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Louis Vuitton veste i personaggi di League of Legends

La moda sbarca nel mondo del gaming. Louis Vuitton ha annunciato l’avvio di una partnership con Riot Games, la casa di videogiochi di League of Legends. Una partnership a più livelli con uno sguardo rivolto al futuro, come racconta Sara Bassi.

Lo scorso 23 settembre Louis Vuitton ha annunciato l’avvio di una partnership con Riot Games, la casa di videogiochi famosa per aver dato i natali al gioco online League of Legends. La collaborazione prevede diversi livelli, cominciando dalla realizzazione del baule contenente il trofeo del campionato mondiale del videogioco, le cui finali si sono tenute il 10 novembre a Parigi.

La Maison francese si è già resa protagonista di creazioni simili, come la custodia della FIFA World Cup e la Rugby World Cup, ma è la prima volta che avviene per un torneo di eSports. Il design del baule presenta elementi classici della casa di moda ed elementi innovativi ispirati al videogioco. Il risultato è un mix tra la texture con il monogramma, le rifiniture tipiche delle valigie firmate LV e un tocco high-tech.

Naz Aletaha, l’Head of Global eSports Partnership di Riot Games ha dichiarato di essere entusiasta per la collaborazione con LV perché “i suoi motivi influenzano l’aspetto, l’atmosfera e il prestigio del nostro evento di League of Legends”. La pensa così anche il CEO della casa di moda parigina, sottolineando la presenza del marchio accanto ai trofei più ambiti del mondo e come ormai anche la Summoner’s Cup (questo il nome del trofeo) lo sia diventata.

La partnership ha portato anche alla creazione di skin (vesti grafiche) per i personaggi di Qiyana e Senna disponibili per un tempo limitato, di cui una è stata presentata proprio in occasione del League of Legends World Championship, e l’altra sarà rivelata il prossimo febbraio. A firmare questi outfit virtuali è stato Nicolas Ghesquière, direttore artistico della linea donna di Louis Vuitton. A differenza di quanto si può immaginare, queste skin non avranno un costo eccessivo e per comprarle basterà guadagnare punti giocando alcune missioni speciali.

Più recentemente, invece, la casa di moda ha lanciato la linea d’abbigliamento ispirata al videogioco. La collezione limited edition è venduta nel negozio online presente sul sito e in alcuni store in giro per il mondo. Anche stavolta il design riesce a coniugare bene l’immagine del marchio LV con lo stile fantasy-futuristico del videogioco.

Non si tratta, però, della prima volta che il mondo videoludico entra nel mondo di Louis Vuitton. Già qualche anno fa, lo stesso Ghesquière, aveva collaborato con la casa Square Enix, per avere come modella per una campagna Lightning, una dei protagonisti della storica saga di Final Fantasy. Il direttore artistico, infatti, sembra avere un debole per la fantascienza e la tecnologia, che cerca sempre di portare all’interno delle sue collezioni.

La distanza tra il mondo della moda e il mondo del gaming sembra ridursi sempre di più. Questo tipo di partnership è sicuramente innovativa e introduce un lato della moda che potrebbe prendere piede nel prossimo futuro, quello dei vestiti virtuali. I videogiochi stanno altresì crescendo sempre di più nella loro diffusione e fruizione, anche da parte di adulti e famiglie. Inoltre, i giocatori sono ormai abituati agli acquisti all’interno del gioco e questo è un aspetto da non sottovalutare.




Unilver VS obesità infantile

Unilver VS obesità infantile

L’obesità, soprattutto quella infantile, sta diventando un
problema sempre più attuale nei paesi più industrializzati del pianeta. L’OMS,
in un comunicato reso pubblico l’ottobre scorso, stimava che entro il 2030 i bambini
e i ragazzi obesi saranno 254 milioni, il 60% in più rispetto a quelli del
2016, se non si interviene immediatamente. A questo proposito alcuni governi
hanno iniziato a tassare i cibi contenenti un elevato quantitativo di zuccheri,
considerati più dannosi per la salute. Se in Italia solo con la legge di
bilancio 2020 è stata introdotta la cosiddetta ‘’sugar tax’’, cioè la tassa
sulle bibite zuccherate, nel Regno Unito una tassa simile è già in vigore dal
2016. Nella fattispecie italiana la legge prevede una tassa pari al 10
centesimi a litro per le bevande zuccherate ad eccezione delle bevande dolcificate
con meno di 25 grammi di zucchero per litro. La tassa è stata introdotta sia
per disincentivare l’uso di bevande unhealty ma anche nella speranza che si
segua l’esempio del Regno Unito dove molti produttori hanno dimezzato le
quantità di zuccheri pur di non far rientrare i loro prodotti tra quelli
soggetti a tassazione.

