1

Dove sta andando internet?

Dove sta andando Internet?

Maggiori contenuti visivi, più privacy e il pericolo della radicalizzazione online. Nel suo Internet Trends 2019, l’analista finanziaria Mary Meeker pubblica la sua radiografia dell’anno che è stato sul web


Maggiori contenuti visivi, più privacy e il pericolo della radicalizzazione online, ma anche una corsa sfrenata all’acquisto di pubblicità che potrebbe aver raggiunto il suo picco fisiologico. Per il ventiquattresimo anno di fila la leggendaria analista e investitrice Mary Meeker ha sintetizzato le principali tendenze di internet in Internet Trends 2019, il rapporto più atteso dagli appassionati di dinamiche digitali e dagli imprenditori del web, un vero e proprio Stato dell’unione che la rockstar degli analisti finanziari ha illustrato nel corso della conferenza di Vox Media e che rappresenta il documento essenziale per capire in che direzione si stia muovendo la rete.

Internet in cifre

I numeri, innanzitutto. Per la prima volta nella storia dell’umanità, più di metà della popolazione mondiale ha accesso a internet, con una penetrazione complessiva del 51%, in crescita di due punti rispetto al 2017 e più che raddoppiata negli ultimi 10 anni. La geografia delle connessioni risente delle profonde diseguaglianze economiche e sociali a livello globale e ciò fa sì che buona parte della popolazione digitale arrivi dall’Asia (51%), mentre il Nord America, pur rappresentando appena il 9% del mercato complessivo, garantisca una copertura internet all’89% della popolazione (lo stesso dato, in Africa, è fermo al 32%).
Aumenta la quantità media di tempo che gli americani trascorrono su internet (6,3 ore al giorno nel 2018) e di pari passo sale la percezione della paura di dipendenza dal web, ma gran parte della presenza digitale avviene tramite mobile, che per la prima volta nella storia supera il mezzo televisivo per tempo di utilizzo.
Internet, insomma, è un medium più popolare e più utilizzato rispetto a un anno fa, ma il suo trend di crescita è in costante rallentamento. Sta diventando sempre più difficile trovare nuovi utenti e ampliare il tasso di penetrazione sul territorio – e in questo senso assume rinnovata centralità l’idea di un’agenda digitale transnazionale e di un welfare basato anche sulle infrastrutture internet – e al contempo calano le vendite di smartphone, per molti l’unico punto d’accesso online.
Ciò non impedisce comunque ai colossi del tech di crescere a ritmi vertiginosi: tra le prime 10 compagnie al mondo per capitalizzazione, appena 3 non fanno della tecnologia il proprio core business – Berkshire Hathaway, Visa e Johnson & Johnson – mentre le altre 7 hanno una capitalizzazione di mercato dal 46% al 266% più alta rispetto a tre anni fa.
Tra le prime 25 aziende tecnologiche degli Stati Uniti, sottolinea inoltre il report, il 60% è stato fondato da immigrati di prima o seconda generazione, che nel solo 2018 hanno dato lavoro a 1,9 milioni persone.

Come usiamo internet

Nel suo rapporto, Mary Meeker sottolinea le maggiori tendenze rilevate nel 2018 e prova a tracciare una previsione realistica per il futuro di internet. Una parte significativa dei contenuti scambiati online è composta da immagini, di cui gli utenti sono al tempo stesso fruitori e creatori. La tendenza è in corso già da qualche anno, ma reti più veloci e fotocamere di qualità migliore stanno accelerando tale dinamica, che ha finito per soppiantare l’utilizzo del testo scritto persino in un medium prettamente testuale come Twitter, che tra le sue impression oggi conta più del 50% di contenuti visivi.
Questo stadio dell’evoluzione di internet va prevedibilmente a premiare Instagram, che nel 2018 cresce più di tutti, aumentando i suoi utenti giornalieri del 6% e staccando di poco YouTube, che pur facendo molto bene incrementa la sua platea del 5%. L’ultimo anno ha visto raddoppiare i fruitori di video brevi – Instagram Stories, Facebook Stories, WhatsApp Status – e aumentare significativamente gli ascoltatori di podcast, che oggi sono arrivati a toccare i 70 milioni ogni mese, ma il trend più futuribile in assoluto sembra essere quello relativo al gaming.

Mary Meeker, venture capitalist e tra i principali analisti di internet (foto: Tony Avelar/Bloomberg via Getty Images)

Gli utenti che utilizzano internet per praticare sport elettronici – in maniera più o meno amatoriale – sono quasi 2 miliardi e mezzo, il 6% in più del 2017, e le esperienze di gioco interattivo e multiplayer stanno diventando dei veri e propri social network per i più giovani, che secondo un sondaggio di Survey Monkey utilizzano Fortnite anche per stabilire relazioni online (nel 44% dei casi). Altrettanto interessante è il successo di Twitch, la piattaforma di streaming video dedicata principalmente ai giochi elettronici, che in due anni ha più che raddoppiato spettatore e ore di contenuti prodotti.
Continua a crescere stabilmente il settore dell’e-commerce, che segna un incremento del 12,4% a fronte del +2% registrato dai punti vendita fisici, rappresentando oggi il 15% del fatturato complessivo derivante dalle vendite al dettaglio negli Stati Uniti. Nonostante gli sforzi delle piattaforme per semplificare l’esperienza di compravendita e gli investimenti in pubblicità, le ragioni che spingono i consumatori ad abbonarsi ai servizi di shopping online sono ancora prettamente di natura personale e il 23% degli utenti viene convinto grazie al passaparola. Ad ogni modo, il 59% delle transazione giornaliere avviene oggi tramite pagamento digitale.

