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È italiana la nave anti-plastica più grande al mondo. Ha droni e sottomarino

Fincantieri l’ha costruita in Romania e presto veleggerà per gli oceani. Ricerca, studi e divulgazione sono gli obiettivi del progetto di un ex petroliere norvegese

Il Pianeta ha un nuovo alleato contro plastica e gas serra: una nave di 183 metri che solcherà gli oceani per proteggere e studiare gli ecosistemi marini. Rev Ocean è un gigante costruito da Fincantieri in Romania, a Tulcea, da dove è partita verso la Norvegia per un collaudo finale prima delle sue spedizioni in tutto il mondo. Sulla Revo Ocean sarà attivo anche un inceneritore in grado di trattare quasi tutti i rifiuti, anche la plastica, ed è stato pensato proprio per non scaricare tutta l’immondizia prodotta a bordo nei Paesi che verranno toccati dalla crociera . Le emissioni, garantiscono sul sito ufficiale, saranno ridotte al minimo ed ecologicamente sostenibili. La ciurma complessiva sarà di 35 membri dell’equipaggio e 55 scienziati per quanto riguarda i viaggi di ricerca, ma saranno possibili anche delle sorte di crociere con 28 passeggeri che potranno prendere parte a queste spedizioni green.

Foto: www.revocean.org

Perché una nave?

Rev Ocean è stata finanziata dal filantropo norvegese Kjell Inge Rokke, un imprenditore miliardario con un passato nell’industria petrolifera. L’investimento su un progetto green per il bene del Pianeta è stato un gesto per farsi “perdonare” i tanti anni passati in un settore resosi responsabile di disastri ambientali. Tanta la tecnologia a basso impatto su ambiente e fauna marina che è stata installata sulla nave, come quella che recupera il calore sfruttato poi per creare acqua dolce e il sistema di riduzione di suoni e vibrazioni. Sul sito ufficiale è possibile esplorare la nave.

Foto: www.revocean.org




Trust in Communicators: i risultati 2019

Conta più chi l’ha detto rispetto a ciò che viene detto e i soggetti esterni all’azienda riscuotono più fiducia dei professionisti della comunicazione. Sono alcune delle evidenze emerse da Trust in Communicators, la ricerca di Euprera che indaga la fiducia nei professionisti della comunicazione.


Una nuova ricerca rivela alti livelli di sfiducia nei confronti dei portavoce delle aziende, mentre gli esperti esterni riscuotono più fiducia presso l’opinione pubblica. I sostenitori esterni delle organizzazioni riscuotono infatti più fiducia rispetto a dirigenti, professionisti delle relazioni pubbliche ed esperti di marketing da parte dell’opinione pubblica. Un team di ricercatori europei ha esplorato sia il significato di questo quadro mutevole per i professionisti della comunicazione sia il processo di costruzione della fiducia nelle organizzazioni.
Lo studio è stato condotto da rinomati ricercatori dell’Università di Lipsia, dell’Università di Leeds Beckett e dell’Università IULM di Milano, e supportato da Cision Insights e Fink & Fuchs. I ricercatori tedeschi, inglesi e italiani hanno condotto una serie di sondaggi rappresentativi in ​​ciascuno dei rispettivi Paesi. I sondaggi miravano a indagare i dati sulla fiducia del pubblico nei confronti dei dirigenti delle organizzazioni, dei giornalisti, dei professionisti delle relazioni pubbliche (RP) e del marketing e a confrontarli con il livello di fiducia negli altri sostenitori che parlano a nome delle organizzazioni. I ricercatori hanno anche condotto un sondaggio tra i professionisti della comunicazione negli stessi Paesi. Questo sondaggio mirava a capire come i professionisti valutano la fiducia del pubblico nella loro professione.
La ricerca ha evidenziato che i professionisti della comunicazione riscuotono più fiducia e sono riconosciuti maggiormente nel Regno Unito rispetto a Germania e Italia. Nonostante ciò, il pubblico rivela un alto livello di sfiducia nei confronti di questi professionisti (vedere la Figura 1). È stato individuato un divario di fiducia, che si sta colmando, tra professionisti della comunicazione e giornalisti, ma non così ampio come previsto.
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Le informazioni sulle organizzazioni sono spesso diffuse da persone che non sono professionisti della comunicazione, ad esempio da sostenitori dell’organizzazione come clienti (fan, brand ambassador), esperti del settore (accademici, consulenti) o attivisti con gli stessi interessi. Lo studio ha dimostrato che gli esperti del settore riscuotono più fiducia rispetto a questi sostenitori, ma sono comunque tutti più fidati rispetto ai professionisti della comunicazione (vedi Figura 2). Gli sforzi dovrebbero essere focalizzati sul consentire a questi gruppi di sostenitori di promuovere il processo di costruzione della fiducia.
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La ricerca ha rivelato che l’opinione pubblica percepisce in maniera confusa gli obiettivi e le attività dei professionisti delle relazioni pubbliche (vedi figura 3). Mentre i professionisti della comunicazione fraintendono il giudizio dell’opinione pubblica su di loro e ne sopravvalutano la fiducia. Questi professionisti, inoltre, giudicano erroneamente il loro ruolo nel processo di rafforzamento della fiducia e ignorano la fiducia del pubblico nei confronti dei sostenitori esterni.
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A commento del nuovo studio, la Prof. Stefania Romenti, responsabile della parte italiana della ricerca, afferma: “Questa ricerca è frutto della partnership che il Centro di ricerca per la comunicazione strategica, da me diretto presso l’Università IULM, ha stretto con l’European Communication Monitor (ECM), l’indagine più estensiva condotta in 46 paesi sul ruolo strategico giocato dalla comunicazione nelle organizzazioni. Dall’edizione 2019 dell’ECM era emerso che in particolare in UK, Germania e in Italia il livello di fiducia tra comunicatori, organizzazioni e opinione pubblica è più critico rispetto ad altri contesti culturali. Per questo motivo abbiamo deciso di realizzare una nuova ricerca incentrata sul ruolo della fiducia nelle diverse figure di comunicatori che a vario titolo rappresentano le organizzazioni. I risultati rappresentano uno spunto di riflessione operativo per i professionisti e li supportano nella selezione delle figure più adeguate a esprimersi in rappresentanza delle imprese”.


