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La Metà dei Soldi Investiti in Display Ads è Buttata Via

«So che metà dei soldi che spendo in pubblicità è completamente buttata via. Il problema è che non so quale metà sia». Che sia stato John Wanamaker o Lord Leverhulme a pronunciarla, questa frase citatissima è diventata nel corso del tempo sempre più una verità. Oggi, ahinoi, ne abbiamo un’ulteriore conferma nei fatti e nei dati, anche per quanto riguarda in maniera specifica i diplay ads.
Utilizzando Active View, Google ha esplorato i benchmark di visualizzabilità e i fattori che aiutano a determinare la visibilità degli annunci video e display. Lo studio si basa sui dati della piattaforma pubblicitaria di Google e DoubleClick e utilizza la definizione di visibilità del Media Ratings Council [almeno il 50% dell’annuncio è visualizzato per un minimo di 2 secondi continui].
Complessivamente, tralasciando gli ads su YouTube, per l’evidente conflitto di interessi da parte di Google, Web & App Video Ads [YouTube escluso] hanno una viewability del 68%, che sale al 73% da tablet, e cala al 65% da desktop. I Display Ads invece hanno una visibilità generale del 50%, che sale al 55% da smartphone, e scende al 45% per tablet e desktop.
I tassi di visibilità non variano solo da una nazione all’altra, ma variano anche da un settore all’altro. Dalla desk research condotta da Google emerge che ci sono alcune categorie di contenuti chiave che superano questo benchmark. Industrie note per attirare l’attenzione e l’interesse delle persone con contenuti coinvolgenti, come giochi, Internet e telecomunicazioni, musica e audio, hanno la più alta visibilità.
Per quanto riguarda in maniera specifica i publisher [segmento news], la visibilità media per gli annunci video è del 66.1%, mentre per i display ads si attesta al 50%. Ovvero la metà dei banner, semplificando, non viene vista.
I dati di Google mostrano che le dimensioni contano. Per i display ads, le unità verticali hanno ottenuto risultati migliori in media. Ad esempio, quelli che misurano 120 x 600 hanno un tasso di visibilità del 56%, rispetto a quelli di 320 x 100 con un tasso del 47%. Un altro fattore discriminante, in generale, è la posizione, con gli ads sopra al contenuto che ottengono livelli nettamente superiori rispetto a quelli sotto al contenuto [69% Vs 47% di viewability per display ads].
Per quanto riguarda specificatamente l’Italia, tralasciando ancora una volta gli ads su YouTube, Web & App Video Ads [YouTube escluso] hanno una viewability del 78%, mentre i display ads hanno una visibilità del 49%. Insomma, oltre la metà degli annunci non viene visto.
Se abbiamo passato gli ultimi dieci anni a dire che uno dei punti di forza del digitale è la misurabilità, questo si conferma, complessivamente, vero, come dimostrano i dati della desk research di Google, mentre non risultano dati equivalenti su quanti spot TV e/o annunci stampa siano effettivamente visti, ma solo stime censuarie, anche se è evidente che il problema esiste assolutamente. Il prezzo è però ancora alto, troppo alto. Un altro punto a favore di branded content e influencer marketing, senza dubbio.

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LifeGate PlasticLess®

Nei nostri mari c’è sempre più plastica, come possiamo evitarlo? Buone pratiche e tecnologie sempre più efficienti possono dare una mano. Scopri come con il progetto LifeGate PlasticLess

Cos’è il progetto LifeGate PlasticLess®

Gli obiettivi

Per tutelare la salute del mare e la nostra è nato LifeGate PlasticLess®, il progetto di LifeGate che intende contribuire alla diminuzione dell’inquinamento dei mari italiani attraverso la raccolta dei rifiuti plastici nelle acque dei porti e nei circoli nautici e a promuovere un modello di economia e di consumo davvero circolare  con lo scopo di ridurre, riutilizzare e riciclare i rifiuti, soprattutto i più dannosi per l’ambiente come le plastiche.

