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Google ha scovato 6mila account che spacciano fake news in Italia

Rimossi solo a gennaio oltre 6mila profili truffa. La piattaforma vara il suo piano di difesa per le elezioni europee, ma per Bruxelles non fa abbastanza


A gennaio Google ha rimosso 6.226 account pubblicitari truffa in Italia. Circa uno su otto di quelli oscurati nello stesso periodo nell’Unione europea(48.642 il totale). Gli analisti di Mountain View hanno dovuto sudare di più solo in altri tre Paesi: Gran Bretagna (16.679 account fermati), Estonia (12.295) e Romania (8.652). I numeri emergono dal primo rapporto mensileche Google è tenuta a pubblicare sulla scorta degli impegni siglati con la Commissione europea per difendere le elezioni del parlamento comunitario dall’inquinamento di fake news e disinformazione.
Nel primo mese di attività dopo l’ok al codice di condotta con Bruxelles (Facebook e Twitter gli altri firmatari), il gigante tecnologico ha ripulito la rete da oltre 48mila account di Google Ads (per l’acquisto di annunci pubblicitari online) sospetti. In sostanza, ha staccato la spina togliendo la monetizzazione degli annunci e solo “in alcuni casi lampanti, gli account pubblicitari sono stati disabilitati”. Google ha punito i profili che hanno violato le regole sulla rappresentazione fasulla, ovvero che hanno dato false informazioni sulla propria identità, hanno pubblicato annunci tarocchi o, ancora, hanno diffuso quelle che comunemente si chiamano fake news.

Account Google Ads rimossi
Infogram

E l’Italia è, stando ai dati del motore di ricerca, uno dei 28 paesi europei in cui queste forme di disinformazione online sono più virali. Un numero confermato anche dai risultati di un altro repulisti effettuato a gennaio. Quello dei contenuti non originali, categoria con cui Google etichetta siti in cui ci sono più pubblicità che informazioni, portali che riscrivono alla bene e meglio testi altrui o ne fanno copie esatte. O, ancora, che diffondono contenuti sfornati da bot. In questo caso Google ha rimosso 3.258 account in tutta Europa, di cui 1.074 nel solo Regno Unito. E 214 in Italia (al quinto posto).
Se questi dati abbiano indotto Mountain View ad accendere un faro sulla diffusione delle fake news nel Belpaese, e sui rischi connessi alla corretta informazione in vista delle elezioni europee, Google non lo dice. “Tutti i paesi sono casi speciali”,taglia corto Mark Howe, responsabile per Europa, Africa e Medio Oriente delle relazioni con agenzie e industria della pubblicità per Google. Ma preoccupa il contagio delle fake news sulla vita politica. Tanto che Mountain View non esclude di “allargare gli strumenti per le elezioni europee a campagne nazionali”, osserva il manager.
Strumenti di difesa
Lo scorso 29 gennaio il gigante informatico ha pubblicato le sue contromisure per mettere al sicuro il dibattito online sul voto per l’Europarlamento. In particolare Google ha introdotto forme di verifica per gli inserzionisti che comprano spazi pubblicitari online per i partiti in corsa. Dovranno dimostrare, documenti alla mano, di essere società o cittadini europei. I loro nomi saranno esposti in chiaro sotto gli annunci. Google inoltre userà il suo progetto Shield per fermare attacchi Ddos(Distributed denial of service) contro siti di informazioni, di organizzazioni non governative e partiti, e l’intelligenza artificiale per smascherare audio e video deep fake. Infine, al termine delle elezioni, pubblicherà un rapporto con i risultati delle sue attività.

