Polemiche social sulla collezione “Amore dannoso” di Martina Strazzer
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Martina Strazzer, fondatrice del brand di gioielli “Amabile”, ha lanciato una nuova collezione intitolata “Amore Dannoso”. Questa linea di prodotti, ispirata alle relazioni amorose tossiche, ha immediatamente attirato l’attenzione e generato una serie di polemiche sui social media. Molti utenti hanno criticato la collezione, accusandola di essere una mancanza di rispetto verso chi ha vissuto esperienze di abuso e manipolazione emotiva. Alcuni hanno addirittura espresso commenti estremi e violenti, arrivando a formulare auguri di morte verso la designer.
La creazione di una collezione di gioielli che esplora il tema delle relazioni tossiche rappresenta una scelta audace e controversa. Da un lato, l’uso dell’arte e del design per esplorare tematiche sociali e psicologiche può servire a sensibilizzare e stimolare discussioni importanti. Dall’altro lato, la rappresentazione di temi delicati come le relazioni dannose può risultare insensibile se non trattata con la dovuta attenzione e rispetto.
Eticità e Sensibilità L’idea di rappresentare le relazioni tossiche attraverso una linea di gioielli pone interrogativi sull’etica del design e sull’appropriata sensibilità verso temi così complessi. Le relazioni amorose tossiche sono esperienze dolorose e traumatiche per molte persone, e la loro rappresentazione attraverso oggetti di moda può essere vista come una commercializzazione di esperienze traumatiche. È fondamentale che i designer e le aziende considerino come trattare temi delicati senza sfruttare il dolore altrui per scopi commerciali.
Martina Strazzer ha spiegato che la sua collezione intendeva essere una riflessione e una forma di espressione artistica sul tema, piuttosto che una celebrazione delle relazioni tossiche. Tuttavia, la percezione pubblica può variare, e ciò che può essere inteso come una provocazione artistica da parte del creatore può essere visto come una mancanza di rispetto da parte di chi ha subito tali esperienze.
La Reazione del Pubblico
Le reazioni violente e gli insulti gravi, inclusi gli auguri di morte, rappresentano una grave escalation che va ben oltre la critica costruttiva. La risposta aggressiva non solo non contribuisce a un dialogo produttivo, ma può anche amplificare la negatività e il dolore. È importante che le contestazioni, anche quando giustificate, non degenerino in attacchi personali o violenti. La critica e il confronto devono avvenire in un contesto di rispetto reciproco, mantenendo sempre in considerazione la dignità e il benessere delle persone coinvolte.
Gestire la Controversia
Per gestire controversie come quella suscitata dalla collezione “Amore Dannoso”, è essenziale: Promuovere il Dialogo: Creare uno spazio per discussioni rispettose e costruttive permette di affrontare le critiche in modo produttivo. I designer dovrebbero essere aperti al feedback e disposti a chiarire le proprie intenzioni. Evitare la Violenza Verbale: Le risposte violente e personali non sono mai giustificate. È fondamentale mantenere un tono civile e rispettoso, anche quando si esprimono disaccordi. Considerare l’Impatto: I creatori e le aziende devono riflettere sull’impatto delle loro creazioni su diversi gruppi di persone. Considerare la sensibilità del pubblico e le possibili interpretazioni delle proprie opere può prevenire conflitti e malintesi.
In conclusione, la controversia intorno alla collezione “Amore Dannoso” di Martina Strazzer solleva importanti questioni sull’etica e sulla responsabilità nel design. Mentre l’arte e la moda possono servire come strumenti per esplorare e discutere temi complessi, è cruciale farlo con la consapevolezza delle implicazioni e del rispetto per coloro che possono essere influenzati dai messaggi veicolati. La gestione delle critiche dovrebbe sempre avvenire con attenzione, evitando che il conflitto degeneri in attacchi personali e violenti.
AUTOGRILL: NON CONFORMITA’ VISTE DALL’INTERNO
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Grazie per aver accettato di rilasciare questa intervista. Ho letto il suo gentile feedback sul mio articolo nel quale, tempo fa, analizzavo la CSR del Gruppo Autogrill. Cosa l’ha spinta a contattarci?
Volevo condividere la mia esperienza, avendo lavorato per parecchi anni per Autogrill.
In quale ruolo ha lavorato in Autogrill?
Ero un cosiddetto “operatore pluriservizio”, mi occupavo della caffetteria, preparavo i cornetti, pulivo i frigoriferi e molte altre cose, non avevo quindi una mansione fissa, specifica e predeterminata.
Può dirci di più sulla sua esperienza?
Ho cominciato nel 2012 come operatore stagionale, poi sono diventato un dipendente fisso, e ho lavorato per diverse sedi, da Casilina a Milano. La mia attività come dipendente Autogrill è terminata nel 2019. In questi 7 anni ho avuto modo di vedere ad esempio come dei panini in vetrina metà sono freschi e metà sono congelati, se vai in Autogrill la mattina vedrai applicata una strategia per coprire i panini congelati con quelli freschi. Ho fotografie e prove di quante cose, come anche di problemi relativi ad alcuni prodotti scaduti.
Come fa un cliente a capire se sta scegliendo un panino fresco o uno congelato?
