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Comunicazione ambientale, i Fridays for Future hanno rovesciato il tavolo.

Comunicazione ambientale, i Fridays for Future hanno rovesciato il tavolo.

Comunicazione ambientale, cosa è cambiato dal ’68 a oggi?


Qualche anno fa, nel 2015, Naomi Klein – famosissima già da tempo per il libro “No Logo”, – scrisse un libro dal titolo “Una rivoluzione ci salverà (perché il capitalismo non è sostenibile)” e introdusse una tesi: “sarà la questione ambientale che unirà tutte le energie di cambiamento presenti nella società e ci porterà alla rivoluzione”.
Che abbia ragione o meno, sul tema capitalistico intendo, non sta a noi indagarlo in questa sede. Mentre per quanto riguarda la questione ambientale, se osserviamo il fenomeno dei Fridays for Future, pare che la Klein abbia avuto ragione.
Migliaia di persone in piazza, movimenti di ogni tipo, a cominciare dagli studenti, per arrivare alle associazioni consumeriste, ambientaliste, terzomondiste ecc., unite a manifestare per combattere la sempre più probabile catastrofe climatica, miscelando tra loro toni di protesta, azioni di responsabilità sociale, campagne tematiche come quella #plasticfree.
Eppure il tema ambientale non è mica nuovo. Nel 1968, assieme ai movimenti – innovativi e dirompenti – accomunati dalle parole “love&peace”, il tema ambientale era in primo piano tra quelli considerati dai giovani sessantottini. Così importante che di lì a poco molte organizzazioni internazionali dedicate al tema videro la luce.
Greenpeace, ad esempio, è stata fondata nel 1971.
Sono dunque oltre 50 anni che i temi ambientali sono nell’agenda della società e dei comunicatori, eppure sono gli stessi 50 anni durante i quali il mondo ha dato sfogo al peggio di sé in termini climatici.
Che cosa c’entra la comunicazione con questo? Molto, anzi moltissimo.

La comunicazione che funziona (e quella che anche no)

Fridays For Future
La comunicazione ambientale degli ultimi anni, almeno quella dalla quale la Thunberg (consapevole o meno) si è allontanata al punto da avviare i Fridays for Future, è stata una comunicazione catastrofica, spesso aggressiva e punitiva dei comportamenti dei cittadini, che ha offerto poche opportunità per consolidare comportamenti non solo “strettamente reattivi”, ma strutturali e culturali.
Basta pensare alle campagne in tutela dell’orso polare, dei mari o delle foreste. Nulla da dire sulla necessità e sull’importanza di creare consapevolezza sui temi, ma che tipo di esito possiamo aspettarci quando i messaggi sono catastrofici, punitivi e, soprattutto, lontani anni luce dalla nostra vita e da ciò che, concretamente, possiamo fare?
Quali azioni concrete può stimolare la visione del triste orso polare senza ghiaccio intorno a sè?
La comunicazione in generale – non solo quella ambientale! – che funziona è quella che parte dall’ascolto, è coerente con il comportamento del soggetto “emittente” e stimola la partecipazione e il coinvolgimento chiedendo un’azione fattibile, vera, vicina, possibile.
Mentre viviamo il nostro quotidiano, cosa possiamo fare per l’orso polare? Al massimo scegliere se destinare qualche decina di euro a qualche associazione che ce li ha chiesti, per poi risprofondare nelle nostre giornate. Questa è dunque una comunicazione che sicuramente non si prende in carico il destinatario, non è in grado di attivare, né ci consente di misurare la corrispondenza tra comportamenti e messaggi inviati.
Poi arriva Greta Thunberg che, impermeabile giallo e pennarello alla mano, sconvolge il paradigma comunicativo degli ultimi 50 anni. Thunberg compie un’opera magistrale: sposta l’attenzione dalla richiesta di un’azione improbabile (salva l’orso) alla richiesta di una presa di responsabilità collettiva del “padre di famiglia”, dell’adulto che si deve ritenere responsabile della catastrofe in corso e deve porvi rimedio. L’ambiente, in tutto questo, è quasi sullo sfondo, è la diretta conseguenza, ma non il centro. “Salva l’orso” ha fatto spazio a “rimedia, tu che mi hai rubato i sogni”, il tutto avvolto in un messaggio coerente con la giovane studentessa, replicabile e scalabile, come poi è avvenuto, in tutto il mondo con i Fridays for Futures.
Poi certo: senza aver scavato la roccia con orsi, foreste da salvare, appelli della scienza e dei personaggi famosi, non ci sarebbe stato un “clima favorevole” e predisposto alla nascita dei Fridays for Future. Resta, però, che questo fenomeno nasce da una comunicazione che ascolta e si adatta al destinatario (non chiede azioni impossibili, semmai sfidanti e responsabili), è coerente ai comportamenti di Greta stessa (tuttoggi a bordo di una barca a vela per portare impegno e messaggi per il mondo), è capace di avviare azioni semplici e ripetibili.
È la comunicazione, bellezza!




