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Il Guardian rinuncia alle pubblicità di aziende petrolifere: “Il clima è la sfida più importante della nostra epoca”

Il Guardian rinuncia alle pubblicità di aziende petrolifere: "Il clima è la sfida più importante della nostra epoca"

Il quotidiano britannico The Guardian ha annunciato che rinuncerà a tutte le pubblicità di compagnie petrolifere e del gas come atto concreto contro la crisi climatica. Si tratta della prima grande testata internazionale a prendere una decisione del genere. Immediato il plauso di Greta Thunberg: “Un buon inizio, chi andrà oltre?”, ha scritto l’attivista svedese su Twitter.


La decisione, ha detto il giornale, ha effetto immediato. Riguarda tutte le aziende coinvolte nell’estrazione di fonti di energia fossile, tra cui anche alcuni dei maggiori investitori pubblicitari al mondo. Nel motivare la svolta, il quotidiano londinese ha dichiarato di voler contrastare “gli sforzi fatti per decenni da molti attori in questo settore per impedire ai governi di tutto il mondo di intraprendere azioni significative sul clima”. In una nota, il direttore generale ad interim, Anna Bateson, e il suo Revenue Manager, Hamisch Nicklin sottolineano che la risposta al riscaldamento globale rappresenta “la sfida più importante del nostro tempo”.

“Il modello di finanziamento del Guardian rimarrà precario per i prossimi anni”, affermano i due funzionari del giornale, che ricava quasi il 40% delle sue entrate dalla pubblicità. Il Guardian ora spera che alcuni inserzionisti approvino la mossa e si rivolgano di più al giornale in futuro. “Questo è un momento fondamentale, il Guardian deve essere applaudito per questa coraggiosa mossa volta a porre fine alla legittimità dei combustibili fossili”, ha affermato Mel Evans, attivista per Greenpeace nel Regno Unito, invitando altri media a fare lo stesso. “Per troppo tempo, giganti di combustibili fossili come BP e Shell, che causano la nostra emergenza climatica, sono stati in grado di cavarsela facendo il greenwashing investendo il 97% del loro fatturato in petrolio e gas “, ha aggiunto.

In autunno, il Guardian aveva rivisto le sue pratiche editoriali per riflettere meglio l’entità della sfida, anche usando i termini “emergenza climatica” anziché “cambiamento climatico”. Il quotidiano punta al raggiungimento dell’obiettivo “impatto zero del carbonio”, o “carbon neutrality”, entro il 2030. Prima di lui, il piccolo giornale svedese Dagens ETC, lanciato nel 2014, a settembre ha rinunciato a tutta la pubblicità che promuoveva beni e servizi da combustibili fossili. 




Iabichino: «Quella di Achille Lauro e Gucci è una diabolica operazione di marketing culturale»

Iabichino: «Quella di Achille Lauro e Gucci è una diabolica operazione di marketing culturale»

È stato il Festival della performance dell’artista romano che ha portato all’Ariston, non solo una serie di outfit ad effetto, ma un vero e proprio storytelling costruito insieme alla maison. Ma si può parlare di arte o è stato solo uno spot commerciale subliminale? Ne abbiamo parlato con Paolo Iabichino, ex Cco di Ogilvy Italia, miglior comunicatore dell’anno 2018 e maestro del college di Story Design alla Scuola Holden di Baricco