Le attività

  1. Riduzione dell’inquinamento nei mari italiani

    La presenza di rifiuti plastici nel mar Mediterraneo è un’emergenza da affrontare subito. Per l’Une, il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, il Mediterraneo è costretto ad accogliere ogni giorno 731 tonnellate di rifiuti in plastica, che potrebbero raddoppiare entro 2025. Ecco perché LifeGate intende contribuire in maniera concreta al recupero di rifiuti plastici nei mari italiani mettendo nei porti e nei circoli nautici di dispositivi Seabin, che raccolgono dai mari la plastica, la microplastica fino a 2 mm e microfibre fino a 0,3 mm.

  2. Campagna di sensibilizzazione

    Il cambiamento parte dalla consapevolezza che tutti i nostri comportamenti hanno delle conseguenze. Conoscere e comprendere quale sarà il risultato finale delle nostre azioni è il primo passo per modificare abitudini scorrette. Per questo motivo LifeGate, con l’aiuto della sua redazione, ha deciso di dare un’ampia copertura giornalistica ai temi dell’economia circolare focalizzandosi sul grave fenomeno della presenza di plastica nei fiumi, nei mari e negli oceani del mondo. Tutti gli articoli del sito lifegate.it legati al tema del progetto sono contraddistinti dalla tag Plastica

  3. Promozione di buone pratiche

    Una volta presa la decisione di cambiare comportamenti e consumi per avere uno stile di vita più virtuoso nei confronti dell’ambiente, bisogna sapere cosa cambiare. Obiettivo di LifeGate è dunque anche suggerire quali sono le pratiche quotidiane più sostenibili, come ad esempio la riduzione degli imballaggi, il riutilizzo di materie riciclate e la corretta differenziazione dei rifiuti. Il racconto di esperienze di successo esistenti oggi in Italia e all’estero ha lo scopo di aiutare i lettori ad avere un’idea ancora più chiara del problema e delle sue soluzioni.

Perché nasce LifeGate PlasticLess?

Perché i mari del mondo sono sempre più sommersi dalla plastica e il Mediterraneo, casa del 7,5 per cento delle specie marine conosciute, è una delle aree più colpite: per l’Unep, (il programma ambientale delle Nazioni Unite) sui suoi fondali si troverebbero fino a 100.000 frammenti di varie dimensioni di questo materiale per kmq. Tra i motivi: una cattiva raccolta e gestione dei rifiuti, le attività produttive, il turismo balneare, le attività portuali e i comportamenti noncuranti di ancora troppe persone, che fanno finire in mare tonnellate di plastica ogni giorno.
Tra queste, le più insidiose sono le microplastiche, frammenti del diametro inferiore ai 5 mm: sempre più diffuse, si attaccano alle alghe e vengono ingerite dai pesci che le scambiano per cibo. Da lì possono poi raggiungere i nostri piatti. Nelle specie come pesce spada, tonno rosso e tonno alalunga si troverebbero microplastiche nel 18,2 per cento dei casi, come afferma uno studio Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, svolto su 121 campioni di specie ad alto valore commerciale.
L’impegno delle istituzioni è infatti importante, ma non sufficiente. La strategia decisa dall’Unione europea prevede tra le varie azioni che tutti gli imballaggi di plastica sul mercato dell’Ue siano riciclabili entro il 2030; l’Italia ha vietato la produzione e la messa in commercio di cottonfioc di plastica, tra i rifiuti maggiormente gettati negli scarichi domestici, a partire dal primo gennaio 2019, e poi, dal 2020, anche di cosmetici contenenti microplastiche, le cosiddette microsfere presenti in scrub e dentifrici che, una volta finite in mare, vengono ingerite dalla fauna ittica.
Un primo passo per affrontare il problema dovrebbe essere quello di iniziare a consumare meno plastica. Eppure, secondo il quarto Osservatorio Nazionale sullo Stile di Vita Sostenibile, l’indagine nazionale realizzata da LifeGate in collaborazione con Eumetra MR, anche se oltre il 53 per cento dei connazionali mostra un’elevatissima attenzione ai temi che riguardano l’acqua, il 67 per cento non rinuncia a mettere in tavola la classica bottiglia di plastica perché la ritiene un materiale “sicuro”.
Ciò non impedisce che diventi rifiuto immediatamente dopo l’uso. Per poi potenzialmente finire in mare.