È complicato per un cliente. La maggior parte delle volte i clienti nemmeno se ne accorgono perché gli addetti di Autogrill sono abili nel mescolare i panini confezionati con quelli freschi, specialmente la sera, quando terminano i panini freschi, e i dipendenti inseriscono quelli confezionati.
Quindi, un cliente che vuole, ad esempio, un panino “Bufalino” potrebbe riceverne uno confezionato senza saperlo?
Sì, ovviamente non potrà toccarlo o verificarlo prima. Una volta scelto il panino e messo sulla piastra, quello confezionato sembrerà uguale a quello freschi. Tra l’altro non esiste più un operatore dedicato a fare solo i panini, quindi metà vengono prodotti sul posto e metà sono comprati all’esterno.
Accade lo stesso con altri prodotti?
Sì, anche per i cornetti si verifica la stessa situazione dei panini. Una sera, ho trovato due carrelli di cornetti alle ore 22 e ho deciso di riutilizzarli, per evitare sprechi. Ma poi mi hanno detto che i cornetti dovevano arrivare addirittura fino alla mattina. Una volta li ho scartati perché non erano più buoni e mi hanno rimproverato con toni davvero molto accesi, perché gettarli “avrebbe inciso sui costi”. Non erano minimamente preoccupati della qualità offerta al cliente.
Utilizzano prodotti confezionati perché hanno costi inferiori?
Certo, ma vendono il panino confezionato allo stesso prezzo di un panino fresco. Un panino che dovrebbe costare, diciamo, 2 o 3 euro viene venduto a 5,50, 6 euro o anche di più.
Parlando di qualità, ha menzionato problemi con la data di scadenza…
Sì, ho prove che alcuni prodotti erano già scaduti quando venivano utilizzati. Come lo squacquerone, che è un formaggio spalmabile: veniva utilizzato anche se aveva superato la data di scadenza. Per quanto riguarda violazioni dell’HCCP e problemi di sicurezza, ho scoperto che i controlli non vengono effettuati da società totalmente indipendendenti, ma anche da società correlate al Gruppo Autogrill, e ai dipendenti viene chiesto di effettuare pulizie straordinarie in vista delle verifiche, perché quelle che vengono svolte regolarmente non supererebbero mai i controlli.
Ci parli dell’Associazione Nazionale dei dipendenti Autogrill e delle pressioni che lei sostiene siano state ricevute da alcuni lavoratori
Ho scoperto che i dirigenti di Autogrill monitoravano quest’associazione. Molte persone sono state minacciate e spinte ad uscire dalle chat. A una dipendente sono stati offerti 23.000 euro per lasciare l’associazione, perché dava fastidio.
Quindi i dipendenti che facevano parte di questa Associazione comunicavano attraverso gruppi su WhatsApp?
Sì, erano gruppi in cui alcuni dipendenti condividevano informazioni e lamentele. E ho scoperto altre violazioni da parte dei dirigenti, anche durante il periodo Covid.
Quando ci ha accennato alla sicurezza alimentare, cosa intende esattamente? Avete notato violazioni?
Assolutamente sì. Abbiamo riscontrato che prodotti scaduti o vicini alla scadenza venivano mescolati con altri prodotti, ho delle prove concrete a riguardo. È capitato, ad esempio, che ci venissero fornite confezioni di latte quasi scadute, e ci veniva chiesto di cambiare il tappo con quello di una confezione la cui scadenza era prevista per la settimana successiva. L’idea era che nessuno se ne sarebbe accorto, una volta utilizzato il latte nel cappuccino.
Parliamo di bottiglie standard con tappo?
Esatto, bottiglie con il classico tappo di plastica, come quelle della Parmalat. Era possibile svitare e sostituire il tappo che riportava la data di scadenza già passata con un tappo di un’altra bottiglia, vuota perché già utilizzata, con la data di scadenza ancora da venire. La situazione si aggrava ulteriormente se si consideriamo l’ambiente in cui preparavamo i panini. Si tratta di un’area che dovrebbe essere mantenuta sterile. Eppure, venivano scaricati lì dei “roll”, carrelli pieni di merci, molti dei quali coperti di polvere. Questi roll venivano posti vicino alla zona di preparazione dei panini, compromettendo gravemente l’igiene. Ho fotografato anche insetti, che si aggiravano per terra, sotto i frigoriferi e altri apparecchi. E la sicurezza? Lavorando al banco del bar, ho notato prese multiple con molti cavi elettrici situati proprio sotto un lavandino con tubi dell’acqua. La sicurezza non è certamente in cima alle preoccupazioni di Autogrill.
Potrebbe però trattarsi di una situazione isolata, magari legata a un singolo punto vendita gestito in modo non adeguato…
No, non si tratta di un caso isolato. Ho lavorato anche a San Giuliano Milanese, dove, nonostante una recente ristrutturazione, le condizioni igienico-sanitarie erano identiche. E voglio sottolineare che ho prove concrete di tutto ciò che sto dicendo. Non sono semplici supposizioni, ho fotografie e altri elementi che confermano le mie affermazioni. Un altro grave problema riguarda la sicurezza riguarda il fatto che dietro ai punti vendita Autogrill ci sono dei macchinari che triturano i cartoni, e queste macchine dovrebbero funzionare solo con le porte chiuse, per ragioni di sicurezza. Ma una volta, mentre pioveva, ho voluto verificare se funzionassero anche con le porte aperte. Non solo funzionavano, ma non c’era alcun blocco di sicurezza in atto. Ho anche fatto un video per documentare questa situazione. Ciò che ho visto e documentato va ben oltre la semplice negligenza, e mette a rischio sia la salute dei clienti sia la sicurezza dei dipendenti.
