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LEGO è Superbrands of the year 2019

LEGO è Superbrands of the year 2019

Superbrands Awards 2019, internazionalmente considerati gli “Oscar” per i brand.

I Superbrands Awards hanno celebrato il 3 dicembre, nell’incantevole cornice della Cattedrale della Fabbrica del Vapore di Milano, l’eccellenza di marca e l’impegno di chi continua ad investire sui valori di brand mettendo il rispetto e la sostenibilità al centro delle proprie strategie di crescita.

Superbrands, la più importante iniziativa di aggregazione dell’eccellenza di brand a livello globale, presente in oltre 90 nazioni nel mondo, ha celebrato l’assegnazione dei prestigiosi Superbrands Awards 2019, internazionalmente considerati gli “Oscar” per i brand.
Il “Superbrands of the year 2019”, votato dal Superbrands Council (*) dopo un attento esame delle performance di marca e partendo dagli S-factors (**) che sono alla base del modello di valutazione Superbrands, è andato a Lego, la multinazionale danese che da sempre ispira la fantasia e la creatività di milioni di bambini in tutto il mondo.
All’insegna del motto “Only the best is good enough”, il Gruppo Lego è fortemente impegnato nello sviluppo della creatività dei bambini e ha l’obiettivo di ispirare i costruttori del domani tramite il gioco e l’apprendimento. Il sistema di gioco ruota attorno ai mattoncini che possono essere continuamente uniti e smontati in infinite combinazioni: unico limite la fantasia.
Come ricordato da Camillo Mazzola, direttore marketing di Lego Italy, nel ritirare il riconoscimento.
Un premio speciale è stato conferito a Monica Contrafatto, medaglia d’argento nei centro metri agli ultimi Mondiali Paralimpici svoltisi a novembre a Dubai. Monica, donna, caporal maggiore dei Bersaglieri e atleta, ha ricevuto il Superbrands Award 2019 come esempio della tenacia, della grinta e della sportività italiana nel Mondo.
Nel corso della cerimonia, è stato consegnato a Fastweb il “Superbrands Award for Innovation” per la sua continua ricerca tecnologica e spinta verso il futuro.
San Benedetto è stato premiato con il “Superbrands Award for Authenticity” per il costante impegno e la trasparenza nei confronti dei propri consumatori.
Il “Superbrands Award For Responsabilty” è andato a Leroy Merlin per i continui progetti volti alla sostenibilità e le numerose iniziative attivate direttamente sul territorio a favore dei più svantaggiati.
Sono 31 i prestigiosi brand che hanno ricevuto lo status di Superbrands 2019: Amplifon, ARAN Cucine, Beko, Bottega Verde, CheBanca!, Disney, Ducati, Fastweb, Ferrero Rocher, Flormidabil, Folletto, Genertel, Grundig, ING, L’albero della vita, Le Naturelle, Lego, Moby, Mondadori Store, Mulino Bianco, NEXI, Post-IT, RE/MAX, San Benedetto, Silaq, SisalPay, THUN, Tupperware, Vaillant e ZETA Service.
La serata ha visto la consegna delle prime copie del volume “Superbrands 2019. Il libro delle grandi marche” (con la cover disegnata dagli studenti del corso di Grafica dello IED Torino, sotto la guida del Maestro Ugo Nespolo): oltre 150 pagine riccamente illustrate che celebrano le storie di successo di tutti i brand che hanno aderito all’iniziativa.
Il volume sarà presto disponibile nelle principali librerie Mondadori e scaricabile online dal sito Superbrands.
Durante la serata sono stati serviti i vini argentini della Via Dell’Abbondanza e si è potuto assistere allo show cooking dello chef del gelato Massimiliano Scotti.
A fine serata un Award Speciale è stato consegnato da Barbara Picollo, Country Manager Italia, a Sergio Tonfi, Editor di Superbrands, che ha deciso di ritirarsi dal mondo della Comunicazione per dedicarsi alle sue grandi passioni: la fotografia e i viaggi.
“Per essere Superbrands occorre andare ben oltre la normalità perché quella non basta più per farsi amare e desiderare dalle persone” dichiara Barbara Picollo, Ceo Superbrands. “I brand celebrati nel programma 2019, hanno dimostrato il coraggio di fare la differenza con un’innovazione rilevante, studiata sui desideri della gente, con l’autenticità di una relazione basata sul rispetto reciproco e con la responsabilità di chi sa di avere un ruolo determinante nel fare del nostro mondo, un mondo migliore”.
Per conoscere di più dell’evento: www.superbrandsaward.it