La ricerca
La ricerca “Trust in Communicators” è diviso in due parti.  Innanzitutto, abbiamo intervistato i comunicatori d’impresa attraverso uno studio quantitativo in tre Paesi: Germania, Italia e Regno Unito, per comprendere la percezione della fiducia nei confronti dei comunicatori. Successivamente, abbiamo confrontato le loro opinioni con le percezioni della fiducia nei confronti dei professionisti della comunicazione negli stessi Paesi da parte della popolazione complessiva.
Sulla base di ricerche precedenti e della letteratura esistente sulla fiducia nei professionisti della comunicazione, è stato costruito un elenco di dichiarazioni per rilevare il livello di fiducia o sfiducia in tutti i tipi di comunicatori che possono parlare a nome di un’organizzazione e dei giornalisti che si occupano delle organizzazioni. Inoltre, sono state delineate delle dichiarazioni relative alle attività delle relazioni pubbliche. Il sondaggio si basa su un campione rappresentativo di adulti di età compresa tra 16 e 64 anni provenienti da Germania, Italia e Regno Unito (intervistati tramite “omnibus” online nella primavera del 2019 da Kantar TNS). Inoltre, i professionisti della comunicazione sono stati esaminati contemporaneamente nell’ambito della ricerca annuale European Communication Monitor (communicationmonitor.eu).




La guerra che l’ISIS sta perdendo online

La batosta è stata programmata. Un’azione congiunta, tra il 21 e il 24 novembre, coordinata dal quartier generale dell’Europol all’Aia insieme a 9 servizi online, tra cui Google, Files.fm, Twitter, Instagram e Telegram. Obiettivo: riportare alle piattaforme una montagna di segnalazioni sulla propaganda dell’ISIS (o Stato Islamico), raccolte dall’unità specializzata nell’investigare contenuti su Internet (la Internet Referral Unit), video, pubblicazioni, account sui social media. Le due giornate hanno portato in tutto alla segnalazione di oltre 26mila contenuti, ma anche account e canali, a sostegno del’ISIS, che poi i vari servizi online hanno valutato in base ai propri termini di servizio ed eventualmente rimosso.

Il giro di vite di Telegram

Una parte consistente di queste segnalazioni, spiega sempre in vari comunicati l’Europol, l’agenzia Ue di contrasto al crimine, ha riguardato proprio materiali, account, gruppi e canali su Telegram. Di conseguenza, “una porzione significativa di attori chiave della rete dello Stato Islamico su Telegram è stata buttata fuori dalla piattaforma”, scrive ancora l’agenzia, sottolineando lo sforzo attuato da Telegram nell’ultimo anno e mezzo per “sradicare” chi abusa del suo servizio sia “rafforzando le sue capacità tecniche nel contrastare contenuti malevoli, sia instaurando una stretta partnership con l’Europol”. Stessi toni trionfalistici anche nel comunicato della app di messaggistica fondata da due fratelli russi (poi emigrati altrove insieme all’azienda). “Dopo gli attacchi ISIS in Europa abbiamo tolleranza zero per la loro propaganda sulla nostra piattaforma”, ha scritto uno dei due cofondatori, Pavel Durov sul suo canale. “Nel contempo, continueremo a difendere il diritto assoluto dei nostri utenti alla privacy come nessun altro servizio, dimostrando che non devi sacrificare la privacy per la sicurezza. Puoi avere – e dovresti avere – entrambe”.
Dunque ci sono due elementi che emergono da queste giornate e che andrebbero sottolineati: la rete dell’ISIS è stata di fatto in gran parte smantellata su Telegram. Europol ha riconosciuto pubblicamente lo sforzo della piattaforma, polverizzando con un comunicato anche l’immaginario mediatico che dipingeva sempre tale app come un ricettacolo di terroristi che comunicano in modo cifrato – come se Telegram avesse il monopolio della cifratura poi, oggi è semmai difficile trovare una app di messaggistica decente che non sia cifrata.
Inoltre questo nuovo corso fra Telegram-Europol (e governi occidentali) è politicamente interessante di per sé, anche se non è chiaro cosa implichi (una ipotesi: il massimo della collaborazione sul terrorismo in cambio di una non-belligeranza su altri fronti?).
Un dato è certo: lo sforzo di Telegram c’è stato, commenta a Valigia Blu Michael Krona, professore di media e comunicazione alla svedese Malmo University e autore del recente saggio The Media World of ISIS. “È interessante il fatto che nei giorni successivi all’azione dell’Europol, la stessa Telegram abbia continuato a chiudere account a una velocità che non avevano mai avuto prima”, prosegue Krona. “Anche se c’è ancora attività sulla piattaforma, questa è stata ridotta in modo significativo e i nuovi canali che aprono sono chiusi nel giro di una o due ore. A rendere possibile tutto ciò probabilmente una combinazione di filtri automatici – dato che molte aziende tech hanno rafforzato le loro capacità tecniche così come le policy nella ricerca di materiale terroristico online – e di segnalazioni umane. Ritengo tuttavia che Telegram abbia avuto la capacità di chiudere account da molto tempo, ma per una ragione o l’altra non lo abbia fatto. Non so se o cosa gli sia stato offerto in cambio della cooperazione con Europol”.