L’evoluzione del marketing nel mondo dei social media

Il marketing è forse il processo aziendale che più evolve al variare dello stile di vita dei consumatori. Il marketing come noi lo conosciamo è nato negli anni ’30 quando Henry Ford si è domandato quali fossero le problematiche che non facevano avvicinare i clienti alle sue auto. Il passo successivo di questo processo è stato quello di passare da una logica focalizzata sul prodotto ad una focalizzata sulla persona che consuma il prodotto, per arrivare oggi, ad un’idea di co-creazione di valore con il cliente. Co-creare significa non solo personalizzare ma soprattutto venire incontro ai bisogni, spesso inconsci dei clienti e ciò è stato possibile grazie all’avvento di internet. l’interconnessione infatti ha cambiato radicalmente la nostra vita, le nostre abitudini, i tempi e i modi della comunicazione, strutturano i bisogni delle persone.

Opportunità e debolezze del marketing nei social network

I social network sono diventati i nuovi mercati in cui le imprese hanno la possibilità di spiegare il proprio brand, far apprezzare i prodotti e permettere ai consumatori di interagire con l’azienda sia prima dell’acquisto, per chiedere informazioni che successivamente, ad esempio, per evidenziare possibili insoddisfazioni. Tra gli altri trend in atto, resi possibili grazie ad internet, c’è quello che porta i consumatori a scegliere un bene non tanto dalla presentazione dello stesso da parte dell’azienda ma dai feedback degli altri consumatori.
All’interno del reparto marketing è diventato quindi centrale avere un social media manager in grado di presentare il prodotto online ma, come risulta dallo studio How to Overcome Top Social Media Challenges condotto da The Manifest, la maggior parte delle aziende non è ancora presente nei social media come dovrebbe. Se da una parte le persone trascorrono in media due ore della propria giornata sui social, le imprese molto spesso li trascurano, sprecando l’opportunità di farsi conoscere praticamente in tutto il globo.
Lo studio ‘’How to Overcome Top Social Media Challenges evidenzia anche i motivi per i quali le imprese non riescono trovarsi attivamente nei social media: il 26% degli intervistati ha dichiarato che a mancare sono le risorse finanziare per implementare questa strategia mentre il 24% ha dichiarato che non vi è proprio una strategia.

Cosa fare per implementare una strategia di successo?

Per quanto può sembrare semplice, soprattutto a chi frequenta assiduamente i social, fare una strategia digitale di successo non lo è. Nel momento in cui un’azienda vuole entrare nel mondo on-line per farsi conoscere ed apprezzare deve aver chiaro il proprio target, il comportamento dei competitor, quale social usare e soprattutto cosa comunicare. Ciò richiede la programmazione di un piano editoriale coerente con la propria offerta e con il linguaggio del target di riferimento. Un approccio fai-da-te in questo campo può non portare risultati o addirittura nuocere all’immagine dell’impresa.