Superbrands è la più importante iniziativa di valorizzazione delle marche a livello globale ed è presente in oltre 90 paesi nel mondo: Il suo obiettivo è identificare e celebrare quei brand che continuano a credere negli investimenti in innovazione, comunicazione e sostenibilità per costruire un valore distintivo e garantire un’esperienza di eccellenza riconosciuta da clienti e consumatori. Superbrands propone un programma di certificazione e qualificazione che comprende incontri di networking, attività di PR, partnership media, eventi in collaborazione con le più importanti Università e culmina con l’assegnazione dei “Superbrands Awards” e la pubblicazione annuale del prestigioso volume “Superbrands: il libro delle grandi marche”.
(*) Il Superbrands Council 2018 è composto da: Laura Cantoni (AD Astarea), Angelo Di Gregorio (Università Bicocca), Andrea Fagnoni (Chief Client Officer Ipsos), Andrea Farinet (Università LIUC), Maria Luisa Galbiati (Politecnico di Milano), Vicky Gitto (Presidente ADCI), Patrizia Musso (Fondatore di Brandforum.it), Maria Carmela Ostillio (Università Bocconi, Maria Angela Polesana (Università IULM), Carlo Alberto Pratesi (Università Roma Tre), Fabrizio Valente (Presidente KikiLab), Pierdonato Vercellone (Docente Universitario) Nicoletta Vittadini (Università Cattolica).
(**) Gli S-Factors alla base del modello di eleggibilità a Superbrands sono: TRUST, il livello di fiducia che la marca ha saputo generare con il suo pubblico, LEADERSHIP, la componente di presenza rilevante e di successo nel tempo, DIALOGUE, la capacità di generare una relazione positiva, trasparente e vera attraverso gli strumenti della comunicazione, SOCIETING, il ruolo della marca nel proporre soluzioni che migliorano la qualità della vita e promuovono lo sviluppo di un modello economico che tiene conto delle istanze ambientali e sociali oltre che di quelle economiche e DYNAMISM, la forza innovatrice che porta la marca a perseguire costantemente la crescita attraverso l’offerta di soluzioni che rappresentano significativi passi avanti nella soddisfazione dei bisogni del mercato. I cinque S-Factors sono poi distillati in tre Super Drivers che definiscono il DNA dell’essere Superbrands: INNOVAZIONE, AUTENTICITA’, RESPONSABILITA’.




Contrordine, l’albero di Natale vero è meglio di quello di plastica

Contrordine, l'albero di Natale vero è meglio di quello di plastica

Per quelli artificiali, pesano molto il trasporto e lo smaltimento come rifiuti. A meno che non vengano riusati da un anno all’altro. In molte case e piazze d’Italia si scelgono abeti naturali, ma certificati e provenienti da boschi vicini. Consigli su cosa fare dopo le feste

Scegliere un albero vero per le feste di Natale è un comportamento più sostenibile rispetto all’acquisto di uno in plastica. Ad affermarlo è il Pefc Italia, l’ente normatore della certificazione della buona gestione del patrimonio forestale. Le emissioni di produzione e smaltimento di un albero in plastica sono infatti pari a 4 volte quelle di un albero vero e ad incidere maggiormente è il trasporto. E’ importante dunque acquistare alberi che provengano da una filiera corta e locale.

Senza contare che gli alberi finti derivano dal petrolio e devono essere smaltiti come rifiuti speciali. Secondo uno studio di Coldiretti, i cinque milioni di abeti in plastica che vengono in media acquistati ogni anno emettono gli stessi gas di sei milioni di chilometri percorsi in macchina. “Scegliere un abete vero per il periodo natalizio significa mettere in casa una creatura vivente che respira, assorbe anidride carbonica e rilascia ossigeno e olii essenziali che purificano l’abitazione”, dichiara Maria Cristina d’Orlando, presidente del Pefc Italia. “E soprattutto, significa sostenere le comunità locali, le aree interne del nostro paese, creando una relazione positiva fra città e montagna e prendendo le distanze da sistemi produttivi lontani da noi e incompatibili con l’ambiente”. La provenienza dell’albero di Natale è importante: infatti più è vicino il luogo di coltivazione o il bosco dal quale è stato prelevato, minore sarà l’impatto sull’ambiente per il trasporto.

