Diversity e inclusione, Gucci investe 6,5 mln sull’America
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Gucci fa un ulteriore passo in avanti nel campo della corporate social responsibility.
La maison ha annunciato, postando la comunicazione anche su Instagram, l’avvio del progetto Gucci Changemakers, un programma globale a supporto del cambiamento, nell’ambito del suo sforzo già avviato in termini di diversity e inclusione. Lanciato internamente nel 2018, il programma prevede un investimento di 5 milioni di dollari nel Changemakers Fund (che supporterà i cambiamenti sociali nelle città del Nord America, con un focus sulle comunità afroamericane) e di 1,5 milioni per un programma di borse di studio sempre nell’area, oltre a una serie di iniziative globali che puntano a incoraggiare l’impegno di tutte le persone che lavorano per Gucci in progetti di volontariato.
“Il programma Changemakers – ha commentato Marco Bizzarri, CEO e presidente del brand – è proprio il frutto del nostro impegno in ambito di inclusione e diversità, un impegno che ci consentirà di investire risorse critiche per creare fertili spazi di crescita comune, stimolando e sostenendo in modo sempre più efficace il confronto interculturale con le comunità con cui ci interfacciamo, specialmente quella afroamericana».
Gucci permetterà inoltre a diversi studenti di talento in Nord America di entrare nel settore della moda. Nel corso di quattro anni, Gucci e il Changemakers Council assegneranno borse da 20 mila dollari utili a completare il loro percorso di studi. Il programma Gucci Changemakers prevede inoltre di coinvolgere tutti i 18 mila dipendenti sparsi per il mondo in attività di volontariato all’interno delle rispettive comunità, invitandoli a dedicare a questo scopo fino a quattro giorni retribuiti.
Entro giugno verrà inoltre annunciato un fondo parallelo, sempre del valore di 5 milioni di dollari, nella regione Asia-Pacifico, in concomitanza con il lancio del progetto di lavoro volontario nell’area.
L’Università di Urbino divulga il primo bilancio sociale: impeccabile, come l’Università stessa.
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Nella splendida cornice di Palazzo Passionei, l’Università di Urbino ha presentato il suo primo bilancio sociale (relativo al 2017).
“Si tratta di uno strumento di rendicontazione, non obbligatorio ma vivamente raccomandato, per dimostrare come l’Ateneo utilizzi le risorse pubbliche,” ha spiegato la professoressa Mara Del Baldo, curatrice del volume assieme ad altri docenti e funzionari.
“Uno strumento di trasparenza e comunicazione verso l’esterno,” ha aggiunto il rettore Vilberto Stocchi “per rafforzare il coinvolgimento di studenti, famiglie, aziende, comunità scientifica internazionale.”
Un lavoro complesso di raccolta dati e informazioni, eseguito senza ricorrere ad enti esterni e che verrà aggiornato negli anni e che comprende il bilancio finanziario vero e proprio. Anche su questo fronte, solo buone notizie. Stocchi spiega infatti che, su 70 Università italiane, Urbino è la terza con in conti in ordine. Un dato su tutti: l’indebitamento è sceso allo 0,82% nel 2017. Praticamente niente. Un risultato raggiunto grazie ad una rigorosa politica di contenimento delle spese di gestione, alla razionalizzazione organizzativa ed alla condivisione di obiettivi realistici da parte della governanceaccademica e dell’Amministrazione.
Il progetto della Biblioteca San Girolamo
Durante la conferenza stampa sono stati inoltre presentati due volumi con splendidi apparati iconografici: “Uniamo prospettive” e“Biblioteca universitaria” che raccontano la storia dell’ateneo urbinate e quella delle sue biblioteche, che custodiscono un patrimonio di oltre 800.000 volumi – 450.000 dei quali verranno ospitati nella nuova biblioteca universitaria che sorgerà nell’antico Convento di San Girolamo.