Sostenitori dell’ISIS dispersi online

Ma il terzo dato interessante è che, come conseguenza del giro di vite, i soggetti pro-ISIS sono stati dispersi e si sono messi in cerca di altre piattaforme; e questo ha prodotto un po’ di agitazione negli analisti e osservatori. Ma al momento, come può confermare anche Valigia Blu, continuano ad avere vita dura.
Dopo le cancellazioni su Telegram e su altri grossi social, la propaganda pro-Stato Islamico ha infatti iniziato a spostarsi altrove, come hanno notato vari osservatori, dalla giornalista Rukmini Callimachi allo stesso Michael Krona. Ma a dirlo erano gli stessi protagonisti, cioè alcuni nodi informativi dell’ISIS, come Quraysh che, secondo Jihado Scope e altriavvertiva della cancellazione di migliaia di account su Telegram consigliando di fare dei backup.
Una parte dei profili ha iniziato a ricrearsi su altre app di messaggistica, in particolare su TamTam, dove sarebbe apparsa anche una rivendicazione per l’attacco sul ponte di Londra del 29 novembre, riferiscono alcuni ricercatori.

Il tentativo (fallito) di riparare su TamTam

TamTam è una app di messaggistica molto simile a Telegram, lanciata nel 2017 dal gruppo russo Mail.ru (una delle maggiori aziende internet del Paese, lo stesso che controlla il social network Vkontakte) e basata a sua volta su una precedente app, OK Message. Nel 2018, proprio mentre Telegram era ai ferri corti con Mosca e non voleva consegnare ai servizi di sicurezza le chiavi di cifratura con cui protegge una parte delle conversazioni degli utenti, al punto da essere bloccata (con poca efficacia a dire il vero) dalle autorità, TamTam ne approfittava per farsi pubblicità e racimolare utenti. Questa volta però gli iscritti raccolti e ricevuti da Telegram sarebbero stati alquanto scomodi.
È anche vero che da subito qualcuno ha notato come in un servizio dalla diffusione decisamente più limitata, come TamTam, i pro-ISIS – arrivati per di più in massa, tutti assieme – sarebbero stati molto visibili, insomma non avrebbero potuto giocare facilmente a fare l’ago nel pagliaio. E così in effetti è avvenuto. Lo staff di TamTam ha affrontato subito la questione, iniziando a cancellare account. O a bloccare canali e rimuovere i contenuti. Nel giro di qualche giorno, tra il 29 novembre e il primo dicembre, l’emergenza TamTam è rientrata e molti, come il ricercatore Charlie Winter, si sono congratulati con la sua capacità di intervento, probabilmente agevolata dalle segnalazioni di ricercatori e cittadini (in Francia soprattutto c’è una rete “anonima” di cacciatori online di profili ISIS che si dà molto da fare su questo fronte). Valigia Blu ha provato a vedere se si trovavano facilmente noti canali di propaganda ISIS e ne ha trovato alcuni pressoché vuoti e privi di utenti in cui i contenuti erano stati quasi immediatamente cancellati.

Altri tentativi, tra Riot e Hoop

Nel mentre, i pro-ISIS dibattevano su dove andare, saltando, come notato anche da BBC Monitoring, da una piattaforma all’altra. Oltre a TamTam, ci sono state segnalazioni su un afflusso di account dell’ISIS su altre due app di messaggistica minori e poco note, Riot e Hoop Messenger. Ma in entrambi i casi ci sono state reazioni, e di nuovo l’afflusso non deve essere passato inosservato. Addirittura già il 26 novembre, quindi ancora a ridosso del blitz Europol-Telegram, lo stesso Quraysh riferiva che Riot stava cancellando molti account di sospetti sostenitori ISIS, segnalava Jihado Scope. Anche Hoop Messenger (app prodotta dall’azienda canadese Magnificus Software e lanciata nel 2015) si è messa al lavoro, come comunicato dai suoi account ufficiali. Ma, avvertivano loro stessi, “la crescita è rapida perché creano nuovi canali con telefoni e alias differenti. E siccome gli alias non sono connessi agli account master non possiamo identificarli”. Il riferimento è a una specifica funzione di Hoop che permette di creare, oltre al proprio account principale (detto master), degli altri account sotto altri nomi che di fatto sono separati e autonomi. Malgrado dunque l’impegno messo dalla piattaforma, Valigia Blu ha facilmente trovato almeno un canale attivo pro-ISIS con quasi duecento iscritti. Anche Hoop (come TamTam) è molto simile a Telegram, anche se con qualche funzione diversa, ma tutte queste piattaforme di messaggistica cifrata sono sfruttate dalla propaganda pro-ISIS anche per la funzione dei canali, aperti al pubblico, che permettono di fare broadcasting dei messaggi agli iscritti. Su Telegram però è molto più evidente la procedura per segnalare un canale, su Hoop è meno chiaro.