La questione delle porte di sicurezza con l’acqua che cola su fili scoperti, se confermata, parrebbe una violazione grave. Lei ha menzionato anche la questione delle persone licenziate e dei sindacati. Ci può spiegare meglio?
Ci sono tante anomalie dentro il sistema Autogrill. Ci si aspetterebbe che i sindacati siano dalla parte dei lavoratori, proteggendoli, sembra che invece siano dalla parte dell’azienda. E lo dico con prove alla mano. A Casilina, per esempio, sette persone sono state licenziate e i sindacati non hanno mosso un dito.
Perché a suo avviso i sindacati non sono intervenuti?
Semplicemente perché, e me ne dispiace dirlo, i sindacati mangiano dalla stessa ciotola dell’azienda, hanno dei rapporti strettissimi. Posso dirle che le riunioni con i sindacati avvengono una volta all’anno e, per mia esperienza, promuovono solo gli interessi dell’azienda.
Sta dicendo che i sindacati non tutelano i lavoratori come dovrebbero?
Esattamente. Tutelano chi loro vogliono loro, si sono creati un loro gruppo e agiscono secondo i loro interessi, non per supportare quelli di tutti i lavoratori.
E riguardo al management superiore può dirmi di più?
Posso parlare di ciò che ho visto e vissuto. Ho raccolto testimonianze da ex colleghi e tutti hanno parlato di come la mia direttrice, ad esempio, praticasse trattamenti disumani con il personale, sia a livello morale che psicologico. Mi sono imbattuto in una situazione che dimostra il suo particolare stato di disagio mentale: girava con il manifesto di morte di suo fratello, un caso di omicidio finito sulle cronache nazionali, sul lunotto della sua macchina.
Sostiene che questa dipendente avrebbe avuto bisogno di attenzioni o di cure e non avrebbe dovuto lavorare in quelle condizioni psicologiche?
Esattamente. Una persona in uno stato così delicato avrebbe dovuto ricevere assistenza, e non venire lasciata a lavorare, soprattutto con tante responsabilità. Ma nonostante le sue condizioni, sembrava che fosse protetta dai piani alti dell’azienda. E durante il periodo del Covid le problematiche si sono moltiplicate. Mi sono imbattuto in una storia tragica di un mio ex collega, con cui avevo lavorato dal 2013 al 2019. Era una persona con problemi di salute, come il diabete e problemi cardiaci. Durante il picco della pandemia, ho appreso che era stato ricoverato a causa del Covid. Una dipendente che aveva la febbre, e che evidentemente avrebbe dovuto rimanere a casa, è stata invece mandata comunque a lavorare; il mio collega, a causa delle sue preesistenti condizioni critiche di salute, ha contratto il virus da lei, è stato ricoverato e purtroppo è poi deceduto. L’aspetto più sconvolgente è che questa dipendente, dopo l’accaduto, è misteriosamente scomparsa dal luogo di lavoro. Inizialmente, ho pensato che avesse semplicemente lasciato il posto, ma poi ho scoperto che era stata inviata a Milano per un corso manageriale.
Quindi è stata anche promossa?
Esatto. E quando ho realizzato che queste due situazioni potevano essere collegate, ho contattato la figlia del mio defunto collega per esprimerle le mie condoglianze. Durante la nostra conversazione, le ho fatto alcune domande. Ho chiesto se fosse vero che un amministratore aveva offerto di pagare le spese funerarie di suo padre in contanti. Ha confermato che era vero. Ho poi chiesto se suo fratello era stato assunto dall’Autogrill a Bologna con un contratto part-time, visto che stava studiando lì. Anche questo me l’ha confermato.
Sta sostenendo che si sarebbe trattato di un tipo di compensazione, a suo avviso, messa in atto al fine di placare la famiglia?
Sì esatto, e purtroppo non è l’unico caso. Ho scoperto che, nel corso degli anni, ci sono state altre situazioni simili in cui l’azienda ha cercato di “comprare” il silenzio o la complicità di alcuni. Io ho fatto una denuncia all’ente di Cassino, responsabile per la sicurezza alimentare e sul lavoro, non sono però sicuro di cosa abbiano fatto in merito. Purtroppo, per portare avanti la questione in maniera concreta ci sarebbe voluto un forte supporto legale. Tuttavia, ho raccolto le prove: una copia della denuncia e dei video che mostrano violazioni della sicurezza e della qualità alimentare.
Da quanto tempo ha notato questi problemi?