LifeGate PlasticLess per il mare, con Seabin

LifeGate PlasticLess per il mare, con Seabin

Si tratta di un’iniziativa che ha l’obiettivo di ridurre la presenza di rifiuti plastici nei mari italiani utilizzando i dispositivi Seabin per la raccolta dal mare di questi materiali.

Cos’è Seabin e come funziona

Seabin è un cestino di raccolta dei rifiuti che galleggiano in acqua di superficie in grado di catturare circa 1,5 kg di detriti al giorno, ovvero oltre 500 Kg di rifiuti all’anno (a seconda del meteo e dei volumi dei detriti), comprese le microplastiche da 5 a 2 mm di diametro e le microfibre da 0,3 mm. Seabin inoltre potrà catturare molti rifiuti comuni che finiscono nei mari come i mozziconi di sigaretta, purtroppo anch’essi molto presenti nelle nostre acque.

Scopri dove sono i Seabin in Italia

Il Seabin viene immerso nell’acqua e fissato ad un pontile con la parte superiore del dispositivo al livello della superficie dell’acqua.
Grazie all’azione spontanea del vento, delle correnti e alla posizione strategica del Seabin, i detriti vengono convogliati direttamente all’interno del dispositivo. La pompa ad acqua, collegata alla base dell’unità, è capace di trattare 25.000 litri di acqua marina all’ora.

Segui gli aggiornamenti sul progetto

I rifiuti vengono catturatati nella borsa,  che può contenere fino a un massimo di 20kg, mentre l’acqua scorre attraverso la pompa e torna in mare.
Quando la borsa è piena, viene svuotata e pulita.
Funziona 24 ore al giorno e quindi è in grado di rimuovere molto più spazzatura di una persona dotata di una rete per la raccolta. Sebbene il dispositivo non possa essere utilizzato in mare aperto, perché richiede il collegamento elettrico, risulta straordinariamente efficace in aree come i porti poiché sono “punti di accumulo”, in cui convergono la maggior parte dei rifiuti in mare.

Come vogliamo usare Seabin

LifeGate ha l’obiettivo di posizionare il maggior numero possibile di dispositivi Seabin, per farlo sta creando una rete di aziende e personeche possano sostenere la sfida della raccolta dei rifiuti plastici nei mari italiani, dove finiscono circa 90 tonnellate di plastica ogni giorno (dati Unep).
Grazie agli sponsor del progetto, la percentuale di plastica raccolta, riutilizzabile a scopo industriale, debitamente integrata con altra plastica riciclata proveniente anche dagli oceani, potrà essere utilizzata da LifeGate per produrre ad esempio teli mare e felpe.

Seabin_project@Seabin_project

Ocean plastics. There is no blame, only responsibility.http://www.seabinproject.com 

Visualizza altri Tweet di Seabin_project

Perché Seabin

Le soluzioni esistenti che affrontano i problemi di inquinamento degli oceani e dei mari non risultano efficaci ed efficienti per rispondere alle reali necessità. Tali soluzioni sono le “trash boats”, ovvero imbarcazioni che navigano intorno ai porti raccogliendo la spazzatura galleggiante tramite reti integrate alle imbarcazioni. Un sistema costoso da gestire e mantenere e che non risulta davvero efficace secondo le marine che lo gestiscono. L’altro sistema è la raccolta manuale, ovvero tramite addetti nel porto e nelle marine che raccolgono tramite reti la spazzatura che si accumula negli angoli del porto. Questo sistema è poco efficace perché agisce solo sui rifiuti visibili e non sulle microplastiche, inoltre implica un grande impegno di tempo da parte del personale portuale.
Per questo LifeGate ha scelto Seabin che consente una efficace e continuativa raccolta dei rifiuti plastici galleggianti con minimo sforzo da parte del personale addetto.

Mappa

Dove sono i Seabin in Italia

Il progetto LifeGate PlasticLess è stato attivato nelle aree portuali di Santa Margherita Ligure (GE), nell’Area Marina Protetta di Portofino (GE), nel Porto delle Grazie Roccella Ionica (RC), nel Venezia Certosa Marina  (VE), nel  Marina Genova il polo turistico e nautico situato a Sestri Ponente (GE).”.