Come hanno certificato tutte le testate, di settore e non, sull’onda del riscontro in particolare social quello che si è appena concluso è stato il Sanremo di Achille Lauro. C’è chi ha azzardato l’iperbole che sia stato un Achille Lauro Show con il Festival intorno. I toni sono trionfalistici. Addirittura Internazionale, riferendosi al musicista, scrive «in una scena musicale mainstream, dopata da vent’anni di talent show e ancora stordita dalla crisi discografica globale, quello della pop star è diventato un mestiere antico e dimenticato, come quello dell’impagliatore di sedie o della ricamatrice di asole. Lauro ha fatto quello che le pop star fanno fin dagli anni cinquanta: usare il mezzo televisivo anziché esserne usati». Quello però che è stato per tutto il Festival di Sanremo taciuto dai media e dallo stesso Achille Lauro e che ha cominciato ad emergere solo verso la fine della kermesse per svelarsi definitivamente nei giorni successivi è che quella performance, quello spettacolo, non erano solo una narrazione artistica ma una vera e propria operazione di marketing costruita insieme a Gucci. Paolo Iabichino – ex CCO di Ogilvy Italia, miglior comunicatore dell’anno 2018 e maestro del college di Story Design alla Scuola Holden di Baricco – ha commentato la vicenda spiegando a Giulia Vittoria Francomacaro​ di Agi Factory​ che «il brand ha portato avanti una missione strepitosa: Gucci ha hackerato il Festival di Sanremo. Nel senso che è riuscito a essere il terzo sponsor senza passare dai listini Rai e ha costruito intorno ad Achille Lauro una strategia editoriale molto precisa a cui lui si è prestato. Il testo di Lauro era sotto di un’ottava rispetto a quelli a cui siamo abituati. È come se avessero caricato in chiave marketing un personaggio per riempirlo di un contenuto che quest’anno aveva in misura minore. Gucci ha fatto scuola sotto questo punto di vista e ha dato una lezione intelligente di comunicazione e pubblicità. Non parliamo di una classica operazione di product placement, che potrebbe essere ad esempio quella di Elodie che ringrazia Versace per i vestiti, questa è una vera e propria case history. Qui si parla di novità, di uno show costruito ogni sera e incentrato su tematiche come arte, cultura, moda e musica che si intrecciano in quattro minuti di esibizione». Un’operazione però che lascia qualche dubbio. 

Ne abbiamo parlato proprio con Iabichino.


Paolo Iabichino Ogilvy
Paolo Iabichino (ph. by Isabella De Maddalena)

Innanzitutto è importante spiegare perché l’operazione Gucci- Lauro è molto differente da una normale operazione di product placement…
Perché è un’operazione editoriale. Qui non si tratta di aver portato in scena degli outfit. Dietro queste quattro serate c’è uno storytelling molto preciso, studiato a tavolino, portato avanti da Gucci, e dal direttore creativo Alessandro Michele, che ha scelto Achille Lauro non come modello ma come vero e proprio testimonial di una serie di messaggi. Ci sono link con l’arte e con la cultura. Il post di ieri di Achille Lauro su Instagram poi, con sotto tutti i credit della rete di professionisti che hanno lavorato allo show disegnato da Gucci, lo certificano apertamente.

Non è noto e quindi non si può dire con certezza. Ma si può immaginare di fare una cosa del genere senza che ci siano accordi commerciali o contratti?
Se Achille Lauro non ha stipulato degli accordi con Gucci è un ingenuo

E se c’è qualcosa che non si può dire di Lauro è che sia ingenuo…
Sono d’accordo. C’è una cosa in particolare che mi fa pensare che ci sia questo accordo: non è ancora uscito il videoclip ufficiale della canzone che dal punto di vista discografico e di marketing è un errore abbastanza marchiano. Se tanto mi dà tanto quel video sarà un importante look book di Gucci che dovrebbe consacrare quella che secondo me resta un’operazione intelligentissima dal punto di vista pubblicitario. Hanno preso d’assalto il Festival e Gucci è riuscito ad essere il terzo sponsor di Sanremo dribblando i listini.

E da questo punto di vista non esiste un problema nei confronti del main sponsor Tim, o della Nutella che aveva brandizzato la parte esterna o della stessa Rai?
Io credo di no. Intanto ci muoviamo su categorie merceologiche completamente diverse e non in concorrenza. Se Tim non ha avuto nulla da dire, da main sponsor, ad avere il principale testimonial di un concorrente diretto tutte le sere sul palco (Fiorello è da anni il volto di Wind ndr), non credo che su Gucci possano esserci problemi. La Rai poi deve solo ringraziare Lauro e Gucci per la grande attenzione che si è creata su questa edizione della kermesse. È una cosa che su quel palco non si era mai vista. Non si può paragonare con gli outfit di Renato Zero o Donatella Rettore: c’era molto altro anche dal punto di vista narrativo. Basta pensare ai messaggi che Lauro ha portato sul palco in termini di diversity, gender neutrality e fluidità di genere. Questo è quello che bisogna sottolineare come un risultato del tutto positivo.