Dal 2016. Da allora, ho raccolto informazioni e documentato tutto, giorno dopo giorno. La società non è davvero ciò che pretende di essere. Le racconto ad esempio di quelle che loro definivano “macedonie fresche”, ma la realtà era ben diversa. Ho fotografie che mostrano le condizioni delle macedonie che ci venivano date la sera intorno alle 18 o 19. Poi venivano messe in grossi contenitori di plastica senza data e ci veniva detto di rimetterle in vetrina il giorno successivo. Le mescolavano, aggiungendo un po’ di frutta fresca in cima, e sembravano appena fatte. È triste, ma è la pura verità.
Ci può specificare in quali anni sono accaduti questi episodi?
Dal 2019 al 2022, tutte situazioni recenti. Vogliono apparire impeccabili di fronte ai turisti e ai viaggiatori, e incassano enormi somme di denaro, ma il servizio che offrono non è all’altezza. Ho le prove di tutto: foto, video. E quello che hanno fatto dietro le quinte è ancora peggio. Oltre a questi problemi con i panini, ci sono mancanze in termini di sicurezza, norme HCCP e numerose altre violazioni, inclusa la loro stessa normativa interna, l’hanno infranta in tutti i modi possibili. All’inizio mi piaceva molto lavorare lì. Ma con il tempo, hanno iniziato a trattarmi male: mobbing, stalking, false accuse. Quando ho smesso di lavorare per loro sono tornato per recuperare le mie cose dall’armadietto, mi hanno detto che avrei dovuto essere accompagnato da un testimone. Ho accettato e quando ho aperto il mio armadietto, era completamente vuoto. Tutti gli oggetti erano spariti, inclusi i miei occhiali da sole e alcune giacche personali. Ma questi atteggiamenti non hanno riguardato solo me: al punto vendita di Casilina, ad esempio, ci sono stati sette licenziamenti, tutti infondati. E posso dimostrarlo. La realtà è che Autogrill non è per niente come vuole apparire.
NOTA: l’ufficio comunicazione Corporate di Autogrill S.p.a., interpellato dalla redazione per chiarimenti, dopo aver letto la bozza di questo articolo ha rilasciato la seguente dichiarazione
“Autogrill Italia S.p.A. opera nel rispetto delle normative vigenti, anche in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e di igiene e sicurezza alimentare, come confermato in occasione delle diverse visite ispettive effettuate presso i punti vendita dalle competenti Autorità di controllo, nonchè nell’ambito dei numerosi audit effettuati da parte di soggetti terzi indipendenti“.
Successivamente, Autogrill ha accettato di rispondere a queste due domande:
Qual è la politica dell’azienda riguardo all’uso del prodotto fresco rispetto a quello surgelato? In particolare, vengono venduti al pubblico prodotti (in particolare panini) surgelati mescolati a prodotti (panini) interamente freschi? Se si, in quale modo il pubblico può distinguere i primi dai secondi, stante il fatto che il prezzo è il medesimo?
Autogrill Italia rispetta le normative vigenti, anche con riferimento all’utilizzo di prodotti surgelati e alla relativa comunicazione al cliente su quali siano i prodotti surgelati e quali quelli freschi.
Qual’è la politica dell’azienda – o dei manager di essa – riguardo ai rapporti con i gruppi critici di dipendenti od ex dipendenti Autogrill? È verosimile immaginare una dazione di denaro o altre utilità al fine di mitigare l’ostilità di questi soggetti, come riportato dall’ex dipendente intervistato?
Non è politica aziendale corrispondere denaro o altra utilità per mitigare l’ostilità di dipendenti o ex dipendenti.
AGGIORNAMENTO del 06/01/2024 h 19:05: a seguito della pubblicazione di questo articolo, un iscritto dirigente dell’Associazione Nazionale Dipendenti Autogrill, una sorta di movimento sindacale di dipendenti ed ex dipendenti dell’azienda di ristorazione, ha inviato a questa redazione una lettera, datata e firmata in originale, nel quale denuncia quanto segue (il testo è letteralmente riportato, con alcuni “omissis” al fine di tutelare l’identità della fonte)
“Gentilissimo Professore, ho letto con molta attenzione in Suo articolo del 5 dicembre u.s. dal titolo: “Autogrill: non conformità viste dall’interno”. Desidero ringraziarLa per l’alta professionalità dimostrata nel trattare gli argomenti contenuti nell’articolo, ma soprattutto per aver dato visibilità a quanto messo in atto dalla società Autogrill. In più occasioni abbiamo cercato di far conoscere e far cessare questi comportamenti, chiedendo l’intervento delle Istituzioni e di varie Redazioni, ma senza alcun successo. Purtroppo il buon nome di cui gode, nonché la capacità di Autogrill nel mistificare la realtà – sviluppata in tanti e tanti anni di monopolio – non permettono neanche agli organi di vigilanza di prenderecontezza di quel che realmente la Società mette in atto. Ho operato nella stessa in qualità di direttore e manager dal 2008 al 2019, il primo licenziamento illegittimo è stato accertato dalla magistratura (cita il riferimento del Tribunale, ndr) nel (omissis), ma Autogrill non dimentica mai, e nel (omissis) arriva il secondo (…) Nello specifico di quanto evidenziato nel Suo articolo, ho avuto una denuncia art. 595 comma 3 c.p. per aver dichiarato on-line che la Società aveva venduto panini preconfezionati (e non dichiarati alla clientela) giorni e giorni dopo la data di scadenza dichiarata dal fornitore: il processo è stato archiviato a seguito d’interrogatorio