Segui gli aggiornamenti sul progetto

A settembre 2018, grazie a Volvo Car Italia, main partner dell’iniziativa, sono stati installati tre nuovi Seabin a Marina di Cattolica (RN), Marina di Varazze (SV) e un secondo dispositivo per il Venezia Certosa Marina (VE).
Con il sostegno di Whirlpool EMEA, due Seabin sono stati installati nelle Marche ed in particolare nel Porto turistico di Fano (PU) e nel Circolo nautico Sambenedettese (AP).
Grazie a Coop, in accordo con l’associazione nazionale ANCC Coop, un Seabin è stato installato a Sestri Ponente, presso il Marina Genova.


LifeGate sostiene le Amministrazioni italiane che si stanno impegnando per ridurre l’utilizzo della plastica, causa del sempre più evidente disastro ambientale che sta soffocando il Pianeta premiando le politiche ambientali adottate per sensibilizzare i cittadini sul ruolo che devono assumere nella lotta contro l’inquinamento da plastica.
L’iniziativa è partita con il riconoscimento delle prime Amministrazioni che hanno deciso di impegnarsi sul tema che potete trovare nella mappa qui sopra. Lo sviluppo di azioni da parte di nuovi Enti locali sarà monitorato e successivamente premiato e promosso attraverso i canali del media network LifeGate.

Cosa puoi fare tu

Cosa si sta facendo per salvaguardare la salute dei mari e dei suoi abitanti? Ecco un elenco di buone pratiche.
Per risolvere il problema della plastica nei mari serve l’impegno di ognuno di noi, dei singoli e delle aziende, insieme. Anche tu puoi offrire un contributo concreto al progetto LifeGate PlasticLess e partecipare all’installazione di un Seabin con LifeGate. Come fare? Vai sul nostro store e scegli il versamento che vuoi destinare al progetto.Riceverai la borraccia Mizu 8 da 800 ml firmata LifeGate PlasticLess in alluminio, 100% BPA Free e 100% riciclabile. La trovi in due versioni, una col semplice logo LifeGate PlasticLess e una personalizzabile con un nome a tua scelta.

Per dare il tuo contributo, vai allo store.

Ci sono inoltre tante buone pratiche, tante semplici azioni quotidiane che possono concretamente prevenire l’inquinamento dei mari e di tutto l’ambiente, come per esempio ridurre l’uso dei prodotti imballati nella plastica, preferire gli oggetti in materiali durevoli al posto di quelli usa e getta, prestare attenzione alla differenziazione dei rifiuti.
Eccone alcune:




La più corrosiva delle critiche al Congresso delle famiglie: ecco il saluto delle pompe funebri Taffo

Le onoranze funebri abruzzesi, già famose per lo humour mortuario riferito alla politica e all’attualità, paragonano il cranio dei partecipanti al Congresso delle famiglie di Verona a quello di un primate


L’agenzia di pompe funebri Taffo, originaria dell’Aquila, è famosa per il suo marketing pubblicitario irriverente. Questa volta è toccata ai partecipanti del Congresso delle famiglie di Verona, al centro di numerose polemiche per alcuni relatori che vi parteciperanno.

La più corrosiva delle critiche al Congresso delle famiglie: ecco il saluto delle pompe funebri Taffo foto 1

«Abbiamo ritrovato nei nostri antichi ossari, i primi esemplari di umani sulla Terra. Dall’analisi anatomica si possono riscontrare evidenti differenze», scrivono i social media manager dell’agenzia funebre a proposito della tre giorni veronese. Ma l’attività su Facebook e Instagram affronta anche temi come il cambiamento climatico.

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«Domani sarà la #GiornataMondialeDellaTerra, celebriamola con consapevolezza. Ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare un piccolo sforzo quotidiano per farla vivere più a lungo», scrivevano il 21 aprile. A proposito di ambiente, Taffo ha partecipato a modo suo anche alla moda della Ten Year Challenge.

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«Non tutti possono invecchiare bene. #10yearchallenge #climatechange». Ma le immagini dello humour mortuario riescono a intercettare anche gli argomenti più stringenti di cronaca.

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«Non gli credete, io non sono una serie TV. Sono morto nel 2017 ed oggi uccideranno mio fratello #Spezzacchio», scrissero quelli di Taffo sull’albero di Natale che il Comune di Roma posizionò in Piazza Venezia e causò molte polemiche. Altrettanto ricca è la serie di immagini dedicate ai complottisti della rete.

