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Csr: le imprese italiane investono, ma servono marchio e incentivi

Rapporto Csr in Italia, migliorano la reputazione aziendale e il clima interno


Investire sulla Responsabilità sociale conviene, soprattutto se le buone pratiche vengono condivise con i dipendenti, mettono radici all’interno dell’impresa e viaggiano parallelamente al business. In questi ultimi due anni quasi tutte le aziende italiane che hanno fatto Csr (Corporate Social Responsibility), investendo complessivamente circa 1 miliardo e mezzo di euro solo negli ultimi 12 mesi, si dichiarano molto soddisfatte dei risultati raggiunti (97%). E l’85% ritiene che le politiche di Csr rendono l’impresa “più attrattiva e affidabile in termini di accesso al credito e come possibile oggetto di investimenti”.
Lo rileva l’ottavo Rapporto sulla Csr in Italia dell’Osservatorio Socialis, presentato all’Università di Milano-Bicocca. Delle 400 aziende campione, l’85% dichiara di impegnarsi in Csr (era il 42% nel 2001) e tra queste il 52% lo farebbe con maggiore costanza se avesse un marchio ad attestarlo, come pure l’emanazione di una norma che dia la possibilità di ottenere detrazioni fiscali sarebbe un incentivo alla stabilizzazione degli investimenti, auspicata dal 50% del campione.
Il primo vantaggio riconosciuto alla Csr è sul fronte del mercato: oltre il 50% delle imprese che ha investito in Csr ha rilevato un miglioramento del posizionamento, della reputazione e anche un aumento della notorietà; in quasi 4 casi su 10 si è riscontrato un aumento della fidelizzazione dei clienti. Tra i terreni di maggiore investimento, dichiarati dalle aziende impegnate in Csr, rientrano il coinvolgimento dei dipendenti, l’attenzione all’ambiente, la lotta agli sprechi, l’ottimizzazione dei consumi energetici e il ciclo dei rifiuti.
Il 49% delle imprese riconosce l’efficacia della Csr nell’agevolare i rapporti con le comunità locali e, in seconda battuta, con le pubbliche amministrazioni. Aumentano, pure solo in linea tendenziale, anche le ricadute positive sul clima interno all’azienda: il 44% registra un miglioramento del clima ed un maggior coinvolgimento del personale.

Ormai l’85% delle imprese italiane (con più di 80 dipendenti) si è dotata di un codice etico. L’87% ne ha almeno sentito parlare. I valori fondanti di un buon comportamento sociale dell’impresa riguardano essenzialmente la trasparenza (63%), la salvaguardia dell’ambiente (61%) e, con qualche distanza, il tema dell’uguaglianza e della tutela delle diversità (42%) della protezione della salute (40%) e la tutela dei dipendenti (38%). Il 54% delle imprese redige un bilancio sociale e il 65% predispone un bilancio di sostenibilità aziendale (il 34% fa entrambi i documenti).




Benetton: l’incompetenza che distrugge valore (e crea dolore)

Benetton Autostrade

Non serve spendere molte parole, per richiamare alla memoria la tragedia di Genova: basta dire “Ponte Morandi”,e il dolore e lo sgomento – a poco più di un anno dal disastro – si riacutizzano immediatamente. Per chi volesse comunque rinfrescarsi la memoria sulle varie fasi della pessima gestione di quella crisi da parte dei Benetton e di Autostrade Per l’Italia, ne ho scritto in questo articolo.
 

Le reazioni dei manager di Autostrade e della famiglia Benetton

Il silenzio della famiglia Benetton in occasione del disastro – peraltro contrario a qualunque buona prassi di crisis management – non è stato d’aiuto, né ha generato empatia nei confronti della ricca famiglia di imprenditori Veneti: il confine tra (presunta) riservatezza e disinteresse è infatti assai labile. “Il silenzio delle prime ore? Un segno di rispetto”, secondo l’intervista rilasciata a tutta pagina al Corriere della Sera, quando probabilmente più del rispetto poterono gli interessi degli azionisti, e la famiglia decise di rompere, appunto, il silenzio.
A peggiorare lo scenario, la festa tenuta dai Benetton a Cortina il 14 e 15 agosto, a poche ore dalla tragedia, e giustificata maldestramente da un’amica di famiglia invitata quella sera: “Mettetevi nei loro panni, c’erano ospiti che arrivavano dall’estero, come potevano annullare tutto?”
Poi, agli inizi del mese di ottobre 2018, un ulteriore incredibile aggiornamento, che riportavo così sul mio Blog “C’è un limite alla mediocrità del management dei grandi gruppi italiani? L’indagine della Guardia di Finanza successiva al disastro di Genova sta dipingendo uno scenario a tinte più fosche del previsto: passando al setaccio una trentina di cellulari di utenze intestate sia ad Autostrade per l’Italia che al Ministero delle Infrastrutture, è risultato evidente come vari scambi di comunicazioni – sia email che WhatsApp – fossero presenti solo da una parte, laddove avrebbero dovuto essere esattamente speculari tra mittente e ricevente. Uno speciale software ha confermato sia la cancellazione dei messaggi, che la data di originale invio (mesi e mesi fa), che il fatto che l’intervento doloso di “auto-censura” risale a dopo il disastro. Cosa si è voluto nascondere? E cosa è andato perduto, oltre alla dignità di questi manager?
Successivamente, i giornali hanno portato l’attenzione su come nessuna delle figure maggiormente coinvolte nell’inchiesta abbia risposto alle domande dei Magistrati: tutti i principali indagati si sono infatti avvalsi della facoltà di non rispondere, inclusi i dirigenti tecnici di Autostrade responsabili del tronco oggetto del disastro. Certamente, una facoltà garantita dal nostro Codice Penale, ma nel contempo un intralcio deliberato sulla strada della definizione di un quadro di verità, intralcio che suona ingiurioso verso le 43 vittime della tragedia e le loro famiglie.
 