Le sfide del futuro

Un capitolo importante dell’evoluzione di internet è quello dedicato alla privacy e ai contenuti potenzialmente problematici. Nel primo trimestre del 2019, l’87% del traffico web è risultato crittografato, un dato parziale ma che appena tre anni fa si assestava poco sopra il 50%. Secondo Meeketer, questo sarebbe il segnale di un’esigenza diffusa di privacy, collegata ai recenti scandali riguardanti la gestione dei dati da parte delle grandi piattaforme e che oggi i giganti del tech stanno provando a intercettare, almeno nelle dichiarazioni pubbliche.
Altro tasto dolente è quello della radicalizzazione e polarizzazione del confronto online. I contenuti pubblicati diventeranno sempre meno gestibili, grazie all’accelerazione dei fenomeni della viralità e la difficoltà nella loro rimozione. Rispetto all’anno precedente, Facebook ha aumentato i suoi sforzi per rimuovere contenuti problematici, mentre YouTube ha fatto peggio del 2017, diventando il luogo preferito per la proliferazione della propaganda suprematista. In questo quadro, il 42% degli adolescenti americani ha subito offese online, il 32% è venuto a contatto con voci diffamatorie e il 16% ha subito minacce fisiche.
L’ultima – ma non la meno importante – sfida per il futuro di internet è quella dell’advertising e interessa soprattutto piccoli e grandi imprenditori digitali. Sempre più persone utilizzano il web per farsi pubblicità, nella maggior parte dei casi veicolata tramite mobile, e le piattaforme sperimentano metodi via via più efficaci per renderla fruttuosa. Il numero degli spazi acquistati è destinato a crescere ancora, ma si sta avvicinando il momento in cui l’attuale strategia di marketing, troppo costosa e sempre meno remunerativa (anche per via delle nuove norme del Gdpr), non converrà più alle piattaforme. Il futuro, prevede Meeker, è il periodo prova gratuito, che nel corso del 2018 ha fatto la fortuna delle principali piattaforme di streaming.




LO SHARP POWER E IL RITORNO DEI REGIMI AUTORITARI

LO SHARP POWER E IL RITORNO DEI REGIMI AUTORITARI

I cambiamenti geopolitici, che hanno interessato l’Europa e gli Stati Uniti nell’ultimo decennio, evidenziano la profonda crisi attraversata dalle democrazie liberali e l’emergere dell’autoritarismo. Come ha sottolineato lo storico e politologo statunitense Robert Kagan, sarebbe in realtà più corretto parlare del riemergere dell’autoritarismo, dal momento che i regimi autoritari hanno sempre rappresentato la più grande minaccia al liberalismo, sin dalla nascita dell’idea liberale.

Oggi l’autoritarismo, che si credeva debellato per sempre, ritorna come forza geopolitica a livello mondiale, grazie ad attori quali Russia e Cina, alfieri di un modello illiberale che trova estimatori anche all’estero. La recessione democratica sperimentata recentemente da Ungheria, Turchia e Filippine, Paesi dove le prospettive democratiche sembravano decisamente allettanti fino a qualche anno fa, testimonia da un lato come il modello della leadership autocratica stia prendendo decisamente piede, dall’altro come le democrazie vengono attaccate a livello di idee e principi.

Il ritorno dell’autoritarismo è stato accompagnato da una netta presa di posizione ideologica che riprende temi cari alla millenaria critica al liberalismo, proprio in un momento in cui il mondo liberale sta soffrendo la sua più grande crisi di fiducia dagli anni Trenta. Il neo-autoritarismo di Mosca e Pechino è armato di nuovi mezzi di controllo e di disgregazione sociale, inimmaginabili fino a qualche anno fa, che, avvalendosi di tutti gli strumenti del nuovo universo dei media digitali, rafforzano il dominio autoritario in patria e raggiungono il cuore delle società liberali all’estero per indebolirle dall’interno.

L’applicazione calcolata di metodi non lineari, come l’uso della disinformazione, per attaccare un avversario creando divisioni interne a un Paese, ossia la strategia di Prometeo, resa popolare dal famoso statista polacco Józef Piłsudski nei primi del Novecento, viene aggiornata alla luce della teoria Gerasimov. Valery Gerasimov, Capo di Stato Maggiore delle forze armate russe e teorico dell’omonima dottrina, applicata nella guerra della Russia in Ucraina e in Siria, sottolinea come “il ruolo degli strumenti non-militari nel conseguimento di obiettivi strategici politici e militari sia cresciuto e, in molti casi, questi strumenti abbiano superato il potere delle armi in quanto ad efficacia”.

In altre parole una campagna di dezinformatsiya, volta a screditare il governo di un determinato Paese, e/o un attacco cyber a un’istituzione finanziaria, possono creare effetti destabilizzanti superiori a quelli conseguibili con metodi di guerra convenzionale. La capacità, per certi versi inaspettata, dei regimi autoritari di attuare la censura a livello digitale e di esercitare influenza all’estero ha reso necessaria la creazione di nuovi termini capaci di descrivere adeguatamente questa nuova situazione.