L’ORIGINE DEGLI ALBERI

Gli abeti italiani disponibili sul mercato natalizio derivano per il 90% da coltivazioni specializzate gestite da oltre mille piccole aziende agricole italiane. Il restante 10% (i cosiddetti cimali o punte d’abete), può derivare da normali pratiche di gestione forestale che prevedono interventi di diradamento indispensabili per far sviluppare meglio le foreste o di pulizia dopo eventi meteorici estremi (come accadde un anno fa, con la tempesta di vento Vaia). Altro elemento decisivo nella scelta dell’albero di Natale è la certificazione che garantisce la massima trasparenza in termini di tracciabilità, legalità, e rispetto dell’ambiente. Garanzia di queste caratteristiche è il logo Pefc che è lo schema più diffuso in Italia e nel mondo per la certificazione della gestione forestale sostenibile.

NELLE PIAZZE ITALIANE

Quest’anno, dal Vaticano a Finale Emilia, sono tanti gli alberi di Natale certificati che abbelliscono le città. A dare l’esempio, tra gli altri, Piazza San Pietro, il Quirinale, la Camera dei deputati e il ministero delle Politiche Agricole e Forestali che festeggeranno il Natale in maniera sostenibile e certificata: hanno infatti scelto di abbellirsi con alberi di Natale provenienti da boschi e foreste certificati Pefc. In particolare, l’albero del Vaticano arriva quest’anno dall’Altopiano di Asiago: alto 26 metri e pesante 52 quintali, con diametro di 70 centimetri alla base è stato donato insieme a una ventina di alberi più piccoli dal Consorzio di usi civici di Rotzo-Pedescala e San Pietro in provincia di Vicenza. “L’albero proviene da un bosco certificato Pefc, scelto in modo da diradare e garantire la continuità e l’equilibrio del bosco. Proviene dalle operazioni di sistemazione di una zona colpita lo scorso anno dalla Tempesta Vaia”, spiega Antonio Brunori, segretario generale Pefc Italia. Due abeti rossi della zona del Pian del Cansiglio (Bl-Tv) certificata Pefc saranno invece protagonisti del Natale della cittadina emiliana di Finale Emilia (Mo).

E NELLE CASE

L’albero naturale di Natale trova spazio quest’anno nelle case di 3,5 milioni di famiglie per una spesa media di 42 euro, come conseguenza della tendenza dei consumatori ad acquistare degli abeti di varietà particolari, ma anche più costose rispetto al tradizionale abete rosso. È quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixè. “L’albero di Natale è irrinunciabile per l’88% delle famiglie italiane anche se – sottolinea Coldiretti – la maggioranza degli italiani (55%) sceglie ancora l’albero sintetico recuperato dalla cantina” (in questo caso i problemi di smaltimento e inquinamento ovviamente non esistono). “L’albero vero tende a rimpicciolirsi non solo per questioni economiche ma anche – continua la Coldiretti – per la facilità di trasporto e del minor numero di metri quadrati disponibili per abitazione. Il risultato – precisa la Coldiretti – è che negli ultimi quindici anni la dimensione l’albero di Natale si è accorciato in media di quasi mezzo metro ed oggi la maggioranza degli abeti acquistati dagli italiani hanno una altezza inferiore al metro e mezzo. In molti casi non superano neanche il metro”. Oltre che per l’altezza, prosegue Coldiretti, “i prezzi variano a seconda delle varietà. Gli abeti più piccoli che non superano il metro e mezzo saranno venduti anche quest’anno a prezzi variabili tra i 10 e i 60 euro a seconda della misura, della presenza delle radici ed eventualmente del vaso, mentre per le piante di taglia oltre i due metri il prezzo sale anche a 200 euro per varietà particolari”.

COSA FARE DOPO LE FESTE

Passate le feste, gli alberi recisi e quelli in vaso che non si vogliono mantenere per gli anni successivi, dovranno poi essere smaltiti in modo corretto, portandoli nelle isole ecologiche: in questo modo saranno trasformati in compost utile alla crescita di nuove piante. Ripiantare gli alberi dei vasi in bosco potrebbe non essere, invece, la scelta migliore. Collocarli in boschi significa creare potenziali problemi ecologici (l’abete non fa parte dei boschi naturali di pianura/collina) e di inquinamento genetico (non possiamo conoscere il patrimonio o le malattie dell’albero). Meglio quindi scegliere, ove possibile, il proprio giardino di casa; ma attenzione, le piante sempreverdi hanno radici molto superficiali e quindi potrebbero diventare un pericolo se crescessero troppo in alto.