Non basta: un nuovo scandalo per Autostrade per l’Italia, e una tragedia sfiorata

Ora, incredibile a dirsi, nuovi sconcertanti sviluppi: in un anno, nulla pare essere cambiato nelle male pratiche di questo importante gruppo imprenditoriale italiano, nonostante la tragedia, nonostante i morti. Come riportato dai mass-media, infatti, la Procura di Genova ha disposto 9 misure cautelari in relazione a presunti report di sicurezza falsificati dai funzionari della concessionaria SPEA (gruppo Atlantia), su due distinti viadotti. “Non è possibile una superficialità così spinta dopo il 14 agosto” (data della tragedia del ponte Morandi, ndr). A parlare è Andrea Indovino, addetto all’ufficio Controlli Strutturali di Spea Engineering, controllata dai Benetton. Indovino ha dubbi sulla stabilità del viadotto Pecetti sulla autostrada A26 (Genova – Gravellona Toce), in relazione al passaggio di un trasporto eccezionale previsto per il 21-22 ottobre 2018, e quando si trova a redigere la relazione esprime tutte le sue perplessità alla responsabile della sorveglianza dell’Ufficio Tecnico Sorveglianza Autostradale di Genova. “Vuol dire che la gente coinvolta non ha capito veramente un cazzo”. Il falso report – da quanto riportano le cronache – doveva servire a garantire il passaggio di un trasporto eccezionale da 141 tonnellate su un viadotto potenzialmente a rischio. “Più andiamo oltre, più rosicchiamo margini di sicurezza – aggiunge Indovino – e quello è un viadotto che ha delle problematiche”. Ma “il mittente che c’è dietro è pesante” (Autostrade per l’Italia, ndr) e quindi si decide di procedere. A quel punto, secondo l’indagine, Maurizio Ceneri, responsabile dei controlli di Spea Engineering, ha compilato un documento che attestava falsamente la perdita di sicurezza del viadotto al 18%, a fronte di quella reale del 33%, permettendo così il passaggio del trasporto eccezionale. Passaggio che molto probabilmente ha fatto vivere una notte assai agitata alle persone coinvolte, ma che poi è andato a buon fine, evitando così un nuovo disastro, a pochi mesi da quello, tragico, di Genova.
A seguito di questi fatti, Atlantia, la holding dei Benetton, ha sospeso i dipendenti coinvolti nel nuovo scandalo, e ha diramato uno scarno comunicato nel quale annuncia che “Prenderà senza esitazione e nell’immediato tutte le iniziative doverose e necessarie, anche a salvaguardia della credibilità, reputazione e buon nome dei suoi azionisti e delle aziende controllate e partecipate”. Che è – evidentemente – la cosa che più interessa al top management del gruppo.
 

Cambio al vertice in API: ma tardi, e con paracadute d’oro

Inoltre, nel Consiglio di Amministrazione del 17 settembre 2019, gli azionisti e l’Amministratore Delegato Giovanni Castellucci hanno raggiunto un accordo per le dimissioni di quest’ultimo, liquidato con oltre 13 milioni di euro. Inoltre, confermano le cronache “…per qualsiasi giudizio civile, penale o amministrativo che dovesse coinvolgere Castellucci, anche dopo la cessazione dei rapporti, in relazione all’attività resa in esecuzione dei medesimi, ogni onere relativo, anche per indennizzi e risarcimenti e per spese legali e peritali, sarà a carico della Società”. In considerazione del valore distrutto dall’inettitudine del management del gruppo, incapace di vincere la sfida costituita dalla gestione di queste tragiche e delicate vicende, avrei francamente – più appropriatamente – proposto un’azione di responsabilità: ma si sa, come per i nostri amici a 4 zampe, vale il detto “tale manager, tale padrone”; tutti d’amore e d’accordo nel creare pregiudizio all’azienda a causa della loro imperizia.
Da ricordare che per le famiglie rimaste senza casa per il crollo del Ponte Morandi Atlantia stanziò inizialmente una media di 10.000 Euro a testa, cifra risibile se paragonata all’oltre 1 miliardo di utile annuale della società. Franco Ravera, presidente dell’associazione ‘Quelli del ponte Morandi’, ha commentato: “Potevano agire diversamente, leggere quelle cifre fa tanta rabbia. Andava fatta una valutazione morale, non si può fare finta che il 14 agosto 2018 non sia successo nulla. La cosa che fa più male è ripensare agli incontri con Autostrade avvenuti subito dopo il 14 agosto, alle scuse mancate, e all’indisponibilità a dialogare con noi”, ha concluso Ravera.
Una storia peraltro già vista in occasione dei Dieselgate Volkswagen, dove l’AD – che secondo molti qualificati osservatori non poteva non sapere delle truffe legate alla manomissione dei report sulle emissioni nocive in atmosfera – venne dimissionato con una liquidazione monstre da quasi 60 milioni di Euro: il top management delle grandi corporation non paga quasi mai, quale sia il disastro, e a prescindere dal numero di morti.
 

Gestione della comunicazione… o etica?

Un collega che stimo, riflettendo sulla gestione di Autostrade, ha scritto: “A ben guardare le decisioni prese da Edizione ed Atlantia nel corso delle ultime 72 ore giungono 400 giorni in ritardo. La discontinuità auspicata oggi dalla famiglia Benetton e l’audit interno affidato a consulenti esterni da parte di Atlantia avrebbero dovuto essere la naturale conseguenza del drammatico crollo del Ponte, e una delle prime azioni di crisis management adottate da Atlantia. La riorganizzazione delle società operative con la nomina di nuovi dirigenti e l’avvio di una fase rigorosa di audit interno di tutte le società controllate avrebbero probabilmente evitato che le società del Gruppo finissero nuovamente nell’occhio del ciclone. Difficile infatti difendersi dall’accusa mossa dalla Procura di Genova che ‘dopo la tragedia di Genova i tecnici di Autostrade e Spea hanno continuato a ammorbidire i risultati delle misurazioni sullo stato di salute dei tratti in questione’, senza poter dimostrare di aver intrapreso azioni di governance che lo potessero evitare”.
Tutto corretto. Ma alla luce di questa carrellata di atteggiamenti e comportamenti irresponsabili, irriguardosi verso la sicurezza dei cittadini, e soprattutto pervicacemente reiterati, occorre interrogarsi nel profondo, a mio avviso, non solo sotto il profilo tecnico, ovvero circa il mancato rispetto delle più elementari norme di crisis management, quanto piuttosto sulle cause remote alla base del problema: a mio avviso, la cultura aziendale propria di questo colosso delle concessioni pubbliche.
 