Machine learning nella gestione dei portafogli

L’apprendimento automatico è un’applicazione dell’intelligenza artificiale che fornisce ai sistemi la capacità di apprendere e migliorare automaticamente dall’esperienza. Viene usato per diversi scopi e si adatta molto bene alle applicazioni nella finanza, in cui bisogna gestire un’elevatissima mole di dati.
Una volta programmati, i modelli di machine learning sono impostati affinché riescano ad imparare dall’esperienza, essi riescono a regolare automaticamente i parametri. Di norma più dati vengono introdotti e più risulteranno adeguati i parametri.

Usi dell’intelligenza artificiale nella finanza

Nel mondo della finanza gli algoritmi sono costruiti per calibrare un portafoglio finanziario, data la propensione al rischio dei clienti oppure per fare da consulenti finanziari a basso prezzo. Questi algoritmi prendono il nome di robot advisor e sono pensati per fornire servizi di gestione del portafoglio, che viene gestito in maniera automatica, al fine di avvicinare i clienti ai processi di investimento che, data l’elevata complessità, potrebbero scoraggiare molte persone. Vista la bassissima o nulla incidenza di capitale umano, questi processi richiedono costi molto bassi.
Il robot advisor, date informazioni come la situazione finanziaria del cliente, le sue esigenze di investimento e la propensione al rischio assegna i fondi a varie opzioni di investimento e utilizza gli algoritmi per monitorare e ri-equilibrare il portafogli. Il robot advisor cerca quindi le opzioni di investimento migliori date le richieste in termini di durata dell’investimento e rendimento richiesti dal cliente, riuscendo ad eliminare la componente emotiva nella gestione del denaro che anche i migliori trader hanno.

Applicazioni pratiche

Il caso più eclatante di hedge fund guidato dall’intelligenza artificiale è quello di Aidyia, con sede ad Hong Kong. Questo hedge fund compie operazioni di borsa in modo completamente autonomo, senza alcuna interferenza umana effettuando decine di migliaia di operazioni al giorno. Al lancio dell’hedge fund automatizzato Goertzel, founder e Ceo di Aidyia ha dichiarato: “Se morissimo tutti, continuerebbe a fare trading”. Nonostante l’utilizzo di algoritmi nel trading ad alta frequenza sia frequente ( Secondo l’edizione di luglio 2018 dell’Hedge Fund Sentiment Survey, oltre la metà dei gestori di hedge fund utilizza intelligenza artificiale e machine learning per prendere le decisioni di investimento) questo è il primo caso in assoluto di gestione di patrimoni completamente automatizzata.

È di successo il trading con l’IA?

Utilizzare gli algoritmi di machine learning semplifica il lavoro dei gestori di fondi eppure scrivere certi algoritmi è complesso e costoso, i benefici degli algoritmi di trading si riscontrano maggiormente su grandi quantità di patrimonio gestito come quelle in capo alle banche di investimento più che in capo ai privati. Il machine learning permette di abbattere i costi legati al capitale umano e sono privi della componente emotiva che può portare a scelte di investimento irrazionali. Secondo un rapporto di Value Walk, gli hedge fund di Machine Learning hanno già sovraperformato in modo significativo rispetto gli hedge fund tradizionali.




Intelligenza artificiale e rischi connessi alla mancata regolamentazione

Elon Musk, imprenditore simbolo dell’innovazione in ambito tecnologico, sta mettendo il mondo in guardia rispetto lo sviluppo non controllato dell’intelligenza artificiale.
Dopo aver fondato nel 2015 Open AI, un’organizzazione no profit volta a democratizzare il potere dell’intelligenza artificiale, nel 2017 il founder di Tesla su twitter aveva aperto un dibattito riguardo come la corsa alla superiorità informatica tra le varie nazioni avrebbe potuto portare alla terza guerra mondiale. Con toni meno apocalittici ha ripreso più volte l’argomento, l’anno scorso durante un’intervista a Recorde ha dichiarato ‘’poiché l’intelligenza artificiale diventerà probabilmente molto più intelligente degli umani, il rapporto di intelligenza relativa sarà probabilmente simile a quello tra una persona e un gatto, forse più grande’’.