Centrale nella strategia d’attacco dei regimi autoritari al mondo liberale è il concetto di sharp power, parola relativamente recente nata in antitesi al soft power, che aveva caratterizzato la politica mondiale nell’arco temporale compreso tra la fine della Guerra Fredda e l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001.

Con l’espressione sharp power, intendiamo un approccio agli affari internazionali che comporta tipicamente tentativi di censura o l’uso di manipolazione per indebolire l’integrità di istituzioni indipendenti. Come affermato nel report stilato nel dicembre 2017 dal Forum internazionale per gli studi democratici del National Endowment for Democracy che ha coniato questo termine, la parola sharp (in italiano “tagliente”) è stata scelta espressamente per sottolineare come questo potere (power) cerchi di “perforare, penetrare gli ambienti politici e informativi dei paesi presi di mira“.

Un esempio recente di sharp power è l’ingerenza del Cremlino nelle elezioni straniere, con l’obiettivo di indebolire la credibilità dei regimi democratici. Negli ultimi dieci anni, gli Stati Uniti e le democrazie europee sono stati soggetti a interferenze sempre più sofisticate da parte russa. Mosca sfrutta i conflitti esistenti all’interno di queste società per aumentare la polarizzazione ed erodere il consenso democratico. Concentrandosi sulle elezioni, il Cremlino cerca di minare le norme democratiche di base.

L’interferenza del Cremlino nei processi elettorali all’estero è un fenomeno sul quale è opportuno spendere qualche ulteriore parola prima di occuparci di altri settori in cui lo sharp power esercita la sua influenza. L’ingerenza elettorale del Cremlino consiste di dieci metodi chiave (disinformation, political advertising, sentiment amplification, identity falsification, hack-and-leak operations, reconnaissance hacking, infrastructure attacks, elite co-optation, party or campaign financing, extreme intervention) che rientrano in quattro macro categorie di interferenze: 1) manipolazione delle informazioni, 2) interruzione informatica, 3) political grooming, 4) intervento estremo.

Non esiste un modello universale per le operazioni di ingerenza russe, ogni caso è diverso e comporta una combinazione unica di metodi basati sugli obiettivi del Cremlino e sul contesto e le vulnerabilità specifiche del Paese di destinazione e/o del processo elettorale. Molti di questi metodi si sovrappongono e si completano a vicenda. Ad esempio, le campagne di influenza dei social media coinvolgono generalmente sia la disinformazione sia l’amplificazione di certe affermazioni (sentiment amplification) su temi divisivi (immigrazione, etc), a volte combinata con la pubblicità politica (political advertising).

L’interferenza elettorale russa è un gioco di lungo corso: molti di questi metodi sono usati, in varia misura, ben prima delle elezioni e si intensificano durante le campagne elettorali. Gli sforzi di influenza sono diventati nell’ultimo decennio una caratteristica costante del nostro panorama politico. La guerra di disinformazione del Cremlino contro l’Europa non mostra segni di rallentamento e le notizie sugli attacchi informatici sono sempre più frequenti.

Tale strategia manipolativa deriva dal concetto sovietico di Aktivnie Meropriyatiya (Misure Attive): un lento processo di sovversione ideologica e guerra psicologica il cui obiettivo di medio-lungo periodo è modificare la percezione della realtà da parte di un soggetto per indurlo ad agire in modo tale che a trarne beneficio sia il suo avversario. Gli sforzi di influenza attuati dal Cremlino in questi anni sono solo un sofisticato aggiornamento all’era digitale di questa vecchia strategia.

Chi volesse approfondire questi temi con dei casi relativi a Brexit, Presidenziali americane del 2016 ed elezioni politiche italiane del 2018 può consultare questo link

L’ambito di applicazione dello sharp power va al di là della politica e investe anche il settore cosiddetto CAMP (Culture, Academics, Media, Publishing) dispiegando i suoi effetti anche sulle sfere della cultura, dell’università, dei media e del mondo editoriale.

Christopher Walker, vicepresidente per gli studi e le analisi del National Endowment for Democracy, ha sottolineato come “gli effetti corrosivi dello sharp power sono sempre più evidenti nelle sfere della cultura, del mondo accademico, dei media e dell’editoria, settori cruciali per determinare in che modo i cittadini delle democrazie comprendono il mondo che li circonda. L’assalto dello sharp power sia alla politica sia al regno delle idee rappresenta una minaccia critica per i sistemi democratici. Lo sharp power può essere usato per degradare l’integrità delle istituzioni indipendenti attraverso la manipolazione, come quando le entità cinesi che agiscono per conto dello stato-partito comunista mascherano le loro iniziative come iniziative commerciali o iniziative di base della società civile”.

Un caso da manuale di sharp power nel settore dei media è quello verificatosi in Australia 5 anni fa. Nell’aprile 2014, la sezione internazionale della Australian Broadcasting Corporation (ABC) annunciò un accordo di grande successo con lo Shanghai Media Group, una conglomerata sostenuta dalla Repubblica popolare cinese (RPC). Alcuni osservatori accolsero con favore l’accordo sottolineando come questa intesa avrebbe potuto fornire all’ABC un maggiore accesso al pubblico cinese, cosa mai successa prima a un emittente occidentale. L’amministratore delegato della ABC, Mark Scott, salutò l’accordo con grande entusiasmo affermando che era nato un nuovo mondo della televisione e della cooperazione online tra Australia e Cina.