Benetton e Autostrade: persistere nel distruggere valore

L’Università di Harvard ha – già da anni, inascoltata – messo la pietra tombale sulla presunta alternativa “etica versus profitto”, spiegando e documentando scientificamente che l’introduzione di preoccupazioni etiche nel business a livello strategico incrementa il valore medio della capitalizzazione di borsa delle aziende del 25 per cento. É sconcertante come una famiglia d’imprenditori dallo straordinario pedigree come i Benetton non abbia ancora fatto propri questi concetti, e soprattutto non si sia posta concretamente – negli ultimi lunghi 12 mesi, con tutto ciò che è successo – il problema di indagare nel profondo e con urgenza il tema della cultura d’impresa all’interno della propria azienda. Perché la mancanza di etica ha un prezzo, per le aziende, eccome: ne scrivevo proprio di recente.
A conferma di ciò, è bene ricordare che già la vicenda del crollo del viadotto Polcevera fu un bagno di sangue per gli azionisti dell’azienda, e ora la nuova inchiesta giudiziaria ha causato altre perdite per quasi il 20% della capitalizzazione di borsa della società. Buonuscita dell’AD Castellucci a parte, i numeri ufficiali sulle spese sostenute finora dalla concessionaria autostradale sono scritte nero su bianco nella relazione annuale 2018 della “casa madre” Atlantia, e poi nella semestrale del 30 giugno 2019: “Nel corso del primo semestre 2019 sono stati effettuati ulteriori accantonamenti pari a 6 milioni di euro correlati essenzialmente ai risarcimenti agli eredi delle vittime e ai feriti, portando l’onere complessivo a 513 milioni di euro”. Soldi persi dai Benetton, certo, ma anche da tutti gli investitori, istituzionali, privati e piccoli azionisti, che nella loro gestione avevano riposto fiducia.
Ora, novelli Luigi XVI, apparentemente incuranti di tutto ciò che è accaduto e di quanto di vergognoso sta ulteriormente emergendo in queste settimane, la dinastia di imprenditori trevigiani continua a fare affari e contratta per preparare l’ingresso in Alitalia, così da soddisfare i politici che hanno volto lo sguardo a Treviso per pietire interesse (e soldi). Ma attenzione, perché la Torre del Tempio e Place de la Concorde potrebbero essere dietro l’angolo.
 

Post scriptum

Al ridicolo non c’è mai fine: grazie alla magia degli algoritmi che posizionano automaticamente le ADV online, in calce a vari articoli sul nuovo scandalo che ha colpito Autostrade per l’Italia, trovate la pubblicità che vedete nello screenshot qui sotto. “Colorata e divertente”, dice Benetton: si riferisce forse alla propria gestione delle concessioni autostradali? Possibile che l’azienda sia incapace di “modulare” il proprio marketing sulla base della situazione ambientale? È il senso della prima lezione del corso universitario in Reputation management, lo capiscono anche i discenti, e hanno 18 anni…

Pubblicità Benetton
Il Fatto Quotidiano – articolo sullo scandalo del Viadotto Pecetti, 2019-09-22 alle 01.13

 

Aggiornamento (ottobre 2019)

I mass-media denunciano cosa sarebbe accaduto in Atlantia prima del crollo del Ponte Morandi: “Risparmiamo, ora arrivano i Cinesi”, ovvero manutenzioni al ribasso sulla rete autostradale per compiacere i nuovi soci in ingresso nel gruppo. Più della metà del pacchetto azionario del Benetton (6,97%) è acquistato da un consorzio guidato dai tedeschi di Allianz Group, l’altra metà è ceduto a Silk Road Fund, fondo sovrano cinese. L’iniezione di liquidità – che porta nelle casse del colosso controllato dai Benetton 1,48 miliardi – apre a un’altra mega-fusione, con l’avvio delle grandi manovre per l’acquisizione della società spagnola Abertis. “Devo spendere il meno possibile… sono entrati i tedeschi, a te non te ne frega un cazzo ma sono entrati anche i cinesi… devo ridurre al massimo i costi… e devo essere intelligente de portà alla fine della concessione… lo capisci o non lo capisci?”, dice un dirigente le cui esternazioni venivano registrate da un collega. Per i Giudici che nelle scorse settimane hanno firmato gli ordini di arresto per altri tecnici accusati di aver falsificato l’esito di varie ispezioni, “emergono con prepotenza le logiche commerciali sottese agli interventi manutentivi”. I dirigenti del gruppo Atlantia intervengono in modo esplicito sulla sicurezza delle infrastrutture pubbliche, chiedendo ai tecnici di rivedere al ribasso le valutazioni di rischio su alcuni viadotti: “Che sono tutti ’sti 50 (il numero indica un coefficiente di rischio, più alto è, e più urgenti sono le manutenzioni da eseguire, ndr)? Me li dovete toglie… Adesso riscrivete”. Atlantia – in risposta a questo nuovo vergognoso scandalo – dichiara “di aver avviato un audit interno”. Con calma: tanto le persone sono già morte, non c’è fretta. Armatevi di altrettanta calma e pazienza, Voi lettori, e scaricatevi il Codice etico di Atlantia (Gruppo Benetton): leggerete parole chiave importanti come “legalità, onestà e correttezza”, “integrità”, “lealtà e buona fede”, “trasparenza”, “rispetto delle persone”, “sicurezza, salvaguardia della salute e delle condizioni di lavoro”, “benessere economico e crescita della comunità”. Nel Codice etico si legge anche che esso “responsabilizza coloro che, a vario titolo, hanno rapporti con il Gruppo Benetton in ordine all’osservanza di detti principi, e che il gruppo nella gestione degli affari si impegna ad agire nel rispetto dei principi di correttezza, qualità e liceità ed operare con la diligenza professionale o del buon padre di famiglia”. Se non parlassimo, purtroppo, di un’incredibile tragedia, ci sarebbe da ridere…
 

Aggiornamento (dicembre 2019)

“Sulla sicurezza mi sembra che ci sia qualcosa che non funziona. Questa tabella avrebbe meritato un approfondimento”. Sono le parole di Alberto Selleri, responsabile della direzione realizzazione delle nuove opere di Autostrade, ingegnere di punta della società, che molti media riportano dal quotidiano La Stampa, che ha ottenuto copia di parte dei verbali delle audizioni alla Commissione di inchiesta del Ministero delle Infrastrutture sul Ponte Morandi, convocata dopo il disastro del Ponte Morandi a Genova. Quella di Selleri è una vera e propria voce fuori dal coro, afferma il giornale piemontese, che smentisce gli altri dirigenti di Autostrade. In Commissione, l’Ing. Selleri è infatti intervenuto in merito alla tabella di valutazione sismica e ai coefficenti di sicurezza del progetto Morandi, che gli sono stati mostrati dalla Commissione: la tabella, dice, è piena di “errori madornali che sarebbero accettabili forse su un ponticello su un ruscello”. “Mi sembra assurdo. Non so cosa dire. In effetti qui sembra qualcosa che riguarda un ponticello…”, dice commentando i coefficienti di sicurezza del progetto, che ritiene “ottimisticamente sovrastimati”. Giovanni Castellucci, all’epoca Amministratore delegato di Autostrade, liquidato come abbiamo scritto con una buonuscita pluvi-milionaria, dinnanzi alla stessa Commissione negò una particolare esigenza di sicurezza riguardo al Ponte Morandi, rimandando per approfondimenti e pareri tecnici a Paolo Berti, a quel tempo Direttore centrale operativo, numero tre dell’azienda, il quale però in audizione – evidenzia La Stampa – inanellò a sua volta una ventina di “non so” e “non ricordo”. 