formale dal P.M. incaricato delle indagini (l’ex dipendente cita il nome del PM, ndr) all’interno del quale dimostravo, mediante documentazione, foto e video la veridicità delle mie affermazioni e quindi l’infondatezza del reato. Mediante una lunga e continua azione penale, costruita a tavolino, con accuse infondate e senza contraddittorio, la Società ha distrutto la mia capacità di proseguire il processo di lavoro nonché dal giudice di primo grado che mi ha condannato al pagamento dell’incredibile somma di 10.000 euro quale risarcimento delle spese legali. Non è servito a far riflettere il Giudice del lavoro sulla disponibilità della Società a pagare ben 104.000 euro per evitare il processo di lavoro nonché chiudere l’Associazione (Associazione Nazionale Dipendenti Autogrill, ndr), cifra arrivata a 150.000 euro dopo la loro vittoria in tribunale (chi è disposto a sborsare una simile cifra avendo ragione?). Stante l’infondatezza nei fatti e in diritto la società continua la sua azione distruttiva, di disturbo, d’intimidazione mettendo in campo: • due due diffide indirizzate all’esponente, al Direttivo nonché agli oltre 50 moderatori/amministratoridel gruppo “Associazione Nazionale Dipendenti Autogrill” (che contava oltre 8.800 aderenti); • un ulteriore ulteriore diffida dal proseguire l’attività associativa; • la cancellazione della pagina Facebook “Associazione Nazionale Dipendenti Autogrill” e di ognicontenuto pubblicato nella stessa ad opera di Facebook Ireland Ltd su segnalazione internazionalepromossa dallo studio legale Bird&Bird su mandato della Società (ripristinata mediante un gran lavoroche ha interessato anche il governo Irlandese affinché dimostrare a Facebook l’infondatezza delle pretese mosse dalla Società); • una richiesta di mediazione promossa presso la camera di commercio di Milano per un presunto dannod’immagine pari a circa 250.000 euro; • un contenzioso civile presso il tribunale di Milano per un “presunto danno d’immagine” per averutilizzato il “nome” Autogrill nel costituire l’Associazione della quale sono Presidente; • il sequestro in un procedimento penale per diffamazione aggravata del dominio internet associativowww.associazionenazionaledipendentiautogrill.it messo in atto dalla Procura di Novara, nonostantel’incompetenza territoriale nonché lo stesso dominio non contenesse alcuna pagina se non quellainiziale con la dicitura “sito in costruzione”. Il procedimento è stato trasmesso alla Procura di Anconaquale competenza e il sito dissequestrato (…). La società utilizza innumerevoli azioni penali anche verso altri lavoratori che hanno uncontenzioso lavorativo con la stessa, nonché verso quelli che si trovano loro malgrado a dover testimoniarenei procedimenti dei colleghi accusati di falsa testimonianza e assolti per insussistenza del reato. Da 14 anni vivo nel terrore costante di possibili azioni messe in atto dalla società (…)Il grave stress, la continua paura di infondate azioni legali mi sono costate la salute, la serenità,la famiglia nonché decine migliaia di euro in spese legali (…). In un procedimento penale a mio carico per una marea di articoli del codice penale è emerso che il CdA aveva disposto 2 dipendenti per monitorare costantemente quanto da me scritto nel gruppo Facebook dell’Associazione: la loro azione di continuo spionaggio permetteva alla stessa di procedere a querelare per diffamazione molti altri dipendenti nonché a contestarli per aver esercitato il diritto di critica, di pensiero, d’informazione e di essere informati. Autogrill tutto è eccetto quel che dice di essere. Resto disponibile per ulteriori chiarimenti reputi necessari,
Data e firma
Avvocati e comunicatori: tensioni o sinergie?
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Recentemente si è svolto un webinar organizzato dall’Ordine Avvocati di Torino, dal titolo “L’avvocato e la comunicazione: vecchie tensioni e nuove frontiere della moderna funzione difensiva”. Un argomento di eccezionale attualità, se consideriamo l’eccezionale clamore mediatico di alcuni processi e la sempre più alta esposizione mediatica dei casi giudiziari, complice il megafono – complesso da governare – dei Social network. Molti avvocati paiono intimoriti da questi strumenti e ambienti, altri invece innovano, portando a tema la stretta collaborazione, vitale nell’interesse degli imputati, tra legali e comunicatori di professione. Abbiamo intervistato su questi temi Nicola Menardo, uno dei più noti avvocati della scena torinese e non solo, partner del blasonato studio Grande Stevens.
Avvocato, come dovrebbe essere gestita, a suo avviso, la delicata relazione tra il processo legale e il giudizio del “tribunale dell’opinione pubblica”?
Il tema del processo mediatico che si affianca a quello celebrato nelle aule di giustizia è molto complesso: non è semplice bilanciare il diritto dell’imputato alla presunzione di innocenza con il diritto all’informazione dell’opinione pubblica. Tuttavia, proprio perché è un fenomeno con cui l’avvocato è oramai necessariamente costretto a confrontarsi, credo che occorra prendere atto della necessità di gestire nel migliore dei modi anche questo aspetto collaterale dell’attività difensiva con lo stesso grado di professionalità e sobrietà con il quale si affronta il processo celebrato in aula, sempre nell’esclusivo interesse del cliente.