In realtà l’intesa si rivelò l’esatto contrario di quanto auspicato da molti. Chi in altri termini sperava che l’ingresso dell’ABC nel mercato dei media in mandarino costituisse un primo step del regime di Pechino verso un modello di informazione pluralista dovette constatare quanto ingannevole fosse il patto sottoscritto dagli australiani con la controparte cinese. L’accordo conteneva infatti una grave limitazione all’integrità giornalistica dell’emittente australiana finanziata dai contribuenti: la direzione della ABC aveva accettato di eliminare le notizie e gli argomenti di attualità sgraditi a Pechino dal rispettato servizio in lingua mandarina ABC, sia in Australia sia all’estero. Le autorità cinesi erano riuscite a imbavagliare un’importante voce indipendente dei media australiani.

Un episodio simile, in ambito accademico, ha invece visto protagonisti l’Università di Cambridge e la Russia di Putin. Nel 2014, la Cambridge University Press (CUP) si rifiutò di pubblicare il libro di Karen Dawisha Putin’s Kleptocracy: Who Owns Russia?, un saggio in cui la studiosa americana ricostruiva meticolosamente le origini post-sovietiche dell’attuale regime russo, temendo cause per diffamazione, specie nelle corti britanniche. Il libro venne poi dato alle stampe dall’editore Simon & Schuster, ma non prima che la Dawisha scrivesse una lettera aperta alla Cambridge University Press denunciando quelli che lei definiva “roghi preventivi di libri per la paura di un’azione legale”. 

Un preoccupante tentativo di intimidazione, questa volta da parte cinese, si è verificato in Italia qualche settimana fa e ha visto coinvolti Giulia Pompili, giornalista del quotidiano Il Foglio, e Yang Han, funzionario dell’ambasciata cinese in Italia. Venerdì 22 marzo, al Quirinale, durante l’incontro tra il presidente cinese Xi Jinping e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la Pompili è stata avvicinata dal capo dell’ufficio stampa della sede diplomatica cinese a Roma che le ha intimato di “smettere di parlare male della Cina”. Tutto questo avveniva mentre il presidente Mattarella chiedeva al suo omologo Xi Jinping garanzie sul rispetto dei diritti umani. Il gravissimo episodio non fa che confermare l’approccio cinese al mondo dell’informazione e della cultura. 

Christopher Walker nel suo paper What is “Sharp Power”? ha inoltre messo in evidenza come la mission della fitta rete mondiale degli Istituti Confucio, con cui collaborano molte università europee, statunitensi, africane ed asiatiche, vada ben al di là dell’insegnamento del Confucianesimo e della lingua cinese. “Le autorità cinesi descrivono gli Istituti di Confucio come simili all’Alliance Française francese o al Goethe-Institut tedesco, che ricevono finanziamenti governativi per fornire lezioni di lingua e cultura. Tuttavia, a differenza di quelle organizzazioni indipendenti, gli Istituti Confucio sono integrati nelle istituzioni educative. Inoltre, impiegano personale che a volte ha cercato di impedire alle università ospitanti di tenere discussioni su argomenti delicati come Taiwan o il Tibet ”.

La sfida allo sharp power di Mosca e Pechino è una sfida globale di grande momento. Una sfida a cui il mondo occidentale deve fornire una risposta forte e proattiva, pena l’agonia stessa del mondo libero.




F8, FACEBOOK: DA NEWSFEED A MESSENGER, STORIES E GRUPPI

“As the world gets bigger and more connected, we need that sense of intimacy more than ever. That’s why I believe that the future is private

Mark Zuckerberg ha aperto con queste parole questa edizione dell’F8, la conferenza annuale dedicata al futuro dell’ecosistema Facebook.

La privacy è rapidamente diventata un tema molto caldo nei piani di sviluppo di tutte le piattaforme, in particolare di Facebook, che nell’ultimo anno è stato al centro di una serie di controversie legate alla scarsità di controllo delle informazioni personali degli utenti.
Il CEO di Facebook ha identificato 3 aree fondamentali per l’evoluzione della comunicazione online:

• messaggistica privata

• contenuti effimeri

• piccoli gruppi

Negli ultimi anni l’impegno di Facebook è stato soprattutto dare alle persone la possibilità ci connettersi con tutto il mondo, oggi la nuova sfida è trovare il modo di dare agli utenti controllo e protezione in termini di privacy: fino a ieri Facebook è stata soprattutto una piazza dove incontrare nuove persone, prendere parte a conversazioni pubbliche e condividere i nostri contenuti potenzialmente con chiunque; domani quelle stesse piattaforme dovranno darci la possibilità di fare lo stesso, ma in una sfera più privata, come se ci trovassimo nel salotto di casa nostra, dove siamo noi a decidere chi far accomodare e dove possiamo essere veramente noi stessi.
Zuckerberg sottolinea che il miglior modo per esprimerci liberamente è farlo con le persone di cui ci fidiamo e con cui vogliamo interagire, proprio come nel salotto di casa, dove possiamo agire con più naturalezza e con meno timori rispetto a quanto facciamo in pubblico.