In linea con gli intenti dei governi il colosso inglese
Unilever, che opera nel campo dell’alimentazione e delle bevande, ha deciso di
modificare considerevolmente la propria strategia di marketing. L’azienda
infatti ha deciso di smettere di rivolgere le proprie pubblicità di cibo e
bevande ai bambini a partire dal 2020. Unilever non è nuova a questo tipo di
iniziative, già nel 2003 aveva pubblicato una lista di principi guida per la
comunicazione dei suoi prodotti di food and beverage, escludendo la promozione di
prodotti che contrastassero con una dieta salutare ed equilibrata. Nel 2010 l’azienda aveva firmato,
insieme ad altri 18 leader del settore alimentare, la ‘’children’s food and
beverage advertising initiative’’, dichiarando che, ai bambini sotto gli 11
anni, avrebbe rivolto soltanto pubblicità di prodotti che rispettassero degli
standard nutrizionali.

La proposta attuale fa un ulteriore
passo avanti con l’azienda che decide di rivolgere la sua comunicazione non più
ai bambini, che possono essere facilmente suggestionabili, ma ai genitori che
sono quindi in grado di valutare se un prodotto può essere più o meno adatto. Questa
modifica non riguarda solo le pubblicità nei canali tradizionali, come gli
annunci televisivi o cartacei ma anche tutte le attività online, sui social
media e sulle app. L’azienda, tra le altre cose, ha annunciato che non saranno
più scelti, per pubblicizzare i prodotti, influencer che abbiano come target
principale i bambini sotto i 12 anni.

In particolare, per quel che
riguarda il settore dei gelati (Unilever possiede il brand Algida), l’azienda
dichiara che le comunicazioni avverano in maniera responsabile e che i gelati
rivolti ai bambini, entro la fine del 2020, non avranno più di 110 calore e
conterranno massimo 12 grammi di zucchero a porzione. Su questi prodotti, per
renderli più facilmente riconoscibili, verrà applicato il logo di ‘’responsibly
made for kids’’ al fine di aiutare i genitori ad identificarli.




Marian Salzman: «Il futuro è migliore di quanto pensiate»

Anticipatrice di nuove tendenze, 60 anni, americana, è stata chiamata da Philip Morris per accompagnare la compagnia verso un futuro «smoke-free»

Dilemma: ti chiama una delle più grandi compagnie di tabacco, in questo caso la Philip Morris International, e ti chiede di pensare a una strategia che sì supporti il proprio business, ma che faccia capire al mondo che bisogna puntare a un futuro senza fumo. Una bella sfida, quasi paradossale. E Marian Salzman ha accettato: il gruppo è un colosso e la challenge è più che stimolante. E così lei, americana di 60 anni, oggi ne è vicepresidente senior, reponsabile delle comunicazioni globali per Philip Morris, tra i dirigenti di pubbliche relazioni più premiati al mondo, trendpotter di riferimento.

Il suo impegno è quello di costruire un futuro senza fumo e, per farlo, sta sta stringendo alleanze con ONG, gruppi di difesa e autorità di regolamentazione, accompagnando la multinazionale per cui lavora in questo enorme processo di trasformazione, che da produttrice di tabacco sta sperimentando altre vie. Ma lei non ha paura di percorrere strade nuove, tanto che oggi è riconosciuta per essere una vera anticipatrice di nuove tendenze.