Sorprendentemente, alcuni giorni fa Luciano Benetton (84 anni, patron del gruppo) è intervenuto con una lettera a pagina intera sul Corriere della Sera, nella quale si è lamentato per quella che ha definito “una campagna d’odio” ai danni della famiglia e delle società del gruppo, che a suo dire avrebbero “commesso degli errori”: “è inaccettabile la veemenza con la quale veniamo accusati”, lamenta l’imprenditore trevigiano, che dice di essere “colpito e sorpreso” dal comportamento del manager del gruppo. Ammette tuttavia – a margine, lei che del gruppo Atlantia è azionista di maggioranza – di aver “avvallato un management che si è rivelato non idoneo”. Ma non perde l’occasione per “sgridare” i mass-media, che dovrebbero, a suo dire, trovare un linguaggio “più adatto per trattare questo argomento”, e le istituzioni, che dovrebbero essere “più serie”.
E’ anche un po’ piccato, il Signor Benetton, capite? Al punto da tenere lezioni. Se non fosse vero, parrebbe una barzelletta.
 

Aggiornamento (dicembre 2019)

I sostegni degli stralli a sud che sembrano aver ceduto per primi sono gli stessi su cui un professore di ingegneria strutturale del Politecnico di Milano, Carmelo Gentile, aveva notato preoccupanti segni di corrosione o altri possibili danni durante dei test effettuati lo scorso ottobre.

Riporta il New York Times in un approfondito dossier sulla tragedia, di cui consigliamo la lettura.

 

Il professor Gentile avvisò il gestore del ponte, Autostrade per l’Italia, che secondo il professore non fece mai seguito alla sua raccomandazione di eseguire un accurato modello matematico e attrezzare il ponte con sensori permanenti.

“Probabilmente hanno sottovalutato l’importanza dell’informazione”, ha detto il professor Gentile in un’intervista.

Autostrade non ha mai negato le conclusioni del professor Gentile, ma ha ribadito che nessuno aveva ravvisato elementi di urgenza. In un comunicato, la società ha precisato che i suggerimenti del professor Gentile erano stati inclusi nel progetto di retrofitting del viadotto approvato a giugno, e ha accusato il Ministero delle Infrastrutture di mesi di ritardo nell’autorizzazione dei lavori.

 

Aggiornamento (novembre 2020)

Giovedì 12 novembre 2020 – finalmente – la giustizia ha fatto ben parlare di se con l’arresto dell’ex Amministratore delegato di Autostrade per l’Italia e Atlantia, Giovanni Castellucci, ed altri manager di vertice del gruppo italiano. Paola Faggioni, il giudice che si sta occupando del dossier, ha a tal proposito dichiarato in modo inequivoco: “Sono state accertate gravi condotte criminose legate a una politica imprenditoriale volta alla massimizzazione dei profitti derivanti dalla concessione dello Stato, mediante la riduzione e il ritardo delle spese necessarie per la manutenzione della rete autostradale, a discapito della sicurezza pubblica”. Prima del disastro del ponte Morandi, evento per certi versi tristemente annunciato, i manager si scambiavano messaggi su Whatsapp sull’evidente stato di irrimediabile corrosione dei cavi, messaggi poi infantilmente e criminalmente cancellati dalle chat. Ora all’AD Castellucci (del quale trovate un intrigante ritratto qui) si vede revocare la sontuosa liquidazione milionaria che senza esitazione l’azienda controllata dalla famiglia Benetton – che porta sulle spalle la responsabilità se non altro morale per quanto accaduto – gli aveva riconosciuto in occasione delle Sue dimissioni, dopo il disastro di Genova: se non ci fossero 43 morti, e non fosse una vicenda quantomeno tragica, parrebbe un romanzo di quart’ordine.. (to be continued)

 

Edit il 29/12/2019 h 17:38
Edit il 13/12/2019 h 16:38
Edit il 13/12/2019 h. 12.29
Edit il 08/12/2019 h 15:40
Edit il 13/10/2019 h 01:15
Edit il 06/10/2019 h 18:35
Edit il 22/09/2019 h 16:55
Edit il 22/09/2019 h. 11.49
Edit il 22/08/2019 h. 15.15
Edit il 19/11/2020 h. 11:57
 




TESI DI LAUREA: Il ruolo della comunicazione in occasione di crisi di livello nazionale e internazionale all’interno delle organizzazioni Statuali

Libera Università Maria Assunta, Roma – Dipartimento di scienze umane
Corso di Laurea in Marketing & Digital Communication, Anno Accademico 2018 – 2019

Il ruolo della comunicazione in occasione di crisi di livello nazionale e internazionale all’interno delle organizzazioni Statuali

Tesi di Gabriella Cartone – Relatore Prof. Luca Poma

A questo link, il testo integrale della Tesi (86 pagine), qui di seguito, il testo dell’Introduzione della tesi:


INTRODUZIONE

Il presente elaborato ha come scopo lo studio e la disamina del ruolo, sempre più preminente, che ha assunto la comunicazione in occasione di crisi di livello nazionale e internazionale all’interno delle organizzazioni Statuali.

Attraverso l’utilizzo di testi storici e di materiale didattico si è voluto mostrare come la comunicazione, durante una crisi, diviene elemento imprescindibile e come l’utilizzo di una puntuale e mirata strategia di comunicazione, durante i colpi di Stato, sia un elemento centrale. Questo ha permesso di poter effettuare una lettura non scontata di questi eventi che hanno condizionato e condizionano la storia dell’intera umanità.

Il presente lavoro è strutturato in tre capitoli.

Nel primo capitolo si è analizzato l’excursus sull’evoluzione della comunicazione: dalla sua nascita, che si può riscontrare nella venuta al mondo dell’uomo, sino ai giorni nostri caratterizzati da una comunicazione tutta nuova capace di abbattere ogni barriera spazio-temporale. Il nuovo modello di comunicazione permette di ripercorrere la storia del mondo facendo intuire come quest’ultima abbia ampiamente contribuito al grande progresso che ha rivoluzionato l’intera umanità, essendo il fondamento di ogni relazione umana.