Questa premessa non riguarda soltanto la piattaforma Facebook, ma tutto l’ecosistema. 

Nei piani di Zuckerberg, Messenger diventerà ancora più centrale: verrà lanciata un’App completamente rivista, più leggera e veloce, disponibile anche da desktop, e soprattutto avrà una encryption end-to-end, proprio come Whatsapp.
Ci sarà una completa integrazione di Facebook Watch, per spingere le persone a guardare contenuti video insieme ai propri amici o familiari, proprio come farebbero nel salotto di casa, commentando e interagendo in tempo reale.

All’interno di Messenger troveremo anche uno spazio dedicato alla scoperta di contenuti dei nostri contatti più stretti: sarà possibile decidere chi potrà trovare e vedere quei contenuti.

Questo significa che i brand dovranno essere capaci – ancor più che in passato – di creare contenuti che le persone non solo vogliano guardare, ma che desiderino anche condividere e commentare insieme ai loro amici.

Un’altra importante novità per i brand riguarda la possibilità di aggiungere “lead generation template” all’Ads Manager, dando così alle aziende l’opportunità di intrattenere conversazioni più intime con i propri consumatori e aiutandole a instaurare una relazione ancora più diretta.

Non va dimenticato che sarà possibile inviare pagamenti via Messenger, facendo sì che Facebook diventi a tutti gli effetti un Marketplace da cui non ci sarà bisogno di uscire per finalizzare un acquisto.
Anche Instagram sarà ancor più focalizzato nella possibilità di effettuare acquisti direttamente dalla piattaforma, senza mai abbandonarla, dal momento della scoperta a quello del checkout: Shop From Creators è una nuova funzionalità che consentirà ai creator di avere una connessione ancora più diretta con i brand con cui stanno collaborando.

“Le persone stanno già acquistando grazie ai creator, chiedendo loro informazioni sui prodotti via Direct o nei commenti”.

Fino a ieri solo i brand potevano inserire tag relativi ai propri prodotti, d’ora in poi potranno farlo anche creator e influencer: questo consentirà loro di fornire alle persone le informazioni che stanno cercando, anticipando quello che oggi succede, appunto, nei commenti o via Direct.
Saranno anche disponibili analytics che permetteranno di capire quali contenuti stanno performando meglio – relativamente allo shopping – e questo aiuterà i creator e gli influencer a capire quali collaborazioni sono più in linea con i gusti e gli interessi delle persone che li seguono: questo può diventare un grande vantaggio – soprattutto nel medio/lungo periodo – sia per i creatori, sia per i brand, che avranno un ulteriore strumento per valutare la bontà – o meno – di una collaborazione.
Shop From Creators entrerà in fase di test nei prossimi giorni, coinvolgendo alcuni influencer come Gigi Hadid, Kim Kardashian, Kris Jenner, Kylie Jenner e Leesa Angelique che dichiara:
“Parte del mio lavoro è fornire consigli e suggerimenti sul mondo beauty. Solitamente scrivo descrizioni molto lunghe e dettagliate relative ai prodotti che sto usando: questo nuovo strumento renderà molto più facile far sapere alle persone cosa sto indossando o che prodotti sto provando

Diventerà quindi ancora più importante per i brand individuare i creator più adatti con cui collaborare, scegliendoli sulla base del tipo di contenuti che si desidererà veicolare e degli obiettivi che ci si è posti: se già oggi si tratta di un asset strategico di enorme importanza, con questo strumento e lo spostamento del baricentro dal feed/timeline a un ambiente sempre più privato e diretto, sarà davvero importante essere in grado di creare quelle che Zuckerberg definisce “meaningful interactions”.

Verranno poi introdotti nuovi strumenti pensati per spingere le persone a focalizzarsi sui contenuti: il nuovo Create Mode permetterà di creare un contenuto da zero, senza bisogno di caricare una foto o un video, e darà la possibilità di utilizzare una serie di tool creativi per incentivare le persone a produrre sempre più Stories.

“Focus on the photos and videos you share, not how many likes they get.”

La seconda area d’interesse indicata come cruciale da Zuckerberg riguarda proprio i contenuti effimeri: meno rilevanza ai Like e alle vanity metrics e più focus sulla creatività delle Stories.
La notizia più sorprendete riguarda la volontà di ridurre il focus sul numero di follower e sulla visibilità dei Like di ogni contenuto: Adam Mosseri – Head of Instagram – spiega che la direzione della piattaforma sarà quella di premiare sempre più i contenuti di qualità (offrendo nuovi strumenti ai creator, appunto) e la volontà di connettersi con altri utenti, non soltanto in cerca di Like, ma per interessi affini.
La popolarità di questo formato è in continua crescita su tutte le piattaforme dell’ecosistema Facebook (mentre rimane piuttosto costante su Snapchat, che di fatto le aveva rese mainstream nel 2010) e sta facendo sì che Instagram stia – per alcuni aspetti – sostituendo Facebook nel modo in cui le persone – sopratutto le generazioni più giovani – accedono ai contenuti, interagiscono con i loro amici e con i brand.