Che cosa osserva di più per capire il futuro? La gente? Il clima? La politica? I giovani? La moda?
«Scovare nuove tendenze per me è una cosa naturale. Non è qualcosa che ho coltivato di mia volontà sin dal principio, è solo una parte di ciò che sono e di ciò che sono sempre stata. Di me stessa, so bene una cosa: sin da bambina mi piaceva osservare e decifrare le tendenze. Mi sono resa conto da tempo che non posso andare a fare la spesa, aggirarmi in un aeroporto o navigare sul web senza cercare modelli ricorrenti o pattern. Osservo tutto ciò che mi circonda: la gente, il clima, la politica e i giovani. Ma se dovessi fare una scelta fra queste cose, la risposta verrebbe da sé: sono perennemente affascinata dalle esperienze e dalle motivazioni delle persone. Adoro osservare le persone e poi riunire i tasselli del puzzle per capire quale sarà la prossima novità».

Lei viene spesso ricordata per aver popolarizzato il termine “metrosexual”. Per cos’altro vorrebbe essere ricordata in futuro?
«Spesso, per scherzo, dico che sulla mia lapide sarà inciso “metrosexual”. Sono passati quasi due decenni da quando ho acceso i riflettori sul fenomeno degli uomini etero che abbracciano il loro lato “femminile”, ci sono ancora delle persone che mi contattano per parlarne. Non ho inventato io la metrosessualità, né ho mai inventato un trend, del resto. Sono una trendspotter, non una trendsetter. Ho innescato la cosiddetta “metrosexual mania” nel 2003 e nel 2004, prendendo in prestito un termine coniato un decennio prima da un giornalista britannico (anche se con un altro significato) per descrivere ciò che vedevo per strada e nei negozi tutti i giorni: uomini etero che facevano shopping con le loro amiche, che si curavano le sopracciglia, che compravano una crema sofisticata per il viso, che frequentavano un wine bar. David Beckham era l’icona di questo mondo. Applicando un termine malizioso a un fenomeno di grande interesse, io e la mia squadra abbiamo mandato in delirio i media di tutto il mondo. Vorrei davvero essere ricordata come qualcuno che ha lavorato per rendere il mondo un posto migliore, con campagne come #GivingTuesday e #HeForShe, insieme a organizzazioni come One Young World. E quest’ultima mia avventura, insieme a Philip Morris, si iscrive nel medesimo solco».

Che cosa significa per lei lavorare, oggi, in un’azienda del tabacco, quando quest’ultima afferma di voler costruire un futuro senza fumo?
«Philip Morris International si è rivolta a me per chiedermi di aiutarli a realizzare la loro visione di un futuro senza fumo, un futuro dove gli adulti che altrimenti continuerebbero a fumare sostituiscano le sigarette con valide alternative senza combustione. Questa è una distinzione importante, considerando che gran parte dell’impatto tossico delle sigarette è legato al fumo, alla combustione in sé, piuttosto che al tabacco o alla nicotina. Riuscivo a intravedere l’opportunità di fare qualcosa di positivo per la salute pubblica e per gli uomini e le donne che fumano. Potevo dare il mio contributo per ridurre la popolazione mondiale dei fumatori, oggi stimata a 1,1 miliardi. Come avrei potuto rifiutare un’offerta del genere?».

Da sempre lei è molto interessata ai temi del cambiamento: verso quale direzione vorrebbe si dirigesse il mondo?
«Anche se ogni giorno conviviamo con paure e incertezze opprimenti, siamo via via più fiduciosi nel nostro potere – parlo di noi cittadini e consumatori – di agire per un cambiamento reale. Questa constatazione mi riempie di ottimismo quando penso ai prossimi anni».

Cosa possiamo aspettarci dal 2020?
«Credo che il 2020 sarà più consapevole, più sensato e meno caotico. Io spero che l’approccio sereno e collaborativo, con l’esempio dato dai giovani attivisti come Greta Thunberg, Malala Yousafzai e altri, mostrerà alle generazioni più mature che è possibile – e preferibile – essere impegnati, concentrati e forti pur senza perdere di vista la propria umanità o quella di chiunque altro. In un’epoca di caos e di rabbia, questa è una lezione di speranza che possiamo imparare da una generazione che sta emergendo. Ed è proprio un messaggio di speranza che, secondo me, traspare dalle 20 tendenze che ho menzionato per il 2020 nel report Chaos, the new normal».