Contenuti poco originali Google
Infogram

Non è ancora chiaro, però, quando scatterà la controffensiva. “Le procedure di verifica saranno implementate in tempo per le elezioni”, dice Howe. Bruxelles però sta con il fiato sul collo di Google, Facebook e Twitter. Leggendo i primi bilanci mensili, la Commissione europea chiede di fare di più e di fornire più informazioni. A Google, per esempio, ha contestato di non aver fornito metriche “abbastanza specifiche”, non aver “precisato l’estensione delle azioni intraprese”. Né di “aver fornito evidenze della concreta implementazione di queste politiche”. Mancano, insomma, le prove che l’abbia fatto per davvero.
La campagna 2018
Dal canto suo il colosso del web rivendica un giro di vite alle fake news e alla falsa pubblicità in rete. Nel rapporto su fiducia e sicurezza in campo pubblicitario Google dichiara di aver rimosso 2,3 miliardi di inserzioni ingannevoli nel 2018 in tutto il mondo, più di sei milioni al giorno. Oscurati anche 58,8 milioni di annunci di phishing. “Abbiamo aggiunto 31 nuove politiche pubblicitarie nel 2018, tenendo conto di aspetti che prima non avevamo preso in considerazione e seguendo l’evoluzione del mercato. Come le criptovalute”, precisa Howe. O i servizi di aiuto a chi soffre di tossicodipendenze.
Da un lato il sottobosco del fake continua a fiorire, tanto che l’anno scorso gli analisti hanno complessivamente azzerato un milione di account pubblicitari malevoli, il doppio del 2017. Dall’altro Google ha affinato gli standard di valutazione. Ha aggiunto 330 nuovi parametri. Ed esteso il controllo alla comunicazione elettorale. Nella campagna di metà mandato negli Stati Uniti ha bloccato 143mila annunci. Oltre gli strumenti per le elezioni europee, Google ne svilupperà di specifici per la chiamata alle urne in India. L’azienda ha rimosso 1,2 milioni di pagine, oltre 22mila app e circa 15mila siti per contenuti che travisano o di bassa qualità. Altre 74mila pagine sono state cancellate perché ritenute pericolose.




Internet deve essere al servizio del "bene pubblico": il manifesto di Tim Berners-Lee

Il papà del world wide web immagina il futuro della rete: libera e aperta, che rispetti i dati degli utenti e li tuteli dai pericoli online. La lettera a 30 anni dall’invenzione


È il momento di celebrare quanto lontano siamo arrivati, ma anche un’opportunità per riflettere su quanto lontano dobbiamo ancora andare”. Inizia così la lettera (qui il testo integrale) che Tim Berners-Leeha scritto per celebrare il trentesimo compleanno della sua creatura, il world wide web. Un invito a ragionare sulla nostra relazione con internet e ad attivarci per migliorarla, adattarla al progresso civile e tecnologico, intraprendere insomma il viaggio – che lui stesso definisce né semplice né immediato – “dall’adolescenza digitale verso un futuro più maturo, responsabile e inclusivo”. 
Il 12 marzo 1989 l’allora trentaquattrenne informatico del Cern di Ginevra presentava al suo capo, Mark Sendall, la bozza di un nuovo progetto che potesse soddisfare le esigenze di condivisione automatica di informazionitra scienziati di università e istituti di tutto il mondo. 
Progressi e passi indietro
Vague, but exciting…”, il commento scarabocchiato da Sendall sul margine della prima facciata del documento originale. Così exciting, che l’idea prese ben presto forma. Inizialmente come strumento interno per i ricercatori, nel 1991 con la nascita del primo sito. Poi, dal 1993, con la diffusione sempre più ad ampio raggio di quell’infrastruttura software che rende possibile per un computer comunicare con un altro. Negli anni il web è diventato, sottolinea lo stesso Berners Lee, una pubblica piazza dove le persone si incontrano, una biblioteca dove accedere a un numero sconfinato di volumi, ma anche un negozio, una scuola, uno studio medico, un ufficio, un cinema, uno studio di progettazione, una banca e molto altro ancora: uno spazio e un insieme di servizi che hanno cambiato radicalmente la nostra vita.  
In meglio, certo, col sopraggiungere continuo di nuove funzionalità. Ma, allo stesso tempo, rappresentando sempre più una fonte di sofferenza per la fetta di mondo che ancora resta tagliata fuori“Con ogni nuovo sito, il divario tra chi è online e chi non lo fa aumenta” scrive: Oggi la metà del mondo è online. È più che mai urgente assicurare che l’altra metà non sia lasciata indietro e che ognuno di noi contribuisca a una rete che promuova uguaglianza, opportunità e creatività”. Un appello a promuovere l’accessibilità prima di tutto. Ma non solo. Il messaggio è anche (e soprattutto) un dito puntato contro i problemi più allarmanti all’interno del web, come le truffe e l’odio online. 
Acqua inquinata
Sono tre, secondo Berners Lee, i fonti che concorrono a rendere questo ecosistema disfunzionale. Da un lato, gli atti volutamente malevoli, come attacchi hacking sponsorizzati dallo stato, i comportamenti criminali e le molestie online. Dall’altro, l’ideazione di modelli che generano “incentivi perversi”, in cui viene sacrificato il valore dell’utente, come i modelli di reddito basati su annunci che ricompensano il clickbaiting e la diffusione virale di disinformazione. Dall’altro ancora, tutto quello che è frutto di atti non intenzionalmente malevoli, ma che finisce per abbassare la qualità delle relazioni online, per esempio polarizzando il dibattito, o fomentando atteggiamenti di indignazione. Sulle responsabilità, Berners Lee chiama tutti in causa e invita a unire le forze: “Non si può dare semplicemente la colpa a un governo, a un social network o allo spirito umano”. 
Via d’uscita
Sarebbe assurdo o quanto meno miope, secondo l’informatico, assumere che il web non possa essere cambiato in meglio. “Se sogniamo un po’ e lavoriamo molto, possiamo ottenere il web che vogliamo”, scrive. Per esempio, creare normative per minimizzare i comportamenti nocivi, intervenire ridisegnando i modelli e i sistemi per gli incentivi. 
“I governi, scrive, “hanno il dovere di far evolvere le leggi per l’era digitale”. Devono, in poche parole, garantire il rispetto dei diritti e delle libertà delle persone online, così come che i mercati rimangano competitivi, innovativi e aperti. “Abbiamo bisogno di promotori dell’open web all’interno dei governi”, aggiunge, funzionari che prendano in mano la situazione quando gli interessi del settore privato minacciano il bene pubblico. “Le aziende, dal canto loro, devono anch’esse fare di più per garantire che la ricerca di profitto a breve termine non vada a scapito dei diritti umani, della democrazia, dei fatti scientifici o della sicurezza pubblica”, continua, e questo richiede una riprogettazione di piattaforme e prodotti in termini di privacy e sicurezza.
Il ruolo determinante però, sottolinea, resta quello dei cittadini, che devono pretendere di rimanere al centro, sotto forma di community, e valutareaziende e governi negli impegni che assumono. “Se non eleggiamo politici che difendono un web libero e aperto, se non facciamo la nostra parte per promuovere conversazioni sane costruttive online, se continuiamo a fare clic sul consenso senza chiedere il rispetto dei nostri dati, ci allontaniamo dalla nostra responsabilità di far mettere questi problemi tra le priorità dell’agenda dei nostri governi”, ci tiene a sottolineare. 
“In momenti cruciali come questo, le generazioni prima di noi hanno intensificato il lavoro insieme per un futuro migliore”, spiega, richiamando alla memoria momenti rivoluzionari della storia come la pubblicazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Convenzione sul diritto del mare e il Trattato sullo spazio extra-atmosferico. Berners-Lee insiste con la proposta, avanzata qualche mese fa, di un vero e proprio Contratto per il web. Perché, scrive,“dal momento che il web plasma il nostro mondo, abbiamo il dovere di assicurarci che sia riconosciuto come un diritto umano, e finalizzato al bene pubblico”, chiude.