Un ISIS online frammentato

Altre app di chat finite nel mirino degli osservatori sono state RocketChat, Threema e Conversation, anch’esse piuttosto di nicchia. Ma un dato è chiaro: mai come oggi l’ISIS online è disperso e frammentato, come appare evidente e come ha rilevato lo stesso Krona. Tuttavia, commenta lui stesso a Valigia Blu, “non penso che l’attuale frammentazione e le sperimentazioni su varie piattaforme continueranno per molto tempo. Credo che lo Stato Islamico e i suoi sostenitori, come hanno fatto in passato, si sistemeranno su una piattaforma principale da cui l’organizzazione possa centralizzare le sue comunicazioni ufficiali e stabilire legami con i canali di distribuzione pro-IS, come avevano fatto su Telegram. Resta da vedere dove finiranno, mentre la loro ricerca di un sistema stabile, sicuro e cifrato continua”.
Di fatto la situazione attuale è però questa. Alcuni analisti di intelligence possono essere infastiditi per aver perso traccia di molti account. Ma la forza di propaganda online dell’ISIS non è mai stata così tenue.
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Immagine in evidenza Reuters/Davo Ruvic via El Confidencial




Scoop, la Casaleggio ha sottratto i dati personali di utenti Facebook tre anni prima di Cambridge Analytica

La società inglese aveva sottratto 87 milioni di profili per aiutare Trump e Brexit, ma il sistema era già stato testato nel 2013 in Italia con un’app scaricabile dal blog di Grillo. La denuncia di Marco Canestrari, l’ex braccio destro del cofondatore del Movimento