Nel secondo capitolo vengono in rilievo le diverse situazioni di crisi che possono colpire non solo un organismo statuale ma anche una situazione privata (crisi di azienda). Si sottolinea come i fattori che generano una crisi possono essere di natura economica, demografica, sociale, culturale e politica. Si evidenziano i diversi aspetti della comunicazione di una crisi pubblica e come questi possono essere paragonati a quelli di una crisi aziendale con particolare attenzione anche alla comunicazione del rischio che permette di intuire e risolvere i momenti ostici.

La comunicazione è un’attività importante capace di dare un contributo al processo di organizzazione e di pianificazione. Questa non è solo una semplice diffusione di informazioni bensì è la chiave in grado di creare relazioni al fine di superare i momenti di conflitto che caratterizzano le situazioni di crisi. Appare, dunque, evidente come la pianificazione e la comunicazione viaggiano insieme al fine di affrontare al meglio le crisi in modo da uscirne vittoriosi e non rimanerne vittime.

Il terzo e ultimo capitolo si incentra su diversi colpi di Stato avvenuti nel corso della storia, concentrandosi sull’importante compito che ha avuto la comunicazione durante gli stessi.

Si è analizzato il colpo di Stato nel 1944 ad Adolf Hitler, in cui il mancato controllo della comunicazione ha contribuito alla fine del regime, e quello compiuto in Spagna nel 1981 a opera di alcuni militari guidati dal tenente colonnello Antonio Tejero.

Sono stati affrontati anche altri due casi, più recenti, che hanno visti come protagonisti la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan nel 2016 in cui la mancata occupazione della CNN Turkey è stata decisiva per definire il fallimento del golpe e le rivolte in Venezuela che hanno messo in discussione la leadership di Nicolás Maduro, promosse dal suo oppositore politico, Juan Guaidò.




TESI DI LAUREA: METAMORFOSI DELLA COMUNICAZIONE NELL’INDUSTRIA DISCOGRAFICA: LE STRATEGIE DELLE LABELS E I NUOVI STRUMENTI DIGITALI PER A FRUIZIONE MUSICALE.

Libera Università Maria Assunta, Roma – Dipartimento di scienze umane
Corso di Laurea in Marketing & Digital Communication, Anno Accademico 2018 – 2019

METAMORFOSI DELLA COMUNICAZIONE NELL’INDUSTRIA DISCOGRAFICA: LE STRATEGIE DELLE LABELS E I NUOVI STRUMENTI DIGITALI PER A FRUIZIONE MUSICALE.

Tesi di Rossella Iacovelli – Relatore Prof. Luca Poma

A questo link, il testo integrale della Tesi (91 pagine), qui di seguito, il testo dell’Introduzione della tesi:


INTRODUZIONE: la comunicazione multicanale e non convenzionale come
driver per il rilancio della fruizione musicale

Nel 2007 il mercato discografico viveva una forte crisi legata alla vendita fisica dei CD ritenuti troppo cari. Proprio in quell’anno, per la prima volta nella storia, i Radiohead (band inglese guidata dal frontman Thom Yorke) hanno deciso che fossero proprio i consumatori stessi a stabilire se e quanto pagare il loro settimo album In Rainbows in download, prima che venisse distribuito fisicamente. Questa strategia ha portato chi non avrebbe pagato il prezzo di listino stabilito, a effettuare un esborso anche significativo dettato dall’entusiasmo legato all’alto coinvolgimento in una decisione che fino a quel momento non spettava a nessun’utente. In più la band ha evitato il rischio di leaking a cui avrebbe corso lanciando l’album sul mercato a prezzo di listino.

Nell’agosto del 2013 città come Roma, Parigi e New York sono state invase da manifesti e graffiti raffiguranti tutti un rombo inserito in un cerchio il quale conteneva nove quadrati e formava la parola Reflektor. Questo evento ha scaturito un crescendo di interesse e curiosità solamente invadendo le strade di tre grandi città con dei loghi di difficile attribuzione. Poco tempo dopo gli Arcade Fire, band canadese, hanno annunciato che il titolo del loro nuovo album, in uscita l’ottobre seguente, sarebbe stato proprio Reflektor. Agosto 2014: un piccolo dirigibile sorvola Londra e sulla sua fiancata riporta disegnato il logo dell’artista britannico Aphex Twin. Contemporaneamente sui muri di New York appaiono gli stessi loghi. L’evento provoca un forte passaparola tra i fan che ipotizzano, dopo tredici anni di silenzio, la pubblicazione di un nuovo album. Poco dopo sul profilo Twitter dell’artista viene pubblicato il link a un URL raggiungibile solo ed esclusivamente tramite l’utilizzo del browser Tor, proprio quello che dà l’accesso al Deep Web. Il punto di arrivo è una pagina con il titolo e l’elenco dei brani contenuti nell’album Syro, pubblicato a settembre dello stesso anno.

Nell’estate 2014 lo stesso logo in versione tridimensionale è apparso sul muro della stazione di Elephant & Castle di Londra, poi a Hollywood e a seguire Torino e New York. Poco dopo l’apparizione di questi loghi, l’etichetta Warp, di cui fa parte l’artista, ha annunciato la pubblicazione di un nuovo EP dal nome Collapse. Sempre durante la stessa estate su YouTube viene pubblicato un video sul canale di Aphex Twin dal nome T69 Collapse realizzato da Wierdcore e risulta essere un lavoro completamente caotico e disturbante che ha chiuso questa serie di azioni di Guerrilla Marketing.

Sempre nel 2014 i Coldplay decidono di promuovere il loro sesto album Ghost Stories tramite una caccia al tesoro, nascondendo nove fogli contenenti ciascuno il testo di una delle canzoni contenute nell’album, in nove diversi libri di fantasmi. Questi libri sono stati distribuiti in nove diverse biblioteche in tutto il mondo e in uno di questi c’era anche un biglietto per assistere a uno dei concerti della band.

Tutti questi aneddoti hanno una caratteristica comune: hanno creato un effetto virale tra i consumatori tramite strategie di marketing non convenzionale a basso budget e capaci di raggiungere una considerevole parte di target.

Ma come si è giunti a questo? Qual è stata l’evoluzione del mercato discografico che ha portato a questi risultati?

Questo elaborato si propone di tracciare il percorso che la fruizione musicale, sia per quanto riguarda l’accesso e l’ascolto del prodotto ma soprattutto riguardo la sua metodologia di comunicazione verso l’utente, ha svolto dagli albori fino ad arrivare ad oggi tramite le sue principali attrici: le labels.