Quali sono i rischi di download di film, giochi e software da Torrent

Gli esperti di sicurezza del gruppo Yoroi/Cybaze ZLab hanno analizzato i rischi relativi al download di giochi, film e software pirata attraverso Torrent


Durante gli anni ’80 e ’90, con l’avvento di Internet, persone in tutto il mondo iniziarono a condividere contenuti digitali protetto da copyright, attraverso particolari applicazioni e protocolli di comunicazione come FTP, IRC, etc.
In quel periodo storico solo poche persone avevano le competenze tecniche per accedere a questi reti dove erano condivisi contenuti illegali, tuttavia negli anni seguenti la situazione è cambiata radicalmente.
Il fenomeno della pirateria del software è letteralmente esploso imponendo alle aziende produttrici di contenuti digitali la definizione di metodiche per la protezione del copyright online.
Le reti peer-to-peer, in particolare Napster, Gnutella e poco dopo BitTorrent, hanno decentralizzano l’accesso ai contenuti illegali in modo che gli utenti possano condividere file con milioni di altri utenti in tutto il mondo.
Gli esperti di sicurezza del gruppo Yoroi/Cybaze ZLab hanno analizzato i rischi relativi al download di giochi, film e software pirata attraverso Torrent.

L’esperimento

I ricercatori hanno condotto uno studio sull’uso del protocollo BitTorrent per scaricare i contentuti illegali sopra citati.
Allo scopo sono stati scaricati dai principali siti per la ricerca dei Torrent 30 Torrent appartenenti alle seguenti categorie:

  • 10 for Film: 33%
  • 10 for Games: 33%
  • 10 for Software: 33%

Per la categoria “Films” sono stati cercati 2 tra i film più attesi dell’anno: The Avengers 4” e “Joker, per la categoria “Games” e’ stato cercato il gioco Fortnite, uno dei videogiochi più giocati del momento in questo momento, ed infine, per la Categoria “Software” sono stati cercati alcuni dei software più utilizzati e diffusi: “Nero Burning Rom“, “Adobe Photoshop Lightroom” e “Malwarebytes Premium“.
 