Nel nuovo polo verranno riunite tutte le biblioteche dell’Area umanistica, ora sparse nelle varie sedi. Grazie agli orari estesi (si prevede l’apertura serale e nei festivi), agli oltre 3.000 mq di sale di lettura, ai due cortili interni e alla caffetteria, la Biblioteca San Girolamo intende aprirsi anche alla città di Urbino e non solo agli studenti, divenendo centro di aggregazione e cultura nel senso più ampio. La biblioteca ideale dell’ateneo ideale, nella città ideale.
Cos'è Apple News+, il servizio che mira a rimpiazzare le edicole
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Dovrebbe ospitare oltre 300 riviste e costerà poco meno di 9 euro al mese. Ma per i “giornaloni” ci vorrà tempo.
Questa volta l’ultima novità in casa Apple non arriva dal fronte dell’hardware: per quello, bastano già le nuove versioni dell’iPad, dell’iMace degli AirPod, annunciate la settimana scorsa. Durante un evento specialeche si è tenuto allo Steve Jobs Theatre di Cupertino, il colosso della Silicon Valley ha annunciato un servizio di abbonamento che mira a rimpiazzare le edicole.
Si chiama Apple News+ e segnala l’intenzione della società statunitense di orientare il suo modello di business verso i servizi a pagamenti.
La strategia in parte è dovuta al calo delle vendite di iPhone e MacBook registrato negli ultimi anni. Un recente sondaggio di Boston Consulting Group ha confermato poi quello che alcuni utenti dicono da tempo: Apple non innova più come una volta, ed è passata in terza posizione dietro a Google e Amazon nella classifica apposita compilata dalla società di consulenza.
L’ultima idea, allora, è quella di vendere abbonamenti per prodotti giornalistici e d’intrattenimento, sfruttando così il già vasto parco utenti dei prodotti Apple. Secondo Business Insider, soltanto Apple Music ha oltre 50 milioni di utenti a pagamento; 85 milioni di persone usano invece la versione base, e gratuita, di Apple News (l’app di notizie più diffusa al mondo). La società fondata nel 1976 da Steve Jobs inoltre incassa dei soldi ogni volta che un utente decide di sottoscrivere un servizio a pagamento attraverso le sue app.
Il servizio di Apple News+, per il momento disponibile soltanto negli Stati Uniti, costerà 9.99 dollari (circa 8,83 euro) e sarà estendibile anche a gruppi di amici o a famiglie, come del resto già avviene con altri servizi di musica o video on-demand. Parte oggi e sarà gratis per il primo mese.
Chi pagherà avrà accesso a oltre 300 riviste, tra cui alcune già affermate come Wired e NatGeo, oppure Texture, un magazine digitale comprato da Apple lo scorso anno: tutti i prodotti saranno disponibili in una schermata apposita di Apple News, con un design che sarà rinnovato con la prossima versione del sistema operativo iOS.
Difficilmente però su Apple News+ troveremo i quotidiani più importanti, almeno nel breve periodo. Come spiegato dall’ad del New York Times, gli operatori nel settore delle notizie sono piuttosto titubanti rispetto alla possibilità di cedere i diritti di diffusione dei propri giornali a terze parti così potenti come Apple.
La paura ha un precedente importante, di nome Netflix: quando i giganti di Hollywood, circa 10 anni fa, hanno ceduto alle lusinghiere offerte del distributore di video on-demand, hanno contribuito alla creazione di un database filmico così importante che adesso Netflix può spendere più soldi di loro nella creazione dei propri contenuti, mettendoli in crisi e di fatto tagliandoli fuori dal mercato.
Ora che Apple vorrebbe fare lo stesso gioco, il Nyt e altri probabilmente ci penseranno due volte.
Una startup ha inventato l'alternativa smart ai bicchieri di plastica usa e getta
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Pcup è una startup che ha messo a punto un contenitore in silicone riciclabile e collegato a internet. Obiettivo: ridurre il consumo di plastica
Ogni anno finiscono nell’oceano circa 8 milioni di tonnellate di plastica. I problemi non sono legati solo alle tecnologie di riciclo, che non sono ancora in grado di rispondere alla complessità e alla molteplicità dei materiali plastici in circolazione, ma anche ai cosiddetti prodotti monouso: piatti, bicchieri, stoviglie e altri accesori che, nella maggior parte dei casi, vengono buttati dopo il singolo utilizzo.