Fonte: Buffer

Proviamo a pensare a come usavamo i canali social 10 anni fa e a come lo facciamo oggi. È cambiato tutto: dai formati, al modo in cui ci esprimiamo, al tipo e quantità di contenuti che consumiamo.
Facebook è diventato un luogo completamente diverso, un po’ per la nascita e l’evoluzione di altre piattaforme, come Instagram appunto, un po’ perché è cambiato il contesto in cui viviamo, gli strumenti che usiamo per accedere a internet e l’attenzione verso alcune tematiche relative alla privacy.

“Today we’re making changes that put Groups at the center of Facebook and sharing new ways Facebook can help bring people together offline.”

Ed è proprio in questo contesto che si inserisce la terza grande area di interesse: i gruppi.

Facebook è nato come piazza virtuale, un luogo a cui accedere quando si voleva interagire con i propri amici e familiari; è poi diventato anche il posto in cui informarsi e interagire anche con le aziende.
La visione di Zuckerberg è quindi di dare più controllo alle persone che vogliono condividere i loro interessi: lo stanno già facendo usando i Gruppi. Per questo saranno elemento sempre più centrale non solo nella nuova interfaccia di Facebook (che verrà rilasciata nei prossimi giorni sia per mobile, sia per desktop), ma anche a livello strategico.

FB5, è questo il nome del redesign che Zuckerberg definisce “the biggest change we’ve made to the Facebook app and site in five years”: la nuova interfaccia darà molta più centralità ai Gruppi, che già oggi sono utilizzati da più di 1 miliardo di persone ogni mese, e ha l’obiettivo di veder crescere questo numero, che – idealmente – dovrebbe coincidere con quello delle persone che usano Facebook (2.38 miliardi) per incentivare gli utenti a connettersi con altre persone con gli stessi interessi e le stesse passioni.

Se volessimo riassumere le novità che riguardano la piattaforma Facebook, potremmo dire: meno centralità al Newsfeed, più enfasi su Gruppi, Marketplace e Watch. 

Tutto questo, ovviamente, avrà un grosso impatto sul modo in cui i brand dovranno comunicare e sarà quindi ancora più importante che in passato guardare a Facebook come ecosistema fatto di diverse anime e non come a silos a compartimenti stagni: si apriranno nuove opportunità – anche relative ai prodotti sponsorizzati – e andranno studiate ancora più in profondità le abitudini delle persone, sfruttando ogni touchpoint secondo le sue regole e le sue specificità.

Sarà fondamentale, nei prossimi mesi, non solo capire in che modo rivedere alcune logiche che si erano consolidate, ma anche capire come nuovi canali potranno diventare strategici per raggiungere consumatori che stanno modificando non solo il loro modo di accedere ai contenuti, ma anche di acquistarli (basti pensare a quanto velocemente stiano evolvendo soluzioni in VR o AR – Kimberlee Archer, Head of Developer Marketing AR/VR, ha dichiarato che nell’ultimo anno +1 miliardo di persone hanno fruito di contenuti AR, giusto per avere un’idea della rapidità con cui si stanno diffondendo).

Questi cambiamenti, chiaramente, hanno anche a che vedere con la volontà di Facebook di individuare altre fonti di guadagno, oltre all’advertising: lo scorso anno sono le revenue sono state di circa $56 miliardiquasi interamente provenienti da prodotti sponsorizzati.
Negli ultimi mesi il tasso di crescita degli utenti registrati in Europa e USA è rimasto pressoché costante, ma impone di trovare nuovi modi di monetizzare per sostenersi: le novità presentate durante l’F8 vanno nella direzione di tenere per più tempo possibile le persone all’interno delle applicazioni dell’ecosistema, integrando strumenti di e-commerce che i brand potrebbero iniziare ad usare.

Queste nuove feature, unite a quelle legate a Stories e video (soprattutto l’incentivo a guardarli insieme ad altre persone), vanno proprio nella direzione di far sì che per molte persone internet corrisponda a Facebook (inteso come ecosistema), proprio come successo in Cina con WeChat, che integra una serie di funzionalità che – di fatto – lo rendono internet tout court per moltissime persone.
L’elenco delle altre novità annunciate durante i due giorni di F8 è ancora lungo, quindi se volete approfondire potete leggere i post condivisi sulla Newsroom di Facebook qui e qui.
Se invece volete commentare con noi la nuova direzione che sta prendendo Facebook, potete farlo nei commenti o seguendoci su FacebookInstagram e Twitter.




L’attivismo di Lush: azienda etica ma non solo…

L’attivismo di Lush: azienda etica ma non solo…

L’efficacia delle pratiche di CSR

Quando un consumatore pensa a Lush, una delle prime cose che gli viene in mente è il prezzo dei suoi prodotti. Se ci riflette più a fondo si ricorderà di certo anche di tutto il suo impegno e attivismo in materia di eticasostenibilità ambientale e commercio equosolidale, e improvvisamente il mero valore economico dei prodotti, pur essendo una delle determinanti nelle scelte d’acquisto del consumatore, passa in secondo piano.
Questo perché, come già detto nell’articolo di Federico Santini Qual è l’opinione dei consumatori della CSR? Una ricerca empirica, un consumatore è sempre più influenzato dalle tematiche di sostenibilità e responsabilità sociale intorno alle quali ruota buona parte delle politiche e delle iniziative messe in atto ormai da numerose aziende. Ed è più disposto ad acquistare i prodotti che osservano determinate regole ambientali sociali e quant’altro.
L’implementazione della Corporate Social Responsibility da parte delle aziende porta, tra gli altri vantaggi, ad un miglioramento dell’ immagine aziendale, incrementando quello che è il valore percepito dai consumatori del prodotto finale, ma anche del brand nel suo complesso.
Per migliorare la qualità della brand reputation non basta comportarsi in maniera etica e sostenibile, bensì bisogna che l’azienda si serva degli adeguati strumenti di comunicazione per rendere noto a tutti gli stakeholders aziendali il proprio impegno in merito agli ambiti di cui sopra.