Il cuore della questione però è un altro. E cioè la sovrapposizione tra espressione artistica e culturale e una campagna pubblicitaria. Il fatto di non renderla nota non è un problema, soprattutto nei confronti del telespettatore?
Per dove siamo oggi la moda è un prodotto culturale. Non possiamo più ridurre la moda o un certo tipo di moda a un fattore puramente di marketing e pubblicitario. Oggi se si pensa a cosa fa Prada con la su Fondazione o quello che sta facendo Fendi a Roma è evidente che la moda sta sempre più entrando e contaminando il linguaggio della cultura. Non è che se una maison fa un museo di arte contemporanea ci va bene se invece presidia un palco di un festival non va più bene perché la musica va preservata. Secondo me c’è un momento di grande contaminazione di linguaggi. Moda come pop music sono proprio principalmente contaminazione di linguaggio. Queste secondo me sono le lenti con cui guardare a quello che è successo.

D’accordo. Però se Andy Warhol, che è stato il massimo esponente della contaminazione di linguaggi, avesse percepito una retribuzione da parte della zuppa Campbell’s per la sua opera, quel quadro assumerebbe totalmente un altro significato…
Non c’è dubbio. Ma quella di Warhol era un’operazione controculturale. Lauro e Gucci sono invece pienamente mainstream. Non è un’operazione rock, non c’è nulla di trasgressivo se non la violazione di un tempio. Ma dal punto di vista della costruzione del messaggio non c’è trasgressione. E poi attenzione: ai tempi di Warhol non c’era Instagram. Questo è stato un Festival dominato dai social. E Gucci e Lauro hanno vinto sul terreno più competitivo in questo momento che è quello dell’attenzione.

C’è anche una questione contenutistica. Il brano di Lauro è, si può dire apertamente, molto trascurabile. Il senso se c’è è davvero flebile. Soprattutto rispetto ai testi precedenti. L’unica parte dirimente è il titolo, “Me ne frego”, che è una sorta di claim pubblicitario…
Io non credo sia stata costruita a tavolino per questo. Penso che in effetti sia un brano più debole del solito che però è stato magnificamente sostenuto e supportato da un intervento narrativo che ha caricato di significanti che il testo non aveva, nobilitandolo. Ma c’è un altro passaggio del testo che potrebbe essere un meta-messaggio, quel “dimmi una bugia e me la bevo”. Chissà…

La cosa che lascia un po’ interdetti più che altro è l’idea di associare a personaggi come San Francesco e David Bowie il concetto di menefreghismo, seppur ammorbidito dal aggettivo “positivo” coniato da Lauro. Quello che viene in mente è che “me ne frego” è di certo più accattivante di un “mi interesso”. E qui torna il dubbio di prima: arte o marketing?
Su questo in realtà l’unico che può rispondere è Achille Lauro. Si tratta di capire se, al netto di tutti gli introiti pubblicitari e della performance spettacolare, l’artista aderisce a posteriori a quel messaggio oppure no. Più semplicemente se è autenticamente parte di questo percorso artistico o è stato solo un uomo sandwich di una maison che ha portato a termine un’operazione di marketing culturale.




Clima: Jeff Bezos lancia fondo per la Terra da 10 mld dollari

Clima: Jeff Bezos lancia fondo per la Terra da 10 mld dollari

La decisione arriva 20 giorni dopo la richiesta da parte di 300 dipendenti di Amazon di maggiori sforzi sul clima da parte dell’azienda

Jeff Bezos, fondatore e ceo di Amazon, ha annunciato sul suo account Instagram il lancio del ‘Bezos Earth Fund’ per contrastare i disastrosi effetti dei cambiamenti climatici. Bezos ha spiegato di aver dotato personalmente il fondo di 10 miliardi di dollari “per iniziare” e che le prime sovvenzioni a ricercatori, attivisti e Ong verranno assegnate in estate.