Pro e contro dell’intelligenza artificiale

Il problema, secondo Musk e altri scienziati tra cui Stephen Hawking, è da riscontrare nel fatto che si sta lavorando con impazienza nell’implementazione delle reti neurali senza prima aver condotto ricerche in tal senso. Secondo Elon Musk infatti sarebbe plausibile in un prossimo futuro trovarci di fronte ad uno scenario ‘’fantascientifico’’ in cui le macchine saranno in grado di prendere decisioni in maniera autonomia e magari iniziare una guerra.
Analizzando uno scenario più attuale, alla potenza dei sistemi di AI sono connessi rischi legati al cattivo uso di applicazioni già esistenti. Un esempio è da riscontrare nello scandalo di Cambridge Analytica che ha dimostrato come i social media sono in grado di pilotare la coscienza delle persone. Non in secondo piano ci sono le fake news e proprio a tal proposito Zuckerberg, durante un’audizione al Senato degli Stati Uniti, ha promesso la realizzazione di sistemi di intelligenza artificiale in grado di bloccare sul nascere la diffusione di notizie false.
L’intelligenza artificiale, nonostante i diversi ‘’contro’’, è in pieno sviluppo e ha portato ingenti benefici alla società, basti pensare a come ora è possibile fare diagnosi mediche con tecniche sempre meno invasive. Cresce costantemente il numero di scienziati che lavorano per migliorare ed implementare l’intelligenza artificiale nella vita delle persone come ad esempio i ricercatori di Google Deep Mind che hanno sviluppato AlphaGo e AlphaZero, intelligenze artificiali in grado di battere l’essere umano in giochi da tavolo.

Come muoversi in tal senso

L’intelligenza artificiale di per se può portare enormi benefici alle persone, il suo sviluppo però non deve essere lasciato allo sbando ma regolamentato attraverso il confronto tra grandi imprese e governi. Il regolatore non è però al passo. Il primo problema si riscontra già nel definire cosa si intende per intelligenza artificiale e tracciare un limite tra scienza e fantascienza. Analogamente emergono difficoltà nell’imputare le responsabilità per i danni causati da AI in quanto gli attori coinvolti sono molti e differenti, partendo dal produttore fino all’utilizzatore del sistema. Regolare richiede dunque tempo e, come già evidenziato, non si sta facendo molto in termini di ricerca. Come sottolineato da Elon Musk, pioniere delle nuove tecnologie, la miglior comprensione dell’intelligenza artificiale permetterebbe ai governi di creare delle regole e delle leggi volte a tutelare l’avvento dell’IA e garantire maggior benefici e minor rischi agli utilizzatori. Un passo importante nell’ambito della regolamentazione è stato fatto con l’introduzione del GDPR, che in sostanza serve ad offrire ai cittadini dell’Unione Europea maggior controllo dei dati personali presenti su internet, ma la strada da fare nell’ambito della regolamentazione è ancora molta.




Integrazione delle macchine nel mondo del lavoro, quali posti di lavoro sono a rischio?