Ricordate lo scandalo che ha travolto Facebook e Cambridge Analytica, 87 milioni di profili su Facebook utilizzati per sponsorizzare la candidatura di Donald Trump e la campagna pro-Brexit? Non è successo solo negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ma anche qui in Italia. Anzi, quel metodo è stato testato per la prima volta nel nostro paese. Ad aver anticipato i metodi di Cambridge Analytica è stata Casaleggio Associati, la srl milanese che ha fondato e gestito fino al 2016 il Movimento Cinque stelle. Ad accorgersene è stato Marco Canestrari, ad oggi il primo e unico whistleblower dell’azienda-partito, attualmente programmatore informatico a Londra.
Era il febbraio 2013 quando sul blog di Beppe Grillo gestito dall’azienda milanese viene dato l’annuncio del rilascio di un’app per sostenere la campagna elettorale del Movimento. «Tu puoi fare molto per restituire l’Italia ai suoi cittadini. Lo puoi fare diffondendo le idee e il programma del MoVimento 5 Stelle. Diventa Attivista 5 Stelle. Se hai un profilo Facebook puoi iniziare subito». Era il manuale del perfetto grillino, bastava accedere all’applicazione Facebook dal blog, accettare le condizioni e l’utente poteva aggiungere il logo ufficiale alla sua foto profilo, promuovere lo Tsunami Tour, diffondere il programma e appoggiare i candidati del M5s. E ovviamente raccogliere fondi. Solo che quella chiamata alle armi celava un inganno, una gigantesca cessione di dati personali.
Consentire l’accesso al proprio profilo a quell’app, e accettare le condizioni, significava però fornire in automatico le proprie informazioni base del profilo Facebook, dall’indirizzo e-mail fino al proprio luogo di nascita, quello di residenza e l’orientamento politico e religioso. Richiedere tutti questi dati è il primo passo di una potenziale e gigantesca profilazione di massa di cittadini comuni e anche dei futuri parlamentari che di lì a poche settimane il Movimento avrebbe messo in lista e poi eletto. Un’operazione simile sarà ripetuta anche nel 2014, in occasione delle elezioni europee.
Rimangono aperti molti interrogativi. Quante sono le persone profilate da Casaleggio Associati e che fine hanno fatto i dati raccolti? Era legale? Questi dati sono stati ceduti per fini commerciali? E a chi?
Secondo Canestrari, «l’app consentiva agli amministratori di Casaleggio Associati una serie di operazioni. Tra cui monitorare le attività dell’utente attivista: infatti c’era una sorta di concorso, i più attivi sarebbero stati premiati con una cena con Grillo». Canestrari spiega che «l’app non è più attiva, ma web Archive conserva le informazioni che permettono di risalire ai permessi richiesti da Casaleggio Associati». Questa è la pagina recuperata.
Casaleggio scelse di richiedere il maggior numero di permessi, ossia di dati, anche quelli non pertinenti all’attività politica. Ma non solo: esattamente come è successo con Cambridge Analytica, la srl milanese ha potuto ottenere pressoché ogni dato disponibile non solo sugli attivisti che avevano scaricato l’app, ma anche sui loro amici di Facebook, quindi chiunque avesse avuto tra gli amici un attivista del movimento che si era scaricato l’app potrebbe aver subito un accesso ai propri dati da parte della Casaleggio. Una stima delle intrusioni è impossibile, ma si tratterebbe di una delle più ampie operazioni di raccolta di dati personali mai avvenuta in Italia. Un patrimonio inestimabile sia dal punto di vista del marketing politico che commerciale.
Ad aver gestito l’intera operazione era Casaleggio Associati come responsabile dei dati per conto di Beppe Grillo, mentre Pietro Dettori si occupava del funzionamento dell’applicazione Facebook secondo il ricordo di alcuni ex-dipendenti. Oggi Dettori è socio di Rousseau e social media manager di Luigi Di Maio.
Rimangono aperti molti interrogativi. Quante sono le persone profilate da Casaleggio Associati e che fine hanno fatto i dati raccolti? Era legale? Questi dati sono stati ceduti per fini commerciali? E a chi?
I fatti raccontano che la Cambridge Analytica italiana ha aperto la strada e che altri hanno percorso la via tracciata. Fatti che gettano una nuova luce sugli incontri che i Casaleggio hanno avuto con esponenti di punta della società inglese, della Brexit, come Liz Bilney, e Steve Bannon
L’operazione è stata replicata anche nel 2014 (qui il link) e nel 2018, in occasione delle due tornate elettorali europee e nazionali, anche qui attraverso un’app di Facebook, ospitata sul sito di Luigi Di Maio, ma la piattaforma, secondo Canestrari, «aveva probabilmente già limitato la possibilità di accedere ai dati, proprio in seguito allo scandalo di Cambridge Analytica. Non possiamo sapere – dice l’ex braccio destro di Gianroberto Casaleggio – se li hanno effettivamente scaricati, né che cosa ne abbiano fatto. Bisognerebbe chiedere al Garante se hanno tabelle da poter confrontare, oppure indurlo ad aprire una nuova istruttoria ma credo sia passato troppo tempo».
I fatti raccontano che la Cambridge Analytica italiana ha aperto la strada e che altri hanno percorso la via tracciata. Fatti che gettano una nuova luce sugli incontri che i Casaleggio hanno avuto con esponenti di punta della società inglese, della Brexit, come Liz Bilney, e Steve Bannon. Il metodo Casaleggio, dunque, pare sia stato esportato altrove.
Quando è scoppiato lo scandalo dei dati sottratti a Facebook da Cambridge Analytica, Davide Casaleggio disse «non ho ancora capito che cosa è successo, mi informerò». Intervistata da Linkiesta, l’ex-analista di Cambridge Analytica Brittany Kaiser ha detto: «So per esperienza diretta che esistono molti dati a disposizione sui comportamenti degli elettori italiani. Dati che i vostri partiti potrebbero comprare senza problemi, se volessero usarli». C’era un filo sottile sull’asse Milano-Londra che doveva rimanere segreto. E che oggi è possibile vedere più chiaramente. Quello che è avvenuto tra Londra e Washington venne testato per la prima volta in Italia. Le cavie eravamo noi.



Amazon alla conquista del mercato sanitario

Dal suo ingresso nel redditizio mercato dei farmaci da prescrizione, allo sviluppo di strumenti di intelligenza artificiale per analizzare le cartelle cliniche dei pazienti, fino alle app Alexa che gestiscono il diabete, agli esperimenti basati sui dati economici, volti a monitorare la spesa per vedere come tagliare le spese mediche e rendere più efficienti i sistem,i Amazon viaggia a vele spiegate. La determinazione del gigante globale a fare del digitale nell’assistenza sanitaria una parte centrale del suo futuro modello di business sta diventando sempre più chiara

Il colosso della tecnologia sta mettendo in atto la sua strategia per l’ingresso nel mercato sanitario, i critici avvertono che il profitto arriverà prima della tutela dei pazienti e della loro privacy. Il mese scorso l’assistente digitale a controllo vocale di Amazon Alexa avrebbe iniziato a utilizzare le informazioni del sito Web del NHS per rispondere alle domande sulla salute.
Gli entusiasti prevedevano che avrebbe alleviato la pressione sui medici di medicina generale. I critici lo hanno visto come un segnale di privatizzazione strisciante e di un disastro della protezione dei dati.  Gli analisti delle tecnologie sanitarie con sede negli Stati Uniti affermano che l’accordo con il NHS e gli UK è solo l’ultimo di una serie di mosse recenti che rivelano un’audace strategia a lungo termine da parte di Amazon.
Dal suo ingresso nel redditizio mercato dei farmaci da prescrizione, allo sviluppo di strumenti di intelligenza artificiale per analizzare le cartelle cliniche dei pazienti, fino alle app Alexa che gestiscono il diabete, agli esperimenti basati sui dati economici, volti a monitorare la spesa per vedere come tagliare le spese mediche e rendere più efficienti i sistemi Amazon viaggia a vele spiegate. La determinazione del gigante globale da 900 miliardi di dollari a fare del digitale nell’assistenza sanitaria una parte centrale del suo futuro modello di business sta diventando sempre più chiara.