La decisione arriva 20 giorni dopo la richiesta da parte di 300 dipendenti di Amazon di maggiori sforzi sul clima da parte dell’azienda, criticando la sua politica ambientale. I dipendenti che aderiscono all’Amazon Employees for Climate Justice (Aecj), stanno spingendo il colosso dell’e-commerce a rivedere le proprie politiche ambientali.

Le critiche riguardano il piano ambientale presentato il 19 settembre scorso da Bezos, che ha annunciato il raggiungimento delle emissioni zero di Amazon nel 2040. Secondo l’Aecj, la compagnia dovrebbe puntare alla neutralità carbonica nel 2030.

Amazon, che ha costruito il suo successo su un’enorme rete logistica di trasporti stradali per garantire consegne sempre più veloci, è un grande produttore di gas serra, i principali responsabili dell’emissione in atmosfera di anidride carbonica. Secondo la piattaforma online ‘Climate Watch’, i 44,4 milioni di tonnellate di CO2  equivalente prodotta ogni anno da Amazon rappresentano poco più del 10% delle emissioni annue totali della Francia.

“Possiamo salvare la Terra”, ha scritto su Instagram Bezos postando una foto del pianeta. “Richiede un’azione collettiva, di grandi e piccole aziende, Stati, organizzazioni globali e individui”. E conclude: “La Terra è la cosa che tutti noi abbiamo in comune. Proteggiamola insieme”.




5G, Huawei fuori dai progetti pilota in Gran Bretagna

5G, Huawei fuori dai progetti pilota in Gran Bretagna

L’azienda non potrà accedere ai 65 milioni di sterline con cui Londra finanzia i test sulle applicazioni pratiche della quinta generazione mobile. “Rischi per la sicurezza nazionale”

LGran Bretagna mette Huawei fuori dai giochi nei progetti pilota sul 5G. Londra ha annunciato che il fornitore cinese non potrà accedere al fondo di 65 milioni di sterline messo a disposizione dal governo per realizzare una serie di progetti pilota sulla nuova generazione delle comunicazioni mobili e studiare come il 5G può aiutare le imprese e digitalizzare le comunità locali in tutto il paese.

Il programma è stato varato dal governo britannico lo scorso anno, con una dotazione di 35 milioni che ora è stata quasi raddoppiata. Londra ha invitato imprese e comuni a fare richiesta per accedere ai fondi e partecipare all’iniziativa che testerà i casi d’uso per la tecnologia 5G. Oggi però Londra ha chiarito che dai fondi sono esclusi i progetti che coinvolgono come fornitore la cinese Huawei.

“Nessuno dei progetti che vinceranno la gara e nessuno dei progetti futuri userà attrezzature da fornitori ad alto rischio”, ha affermato il ministero del digitale (Department of Digital, culture, media and sport).

Londra vuole la leadership digitale

I primi trial cui verranno assegnati i fondi sono: uno studio dell’utilizzo del 5G per monitorare l’ambiente nel North Yorkshire con l’obiettivo di sviluppare un sistema di allerta efficiente in caso di alluvioni; la verifica dell’utilità del 5G nelle ricerche e nei soccorsi in mare sulle coste del Dorset; e un test su come il 5G può aiutare la produzione dei veicoli elettrici in un progetto diretto da Ford and Vodafone.

Londra ha messo sul piatto un totale di 200 milioni di sterline da investire nei trial del 5G volti a testare gli utilizzi pratici della nuova tecnologia. Per esempio si studiano le applicazioni nell’agricoltura, nella connettività sui treni, nel collegamento delle zone rurali e più isolate e nella sanità.

Siamo decisi a fare del Regno Unito un leader mondiale del 5G e a mantenere la promessa di migliorare la connettività per le persone e per le imprese  in tutto il paese”, ha affermato Oliver Dowden, ministro al Digitale. “Questo include studiare come si possono creare nuovi posti di lavoro nelle campagne, rendere le imprese più produttive e stimolare ancora nuove idee nelle nostre industrie creative già all’avanguardia”.