I valori condivisi dal brand

Lush, in questi termini, è una delle aziende più talentuose. Riesce a distinguersi dai suoi concorrenti per la sua originalità. In primis per la sua strategia di marketing non convenzionale, poiché non investe in pubblicità e comunicazione tradizionale, ma è costantemente attiva sui social network, strumento con il quale riesce a coinvolgere i consumatori nella creazione di valore che, sentendosi parte di una community, si riconoscono nei valori promossi dal brand e partecipano attivamente supportando le iniziative e lo sviluppo del brand stesso. La promozione dei prodotti infatti, viene fatta unicamente tramite il passaparola e dagli addetti alla vendita nelle varie botteghe.
In secondo luogo Lush, oltre a promuovere iniziative, sostiene e supporta economicamente associazioni che sono attive in ambito sociale, ambientale e di sostenibilità.
In uno degli articoli in primo piano presenti sul sito ufficiale di Lush Italia, l’azienda definisce il proprio atteggiamento nei confronti dell’eticità dichiarando:

“Non ci è mai piaciuto definirci ‘azienda etica’. (…) L’obiettivo che ci siamo prefissati è quello di condurre la nostra attività in modo tale da consentire a tutti quelli che entrano in contatto con noi – i nostri fornitori, i dipendenti e i clienti – di trarre beneficio da Lush, sentendosi arricchiti.”

Lush fin 1995, anno della sua fondazione, ha delle policy atte a rispettare le persone con cui entra in contatto, sia esterne che interne all’azienda.

L’impegno nel sociale

Per quanto riguarda i fornitori delle materie prime, che sono tutte naturali o quasi, e l’approvvigionamento presso gli stessi, è tanto l’impegno che Lush mette nei confronti delle comunità e delle aree da cui acquista gli ingredienti per i propri prodotti. All’interno dell’azienda è presente un “Ethical Buying Team” che viaggia in tutto il mondo alla ricerca delle materie migliori e più sicure e, prima di ogni singolo acquisto, fa delle considerazioni etiche in merito ai diritti dei lavoratori, all’ambiente, alla distanza di trasporto della merce. In più, recandosi di persona sul luogo, cerca di capire la storia che si cela dietro ad ogni singolo ingrediente acquistato, quali problemi lavorativi o ambientali potrebbero presentarsi e cosa potrebbe influire sul costo dei materiali.
Lush attribuisce rilevanza anche all’aspetto sociale interno, impegnandosi a mettere in risalto il lavoratore prima di tutto come persona. Infatti, agli artigiani che producono i cosmetici con le loro mani, spetta la riconoscenza di vedere il proprio volto e nome stampato sopra le confezioni dei prodotti. L’impegno di Lush è stato riconosciuto anche pubblicamente tramite molteplici premiazioni negli ultimi anni per essere una delle migliori imprese nelle quali lavorare. Lo scorso 11 ottobre è stata l’occasione più recente in cui le è stato assegnato un riconoscimento. 

Rispetto dell’ambiente, prodotti “messi a nudo”

Più di un terzo dei cosmetici Lush è stata “messa a nudo”, ossia senza packaging, questo per ridurre al minimo l’impatto ambientale e l’inquinamento dei mari e non solo. Gli altri imballaggi comunque sono riciclati al 100%, sulle confezioni di alcuni prodotti, infatti, ti propongono di conservare i contenitori e, una volta accumulatone un certo numero, riportarli in negozio per ottenere in cambio una maschera per il viso gratis. Lo scorso Giugno a Milano è stato aperto il primo “naked shop”, in cui la totalità della merce venduta è priva di packaging. I prodotti che solitamente sono nella forma liquida, dagli shampoo passando per i balsami corpo ai saponi, vengono resi solidi.

Operazione “save the animals”

Lush è attiva anche sul fronte della salvaguardia degli animali. Infatti, per testare l’efficacia e la sicurezza dei cosmetici non pratica test sugli animali, come la maggior parte delle aziende operanti nel settore, bensì  pratica tecniche in-vitro ossia tecniche per eseguire determinate procedure in un ambiente controllato esterno e non in un organismo vivente. Inoltre, finanzia lo sviluppo di metodi alternativi di sperimentazione non-animale. Dal 2012 ha istituito il “Lush Prize”, il più grande premio al mondo nel campo della sperimentazione non animale che ha l’obiettivo di supportare le eccellenze scientifiche che lavorano per trovare alternative ai test sugli animali, il cui fondo annuale ammonta a 350.000 £. Premio che nell’ultima edizione è stato vinto da due giovani ricercatori italiani.