I risultati sono davvero preoccupanti:

 

  • Il 20% dei torrent totali si è rivelato contenere Malware o Adware.
  • Alcuni dei torrent che distribuivano contenuto malevolo provengono da fonti con una buona reputazione, cosiddetti seeders:
    • La soluzione antimalware MalwareBytes Premium aveva 735 seed
    • Il software Photoshop Lightroom aveva 519 seed

Il rapporto dimostra che è estremamente semplice trovare un film, un gioco, o un software pirata attraverso i principali motori di ricerca BitTorrent, peccato che molti di essi siano distribuiti insieme a codici malevoli che mettono a rischio l’utente medio.
L’utente che intende scaricare contenuti digitali dalla rete BitTorrent può cercare il contenuto desiderato mediante un determinato motore di ricerca, a tal proposito sono stati presi in considerazione 4 dei più popolari motori di ricerca BitTorrent:

  • The Pirate Bay
  • 1337x
  • Rarbg
  • LimesTorrent

The Pirate Bay

 
Con 2,7 milioni di visitatori unici, è storicamente il più famoso ed importante motore di ricerca di torrent, a causa della sua storia e di tutti i problemi legali in cui è incappato nell’ultimo decennio. La piattaforma è stata fondata nel 2003 da un gruppo di hacker e attivisti, The Pirate Bay mirava a portare la condivisione di file alle masse. Il gruppo era formato da attivisti politici e hackers, molti dei quali avevano già lanciato altri progetti web che si opponevano alle istituzioni politiche considerate immorali ed accentratrici di potere.

1337x

Uno tra i più famosi motori di ricerca per torrent del mondo. La sua particolarità è nome “1337” che significa “elite”. Il motore di ricerca Torrent 1337x ha uno score superiore a TPB, anche per il fatto che The Pirate Bay è stato spesso oscurato dalle autorità cambiando frequentemente domini e indirizzi web, pertanto, 1337x ha acquisito una sufficiente popolarità tra i downloader.

Rarbg

Si tratta di un altro motore di ricerca che ha iniziato a raccogliere consensi tra le comunità dedite alla pirateria informatica. In numero di visite giornaliere al motore di ricerca Rarbg è in contiuo aumento sin da aprile 2018, la piattaforma conta circa 2.2 milioni di visitatori giornalieri con un rank (Alexa Rank) di 322.

LimeTorrents

Un altro motore di ricerca per torrent la cui reputazione è in rapido aumento. LimeTorrents è uno dei siti torrent con il più grande database in circolazione, offre torrent per diverse categorie di contenuti come film, programmi TV, giochi e applicazioni. Tuttavia la piattaforma non ha ancora un numero di visite come quello dei motori di ricerca descritti in precedenza.
 
Il rapporto conferma che la maggior parte dei torrent viene distribuito insieme a malware già noti e riconosciuti dalla maggior parte degli anti-virus, come si evince dall’immagine sottostante:
Torrent
Questo fenomeno è sicuramente diffuso anche grazie alla semplicità con cui le persone possono creare e distribuire un contenuto con torrent.
Un altro elemento interessante è che la maggior parte dei torrent melevoli, ha una buona reputazione in termini di seeders. Nella terminologia di BitTorrent, i seeder sono dei peer e quindi degli utenti che possiedono una copia completa del file. I seed sono un indicatore della diffusione di quel torrent nella rete BitTorrent.
Torrent
Gli esperti hanno anche dimostrato quanto sia semplice distribuire software malevolo attraverso Torrent, illustranto il processo di creazione di un Torrent.
Ulteriori informazioni sono presenti nel rapporto scaricabile al link seguente:
 
 
 
Scaricail White Paper qui:
Torrem
Buona lettura




Bassa “reputazione social”, 23 milioni di cinesi non possono più viaggiare

L’anno scorso, in Cina, 23 milioni di persone  non hanno potuto comprare biglietti aerei e del treno  perché avevano  un basso “punteggio social” a causa del loro comportamento, giudicato inopportuno.

Sono le prime vittime del  nuovo meccanismo di maxi-sorveglianza  introdotto in Cina, come   anticipato esattamente un anno fa , che valuta l’affidabilità dei cittadini nei loro comportamenti quotidiani, premiando i virtuosi e punendo i trasgressori: secondo i dati 2018 del  National Public Credit Information Center,  ripubblicati dall’Associated Press   , 17,5 milioni di cinesi non hanno potuto acquistare biglietti aerei e ad altri 5,5 milioni sono stati vietati biglietti per i treni ad alta velocità perché “screditati”.