Perché Amazon si sta muovendo verso il settore della salute

Pochi dubbi sulle nuove tecnologie digitali che hanno un ruolo nelle enormi sfide che i sistemi sanitari devono affrontare. Amazon ha molti detrattori, ma anche loro ammettono che ha avuto molto successo nel migliorare l’esperienza dei pazienti e nel ridurre i costi. Tuttavia, il passaggio dell’azienda alla sanità solleva alcune domande fondamentali. Quali sono esattamente le sue ambizioni? Possiamo fidarci dell’uso dei nostri dati sensibili sulla salute? E i suoi imperativi commerciali sono compatibili con i valori fondamentali dei  SSN o minacciano la loro stessa esistenza? Mentre la recente attenzione di Amazon alla salute ha attirato l’attenzione degli osservatori, il suo interesse per il settore è tutt’altro che nuovo.
Già nel 1999, ha acquistato una grande partecipazione nel rivenditore online Drugstore.com. L’offerta iniziale dell’azienda per entrare nel mercato dei farmaci da prescrizione alla fine fallì a causa di una combinazione di ostacoli normativi, sfide logistiche e mosse difensive da parte dei rivali.
Amazon però è tornato con un altro tentativo a giugno 2018, quando ha pagato quasi 1 miliardo di dollari per la farmacia online PillPack, che ha le licenze per fornire farmaci da prescrizione negli Stati Uniti.
Il mercato globale della sanità vale oltre  313 miliardi di dollari e la spesa sanitaria consuma una considerevole percentuale del PIL delle principali economie: il 17% negli Stati Uniti, circa l’11% in Francia e Germania e il 10% nel Regno Unito come abbiamo visto dai recenti dati Eurostat e dell’OCSE.
I consumatori stanno iniziando ad aspettarsi lo stesso livello di flessibilità dall’assistenza sanitaria che ottengono in altri settori
“Innanzitutto, Amazon vede un mercato sanitario globale multitrilione di dollari altamente inefficiente, altamente regolamentato e potenzialmente molto redditizio”, afferma Jeff Becker, analista tecnico senior presso la società di ricerche di mercato statunitense Forrester. “Mentre la maggior parte delle altre aziende è scoraggiata dagli alti ostacoli all’ingresso sul mercato, le organizzazioni delle dimensioni e della complessità di Amazon non sono dissuase e vedono un’importante opportunità finanziaria.”
Nel frattempo, i sistemi sanitari di tutto il mondo sono sottoposti a pressioni per mantenere i livelli di assistenza di fronte alle principali sfide. I SSN devono far fronte a una popolazione che invecchia, alla crescente domanda di servizi, a una riduzione dei finanziamenti della spesa pubblica, al costante divario tra assistenza sociale e sanitaria e a gravi problemi di personale.

Anche le aspettative dei pazienti stanno cambiando

Grazie alle trasformazioni digitali in altre aree della nostra vita, ci aspettiamo di ottenere ciò che vogliamo in modo rapido, conveniente e in modi che tengano conto delle nostre esigenze personali.
“I consumatori nel Regno Unito possono ordinare qualcosa a mezzanotte e ricevere la consegna il giorno successivo”, afferma Anurag Gupta, analista presso la società di consulenza globale di ricerca Gartner. “Stanno iniziando ad aspettarsi lo stesso livello di servizio e flessibilità dall’assistenza sanitaria a cui si sono abituati in altri settori”.
Ad Amazon non piace entrare nei dettagli della sua visione a lungo termine, ma una serie di recenti lanci, acquisizioni e appuntamenti rivelano una strategia chiara e ambiziosa. Nel gennaio 2018 ha costituito una joint venture senza fini di lucro, ad Haven, con il colosso bancario JPMorgan Chase e il conglomerato multinazionale Berkshire Hathaway.
Le sue dichiarazioni pubbliche sono state vaghe e modeste, affermando che mirava a utilizzare meglio i dati e la tecnologia per fornire assistenza sanitaria migliorata ed economica per 1,2 milioni di dipendenti di tre aziende e i loro familiari. I sospetti che ciò fosse lontano dagli obiettivi sono stati confermati nel giugno dello scorso anno quando Amazon ha annunciato che il suo nuovo CEO era Atul Gawande , un rinomato chirurgo, professore della Harvard Medical School, scrittore e ambizioso riformatore con una ferma convinzione nel potere dei dati di fornire assistenza sanitaria più sicura, più efficiente e meglio integrata.
Gli analisti affermano che Haven è in realtà un banco di prova per nuove forme di benefici per la salute dei dipendenti, sperimentando in aree quali il miglioramento dell’accesso ai medici generici, il monitoraggio remoto dei pazienti, la consegna di cure digitali e la riduzione dei costi dei farmaci da prescrizione.  “L’idea è quella di applicare la cultura di Amazon di eliminare l’attrito per i consumatori end-to-end e portarlo all’assistenza sanitaria”, afferma Becker. “Penso che Haven sia un’incubatrice per un modello di erogazione di assistenza sanitaria di prossima generazione, che, dopo il test, sarà reso disponibile per i consumatori in generale.”
Anche la scelta dei partner di Amazon a Haven è istruttiva.  Il multi-miliardario CEO del Berkshire Hathaway, Warren Buffett, ha descritto l’assistenza sanitaria come la “tenia” dell’economia americana. JPMorgan Chase è una delle più grandi banche del mondo. Insieme sarebbero in una buona posizione per creare e vendere piani di pagamento a basso costo per altre società o consigliare loro come farlo, sulla base di una comprensione approfondita del rischio assicurativo e della sperimentazione di Haven.