Il “ban” sulle reti core costa alle telco Uk

Lo scorso mese il governo britannico ha definito Huawei un fornitore ad alto rischio per la sicurezza nazionale a causa della struttura proprietaria in cui è fortemente presente il governo di Pechino e ha imposto dei limiti all’utilizzo degli apparati di Huawei nelle reti 5G che vengono costruite in Gran Bretagna.

Huawei può partecipare alla realizzazione delle parti non-core delle nuove reti, come torri e antenne, ma con un tetto del 35% sull’impiego di prodotti del vendor cinese. Le attrezzature di Huawei sono invece bandite dalla parte core delle reti 5G, quelle che processano i dati, e dalle reti che servono sedi sensibili come i siti nucleari e le basi militari.

Le telco britanniche non sono soddisfatte delle nuove misure varate dal governo. BT, proprietaria dell’operatore mobile EE, ha detto che le costerà circa 500 milioni di sterline sostituire i prodotti Huawei dalla parte core delle sue reti con apparati alternativi nel corso dei prossimi cinque anni. Vodafone ha stimato un costo di circa 170 milioni di sterline (200 milioni di euro) per la compliance su tutta la rete 5G europea; in Uk la sua rete è già quasi completamente priva di attrezzature di Huawei nelle parti core.




La pagina Milf con Salvini è satirica ma i leghisti non se ne sono accorti

La pagina Milf con Salvini è satirica ma i leghisti non se ne sono accorti

Il Fatto Quotidiano oggi racconta in un articolo di Tommaso Rodano la storia curiosa della pagina Milf con Salvini – Cucina marchigiana: nata per prendere per i fondelli il leghista e i suoi messaggi xenofobi, è frequentata da decine di migliaia di salviniani autentici, la grandissima maggioranza dei 63mila utenti iscritti. Commentano i contenuti finti, li condividono, li fanno propri, li rivendicano. L’acronimo MILF è di solito tratto dal linguaggio gergale anglo-americano composto dalle iniziali delle parole dell’espressione Mother I’d Like to Fuck, ma qui è sciolto in Mamme Italiane Libere e Felici con Salvini e la tecnica è quella solita dei troll: inviare un messaggio inviato e polemico sedendosi poi a godere le reazioni di chi non capisce la satira. Come in questo post che attribuisce a Lukaku cose ovviamente mai dette:

milf con salvini 1

Il finto Salvini arringa i followers imitando lo stile (non ci vuole tanto) di Luca Morisi: “Cosa gli rispondiamo? ”. I commenti sono 468. Per lo più furibondi. Liliana di Tella:“Parti subito, non ti vogliamo. Sputi nel piatto dove hai mangiato più che bene!!!!”. Donatella Pasini è laconica: “Buon viaggio e felice non ritorno”. Remo Tranquilli è pragmatico: “Una volta sbarcati invece di lasciarli bighellonare in giro x l’Italia e nei centri di accoglienza, impariamo loro l’inglese almeno se ne vanno tutti in Inghilterra”. Attenzione, non è contro-satira: sono leghisti veri, i loro account Facebook non lasciano dubbi. Poi c’è il post in cui a Laura Boldrini viene dato della mistress e in cui si celebra il BDSM:

milf con salvini 2

L’acronimo Bdsm è usato per indicare pratiche sessuali sadomaso (nelle quali la “mistress”è la donna dominatrice). Gli entusiasti salviniani, ignari, condividono a tutto spiano. Vittorio Soffiati commenta salomonico: “Ma perché poveretta…La politica è quella che la tiene in vita… Senza la troveremmo a girovagare per le strade senza meta e cervello…….”. NEI GIORNI di Sanremo la pagina “Milf”si scatena. Il bersaglio preferito è Roberto Benigni. Nel meme c’è un Salvini accigliato che mostra questo messaggio: “Denuncio Benigni per quello che ha detto a Sanremo? Condividi se vuoi che lo denunzio”. Risultato? 1285 condivisioni.