Il primo capitolo ha quindi il ruolo di porre le basi della ricerca tramite un excursus storico riguardo il mercato discografico, dalla nascita dei primi supporti di registrazione, passando per la distribuzione dei primi nastri registrati, passando per vinili e Cd, fino a giungere alla nascita di internet, del download e delle piattaforme di streaming. Il capitolo prosegue con una descrizione che riguarda l’organizzazione e l’attività della filiera discografica, degli stekaholder coinvolti e classificati in piccolo e grande mercato, e dei canali di distribuzione.

Conclusa la parte descrittiva riguardo il mercato discografico, il secondo capitolo ha la funzione di creare un tracciato più approfondito riguardo il ruolo delle piattaforme di streaming oggi e del rapporto che hanno con queste gli artisti a seconda che facciano parte di piccole o grandi case discografiche.

Il terzo capitolo descrive le indies e le major sotto il punto di vista storico e organizzativo e studia la loro evoluzione anche e soprattutto per quanto riguarda la comunicazione. In questa sede viene fatta un’analisi di dati statistici riguardati le loro vendite e la loro presenza nel mercato, la loro capacità comunicativa evoluta nel tempo e le strategie che invece vengono utilizzate oggi. Guerrilla Marketing, Ambient e Street Marketing, Ambush Marketing e Product Placement sono la base del marketing non convenzionale da cui partire se si vuole parlare di nuove frontiere della fruizione musicale nella comunicazione con gli odierni consumatori di musica.

Questo filo conduttore si conclude nel quarto e ultimo capitolo in cui operatori del settore musicale rilasciano pareri tecnici e testimonianze riguardo il ruolo che ricoprono le case discografiche in rapporto alle piattaforme di streaming e alla comunicazione dei nostri giorni.




IL PRE-GIUDIZIO: IL PIÙ ANTI-SCIENTIFICO DEGLI ATTEGGIAMENTI…

IL PRE-GIUDIZIO: IL PIÙ ANTI-SCIENTIFICO DEGLI ATTEGGIAMENTI…

Ho letto con attenzione e interesse l’articolo sul corso moderato dalla giornalista del Corriere della Sera Barbara Dietrich, tenuto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio sul tema non già dell’omeopatia, come riportato nell’articolo stesso e in chiassosi post polemici pubblicati da qualcuno su Facebook, bensì (come peraltro confermato dal titolo del corso) sulla comunicazione nel settore delle medicine complementari, che è cosa ben diversa.
Specie considerando che nell’articolo si fa riferimento alla “confusione culturale della quale saremmo tutti vittima”, confusione alimentata a mio avviso invece da chi – con un atteggiamento quanto mai superficiale – scrive un articolo su un corso senza neppure avervi partecipato (anche criticamente), e senza neppure aver esaminato le dispense e i materiali del corso stesso, essendo uno degli specialisti chiamati a tenere una relazione a suddetto evento formativo, ritengo opportuno fare alcune precisazioni:

