offline selezionando “Inserzioni” nelle impostazioni di Facebook e disabilitando “Inserzioni basate sui dati raccolti dai partner”.

Facebook

La sezione  “Inserzioni” di un utente Facebook è raggiungibile da qui.
Facebook offre anche uno strumento che permette alle persone di controllare se una pubblicità è rivolta specificatamente a loro. Per usarlo, seleziona “Perché visualizzo questa inserzione?” dal menu a tendina nella pubblicità in alto a destra.
 

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