Xilitolo, un’alternativa ecosostenibile allo zucchero

Mater artium necessitatis, letteralmente ‘’la necessità è la madre delle abilità’’ dicevano i latini. E se il detto è stato tramandato fino a noi è perché vi è un fondo di verità. è il caso di Javier Larragoiti, giovane chimico che ha dedicato la sua vita a trovare un’alternativa allo zucchero per aiutare il padre diabetico

Nonostante le motivazioni personali del giovane, che a 18 anni si è dedicato alla chimica, questa innovazione appare molto promettente per l’ambiente in quanto il Messico è uno dei paesi più inquinati e la maggior parte dell’inquinamento deriva dalla combustione dei rifiuti agricoli. Il diabete – inoltre – colpisce il 40% della popolazione messicana.

Javier, visitando una fattoria, si accorse di quanti scarti di mais venivano prodotti. Decise quindi di studiare una tecnica che permettesse di estrarre lo xilitolo, un dolcificante adatto ai diabetici e che contiene meno calorie dello zucchero, dal mais. Nel mais infatti è presente in abbondanza lo xilosio, dal quale si produce lo xilitolo.

Lo xilitolo è usato come dolcificante alimentare già dagli anni ’50 ma l’approccio di Larragoiti è nuovo. Finora infatti lo xilitolo veniva estratto dagli alberi di betulla, con un processo molto costoso mentre ora, per la prima volta, la sostanza viene estratta dagli scarti del mais, una materia prima economica che non richiede alcuna lavorazione aggiuntiva

Larragoiti ha ingegnerizzato un processo chimico innovativo per produrre xilitolo. Questo processo, che permette di sostenere costi inferiori del 50% rispetto l’estrazione di xilitolo dalla betulla, consiste nella fermentazione di una varietà locale di lievito ad alte prestazioni a soli 30° e in normali condizioni di pressione atmosferica. Questo processo non solo produce xilitolo, ma anche sottoprodotti riutilizzabili, come cellulosa e lignina, che possono essere utilizzati per rigenerare il 50% dell’energia consumata dal processo stesso.

Questa scoperta ha subito attirato l’attenzione di studiosi e investitori. Il direttore del programma di studi post-laurea presso la Biotechnology and Food Products School del Monterrey Institute of Technology and Higher Education (Messico), Jorge Welti, ha dichiarato che “il metodo di produzione e le materie prime impiegate sono innovative, attraverso l’applicazione di un processo biotecnologico che ha reso più ecologico, sostenibile e rispettoso dell’ambiente”.  Insieme ad altri quattro investitori Larragoiti ha fondato la società XiliNat e creato un impianto pilota iniziale per il debug e il perfezionamento del processo. Parallelamente all’assunzione di nuovi investitori, il giovane sta creando impianti di estrazione di xilitolo vicino a importanti centri agricoli, dove i produttori possono offrire il massimo beneficio. Mentre gli sforzi di Larragoiti si concentrano sullo sviluppo commerciale dello xilitolo, altri gruppi di ricerca stanno anche studiando nuovi usi per il resto dei prodotti di scarto generati dal processo.




Real estate americano sempre più accessibile grazie ad aziende innovative

A seguito della crisi del 2008 il valore degli immobili americani è drasticamente crollato. Oggi invece negli USA, il real estate si è riconfermato essere un ottimo investimento, tanto che gli investimenti immobiliari in alcune zone degli Stati Uniti hanno un rendimento a doppia cifra. Se da una parte la prospettiva di un guadagno simile può rilevarsi appetitosa d’altro canto è richiesto un investimento iniziale rilevante, che non tutti possono permettersi, e per gli operatori europei si aggiungono tutti quei costi informativi e tecnici necessari per chiudere i contratti. Infatti, la complessità e la burocrazia dietro il trasferimento internazionale di capitali nel sistema bancario ostacolano l’investitore estero nell’acquisto di proprietà americane.

A semplificare questo contesto è intervenuto RealToken. L’azienda facilita l’investimento negli immobili situati negli Stati Uniti utilizzando una proprietà tokenizzata e frazionata. Con il semplice acquisto di un token online quindi si può acquistare una parte dell’immobile che ci interessa e ricevere un rendimento annuo fisso prestabilito in fase contrattuale che si aggira tra il 9% e il 14%.