  1. i relatori principali non sono affatto “un medico omeopata e il Presidente di Omeoimprese”. Il Presidente di Omeoimprese si è limitato – nelle conclusioni – a precisare qual è la situazione dell’omeopatia dal punto di vista legislativo nel nostro paese, ricordando che si tratta di “atto medico”, e che la produzione e vendita dei farmaci omeopatici è autorizzata in forza di legge da una Direttiva Europea recepita anche dall’Italia. Precisazioni quanto mai opportune, appunto, per evitare confusione: che ciò piaccia o no a qualcuno, questa è la situazione, e occorrerà farsene una ragione. Gli altri relatori al corso, oltre al sottoscritto (definito erroneamente con un’altra imprecisione “giornalista economico”, lavoro invece da anni come docente in scienze della comunicazione, con specializzazione – tra le altre – in comunicazione socio-sanitaria), sono stati i ben più autorevoli Sergio Bernasconi, Professore Ordinario di Pediatria, già Direttore delle Cliniche Pediatriche dell’Università di Modena-Reggio Emilia e di Parma e già Presidente della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, Specialista in Endocrinologia nonchè Membro del Direttivo della European Society for Pediatric Endocrinology, da cui ha ricevuto l’Oustanding Clinician Award (forse plagiato anche Lui dagli stregoni omeopati…) e il Prof. Francesco Negro, anche lui con un bel curriculum universitario e clinico, in quanto la famiglia Negro, padre e figlio, ha curato – come confermano le cronache dell’epoca e i manoscritti originali custoditi nel museo di Piazza Navona a Roma, personaggi del calibro di Papa Pio XII, Papa Paolo VI, Oscar Luigi Scalfaro e Sandro Pertini, e molti altri dal quoziente intellettuale evidentemente ridotto e facilmente suggestionabili. Antifrasi a parte, mi duole riscontrare sempre nella grammatica dei talebani anti-omeopatia la tecnica, invero un poco squallida, della sistematica “diminutio” della professionalità altrui al solo fine di sostenere le proprie tesi. Anche perché trattasi di atteggiamento anti-scientifico, come illustrerò tra poco;
  2. l’atteggiamento manifestato da chi ha criticato il corso, senza neppure sforzarsi di comprenderne i contenuti, è il medesimo di chi qualche tempo fa ha pubblicizzato l’“eclatante” (sedicente) nuovo studio australiano che avrebbe detto, per l’ennesima volta, “la parola fine sull’omeopatia”: una metanalisi di una serie di studi che inequivocabilmente dimostravano che etc. etc. Ebbene, una banalissima azione di fact checking ha dimostrato che non si trattava di uno studio scientifico, in quanto non è mai stato pubblicato da nessuna rivista scientifica indicizzata (oh, questa EBM a corrente alternata…); si trattava di un’analisi già ampiamente pubblicizzata in passato, che non ha apportato alcun elemento innovativo o prova significativa nel panorama della letteratura scientifica, e – come vari esperti hanno denunciato – che parrebbe gravata da pregiudizio editoriale, tanto che vi è una denuncia per frode a carico degli autori attualmente pendente in Australia; inoltre, l’articolo del British Medical Journal, che riprendeva la ricerca Australiana, semplicemente non era un articolo del BMJ, bensì un post su un Blog che il BMJ ospita, blog gestito da chi? Dall’autore della ricerca australiana, che evidentemente – per citare un modo di dire tipicamente italiano – “se le canta e se le suona da solo”. Il sedicente studio Australiano fa il paio con l’altrettanto “eclatante” articolo pubblicato su The Lancet che 12 anni fa “metteva la parola fine all’omeopatia” (che scarsa originalità…): uno studio così zeppo di inesattezze nell’interpretazione iniziale dei dati, di errori nel disegno di indagine, di contraddizioni nell’impostazione del lavoro e di forzature nella selezione dei lavori esaminati, da far impallidire qualunque serio revisore degno di questo nome. Il lavoro di The Lancet è stato messo in discussione a più riprese, anche se ovviamente nessun giornalista italiano ne ha dato notizia in modo adeguato: il problema della necessità di un’equilibrata e precisa rappresentazione dei fatti in un ambito delicato come quello della salute, conferma l’assoluta utilità di corsi come quello organizzato presso l’Ordine dei Giornalisti di Roma;§
  3. che piaccia o no ai soliti noti (e lo preciso per amor di verità e correttezza, senza prendere posizione o meno circa l’eventuale efficacia dell’omeopatia, dal momento che non sono ne un medico ne un “tifoso” a priori di questa disciplina), l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha emanato nel 2008 la Dichiarazione di Pechino sulla Medicina Tradizionale in cui si raccomanda “la necessità di azione e cooperazione da parte della comunità internazionale, dei governi e degli operatori sanitari al fine di assicurare un utilizzo corretto della Medicina Tradizionale come componente significativa per la salute di tutti i popoli”. Sempre l’OMS ha attivato fin dal 1972 il Dipartimento per le Medicine Tradizionali, ha emanato un primo piano strategico pluriennale 2002-2005 e nel 2013 il secondo Traditional Medicine Strategy 2014-2023e ha autorizzato l’attivazione di “Collaborating Centers for Traditional Medicine” in tutti i continenti: Il Parlamento Europeo (Risoluzione n. 75/97)  e il Consiglio d’Europa (Risoluzione n. 1206/99)  hanno chiesto di “assicurare ai cittadini la più ampia libertà di scelta terapeutica e il più alto livello di informazione sull’innocuità, qualità ed efficacia di tali Medicine, invitando gli Stati membri a regolarizzare lo status delle Medicine Complementari in modo da garantirne a pieno titolo l’inserimento nei Servizi Sanitari Nazionali”. La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (FNOMCeO) all’Art. 15 del Codice di Deontologia Medica riconosce le Medicine Complementari e Non Convenzionali, come atto medico. L’Unione Europea ha finanziato nell’ambito del Settimo Programma Quadro per la Ricerca e lo Sviluppo, il Consorzio “CAMbrella – a Pan-European Research Network for Complementary and Alternative Medicine”, che ha riunito ricercatori di 12 paesi europei – tra cui l’Italia, rappresentata  per l’occasione dal Dott. Paolo Roberti di Sarsina – per sviluppare una rete europea di centri di eccellenza nelle Medicine Complementari e facilitare la comprensione dei bisogni dei cittadini europei nei confronti di questi sistemi di salute; la NATO Science and Technological Organization ha costituito un gruppo di ricerca, il NATO Integrative Medicine Interventions for Military Personnel, al quale ha partecipato l’Italia, con il compito di valutare l’adozione per il personale militare di varie tipologie d’intervento basate sulle Medicine Complementari, in quanto i dati dimostrano che una percentuale superiore al 50% della popolazione militare utilizza questo paradigma di cura; in Italia dall’anno 2000 a oggi gli utilizzatori delle Medicine Complementari sono raddoppiati, passando da 6 a 12 milioni; gli studi su PubMed che dimostrano l’efficacia delle Medicine Tradizionali, Complementari e Non Convenzionali sono pubblicati in numero significativo, anche su riviste scientifiche a medio e alto impatto, al punto che anche la prestigiosa Cochrane Collaboration dedica un sito specifico a queste discipline. Si potrà allora dire che gli studi non sono abbastanza numerosi, o non sono convincenti, ma dire che “non esistono” è semplicemente una frode, e chi lo sostiene è o un incompetente, o un bugiardo, o più facilmente entrambe le cose, ricordando poi che coloro che criticano il mondo delle Medicine Complementari per “carenza di ricerche scientifiche”, sono gli stessi che  si scagliano contraddittoriamente contro chiunque proponga di stanziare fondi per la ricerca in questo campo. Ebbene fate pace almeno con voi stessi…; il Governo Federale della Svizzera, 6 anni dopo l’approvazione dell’articolo Costituzionale sulla Medicina Complementare, comunica  che la sua attuazione è in corso a vari livelli, e queste terapie sono integrate nel Sistema Sanitario pubblico elvetico; negli USA – il cui Governo Federale ha istituito già nel 1992 il National Center for Complementary and Integrative Medicine – la crescita del numero di Scuole di Medicina che offrono percorsi di studio sulle Medicine Complementari, negli ultimi 10 anni è passato – secondo uno studio dell’University of Arizona Health Sciences – dal 68% al 95%. E potrei continuare a lungo, nel fornire elementi utili a meglio inquadrare lo scenario, ma mi fermo per non abusare troppo dello spazio concessomi, sottolineando ancora che questi rilievi devono essere intesi non già come un’analisi circa l’efficacia o meno dei farmaci omeopatici, bensì del “rilievo sociale” di questo sistema di salute, che – in quanto appunto socialmente rilevante – entra nel perimetro dello sguardo del giornalista, come è evidente a chiunque non sia meno che obnubilato da ottusi pregiudizi;
  4. ho detto sopra che l’atteggiamento di chi critica ossessivamente le medicine complementari è antiscientifico nei suoi fondamentali, e ci tengo a spiegare il perché. Il modello dettato dall’ormai datatissimo The Public Understanding of Science, ovvero diffondere informazioni scientifiche mediante un flusso unidirezionale dagli uomini di scienza ai cittadini, è del tutto anacronistico, vecchio di oltre 30 anni, ed è utilizzato ancora solo da giornalisti poco preparati, in un paese per certe cose provincialotto come l’Italia, e l’approccio dialetticamente “violento” – alla Burioni, per capirci – è antiscientifico in quanto del tutto inefficace. Dire Non è così, io sono uno specialista e ho ragione, e tu non capisci niente e hai torto”, è sbagliato, rischia di creare i presupposti per uno scontro di identità che altro non fa se non radicalizzare sterilmente le posizioni. Questa consapevolezza è data per scontata ovunque in Europa (e oltre), tanto che è stata anche codificata (da tempo) in un memorandum, il Public Engagement with Science and Technology, che dimostra che la comunicazione della scienza è un compito complesso, non riducibile a una dinamica improntata al “Se la pensi diversamente da me, che sono un esperto, sei solo un ignorante”. Inoltre (sempre per richiamare Burioni) la scienza è eccome “democratica”, intrinsecamente, ci spiega il giornalista scientifico Pietro Greco: “Fin dalla rivoluzione del Seicento, i membri della comunità scientifica raggiungono un consenso razionale di opinione intorno ai fatti osservati(e aggiungo io: non è comunque certo che il consenso raggiunto oggi su un’evidenza scientifica regga con il passare del tempo). Jane Gregory, della London University, ha dichiarato: “Il pubblico ci ha insegnato una lezione utile rifiutando di cooperare con scienziati che li trattavano come idioti”. Ne deriva che un atteggiamento meno talebano e orientato solo al “qui e ora” possa essere assai consigliato: anche di queste appassionanti questioni epistemologiche si è discusso al corso, con pare – grande interesse e soddisfazione dei giornalisti presenti.