Secondo quanto si legge nel rapporto, diffuso alla fine di febbraio, «una volta “screditato”, sei limitato ovunque»: il controverso “Social Credit system” per premiare o punire la condotta di tutti i residenti, che dopo la sperimentazione entrerà  in vigore per tutti i cinesi nel 2020, ha attratto molte perplessità a livello internazionale. Lo schema del “Punteggio di credito individuale”, nome ufficiale del progetto, si basa su una lista di dati, azioni e misure per valutare il comportamento dei cittadini, ed è stato definito da un funzionario della Municipalità di Pechino come «un importante approccio innovativo per  valutare la reputazione degli individui», che «avrà un impatto diretto sulla loro vita».

Quali sono i comportamenti puniti
Per fare qualche esempio, vengono puniti i cittadini che  non rispettano le scadenze delle tasse, che pagano in ritardo l’assicurazione, che occupano il posto sbagliato in treno oppure vi salgono senza biglietto, ma anche coloro che portano a passeggio i cani senza guinzaglio.

Svelato per la prima volta nel 2014, il “Social Credit system” ha fatto storcere il naso a molti a livello internazionale per la possibilità di un’ulteriore “stretta” sul controllo in Cina, innescando il paragone con lo scenario tratteggiato dal romanzo “1984” di George Orwell e con  alcuni episodi della serie tv “Black Mirror”  . Nel mirino del “grande fratello” ci sono possessori di animali domestici,  medici sospettati di non rispettare il codice etico, sino a chi diffonde (anche preseunte) fake news su Internet. Alibaba, colosso del commercio elettronico, ha annunciato un’alleanza con altre piattaforme di vendita online per dare vita a un sistema di “credito sociale” per punire i venditori disonesti.




La Coca-Cola utilizza plastica pari al peso di 115 Titanic all’anno

Per la prima volta è stato reso noto la quantità di Pet impiegata dalla società di Atlanta: 3 milioni di tonnellate nel 2017, come 441 mila T-Rex

Mezza piramide di Cheope, 115 navi come il Titanic, oppure 441 mila dinosauri come il T-Rex. Equivalgono a 3 milioni di tonnellate, cioè il peso di Pet (il tipo di plastica impiegato nelle bottiglie, diverso dal Pe con il quale sono fatti i tappi) utilizzato nel 2017 dalla Coca-Cola. Per la prima volta la compagnia di Atlanta rivela la quantità di plastica che utilizza per imbottigliare parte dei suoi prodotti (il restante viene messo in gran parte in bottiglie di vetro e in lattine di alluminio). Il dato, insieme a tanti altri, è contenuto nel rapporto New Plastic Economy Global Commitment, compilato dalla Ellen MacArthur Foundation, organizzazione che ha deciso un’azione in profondità contro l’inquinamento da plastica.

L’impegno

Lanciato nell’ottobre dello scorso anno, l’impegno della Fondazione e di altre associazioni in collaborazione con l’Agenzia Ambiente delle Nazioni Unite, ha visto la partecipazione di oltre 150 società interessate alla plastica (produttori, imbottigliatori, venditori) che rappresentano più del 20% di tutti gli imballaggi in plastica a livello globale, 16 governi, 26 istituzioni finanziarie, 50 università e centri di ricerca che sostengono una visione comune di economia circolare in merito alla plastica e l’impegno a eliminarne gradualmente l’uso e promuoverne la raccolta e il riciclo.

3 milioni di tonnellate

Non tutti però hanno svelato i numeri della plastica che producono o utilizzano. Tra le 31 società su 150 interessate c’è la Coca-Coca, che per la prima volta ha ammesso di aver utilizzato 3 milioni di tonnellate di Pet (polietilene tereftalato) nel 2017. Il motivo per non aver diffuso la notizia in precedenza è semplice: dalla quantità di plastica è facile risalire al numero di bottiglie prodotte. Facendo un rapido calcolo, equivale a 108 milioni di bottiglie da mezzo litro, pari a oltre il 25% di tutte le bottigliette di pari capacità in Pet prodotte nel mondo.

307 Titanic

Se alla Coca-Cola si aggiungono le altre principali compagnie che hanno svelato i loro numeri, come Mars, Nestlé e Danone, si arriva a un utilizzo di 8 milioni di tonnellate di Pet all’anno. A quanto equivale? Al peso di 62 miliardi di iPhone 6, 44.750 Jumbo jet, 78 portaerei come la Nimitz. Oppure al peso di 195 mila capodogli, che inghiottono le bottiglie di plastica finite in mare scambiandole per calamari.