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«Se qualche esponente dei #Terrapiattisti volesse argomentare, può farlo nei commenti», scrivono. E ce n’è anche per i no-vax.

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E quando il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha monopolizzato il dibattito politico sulla riapertura delle Case chiuse, Taffo ha colto la palla al balzo.

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Commentando: «È comunque un lavoro usurante, voi lo fareste?». Facile il collegamento tra i fiori delle celebrazioni funebri e il festival della canzone italiana di Sanremo.

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«#Sanremo è Sanremo, ma a fiori non ci batte nessuno». Persino Mark Zuckerberg e il caso di Cambridge Analytica sono stati utilizzati per un post pubblicitario da Taffo.

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«Fidatevi di #Taffo, noi a differenza di #Facebook siamo una tomba!».




Google ha scovato 6mila account che spacciano fake news in Italia

Rimossi solo a gennaio oltre 6mila profili truffa. La piattaforma vara il suo piano di difesa per le elezioni europee, ma per Bruxelles non fa abbastanza


A gennaio Google ha rimosso 6.226 account pubblicitari truffa in Italia. Circa uno su otto di quelli oscurati nello stesso periodo nell’Unione europea(48.642 il totale). Gli analisti di Mountain View hanno dovuto sudare di più solo in altri tre Paesi: Gran Bretagna (16.679 account fermati), Estonia (12.295) e Romania (8.652). I numeri emergono dal primo rapporto mensileche Google è tenuta a pubblicare sulla scorta degli impegni siglati con la Commissione europea per difendere le elezioni del parlamento comunitario dall’inquinamento di fake news e disinformazione.
Nel primo mese di attività dopo l’ok al codice di condotta con Bruxelles (Facebook e Twitter gli altri firmatari), il gigante tecnologico ha ripulito la rete da oltre 48mila account di Google Ads (per l’acquisto di annunci pubblicitari online) sospetti. In sostanza, ha staccato la spina togliendo la monetizzazione degli annunci e solo “in alcuni casi lampanti, gli account pubblicitari sono stati disabilitati”. Google ha punito i profili che hanno violato le regole sulla rappresentazione fasulla, ovvero che hanno dato false informazioni sulla propria identità, hanno pubblicato annunci tarocchi o, ancora, hanno diffuso quelle che comunemente si chiamano fake news.

Account Google Ads rimossi
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E l’Italia è, stando ai dati del motore di ricerca, uno dei 28 paesi europei in cui queste forme di disinformazione online sono più virali. Un numero confermato anche dai risultati di un altro repulisti effettuato a gennaio. Quello dei contenuti non originali, categoria con cui Google etichetta siti in cui ci sono più pubblicità che informazioni, portali che riscrivono alla bene e meglio testi altrui o ne fanno copie esatte. O, ancora, che diffondono contenuti sfornati da bot. In questo caso Google ha rimosso 3.258 account in tutta Europa, di cui 1.074 nel solo Regno Unito. E 214 in Italia (al quinto posto).
Se questi dati abbiano indotto Mountain View ad accendere un faro sulla diffusione delle fake news nel Belpaese, e sui rischi connessi alla corretta informazione in vista delle elezioni europee, Google non lo dice. “Tutti i paesi sono casi speciali”,taglia corto Mark Howe, responsabile per Europa, Africa e Medio Oriente delle relazioni con agenzie e industria della pubblicità per Google. Ma preoccupa il contagio delle fake news sulla vita politica. Tanto che Mountain View non esclude di “allargare gli strumenti per le elezioni europee a campagne nazionali”, osserva il manager.
Strumenti di difesa
Lo scorso 29 gennaio il gigante informatico ha pubblicato le sue contromisure per mettere al sicuro il dibattito online sul voto per l’Europarlamento. In particolare Google ha introdotto forme di verifica per gli inserzionisti che comprano spazi pubblicitari online per i partiti in corsa. Dovranno dimostrare, documenti alla mano, di essere società o cittadini europei. I loro nomi saranno esposti in chiaro sotto gli annunci. Google inoltre userà il suo progetto Shield per fermare attacchi Ddos(Distributed denial of service) contro siti di informazioni, di organizzazioni non governative e partiti, e l’intelligenza artificiale per smascherare audio e video deep fake. Infine, al termine delle elezioni, pubblicherà un rapporto con i risultati delle sue attività.