“L’importante è organizzare una buona difesa” o potrebbero esserci anche altri elementi in gioco? la gestione della comunicazione durante un processo può influire sulla reputazione a lungo termine di un individuo o di un’azienda?
Credo che occorra partire dalla considerazione che la reputazione è una componente fondamentale della vita e della dignità dell’individuo. Se poi parliamo del professionista o del manager, o ancora delle questioni giudiziarie relative alle imprese, non si può trascurare il fatto che, secondo i più recenti studi, la reputazione è un asset immateriale di inestimabile valore, e spesso la compromissione di questa fondamentale componente del patrimonio aziendale o professionale derivante dalla decisione di non contrastare mediaticamente e in tempo utile le ipotesi accusatorie divulgate sui mass media, può essere – e spesso è! – assai più deleteria della pena che l’imputato rischia di vedersi infliggere alla fine del processo. Questa premessa a mio avviso consente di affermare che la “difesa nel processo” spesso – da sola – per quanto fondamentale, non è sufficiente a proteggere in modo globale gli interessi dell’assistito, per cui occorre valutare l’opportunità di integrarla con una altrettanto buona tutela mediatica, con ovviamente un’adeguata valutazione in termini di costi/benefici.
In che modo, dal suo punto di osservazione, la comunicazione esterna e la copertura mediatica, magari viziata da informazioni errate o fuorvianti, potrebbe influenzare un processo, e quali precauzioni è necessario prendere per mitigare o governare questo impatto?
La questione dell’influenza che le notizie veicolate dai media hanno sul processo di formazione dell’opinione del grande pubbico e sull’esito di un processo celebrato avanti all’Autorità Giudiziaria è complessa, oggetto di numerosi studi scientifici e difficile da sintetizzare senza il rischio di cadere nella banalità. Mi limito a rilevare che in una recente sentenza sul cosiddetto “delitto di Perugia”, la Corte di Cassazione ha espressamente evidenziato che l’inusitato clamore mediatico della vicenda ha fatto sì che le indagini “subissero un’improvvisa accelerazione, che, nella spasmodica ricerca di uno o più colpevoli da consegnare all’opinione pubblica internazionale, non ha certamente giovato alla ricerca della verità sostanziale”, con ciò confermando evidentemente che il processo, in quanto “fatto umano”, subisce inevitabilmente dei condizionamenti esterni. In questi casi, è evidente che portare nel dibattito pubblico e con immediatezza e reattività una contro-narrazione rispetto a quella accusatoria diventa semplicemente imprescindibile.
Può farci un esempio di come comunicatori e avvocati potrebbero e dovrebbero lavorare insieme, nell’interesse dell’imputato, per migliorare la gestione della comunicazione, senza con questo compromettere i delicati aspetti legali?
Ritengo che ogni esternazione del difensore debba avvenire sempre e solo nell’esclusivo interesse della tutela dei diritti del suo assistito, e non per finalità “autopromozionali”, come d’altro canto è imposto dal codice deontologico, ma altresì l’avvocato che affronta un processo avente rilevanza mediatica non può sottrarsi al tema della comunicazione: le scienze sociali insegnano che anche il silenzio è una forma di comunicazione, dal significato – purtroppo – non sempre governabile. Ciò premesso, posto poi che la comunicazione è una scienza sociale complessa, ritengo che, così come il difensore si avvale di esperti e consulenti quando deve affrontare nel processo questioni particolarmente complesse, altrettanto debba fare nel momento in cui di trova ad interagire con il mondo dei mass media, affidandosi dunque ad esperti di comunicazione e di gestione della reputazione.
Come conciliare i diversi orizzonti temporali del processo giudiziario e del processo mediatico, e mettere d’accordo l’approccio relativamente ‘freddo’ della comunicazione legale, spesso in contrasto con il linguaggio necessariamente più “emotivo” dei comunicatori? E inoltre: è possibile equilibrare la necessità di comunicare in modo chiaro e trasparente con il pubblico, tutelando al contempo la riservatezza sulle strategie legali durante un processo?
Va trovato un punto di equilibrio sia nei tempi che nei modi, conciliando questi mondi (e modi) apparentemente distanti ma in realtà interconnessi, dopo una attenda e ponderata valutazione dei rischi, secondo la tipica logica costi/benefici che sottende ogni decisione, e tenuto conto di tutte le circostanze e specificità del caso concreto. Il risultato è spesso il frutto di “mediazione” tra le varie esigenze (di processo e di comunicazione) e dell’utilizzo di un linguaggio comunicativo semplice, comprensibile ai cittadini, ma che non alteri né svilisca i caratteri fondamentali delle questioni giuridiche – spesso complesse – comprendendo che la parola d’ordine funzionale a regolare i rapporti tra avvocato e comunicatore è “collaborazione” e non scontro.
In ultimo, quali considera le competenze essenziali di un comunicatore nel contesto di una crisi reputazionale legata a un processo, e qual è il profilo ideale di comunicatore che lei vorrebbe avere in un suo team?