Le 7 tecnologie per costruire gli aeroporti del futuro

Le compagnie aeree e i gestori degli scali puntano i loro investimenti su riconoscimento facciale, intelligenza artificiale e digital twin

Lisbona – “La tua faccia? Sarà la tua carta d’imbarco”. La profezia arriva dall’Air transport It Summit che Sita, Società internazionale di telecomunicazioni aeronautiche, ha tenuto nei giorni scorsi a Lisbona. Biometria, internet of things, blockchain, cloud e intelligenza artificiale: sono alcuni dei capitoli di investimento da parte di aeroporti e compagnie aeree. Per rendere più smart gli scali, infatti, sono stati spesi globalmente 50 miliardi di dollari nel 2018 e la cifra è destinata a crescere a 61,4 miliardi per il 2019. Emerge da un’indagine effettuata da Sita, azienda fornitrice di soluzioni informatiche in mille aeroporti del mondo, controllata da 400 operatori del settore con 2800 clienti in 200 paesi, fra cui 40 autorità governative.

“Gli attuali 4 miliardi di passeggeri raddoppieranno nei prossimi 20 anni. È urgente ottimizzare processi e movimenti, magari all’interno di infrastrutture medio-piccole, assicurando a ogni utente un’esperienza veloce, automatizzata e senza interruzioni – spiega Sergio Colella, presidente di Sita per l’Europa. “I passeggeri forniscono volentieri i propri dati, se sono gestiti efficacemente e se ciò genera un vantaggio. I dati dimostrano che la soddisfazione degli utenti cresce del 20% secondo 6 compagnie e aeroporti su 10, dopo gli investimenti”.

L’impegno delle linee aeree è stato di 40,8 miliardi di dollari (il 4,84% dei ricavi) nel 2018, in aumento rispetto ai 24,8 del 2017. Gli aeroporti ne hanno messi sul piatto 10 (il 6,06% dei ricavi). La spesa converge sempre più su servizi cloud, cybersecurity, business intelligence, web app, data center, processi self-service e infrastrutture. “Condividere i dati” è quindi il nuovo mantra lanciato nel corso dell’evento, che ha visto anche la partecipazione di Armando Brunini, amministratore delegato di Sea. La società gestisce gli aeroporti di Malpensa e Linate, con 33,7 milioni di passeggeri, 107 linee aeree, 210 destinazioni in 90 Paesi. Così, dalla nota spesa globale di oggi è possibile capire come sta cambiando l’aeroporto del futuro, con le innovazioni pronte per il 2025.

1. Biometria

Convalidare da sé la propria identità con un selfie durante il check in online o direttamente in aeroporto senza esibire a ogni passaggio carta d’imbarco e passaporto. Sarà possibile con una scansione del proprio volto in meno di 5 secondi, grazie alle fotocamere del chiosco automatico o con il proprio smartphone. I dati biometrici del viso rilevati dall’intelligenza artificiale saranno infatti abbinati a quelli registrati nel chip del passaporto e alla carta d’imbarco.

Basterà poi farsi riconoscere dalle altre fotocamere al momento di caricare il bagaglio, abbinato con i propri dati biometrici, ai controlli di sicurezza, di confine e infine all’e-gate d’imbarco. Il 9% degli aeroporti ha già adottato questa soluzione, come Orlando negli Usa, ma saranno il 44% nel 2022. In futuro Sita che si possa arrivare a un token di viaggio vitalizio, grazie a soluzioni blockchain.

Fra gli scali che investono in questa tecnologia (il 61% entro il 2022) ci sono anche Malpensa e Linate. Qui ci saranno sei chioschi per l’enrollment, 25 e-gate, 10 gate pre-security e 7 face spot security (per un ulteriore controllo). Su questo fronte Sea ha investito 21 milioni.

Un passeggero al chiosco di check in per il riconoscimento biometrico all'aeroporto di Orlando (foto ufficio stampa SITA)
Un passeggero al chiosco di check in per il riconoscimento biometrico all’aeroporto di Orlando (foto ufficio stampa SITA)

2. Digital twin

L’airport management system è una centrale operativa con capacità predittiva per i carichi di lavoro e congestionamento del traffico, in grado di rimodulare in pochi secondi tabelle orarie, stalli occupati, flussi di mezzi e persone all’imbarco anche in caso di eventi dirompenti (come una bomba d’acqua) grazie all’Ai. Con i sensori a tecnologia Lidar permette inoltre di monitorare movimenti e presenze in ogni area, in modo anonimo.