Concludendo questa mia lettera: le società moderne si evolvono solo a condizione che si dia per assodato che i fatti (A) devono essere descritti con equilibrio (B) devono essere documentati pubblicamente, e (C) devono tendere alla verità; il concetto di “Verità dell’informazione” è infatti la base indispensabile dello Stato di diritto. Nel corso organizzato presso l’Ordine dei Giornalisti di Roma si è terminato quindi richiamando alcune regole che sarebbero di buon senso, se non fossero prima ancora, in buona parte, deontologiche: tenere un atteggiamento non ostile quando si comunica ai “non addetti ai lavori” e avere disponibilità e pazienza nell’illustrare le ragioni della scienza senza arroganza, costruendo ponti, non muri; consapevolezza che l’equazione “certezza = scienza” versus “dubbio = pseudoscienza” è una frode, perché la scienza da quando esiste procede per interrogativi, e quel che è incerto oggi (anche spesso perché incerti sono gli strumenti di analisi e di ricerca), potrebbe diventare certo domani, o viceversa; la verità di cui al punto precedente non deve allontanarci da un approccio basato sul metodo scientifico, ma deve piuttosto suggerirci un atteggiamento (anche in comunicazione) più umile e saggio; e – in ultimo – che in questo scenario fluido, il suggerimento – lo ribadisco – è di rispettare sempre le regole deontologiche della professione e dare spazio anche alle voci, magari in parte dissonanti rispetto al mainstream, degli specialisti in medicine complementari, con l’invito a non essere mai “giudici” a priori, ma a favorire il dibattito e il confronto, aumentando la consapevolezza dei cittadini, cosa che è tra gli scopi principali di una straordinaria professione qual è quella giornalistica.
Che l’omeopatia piaccia o meno, che venga utilizzata a meno, che qualche ricerca ne decreti o meno prima o poi “la fine”, come tante volte – al lupo, al lupo – si è frettolosamente affermato, quello che mi pare “stoni” davvero è l’atteggiamento anti-scientifico e la pochezza disarmante degli scientisti (con la “s” di scienza scritta minuscola, in questo caso), che fanno del pre-giudizio (giudizio formato a priori) una bandiera. Atteggiamento che diventa poi gravissimo quando è fatto proprio da dipendenti del Servizio Radiotelevisivo Pubblico, il cui stipendio a fine mese è pagato con i soldi di tutti noi, e che dovrebbero rispettare i principi che ho illustrato anche in ossequio alle regole dettate dallo stesso contratto di assunzione che hanno firmato.
È bene ricordare che gli errori in sanità provocano ogni anno 134 milioni di eventi avversi negli ospedali, contribuendo a 2,6 milioni di decessi ogni anno. Non lo affermo certo io, o qualche “complottista anti-scientifico”; lo rileva in questi giorni l’Organizzazione Mondiale della Sanità, in occasione della Giornata Mondiale della Sicurezza dei Pazienti, che si celebrerà ogni anno il 17 settembre. Ogni minuto 5 persone muoiono per cure non sicure”, dice l’OMS. Forse su questi aspetti dovrebbero soffermarsi certe persone, riuscendo a passare oltre a quei processi cognitivi che vorrebbero una Verità soggettiva, prestata a questo o quell’interesse, deformata, alterata per le più diverse convenienze, e impegnandosi a cercare, costruire, narrare, una Verità che in quanto oggettiva è lapalissiana, chiara, cristallina: ovvero che l’Uomo è al centro dei processi di salute, e la Medicina o è centrata sulla Persona, o semplicemente non è Medicina; è vendita di prestazioni, è mercato, è un’altra cosa, non ci interessa più, e dovrebbe uscire dal perimetro dello sguardo del Medico come anche del Giornalista.
Anche di questo si è discusso nell’intensa e stimolante mattinata all’Ordine dei Giornalisti, e si, il quadro emerso durante il corso è stato veritiero e corretto, riguardo l’omeopatia, checché ne abbiano scritto alcuni, che si sono pronunciati su relazioni che neppure hanno ascoltato, perché le medicine complementari sono sistemi di salute con i quali solo un imbecille impreparato e pericoloso pretenderebbe di curare un tumore, ma che – a detta dei 20.000 medici italiani che le prescrivono ogni giorno – possono probabilmente essere una risorsa di cura preziosa in altri casi.
In tal senso, penso che l’iniziativa dell’Ordine dei Giornalisti di Roma, laddove ha approvato un momento di formazione utile per garantire gli iscritti all’Ordine stesso preziosi strumenti di valutazione e interpretazione di un fenomeno che incrocia il delicato e importante tema della salute, ma anche spesso la cronaca, costituisca una “buona pratica” che andrebbe adottata anche in altre Regioni. In tal caso, a qualcuno scoppierà forse un’allergia, ma ce ne faremo una ragione; esiste probabilmente un rimedio, “a piccole dosi”, anche per quello.
 
Prof. Luca Poma – Corso in Scienza della Comunicazione e Reputation management all’Università LUMSA di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino – Socio UNAMSI – Unione Nazionale Medico-scientifica d’Informazione
 
Aggiornamento del 20/09/19:  da quanto mi viene riferito, in data 19/09 vi è stata una riunione tra l’Ordine Giornalisti Lazio e l’Ordine Nazionale Giornalisti. Tra le varie questioni esaminate all’ordine del giorno, anche il corso in questione. Ebbene, non solo non sono emersi rilievi negativi a carico degli organizzatori, dei relatori, del corso o di qualche contenuto dello stesso, ma gli organi preposti hanno confermato l’utilità di momenti di formazione come questo. E’ incredibile questa “lobby pro-omeopatia”: capace di plagiare anche i Consiglieri nazionali dell’Ordine… Battute a parte, penso che questa conclusione sia il miglior commento della faziosa e inconsistente polemica sollevata da qualcuno, nonché un successo in termini di affermazione della libertà di pensiero e di analisi critica che è alla base della professione giornalistica.
 
Oltre alle fonti dirette evidenziate dai link multimediali nel testo, ritengo opportuno segnalare la seguente breve Bibliografia:

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