Il “processo mediatico” è una forma articolata e specifica del più generale fenomeno della “crisi reputazionale”, per cui richiede di essere affrontato da esperti di comunicazione specializzati nella materia della crisis communication, dotati di un’adeguata conoscenza delle dinamiche processuali e delle modalità di circolazione delle informazioni di cronaca giudiziaria, con l’attitudine ad operare a stretto contatto e in sinergia con i professionisti legali, a sondarne le esigenze e a modulare di conseguenza il proprio intervento sui mass media. La sintesi, dimostra la mia personale esperienza, è comunque possibile, nell’interesse dell’assistito.
Esg: un nuovo regolamento sul rating per contrastare il greenwashing
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Al momento, il mercato dei rating Esg (Environmental, Social, Governance) è viziato da non conformità, elementi distorsivi e soprattutto rischio di greenwashing. È un problema ormai sotto i riflettori, dimostrato anche da una recente ricerca finanziata dall’Europarlamento – presentata a Bruxelles nel giugno scorso – secondo la quale il 70% circa delle aziende che pubblicano bilanci di sostenibilità, confermano che il lavoro delle società di certificazione si è basato soltanto sull’analisi di documenti ed evidenze prodotte dall’azienda stessa, senza quindi vera e propria verifica.
I rating Esg sono ormai indispensabili ovunque per partecipare a bandi, appalti, beauty contest, ma nella maggior parte dei casi le cosiddette “certificazioni” altro non sono che validazioni di auto-dichiarazioni delle aziende stesse, sulle quali non viene effettuato poi alcun controllo di autenticità. È per questo motivo che a breve, a Bruxelles, si discuterà della proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio europeo sulla trasparenza e sull’integrità delle attività di rating Esg, messo recentemente a punto dalla Commissione europea.
“Non esistendo un quadro normativo specifico a livello europeo per i rating Esg, gli Stati membri, attualmente, operano indipendentemente l’uno dall’altro, generando eccessiva eterogeneità, possibili conflitti e una protezione ineguale degli investitori nei diversi Stati membri”, ha dichiarato Luca Poma, Professore di Reputation Management all’Università Lumsa di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino, che ha avuto modo di analizzare nel dettaglio la bozza di proposta che sta per approdare in Parlamento e avanzare alle autorità preposte alcune osservazioni di merito. “Questo strumento legislativo vuole garantire, attraverso dichiarazioni Esg credibili, autentiche e rilasciate da enti e agenzie autorizzate, una standardizzazione di questo genere di certificazioni, garantendo un approccio omogeneo tra gli Stati membri e una maggiore trasparenza e protezione degli investitori”.
È un intervento che punta dunque a offrire coerenza per un quadro normativo omogeneo che faciliterebbe la comparabilità tra i rating Esg, evitando la diffusione di norme diverse a livello nazionale e garantendo la riduzione delle incertezze per gli operatori del mercato. Un passo importante nella lotta al greenwashing, ma non mancano le criticità. “Per fare solo tre esempi tra tanti, la bozza per com’è ad oggi concepita prevede che l’Esma (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dell’Ue) abbia l’autorità per fare ispezioni solo in caso di segnalazione di violazioni e non di propria iniziativa”, ha aggiunto Poma.
“Senza ispezioni in loco, verifiche e altri meccanismi di controllo, non vi sarà alcuna certezza che i requisiti previsti dal regolamento siano mantenuti nel tempo dalle agenzie di certificazione. Poi, non è prevista la creazione di una banca dati delle aziende che hanno ricevuto il rating Esg e delle relative agenzie che le hanno certificate. Questo limita fortemente la trasparenza verso i cittadini, che dovrebbe invece essere una delle prerogative principali dell’Ue”.
In ultimo, dovrebbero essere gli stessi certificatori ad adottare le misure necessarie per garantire che i rating Esg forniti non siano influenzati da conflitti di interessi, ma chi avrà la responsabilità di verificare che queste misure siano effettivamente rispettate? “Insomma – ha concluso Poma – c’è molto di buono in questa proposta di regolamento, ma anche molto ancora da migliorare”. La proposta, appena approdata in Parlamento, verrà presa in esame dalle varie commissioni delegate già nel corso di questo novembre.
Quando è il silenzio a parlare: la Polizia di Stato e la mancanza di autenticità nella lotta alla violenza di genere
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La Polizia di Stato ha scelto di prendere posizione sul tema drammatico femminicidio di Giulia Cecchettin, dimostrando apparentemente una sensibilità solo “di facciata”. L’account Instagram ufficiale ha condiviso i versi di Christina Torres Caceres, che in questi giorni sono diventati simbolo della protesta contro la violenza di genere.
“Se domani sono io, se domani non torno, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”. Il post della Polizia, che riprendeva le parole di Christina Torres Caceres, dichiarava: “Questi i versi di una toccante poesia (…) che ci ricordano, oggi più che mai, l’importanza di essere uniti nel combattere la violenza sulle donne. Ricordate, se #questononèamore non siete sole. Insieme per l’eliminazione della violenza di genere»”. Tuttavia, nei commenti, molte donne hanno espresso come si siano sentite isolate proprio nel momento cruciale del tentativo di denuncia. Il post si è velocemente trasformato in un clamoroso autogoal, attirando migliaia di testimonianze centrate sulla presunta trascuratezza di singoli Commissariati rispetto alla mancata ricezione di denunce di donne vittime di violenza.