Gli operatori hanno così a disposizione un “gemello digitale” (digital twin) dell’intera struttura e possono decidere con un colpo d’occhio di smistare il flusso ai gate, aggiornare tempi d’attesa o riprogrammare le operazioni di terra. L’83% e l’80% degli aeroporti investono o investiranno in business intelligence per gestire il flusso dei passeggeri e le operazioni di volo.

3. Beacons

Con l’internet of things sarà possibile un servizio sempre più personalizzato muovendosi nella struttura fisica. Il 54% degli aeroporti invierà notifiche in app sui tempi d’attesa per il volo e il 77% investirà in strumenti per la navigazione indoor entro il 2022. Un esempio? Dal primo quadrimestre del 2020 sarà disponibile a Malpensa (nel T1) la tecnologia beacon con connessione bluetooth: entrando in aeroporto, l’App Sea Milan Airports indicherà il volo e guiderà I passeggeri al gate indicando il percorso più breve, arricchendolo di informazioni sui servizi (ascensori, scale mobili, farmacie, shopping).

Un passeggero guarda il tabellone delle partenze in aeroporto (foto ufficio stampa)
Un passeggero guarda il tabellone delle partenze in aeroporto (foto ufficio stampa)

4. Imbarco bagaglio self service

Tre aereoporti su quattro forniranno il servizio di imbarco bagaglio self service entro il 2022. Gli aeroporti che hanno investito in questa procedura sono raddoppiati dal 18% al 36% nel giro degli ultimi quattro anni. L’utente potrà evitare le file etichettando da solo il bagaglio da stiva nel giro di un minuto. Questo, secondo Sita, permetterebbe di aumentare del 60% la capacità operativa dell’aereoporto, riducendo del 40% i costi operativi dello scalo.

Dal prossimo anno il Terminal 2 di Malpensa sarà il primo in Italia senza operatori al check-in perché verranno trasformati tutti i banchi in self bag drop: saranno 21, un po’ come sul modello londinese di Gatwick. In caso di peso superiore al previsto, il passeggero pagherà la differenza con sistemi di pagamento elettronici, nella medesima postazione

Self bag drop all'aeroporto di Orlando (foto ufficio stampa SITA)
Self bag drop all’aeroporto di Orlando (foto ufficio stampa SITA)

5. Smart security

Oltre 8 aeroporti su 10 stanno investendo in infrastrutture, business intelligence e processi di self-service, così anche Sea Milano prepara l’installazione di macchine Edes-Cb (Explosives Detection Systems for Cabin Baggage) con tecnologia Tac al posto dei tradizionali raggi x. I nuovi dispositivi di controllo permetteranno di non dover estrarre computer, tablet e smartphone dalla valigia, che potrà contenere anche creme e liquidi oltre 100 millilitri.

Entreranno in funzione a regime entro l’estate a Linate e per la fine del 2020 a Malpensa. La tecnologia, per cui Sea ha investito 17 milioni, è già in uso per i controlli dei bagagli da stiva e permette di riconoscere, in maniera automatica, la minima percentuale di esplosivo, svolgendo anche una parte del lavoro dell’operatore. Inoltre, le linee automatizzate per la gestione del bagaglio a mano permetteranno di gestire un numero più elevato di passeggeri, fino a 250 all’ora.

6. Un’app per tracciare i bagagli

Se la tecnologia World Tracer è già in uso dal 1991, grazie alle web app ogni compagnia aerea potrà fornire aggiornamenti riguardo il bagaglio smarrito al passeggero che, dopo aver fatto denuncia alle autorità competenti, riceverà un codice univoco di tracciamento e decidere data e luogo della consegna, imitando l’esperienza degli ecommerce più famosi. Metà degli aeroporti ha investito nel tracciamento dei bagagli in area check in nel 2019 e comunque il numero dei bagagli smarriti è in calo costante nell’ultimo decennio, da 46.9 milioni di pezzi nel 2007 a 24.8 milioni nel 2018. La spesa annuale correlata è scesa da 4,22 miliardi di dollari a 2,4 miliardi.

Una valigia viene caricata sull'aereo (foto ufficio stampa SITA)
Una valigia viene caricata sull’aereo (foto ufficio stampa SITA)

7. Cybersecurity

Se è vero che “ci sono due tipi di aziende, quelle che sono state hackerate e quelle che ancora non sanno di esserlo state” (John Chambers, Cisco), la priorità per scali e aerolinee è diventata l’addestramento del personale, mentre cresce la ricerca in intelligence delle minacce informatiche.