Mentre l’Europa si prepara a bandire completamente la plastica monouso nel 2021, l’innovazione mette sul banco idee smart e dal profilo sostenibile. Pcup (il diminutivo di public cup) è una di queste. È un bicchiere di silicone intelligente e munito di chip, che vanta alcune importanti partnership. Ha già sostituito i bicchieri di plastica nei grandi eventi della Federazione italiana rugby, per la campagna Planet of plastic di National Geographic, ai concerti di Marco Mengoni e all’Alcatraz di Milano.
Il silicone dona al bicchiere flessibilità, in linea con le normative sulla sicurezza (a differenza del vetro e della plastica rigida) dei grandi eventi. In aggiunta è dotato di caratteristiche dell’internet delle cose. I clienti possono collegare il chip del bicchiere allo smartphone e pagare online saltando la fila alla cassa. Dall’altro lato i promotori possono raccogliere dati preziosi sulle abitudini di consumo.
Ogni consumazione è conteggiata su uno schermo che mostra in tempo reale quanti bicchieri usa e getta (e quanta plastica) vengono risparmiati. Scaricando l’app collegata, inoltre, il bicchiere resta associato a un profilo preciso, che può essere ricaricato con qualsiasi carta di credito. Il modello di business è quello del vuoto a rendere: all’ingresso dell’evento il cliente riceve un bicchiere pagando una cauzione, che gli viene restituita se decide di riconsegnare Pcup all’uscita. Altrimenti, l’oggetto si trasforma in un gadget da conservare e da utilizzare per le successive occasioni.
Pcup è nato dall’omonima startup, fondata nel 2018 da Lorenzo Pisoni e Stefano Fraioli e accelerata da Aquarium Ventures, che è ora sta per lanciare una campagna di equity crowdfunding sulla piattaforma Crowdfundme . “Siamo i primi a proporre un sistema funzionale e conveniente per accettare, in anticipo, la sfida lanciata dall’Unione europea”, spiega Lorenzo Pisoni, fondatore e amministratore delegato di Pcup.
Le possibilità offerte dall’innovativo bicchiere non si esauriscono con gli obiettivi di sostenibilità. In aggiunta si può costruire una gamma di servizi che passano per l’app: dai pagamenti digitali all’analisi dei dati di consumo e di vendita, fino alla gestione della community dei clienti attraverso contenuti esclusivi e push notification.
Qual è la prima società fintech a quotarsi in Borsa a Milano
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Una piattaforma di equity crowdfunding ha messo sul mercato il 30% del capitale sociale, raccogliendo 2,8 milioni che serviranno a finanziare progetti di sviluppo
È la prima società fintech a quotarsi in Italia, nona debuttante in Borsa a Milano nel 2019. Da lunedì 25 marzo Crowdfundme è sul mercato. Dopo aver chiuso 46 campagne di raccolta fondi per aiutare le startup a spiccare il volo, la piattaforma online ha collocato 313.140 azioni in piazza Affari, vendendole a 9 euro ciascuna.Incasso: 2,8 milioni di euro.Post-quotazione, Crowdfundme vale oltre 13 milioni di euro e sul mercato c’è un flottante pari al 30,05% del capitale sociale che può passar di mano giorno dopo giorno.
La prima seduta di scambi si è chiusa con un +1,88% a 9,169 euro per share.
L’azionista numero uno di Crowdfundme è l’amministratore delegato Tommaso Baldissera Pacchetti che si è presentato alle negoziazioni con oltre il 45% delle quote. Nel club dei soci forti c’è il direttore operativo Benedetto Pirro, che è al 13,9%, e altre due esponenti della famiglia Baldissera Pacchetti, Chiara e Ludovica, entrambe con il 5,2% a testa.