Modello di business di realtoken

In quanto è impossibile, ad oggi, tokenizzare gli immobili, il modello di business di realtoken prevede che si crei una società di gestione per ogni immobile la quale si occupa di riscuotere gli affitti e gestire le riparazioni. A essere tokenizzate saranno quindi queste società, che possiamo chiamare figlie, il cui unico asset è la proprietà di riferimento. Ciascuna società avrà un numero finito di token che rappresentano una parte della proprietà dell’immobile. Sulla base della quota di token, i proprietari possono raccogliere entrate dell’affitto. Non è realistico immaginare che diverse persone in tutto il mondo possano coordinare le decisioni sulla gestione della proprietà, esse rimangono quindi in capo società di gestione, la quale richiede un coinvolgimento minimo necessario ai proprietari di RealToken. Idealmente ai proprietari di RealToken non verrà mai chiesto nulla di significativo nella gestione dell’immobile

Un caso
pratico

Ad esempio un immobile residenziale a Detroit sulla Fllerton Avenue, di 1337 metri quadri, con inquilini che pagano 99.600 dollari l’anno di affitto, rende il 12,5% annuo netto e il prezzo minimo, cioè il prezzo unitario di un token che rappresenta una frazione della proprietà è di 161,84 dollari. Questo modello può anche andare a favore degli stessi affittuari. Se un inquilino si trova ad affittare una proprietà RealT, ha la possibilità di acquistare i RealTokens per la proprietà. Mentre l’acquisto di tutti i RealTokens potrebbe essere al di fuori dei mezzi dell’inquilino, il frazionamento della proprietà gli consente di acquistarne un numero più ragionevole. Da quando acquista i RealTokens, l’inquilino sta effettivamente pagando l’affitto a se stesso. Se l’inquilino riesce a permettersi ⅓ di una casa, può acquistare i diritti di ⅓ dell’affitto che sta pagando. Attraverso l’acquisto di ⅓ RealTokens, sta effettivamente riducendo il loro affitto di ⅓. La riduzione del loro costo della vita può aiutare a consentire l’acquisto di RealTokens futuri.




Ancora sul Greenwashing: il caso Coca-Cola Life

https://www.techeconomy2030.it/2019/11/04/coca-cola-life-greenwashing/

Quanti modi ci sono per fare Greenwashing? Come tutte le strategie di marketing, anche questa può essere applicata e declinata in diversi modi in base all’obiettivo che si vuole raggiungere.

E se Volkswagen ha pubblicizzato in lungo e in largo il proprio interesse per i desideri del proprio pubblico, mentre Ben & Jerry’s si è schierata in difesa della barriera corallina australiana guadagnandosi una bella vetrina di visibilità positiva, c’è anche chi decide di dare letteralmente una mano di verde al proprio brand.

Ne è un caso celebre una delle ultime nate in casa Coca-Cola: Coca-Cola Life.

Foto via: coca-colaitalia.it

Il caso Coca-Cola Life non è certo recente, ma è un ottimo esempio di Greenwashing, nel senso più letterale del termine: lanciata principalmente in alcuni Paesi europei e dell’America Latina tra il 2013 e il 2016 – Coca-Cola Life si proponeva come una bibita a basso contenuto calorico grazie alla presenza della stevia utilizzata come dolcificante al posto dello zucchero. Una bevanda che veniva presentata come un prodotto “sano” e che voleva legare l’inconfondibile brand Coca-Cola ai concetti di benessere e salutismo.

A rimarcare il concetto c’era poi l’etichetta color verde – invece del classico rosso – a voler suggerire e rafforzare le idee di “naturale ” e “sostenibile”. Insomma, una bella “mano di verde” su uno dei brand universalmente più controversi del mondo dell’industria alimentare, nonché uno dei prodotti più “sotto accusa” quando si parla di cattiva alimentazione e di uno stile di vita poco sano.

Ma, come sappiamo, Coca-Cola Life ha avuto vita breve: entro la fine del 2017 il prodotto ha subito un profondo re-branding adottando un lungo e complesso Coca-Cola Zero Calorie anche con estratto di stevia, eliminando la dicitura “Life” e modificando anche l’etichetta che, tuttavia, ha mantenuto in parte il colore verde.

L’operazione GreenWashing di Coca-Cola ha funzionato fino a un certo punto: da una parte, infatti, i consumatori in cerca di un prodotto con un minor apporto calorico erano già stati “soddisfatti” dalle esistenti versioni di Coca-Cola Zero e Light. Dall’altra, invece, un’etichetta verde e l’utilizzo dolcificante di origine naturale non sono stati sufficienti a cambiare la percezione del brand agli occhi dei suoi detrattori che, invece, hanno colto l’occasione per sottolineare come il nuovo prodotto non fosse in realtà così salutare come promesso.

Lesson Learned: Cercare di cambiare la reputazione di un brand storicamente considerato “poco green” dal pubblico è un percorso lungo e complesso che non può essere affidato a una semplice operazione di marketing. Anzi: pensare di “cavarsela” con il lancio di un nuovo prodotto potrebbe rivelarsi un buco nell’acqua per l’intero brand.