La difesa informatica è il tema di spesa più diffuso fra gli aeroporti (95%) e il secondo per le compagnie aeree (96%). Nel mondo, fra luglio 2016 e gennaio 2019, sono state attaccate 12 strutture. Oltre 100 voli subirono ritardi in Vietnam per un attacco agli scali di Ho Chi Minh e Hanoi e la piattaforma di Kiev fu colpita dal ransomware WannaCry. Nel 2018 gli hacker misero in scacco la rete wireless nell’aeroporto di Atlanta; mezzo milione di passeggeri subì ritardi e cancellazioni per un errore di sistema del centro Eurocontrol a Bruxelles e un furto di dati alla British Airways mise a rischio la sicurezza di 380mila carte di credito.

Sergio Colella, presidente di Sita Europa (foto ufficio stampa)
Sergio Colella, presidente di Sita Europa (foto ufficio stampa)

Come ulteriore tassello per supportare gli aeroporti a integrare le soluzioni informatiche nel processo di trasformazione digitale, Sita, che ha chiuso il 2018 con 1,7 miliardi di ricavi, ha appena acquisito il 100% di Software Design, società italiana con un team di 70 esperti, specializzata nell’integrazione di soluzioni software per gli aeroporti e principale fornitore di servizi a Capodichino (Napoli), scalo che, anche grazie ai sistemi digitali, ha potuto gestire un aumento del 16% di viaggiatori, arrivati a 10 milioni nel 2018.




Nutella, come sfruttare il packaging nella comunicazione di impresa

Nutella, come sfruttare il packaging nella comunicazione di impresa

Ognuno di noi ha, almeno una volta, assaggiato la nutella.
La crema di nocciole più famosa del mondo è stata inventata nel 1964
dall’industria dolciaria Ferrero. Il successo di questo prodotto, che ha reso i
Ferrero la famiglia più ricca d’Italia, è sicuramente dovuto al sapore del
prodotto, che piace molto soprattutto ai più piccoli, ma anche all’intelligenza
del top management che ha permesso di sfruttare tutte le leve del marketing,
adattandole ai diversi paesi in cui il prodotto è distribuito.

La Ferrero infatti, avendo un prodotto non personalizzabile,
hanno sfruttato abilmente il packaging per trasmettere i propri valori ai
clienti piuttosto che fare del barattolino di vetro un mero contenitore. I
vasetti infatti, spesso diversi tra di loro, spesso vengono riutilizzati e
apprezzati dai clienti.

Il primo vasetto del 1964, che conteneva 200 grammi di
prodotto, aveva una forma conica con il tappo bianco che tutti conosciamo. Pochi
anni dopo il vasetto originale venne sostituito con vasetti di diverse forme,
sempre in vetro, arricchiti con svariate decorazioni, come ad esempio personaggi
dei cartoni animati o i luoghi più famosi d’Italia, che lo resero un oggetto da
collezione e ne permisero il riutilizzo.

Seguendo le orme della coca-cola, la Ferrero nel 2013 lanciò
il vasetto personalizzato con la campagna ‘’nutella sei tu’’. Non solo nei
negozi divenne possibile acquistare barattoli con 150 nomi ma divenne possibile
anche acquistare su internet un vasetto con il proprio nome, nel caso in cui non
fosse presente tra i 150 disponibili in negozio. Visto l’enorme successo di
questa iniziativa, l’anno seguente la Ferrero decise di lanciare i vasetti con
le frasi motivazionali e nel 2015 con varie espressioni dialettali. Nel 2017 i
vasi delle dimensioni più grandi vennero prodotti con un numero di serie progressivo
e unico, al fine di rendere ogni barattolo diverso da tutti gli altri. A
sostegno della diversità, nel 2019 la ferrero ha lanciato l’edizione speciale
che ha preso il nome di nutella gemella per veicolare il messaggio che ‘’anche
se siamo tutti diversi, c’è sempre qualcosa che ci unisce’’.

Ferrero ci insegna come anche un prodotto di larghissimo consumo può essere reso speciale e unico grazie ad un packaging originale.