Contenuti poco originali Google
Infogram

Non è ancora chiaro, però, quando scatterà la controffensiva. “Le procedure di verifica saranno implementate in tempo per le elezioni”, dice Howe. Bruxelles però sta con il fiato sul collo di Google, Facebook e Twitter. Leggendo i primi bilanci mensili, la Commissione europea chiede di fare di più e di fornire più informazioni. A Google, per esempio, ha contestato di non aver fornito metriche “abbastanza specifiche”, non aver “precisato l’estensione delle azioni intraprese”. Né di “aver fornito evidenze della concreta implementazione di queste politiche”. Mancano, insomma, le prove che l’abbia fatto per davvero.
La campagna 2018
Dal canto suo il colosso del web rivendica un giro di vite alle fake news e alla falsa pubblicità in rete. Nel rapporto su fiducia e sicurezza in campo pubblicitario Google dichiara di aver rimosso 2,3 miliardi di inserzioni ingannevoli nel 2018 in tutto il mondo, più di sei milioni al giorno. Oscurati anche 58,8 milioni di annunci di phishing. “Abbiamo aggiunto 31 nuove politiche pubblicitarie nel 2018, tenendo conto di aspetti che prima non avevamo preso in considerazione e seguendo l’evoluzione del mercato. Come le criptovalute”, precisa Howe. O i servizi di aiuto a chi soffre di tossicodipendenze.
Da un lato il sottobosco del fake continua a fiorire, tanto che l’anno scorso gli analisti hanno complessivamente azzerato un milione di account pubblicitari malevoli, il doppio del 2017. Dall’altro Google ha affinato gli standard di valutazione. Ha aggiunto 330 nuovi parametri. Ed esteso il controllo alla comunicazione elettorale. Nella campagna di metà mandato negli Stati Uniti ha bloccato 143mila annunci. Oltre gli strumenti per le elezioni europee, Google ne svilupperà di specifici per la chiamata alle urne in India. L’azienda ha rimosso 1,2 milioni di pagine, oltre 22mila app e circa 15mila siti per contenuti che travisano o di bassa qualità. Altre 74mila pagine sono state cancellate perché ritenute pericolose.




Internet deve essere al servizio del "bene pubblico": il manifesto di Tim Berners-Lee

Il papà del world wide web immagina il futuro della rete: libera e aperta, che rispetti i dati degli utenti e li tuteli dai pericoli online. La lettera a 30 anni dall’invenzione