“Testare sugli animali per noi è semplicemente inaccettabile. Riconosciamo che la sicurezza dei clienti sia fondamentale, ma può essere garantita senza dover sfruttare gli animali”. (Lush Italia)

Per l’azienda, una tale presa di posizione così netta su una delle questioni socialmente e politicamente più scottanti non è stata certamente una mossa priva di conseguenze: vi sono infatti Paesi in cui Lush non può aprire negozi perché le legislature locali richiedono test sugli animali per commercializzare i prodotti.

Sarà tutto vero?

“Ci sono molti modi in cui un’azienda può garantire che le proprie pratiche interne siano trasparenti e oneste – e uno dei modi migliori è consentirne la supervisione da parte di organi esterni.”(Lush Italia)

Per un cliente Lush avere la certezza che i valori del brand che appoggia siano portati avanti  seriamente e con costanza è molto rilevante affinché rimanga fedele all’azienda e continui ad acquistare, pagando anche profumatamente, i suoi prodotti.
Le policy e  le iniziative intraprese da Lush sono controllate e verificate da organi esterni all’azienda e imparziali, in modo da rassicurare maggiormente il consumatore sulla veridicità delle dichiarazioni ufficiali dell’azienda in merito al proprio operato: Ethical ConsumerVegan e Vegetarian SocietyFair Trade, sono solo alcune di queste organizzazioni.




MAMAVENTURE

MAMAVENTURE

L’ospite di questa settimana è Ndiaye Mamadou della start up MamaVenture.

Ciao Ndiaye e benvenuto sul mio blog.  So che la vostra start up ha come vocazione il sostegno a giovani imprenditori immigranti. Ci spieghi meglio?
Come sappiamo è sempre più difficile raccogliere i capitali necessari per avviare idee imprenditoriali e la cosa diventa ancora più complessa quando si tratta di un migrante che tradizionalmente è considerato un cattivo pagatore e incapace di fornire garanzie reali.
MamaVenture è nata per rispondere a un bisogno reale, un problema di tanti, perché attraverso la risoluzione dei problemi si possono cambiare le cose.
Diamo sostegno ai giovani imprenditori migranti attraverso un processo articolato in diverse fasi:
– raccolta di idee innovative tramite candidature on-line ed eventi per dare opportunità al talento di emergere e per individuare nuove e concrete soluzioni alle diverse sfide sociali
– accesso ad un percorso di accelerazione per supportare i potenziali imprenditori nella fase di sviluppo e lancio sul mercato
– aiuto a definire le metriche di business e convalidare o modificare il prodotto/servizio in base alle conoscenze del mercato
– erogazione del capitale necessario per trasformare in impresa le idee imprenditoriali con il contributo della comunità senza scadenze e senza garanzie.
Uno dei vostri obiettivi è valorizzare il community engagement e supporto a startup ad alto impatto sociale: ci fai qualche esempio?
Uno dei problemi più grandi della comunità dei migranti è l’assenza di soluzioni valide per risolvere i problemi della comunità stessa. MamaVenture, grazie alla collaborazione con i rappresentanti locali delle comunità migranti organizza eventi nelle maggiori città italiane al fine di individuare i problemi più sentiti dalla comunità e poter intervenire nelle aree di maggior necessità. Selezioniamo i membri della comunità più brillanti per formare team di lavoro specifici su ogni problema con l’obiettivo di sviluppare soluzioni concrete. Al termine della call for ideas viene fatta una prima selezione delle soluzioni da parte del board of advisor e della comunità dei migranti tramite voto diretto. Si tratta di un processo innovativo ed equo di ideazione, selezione e validazione dei progetti. Questi passaggi ci permettono di coinvolgere le persone nelle scelte e nelle attività di MamaVenture creando engagement di tutti i componenti della comunità dei migranti.
Qual è il rapporto con Primo Miglio e quali sono i vostri programmi per il futuro?
Siamo il primo fondo di investimento a supporto della comunità migrante che fornisce assistenza e formazione per affrontare ostacoli legati alla mancanza di familiarità con la cultura e l’ambiente normativo del paese ospitante e all’assenza di un network sociale e industriale locale. In quest’ottica è importante la collaborazione con acceleratori/incubatori come Primo Miglio con cui abbiamo un legame particolare perché è grazie anche a loro se ci siamo costituiti. Con Primo Miglio poi abbiamo appena chiuso la prima call di idee imprenditoriali, fatto votare ben 2500 persone che si sono espresse dando il voto alle idee imprenditoriali più promettenti, di cui tra pochi giorni pubblicheremo i risultati definitivi. In programma abbiamo il lancio della seconda call di idee imprenditoriali per dare opportunità anche a chi è rimasto senza supporto.
Quali sono gli aspetti della vostra attività che ritieni più innovativi?
MamaVenture è il primo fondo di investimento interamente dedicato ad idee imprenditoriali di talenti migranti e fornisce un servizio innovativo in quanto, a differenza di incubatori e acceleratori tradizionali, offre un supporto personalizzato e continuativo che accompagna le startup in tutte le fasi dello sviluppo: dall’ideazione fino al capital raising. È un modo di fare innovazione sociale in quanto si pone come obiettivo la promozione dell’imprenditorialità tra i migranti, individuando i veri problemi delle loro comunità e supportando i migliori talenti nello sviluppo di soluzioni concrete per risolverli.