Una donna ha condiviso: “Da voi mi sono sentita dire: “Venga la prossima settimana” – “Ma magari si tratta di uno scherzo!” – “Aspettiamo un’altra settimana” – “Non c’è molto da fare”. Un’altra ragazza, ha aggiunto: “Quando sono stata trascinata in un parcheggio di forza e sono venuta a denunciare mi avete apostrofato come “quella a cui hanno dato un boffetto sul sedere”. Mi avevano trascinato di peso in un parcheggio. Mi avete chiesto com’ero vestita”. E ancora, un’esperienza con un carabiniere: “Sono uscita con un carabiniere una volta, pensando che fosse single. A metà cena scopro che è sposato, con 3 figli piccoli, e insisteva per portarmi via due giorni. (…) Mi sono trovata ad aver paura, col cellulare scarico, e quei 2 km in macchina prima che mi riportasse alla mia, avevo il terrore che imboccasse un’altra strada”.
Queste testimonianze riflettono una profonda disconnessione tra le dichiarazioni pubbliche di solidarietà e la realtà vissuta dalle donne che cercano aiuto nelle istituzioni preposte alla loro protezione.
E la toppa è stata peggiore del buco, dal momento che la reazione istituzionale a questo uragano di verità scomode si è sostanziata in una fuga dalla realtà, con la cancellazione dei commenti sotto al post e dalla chiusura di ogni spazio di dialogo, con blocco della possibilità di commentare il post da parte dei cittadini.
L’approccio della Polizia di Stato nel gestire la comunicazione sul caso di Giulia Cecchettin ha rivelato una serie di gravi errori. Tentare di sfruttare l’onda emotiva di un femminicidio sui Social media rappresenta non solo un errore sotto il profilo etico, ma anche una mossa comunicativa miope.
La decisione di chiudere i commenti al post, invece di accogliere un dialogo necessario e profondo, ha trasmesso un messaggio di indifferenza, mancanza di empatia e aggressività. Questa azione non solo si è rivelata inutile, ma ha anche aggravato la situazione, alimentando una crisi di reputazione che si è estesa ad altri canali e a molti altri post, in quanto – com’era totalmente prevedibile – i cittadini hanno iniziato a commentare la vicenda sotto molti altri thread, “sporcando” tutto il wall.
In un’epoca dove la trasparenza e l’autenticità sono valutate in tutta la loro importanza, una tale mancanza di coraggio nel confrontarsi con le critiche e le esperienze dolorose condivise dal pubblico ha evidenziato una profonda incomprensione delle dinamiche di comunicazione contemporanee. Limitare la conversazione non solo ha impedito un’opportunità di ascolto e crescita, ma ha anche rafforzato la percezione di un’istituzione disconnessa dalle reali esigenze e sentimenti della comunità che dovrebbe proteggere e servire.
Anche tenendo in conto la possibilità che non tutti i commenti ostili fossero davvero genuini, molti osservatori hanno commentato che piuttosto che concentrarsi sulla creazione di post emozionali sui Social, sarebbe urgente e indispensabile che le istituzioni intraprendano azioni mirate a invertire la tendenza del diffuso machismo ancora presente al loro interno, dimostrando impegno in un percorso di formazione e sensibilizzazione, funzionale a promuovere un ambiente più inclusivo e rispettoso. Azioni concrete, come l’ulteriore revisione delle procedure di denuncia, una più intensa formazione specifica sull’approccio alle vittime di violenza di genere e la promozione di un dialogo aperto e costruttivo con la comunità, potrebbero essere passi essenziali verso un cambiamento significativo.
La lotta contro la violenza di genere non è un compito che spetta esclusivamente alle istituzioni, è una responsabilità che grava su tutti, dai singoli individui alla collettività nel suo insieme. Unire le forze in questa battaglia è essenziale per un cambiamento che deve avvenire su tutti i livelli. Sebbene una rivoluzione così radicale richieda tempo, l’azione delle Forze dell’ordine può e deve essere immediata: la capacità di ascoltare attentamente e prendere sul serio le denunce delle donne può letteralmente salvare vite. Molti saranno sicuramente gli agenti che hanno accolto le richieste di aiuto con estrema cura e attenzione, facendo una differenza fondamentale nella difesa delle donne in difficoltà, e il loro impegno va riconosciuto e valorizzato come esempio di come le forze dell’ordine possano e debbano agire in queste situazioni critiche, e questa vicenda non rende onore al loro operato.
La reputazione delle forze dell’ordine è un pilastro fondamentale nella costruzione di un rapporto di fiducia con i cittadini, che non è solo desiderabile, ma essenziale per garantire un tessuto sociale sicuro e coeso. È quindi vitale che ogni azione, specialmente nella sfera della comunicazione pubblica, sia gestita con la massima attenzione e sensibilità. Errori come quelli commessi in questa occasione possono minare rapidamente questo rapporto, e creare una barriera tra la comunità e coloro che sono incaricati di proteggerla. E questo non deve accadere.