È il momento di celebrare quanto lontano siamo arrivati, ma anche un’opportunità per riflettere su quanto lontano dobbiamo ancora andare”. Inizia così la lettera (qui il testo integrale) che Tim Berners-Leeha scritto per celebrare il trentesimo compleanno della sua creatura, il world wide web. Un invito a ragionare sulla nostra relazione con internet e ad attivarci per migliorarla, adattarla al progresso civile e tecnologico, intraprendere insomma il viaggio – che lui stesso definisce né semplice né immediato – “dall’adolescenza digitale verso un futuro più maturo, responsabile e inclusivo”. 
Il 12 marzo 1989 l’allora trentaquattrenne informatico del Cern di Ginevra presentava al suo capo, Mark Sendall, la bozza di un nuovo progetto che potesse soddisfare le esigenze di condivisione automatica di informazionitra scienziati di università e istituti di tutto il mondo. 
Progressi e passi indietro
Vague, but exciting…”, il commento scarabocchiato da Sendall sul margine della prima facciata del documento originale. Così exciting, che l’idea prese ben presto forma. Inizialmente come strumento interno per i ricercatori, nel 1991 con la nascita del primo sito. Poi, dal 1993, con la diffusione sempre più ad ampio raggio di quell’infrastruttura software che rende possibile per un computer comunicare con un altro. Negli anni il web è diventato, sottolinea lo stesso Berners Lee, una pubblica piazza dove le persone si incontrano, una biblioteca dove accedere a un numero sconfinato di volumi, ma anche un negozio, una scuola, uno studio medico, un ufficio, un cinema, uno studio di progettazione, una banca e molto altro ancora: uno spazio e un insieme di servizi che hanno cambiato radicalmente la nostra vita.  
In meglio, certo, col sopraggiungere continuo di nuove funzionalità. Ma, allo stesso tempo, rappresentando sempre più una fonte di sofferenza per la fetta di mondo che ancora resta tagliata fuori“Con ogni nuovo sito, il divario tra chi è online e chi non lo fa aumenta” scrive: Oggi la metà del mondo è online. È più che mai urgente assicurare che l’altra metà non sia lasciata indietro e che ognuno di noi contribuisca a una rete che promuova uguaglianza, opportunità e creatività”. Un appello a promuovere l’accessibilità prima di tutto. Ma non solo. Il messaggio è anche (e soprattutto) un dito puntato contro i problemi più allarmanti all’interno del web, come le truffe e l’odio online. 
Acqua inquinata
Sono tre, secondo Berners Lee, i fonti che concorrono a rendere questo ecosistema disfunzionale. Da un lato, gli atti volutamente malevoli, come attacchi hacking sponsorizzati dallo stato, i comportamenti criminali e le molestie online. Dall’altro, l’ideazione di modelli che generano “incentivi perversi”, in cui viene sacrificato il valore dell’utente, come i modelli di reddito basati su annunci che ricompensano il clickbaiting e la diffusione virale di disinformazione. Dall’altro ancora, tutto quello che è frutto di atti non intenzionalmente malevoli, ma che finisce per abbassare la qualità delle relazioni online, per esempio polarizzando il dibattito, o fomentando atteggiamenti di indignazione. Sulle responsabilità, Berners Lee chiama tutti in causa e invita a unire le forze: “Non si può dare semplicemente la colpa a un governo, a un social network o allo spirito umano”. 
Via d’uscita
Sarebbe assurdo o quanto meno miope, secondo l’informatico, assumere che il web non possa essere cambiato in meglio. “Se sogniamo un po’ e lavoriamo molto, possiamo ottenere il web che vogliamo”, scrive. Per esempio, creare normative per minimizzare i comportamenti nocivi, intervenire ridisegnando i modelli e i sistemi per gli incentivi. 
“I governi, scrive, “hanno il dovere di far evolvere le leggi per l’era digitale”. Devono, in poche parole, garantire il rispetto dei diritti e delle libertà delle persone online, così come che i mercati rimangano competitivi, innovativi e aperti. “Abbiamo bisogno di promotori dell’open web all’interno dei governi”, aggiunge, funzionari che prendano in mano la situazione quando gli interessi del settore privato minacciano il bene pubblico. “Le aziende, dal canto loro, devono anch’esse fare di più per garantire che la ricerca di profitto a breve termine non vada a scapito dei diritti umani, della democrazia, dei fatti scientifici o della sicurezza pubblica”, continua, e questo richiede una riprogettazione di piattaforme e prodotti in termini di privacy e sicurezza.
Il ruolo determinante però, sottolinea, resta quello dei cittadini, che devono pretendere di rimanere al centro, sotto forma di community, e valutareaziende e governi negli impegni che assumono. “Se non eleggiamo politici che difendono un web libero e aperto, se non facciamo la nostra parte per promuovere conversazioni sane costruttive online, se continuiamo a fare clic sul consenso senza chiedere il rispetto dei nostri dati, ci allontaniamo dalla nostra responsabilità di far mettere questi problemi tra le priorità dell’agenda dei nostri governi”, ci tiene a sottolineare. 
“In momenti cruciali come questo, le generazioni prima di noi hanno intensificato il lavoro insieme per un futuro migliore”, spiega, richiamando alla memoria momenti rivoluzionari della storia come la pubblicazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Convenzione sul diritto del mare e il Trattato sullo spazio extra-atmosferico. Berners-Lee insiste con la proposta, avanzata qualche mese fa, di un vero e proprio Contratto per il web. Perché, scrive,“dal momento che il web plasma il nostro mondo, abbiamo il dovere di assicurarci che sia riconosciuto come un diritto umano, e finalizzato al bene pubblico”, chiude.