Amazon Prime per la salute

L’anno scorso, Amazon ha presentato Amazon Comprehend Medical , un servizio basato su cloud che utilizza l’apprendimento automatico per estrarre informazioni dai dati medici, inclusi i dati dei pazienti e fornire nuove informazioni. Ad aprile, Amazon ha iniziato a offrire il servizio PillPack – farmaci confezionati per dose e tempo – con consegna gratuita ai suoi abbonati Prime.
Nel frattempo, l’affare NHS-Alexa del mese scorso del governo conservatore di Boris Jhonson è solo la punta di un grandissimo iceberg.
Amazon ha annunciato nuove applicazioni Alexa in fase di sviluppo, comprese quelle che gestiscono obiettivi di miglioramento della salute, gestiscono la presenza di zucchero nel sangue ed altri dati. Fondamentalmente, afferma di aver creato modi per i dispositivi abilitati Alexa di gestire le informazioni dei pazienti conformi alle leggi sulla privacy degli Stati Uniti.
Amazon si rifiuta costantemente di discutere i suoi piani sanitari. A metà del 2017, è stato riferito che il gigante della vendita al dettaglio online aveva istituito un laboratorio segreto per esplorare l’interruzione sanitaria guidata dalla tecnologia chiamata, Amazon 1492 , presumibilmente chiamata così rispetto all’anno in cui Colombo è arrivato nelle Americhe e quindi come scoperta delle sue ambizioni che cambiano paradigma nella fornitura di assistenza sanitaria.
Becker e altri ritengono che l’azienda stia lavorando per il lancio di un servizio Amazon Prime per l’assistenza sanitaria. L’azienda conosce già molto sui suoi clienti, comprese le loro preferenze di lettura, i livelli di istruzione, il peso approssimativo se acquistano vestiti, storie di ricerca e le abitudini alimentari dei clienti della sua sussidiaria Whole Foods.
Aggiungi a questi dati l’estrazione basata sull’intelligenza artificiale da cartelle cliniche, Alexa, fitness tracker e dispositivi medici collegati come monitor della pressione sanguigna e glucometri e Amazon conoscerà perfettamente coloro che si iscrivono alla sua piattaforma. Un medico virtuale Prime Health potrebbe decidere se è necessario un medico umano o semplicemente fare scorta di tessuti, ad esempio. Gli appuntamenti potrebbero essere molto più semplici e veloci da prenotare. I pazienti con malattie croniche o quelli recentemente dimessi dall’ospedale potrebbero essere monitorati da remoto a casa, mentre i farmaci potrebbero diventare più economici e più veloci nell’accesso.
Alexa potrebbe fornire avvisi e consigli personalizzati sulla salute e persino premiare le scelte salutari. Ciò che vedremo da Amazon è l’assistenza sanitaria digitale completamente curata che, ad esempio, porta il tuo medico di famiglia solo quando e dove ha senso”, afferma Becker. Il capitalista di rischio della Silicon Valley John Doerr, un amico del fondatore di Amazon Jeff Bezos, ha dichiarato in una conferenza a novembre: “Immagina come sarà quando lui [Bezos] lancerà Prime Health, che sono convinto che farà”.

Amazon e il SSN

Ma gli ambiziosi piani basati sui dati di Amazon sono più pertinenti negli Stati Uniti o nel Regno Unito, dove tutti hanno accesso a cure gratuite, più o meno complete? In effetti, i pazienti NHS utilizzano i servizi di GP virtuali da qualche tempo. Il profilo più alto è Babylon Health , con sede a Londra, che ha oltre 50.000 pazienti registrati e recentemente lanciato a Birmingham. L’incentivo per aziende come Amazon è aumentare i profitti, il che li mette in contrasto con gli obiettivi del SSN.
La maggior parte degli osservatori si aspetta che i fornitori di assistenza sanitaria digitale, sia grandi che piccoli, lavorino piuttosto che in concorrenza in collaborazione con i fornitori di servizi sanitari nazionali, come già stanno facendo. “Questi cambiamenti sono rilevanti a livello globale”, afferma Becker. “Ci sarebbero vantaggi reali per il pubblico britannico con alcune delle innovazioni digitali ispirate ai tipi di modelli di incubatori generati a Haven.
Come l’accordo NHS-Alexa, penso che sarà una partnership piuttosto che un’alternativa.”
Altri, tuttavia, ritengono che gli imperativi commerciali dei giganti della tecnologia siano in conflitto con i valori di servizio pubblico del SSN. “Che aspetto ha l’utile sul capitale investito nell’assistenza sanitaria?”, Chiede Mathana Stender, ricercatore in etica tecnologica che risiede a Berlino. “Gli incentivi di aziende come Amazon sono aumentare la quota di mercato, i prezzi delle azioni e i profitti, il che li mette in contrasto con gli obiettivi sottostanti di un sistema sanitario pubblico come il SSN.”
Alcuni temono che i politici fautori della tecnologia e del libero mercato sarebbero più che felici di tagliare i finanziamenti del SSN e invitare le società private a colmare il divario.  Tuttavia, Matthew Honeyman , ricercatore programmatore, al King’s Fund, afferma che coloro che sono principalmente interessati alla riduzione dei costi non dovrebbero aspettarsi rapidi guadagni. “Questo tipo di trasformazioni porta efficienza e vantaggi in termini di produttività, ma la nostra ricerca suggerisce che ci vorranno anni per traguardare gli obiettivi di risparmio”.