“Con la nostra Ipo” – ha detto Tommaso Baldissera a Wired – “vogliamo essere da esempio per tutto il sistema. Crowdfundme è la prima società italiana del fintech a quotarsi a piazza Affari, ma già adesso sappiamo che ci sono altre startup in rampa di lancio pronte a entrare nel mercato dopo aver raccolto fondi sulla nostra piattaforma. Tra l’equity crowdfunding e la Borsa possono esserci tante sinergie, sia per noi che per gli operatori”, assicura Baldissera.
Il freno dei mancati dividendi
A frenare l’entusiasmo degli investitori potrebbe essere la scarsa attitudine di Crowdfundme a remunerare gli azionisti. Come si legge scorrendo il prospetto informativo preparato pre-quotazione, la società “in passato non ha ottenuto utili e, pertanto, non ha distribuito dividendi”. Stessa magra sorte in programma per il 2018 (con il consiglio d’amministrazione che approverà i conti il 28 marzo) e per il 2019: la stima al 31 dicembre 2018 è di un rosso da 140mila euro e la previsione per l’anno in corso è di chiudere a -777mila euro.
Stime e previsioni di Crowfundme – Fonte: prospetto informativo
Il primo segno positivo è previsto nel 2020 quando ci si aspetta di poter virare a un utile di 120mila euro ed è adesso toppo presto per “effettuare alcuna previsione in merito alla eventuale distribuzione di dividendi da parte della società”, mette in guardia Crowdfundme.
Lo sviluppo del business
Per ora c’è la voglia di far fruttare al meglio i 2,8 milioni di euro raccolti con l’Ipo.Settecentomila euro sono stati mangiati dalle “spese relative al processo di ammissione della società su Aim”, il resto servirà a “consolidare”la posizione di Crowdfundme in Italia. Si punta ad “aumentare la quota di mercato con una mirata strategia di marketing” e allargare alle piccole-medie imprese la platea delle società che cercano investitori sulla piattaforma. “Nel Regno Unito” – si legge nel prospetto – “una piccola e media impresa su sei raccoglie fondi tramite l’equity crowdfunding”. Secondo il management di Crowdfundme, avvicinare più società di questo tipo permetterebbe di “aumentare il taglio medio della raccolta” e “aumentare l’appetibilità della piattaforma per gli investitori istituzionali”.
A livello industriale, Crowdfundme punta a ottimizzare i processi di “onboarding” delle società che attivano le campagne e ha scommette sullo sviluppo di nuovi servizi successivi all’investimento, come investor relationse servizi fiduciari.
Nel futuro c’è anche il desiderio di sviluppare una “piattaforma di scambio di quote, ontologicamente simile ad una bacheca di annunci che non intermedia e non margina su contatti, scambi, transazioni”. Il progetto renderebbe più liquide e appetibili le azioni comprate su Crowdfundme, ma l’idea rischia di scontrarsi con la realtà: “Data l’attuale incertezza del contesto normativo al riguardo – spiega il management nel prospetto – è da segnalare che lo svolgimento di tale attività potrebbe risultare essere precluso o limitato all’emittente”.
La difesa del nome
Di certo, la grana più impellente riguarda ciò che di più caro ha Crowdfundme: il nome. Il 14 dicembre 2018 l’Ufficio dell’Unione europa per la proprietà intellettuale (Euipo) ha comunicato alla società di “ritenere formalmente ammissibile” una opposizione alla registrazione del proprio marchio a livello europeo. A presentare l’esposto è stata un’azienda straniera, operante nello stesso settore, che sostiene di aver registrato in passato un brand simile – ma non uguale – a quello di Crowdfundme.
I contendenti avranno tempo fino al 19 dicembre 2020 per trovare un accordo, altrimenti si va in contraddittorio. Crowdfundme spiega nel prospetto che entrambe le società sono “in contatto per valutare la possibilità di raggiungere un accordo”, ma sebbene filtri fiducia per un finale positivo “non può escludersi che tale accordo transattivo non sia raggiunto e che, all’esito della fase del contraddittorio, l’emittente (Crowdfundme, ndr) possa risultare, in tutto o in parte, soccombente”.