Il mondo del lavoro sta subendo continue evoluzioni, sempre più ravvicinate nel tempo. Questi continui cambiamenti fanno sì che alcuni lavoratori convivano con il dubbio che in un futuro non troppo lontano il loro lavoro possa non esistere più od essere sostituito da macchine. Secondo indagini recenti, l’impiego di nuove tecnologie già note determinerà entro il 2030 una riduzione dal 15 al 30% del monte ore di lavoro umano a livello mondiale, l’equivalente di circa 600 milioni di occupati a tempo pieno.
la storia ci insegna che il cambiamento non ha mai comportato solo una perdita del lavoro.  Sin dalla prima rivoluzione industriale, con l’introduzione del telaio meccanico, molti tessitori avranno temuto di rimanere senza occupazione. Di fatto la tessitura a mano è stata sostituita dal lavoro delle macchine ma si sono aperti molti nuovi posti di lavoro come, ad esempio, nelle industrie produttrici del telaio meccanico.

Cooperazione human – machine

Molta strada si è fatta dal 1800 ad oggi. Stiamo assistendo all’avvento dell’industria 5.0, la quale richiede una cooperazione tra lavoro umano e robotico, non vi è più una competizione ma una vera e propria integrazione tra le attività che possono essere svolte dai robot e dai computer e quelle svolte dall’essere umano. Centrali, nel nuovo mondo del lavoro, sono le skills in ambito di integrazione human and machine. Secondo uno studio di Accenture “IT’s Learning”, l’81% delle mansioni subirà l’impatto della robotizzazione. La crescente introduzione di automazione e intelligenza artificiale richiederà l’aggiornamento della maggior parte delle attività nel mondo produttivo, delle mansioni e dei processi di integrazione tra uomo e macchina. Il processo di integrazione sarà fondamentale e se ben progettato porterà benefici economici importanti a livello mondiale. In questo contesto il ruolo della direzione del personale sarà strategico: dovrà massimizzare il rapporto uomo-macchina, incanalando il potenziale dei lavoratori e ne dovrà ripensare il lavoro.  Dovrà ridefinire il sistema delle competenze e l’impianto organizzativo. L’impiego delle nuove tecnologie richiede inoltre nuove competenze e un nuovo modo di comunicarle
Secondo Accenture quindi saranno indispensabili nuove skills e professioni, legate all’avvento delle tecnologie innovative, che tra le altre cose porterebbero un aumento dello 0,6% del Pil. Se questo adeguamento produttivo non avvenisse, stima uno studio della società, ci sarebbe il rischio di una perdita di Pil pari a 170 miliardi.

Ma allora è giustificato il timore dei lavoratori?

Il timore dei lavoratori non è del tutto ingiustificato in quanto i nuovi posti di lavoro che si andrebbero a creare richiederebbero competenze ingegneristiche e informatiche di alto livello, difficilmente apprendibili con la sola esperienza, mentre i posti di lavoro che saranno sostituiti sono quelli a bassa componente intellettuale. Inoltre la vita media delle mansioni lavorative si va riducendo in modo sostanziale: a fronte di percorsi di apprendistato che durano 5 anni o più, le qualifiche richieste hanno ormai una vita media di due-cinque anni quindi non si potrà contare più sull’esperienza e i dipendenti, per creare valore aggiunto, dovranno aggiornarsi continuamente.
Si richiederebbe quindi ad un soggetto che vuole entrare nel mondo del lavoro -non per forza in un ruolo manageriale- di avere un’istruzione di secondo livello. In molti paesi sviluppati, primo tra tutti l’America, il costo dell’educazione secondaria è cresciuto vertiginosamente negli ultimi 50 anni. Se il costo di un’università pubblica negli Stati Uniti era di circa 600 dollari l’anno negli anni ’60, ad oggi risulta di circa 10.000 dollari e il primo criterio di scelta se accedere o no all’università di un americano a reddito medio è proprio il costo. Accedere al livello di istruzione è sempre più difficile non solo per le classi sociali più povere ma anche per il ceto medio e, paradossalmente, sono proprio i posti di lavoro in capo a questi soggetti che andranno a scomparire.
In un momento in cui l’evoluzione tecnologica è così repentina è importante che gli Stati e gli enti sovrannazionali accompagnino questo cambiamento, cercando di evitare, per quanto possibile, un aumento delle disparità sociali.