Posso fidarmi di Amazon con i miei dati sanitari?

Le preoccupazioni più diffuse riguardano la protezione dei dati. Il mese scorso è stato rivelato che gli appaltatori che lavorano sul controllo di qualità dell’assistente vocale Siri di Apple ascoltano regolarmente le registrazioni di conversazioni riservate, comprese le discussioni medico-paziente. Nel 2017, il Royal Free Hospital di Londra è stato rimproverato per non aver rispettato il Data Protection Act quando ha consegnato i dati personali di 1,6 milioni di pazienti a DeepMind di Google come parte degli sforzi per sviluppare un sistema di diagnosi precoce.
Amazon ha promesso che i pazienti del Regno Unito che hanno chiesto ad Alexa un consiglio sulla salute avrebbero crittografato i loro dati, ma i critici richiedono maggiori dettagli su come i dati dei pazienti sono protetti. “Abbiamo bisogno di maggiori dettagli e trasparenza su come i dati sensibili delle persone verranno elaborati e utilizzati quando fanno una domanda ad Alexa”, afferma Honeyman.
Altri sostengono che sussistono rischi per la privacy anche se le grandi aziende tecnologiche fanno sforzi rigorosi per proteggere i dati dei pazienti.
“Anche usando le più sofisticate tecniche di anonimizzazione, dei dati, in futuro potrebbe diventare possibile anonimizzare le persone”, afferma Stender, anche membro del Center for Internet and Human Rights presso la Viadrina European University di Francoforte sul Meno. L’assistenza sanitaria è ampiamente considerata un “ritardatario digitale” rispetto ad altri settori. Ma il ritmo del cambiamento sta accelerando.
Amazon e le altre principali aziende tecnologiche sono diventate ricche e potenti in gran parte realizzando valore e monetizzando i dati. I critici evidenziano i loro scarsi risultati nella protezione dei dati e avvertono sui danni irreparabili alla nostra privacy se lo stesso approccio viene applicato ai dati sanitari personali. Pochi dubbi che il digitale possa portare grandi guadagni nell’assistenza sanitaria.Meno chiaro è se Amazon e i suoi simili possano o debbano svolgere ruoli centrali nella nuova era dell’assistenza sanitaria basata sui dati, visto che che si stanno ritagliando da soli fette di mercato consistenti.

Non solo Amazon

La ditta di Jeff Bezos è tutt’altro che sola nel tentativo di catturare l’assistenza sanitaria con dati e tecnologia. Apple sta implementando la sua funzione Health Records progettata per facilitare agli utenti la visualizzazione, l’utilizzo e la memorizzazione dei dati medici sui loro iPhone. Gli ultimi orologi Apple hanno sensori ECG che possono avvisare gli utenti se hanno ritmi cardiaci irregolari potenzialmente pericolosi. La società di proprietà di Google DeepMind il mese scorso ha affermato che il suo algoritmo di intelligenza artificiale potrebbe prevedere un danno renale acuto – che uccide 100.000 persone all’anno nel Regno Unito – 48 ore prima che accada.
Le start-up stanno lavorando a tutto, dalle bottiglie di pillole intelligenti ai kit di diagnosi domiciliare di livello clinico, al monitoraggio della salute mentale e ai piani di nutrizione personalizzati su misura per esigenze di salute specifiche. I ministri del nuovo governo, incluso, il segretario alla salute Matt Hancock e altri leader sanitari concordano sul fatto che dati e tecnologia possono trasformare l’assistenza sanitaria in meglio. Un documento programmatico del Dipartimento della sanità e dell’assistenza sociale pubblicato nell’ottobre dello scorso anno delinea una strategia basata su standard aperti, sicurezza dei dati e interoperabilità dei sistemi modulari.
Dal 2016, NHS England ha concesso sovvenzioni fino a 10 milioni di sterlinea a fondi NHS digitalmente avanzati per creare progetti che altri possano seguire. I primi esempi includono le cartelle cliniche integrate, un sistema di allarme precoce sepsi guidato dall’intelligenza artificiale, una piattaforma online per i pazienti che svolgono un ruolo attivo nella gestione della malattia infiammatoria intestinale e l’uso di Alexa nelle cure sociali per adulti.
Insomma la tecnologia avanza a ritmi serrati in sanità, ma l’interrogativo rimane e cioè quanto la sua invasività è congrua per soddisfare il diritto alla salute dei cittadini o quanto soddisfi unicamente le ragioni di mercato sottraendo privacy, diritti e risorse allo sviluppo di appropriate politiche della salute per tutti.