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IULM, dibattito su sostenibilità e greenwashing “False ESG: Narrazioni aziendali (in)autentiche?”

IULM, dibattito su sostenibilità e greenwashing “False ESG: Narrazioni aziendali (in)autentiche?”

Mercoledì 6 marzo, a partire dalle 16.30, l’Università IULM di Milano ospiterà l’evento dal titolo “False ESG: Narrazioni aziendali (in)autentiche?”, patrocinato da FERPI. Un dibattito organizzato sotto forma di talk brevi, ricchi di contenuti ed incisivi, che vedrà la partecipazione di autorevoli protagonisti del campo delle università, della sostenibilità, del management della reputazione, della filosofia e della comunicazione.

IULM, l’evento

Sarà l’occasione per sottolineare l’importanza di affrontare le sfide legate al rischio di greenwashing e alla veridicità delle informazioni ESG in un momento storico che vede le aziende chiamate a rispondere di aspetti di natura non finanziaria, come governance, diritti umani e condizioni di lavoro, sicurezza, ambiente ed etica di business. Tutti fattori potenzialmente “sensibili” dal punto di vista della reputazione. L’obiettivo è fornire un approccio realmente multidisciplinare a questi argomenti di stringente attualità, oltre che ascoltare le testimonianze da parte di brand di primo piano che proporranno la loro visione su come le aziende possono e devono navigare il complesso panorama ESG.

Iulm

IULM, dichiarazioni

«La necessità di un confronto aperto e costruttivo su questi temi – spiega Luca Poma, ospite dell’evento e professore di Reputation management e Scienze della Comunicazione presso l’Università LUMSA di Roma, – è evidenziata dal deflagrare anche recente di numerose crisi reputazionali, che hanno messo in luce come la sola pubblicazione di bilanci di sostenibilità non sia sufficiente a garantire l’autenticità del rapporto tra le aziende e i cittadini. Quest’evento – ha concluso il Professore – si propone quindi di esplorare le modalità con cui le organizzazioni possono evitare il rischio di sanzioni, sempre più paragonabili alla fattispecie del ‘falso in bilancio’, a causa di narrazioni aziendali inautentiche e non genuine relative alla sostenibilità ambientale, sociale e di governance».

IULM, info utili

Dettagli dell’Evento:

  • Luogo: in presenza presso la Sala dei 146, Università IULM, Via Carlo Bo n. 7 (Linea Verde MM2, fermata Romolo) o in streaming online al link https://go.iulm.it/ferpi0603
  • Data e Orario: 06 marzo 2024, dalle 16:30 alle 19:30
  • Programma:

    • 16:30: ingresso e registrazione dei partecipanti
    • 17:00: saluti introduttivi della delegata per la sostenibilità del Magnifico Rettore IULM Prof.ssa Stefania Romenti, docente di Strategic communication e di Filippo Nani, Presidente nazionale FERPI
    • 17:15: talk moderati dal giornalista Luca Yuri Toselli, con la partecipazione (in ordine alfabetico per cognome) di:

      • Matteo Aiolfi, chairman Espresso Communication
      • Ada Rosa Balzan, Founder e CEO di ARB S.B.p.A., autrice ed esperta di tematiche ESG
      • Tiziana Beghin, membro del Parlamento Europeo, Commissione per il Commercio Internazionale
      • Barbara Cimmino, Head CSR & Innovation Yamamay
      • Massimiliano Corsano, esperto di sostenibilità ambientale
      • Lucia Dal Negro, CEO De-LAB Consulting
      • Federica Doni, Professore di Economia Aziendale all’Università Milano Bicocca, delegata Fondazione OIBR – Organizzazione Italiana Business Reporting
      • Giorgia Grandoni, consulente e ricercatrice presso il Centro studi della start-up Reputation Management S.r.l.
      • Pina Mancuso e Virginia Losito, Leroy Merlin Italia
      • Nicola Menardo, Avvocato penalista, Studio legale Grande Stevens
      • Alberto Pirni, Professore di Filosofia morale, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa
      • Luca Poma, Professore di Reputation management e Scienze della Comunicazione, Università LUMSA di Roma e Università della Repubblica di San Marino
      • Cristiana Rogate, founder Refe – Strategie di sviluppo sostenibile
      • Federica Ricceri, Professore di Economia Aziendale IULM, esperta in Sustainability Reporting
      • Stefania Romenti, docente di Strategic communication

    • 19:15: Q&A con il pubblico
    • 19:30: chiusura lavori




“Patetico il ruolo dell’Europa sull’Ai. Così diventerà una colonia di Usa e Cina”. Intervista ad Alec Ross

"Patetico il ruolo dell'Europa sull'Ai. Così diventerà una colonia di Usa e Cina". Intervista ad Alec Ross

Alec Ross è tra i maggiori esperti mondiali di economia digitale. Classe 1971, nato in West Virginia, è stato consigliere al dipartimento di Stato per l’Innovazione con Hillary Clinton e ha coordinato la politica tecnologica per la campagna elettorale di Barack Obama. È autore di bestseller mondiali (il suo The industries of the future è tra i bestseller del New York Times). Oggi vive in Italia, dove insegna alla Bologna Business School. 

Professor Ross, la valutazione di Nvidia è diventata un caso. Con lei avanzano tutte le società tecnologiche quotata a Wall Street, capaci di portare gli indici a nuovi livelli record. Questa corsa agli investimenti in Ai è giustificata? 

“La ricerca attuale stima un caso di riferimento in cui l’adozione diffusa dell’Ai potrebbe contribuire dell’1,5% alla crescita annuale della produttività su un periodo di dieci anni, aumentando il PIL globale di quasi 7 trilioni di dollari. Il caso positivo determina un notevole aumento totale del 2,9%. Solo questo convalida l’investimento. Se a ciò si aggiunge il ruolo che l’Ai può svolgere nell’affrontare le sfide globali come il cambiamento climatico e nel prolungare la longevità della vita umana attraverso l’applicazione dell’intelligenza artificiale nella genomica, la classe degli investitori (almeno negli Stati Uniti e in Cina) crede assolutamente di sì”.

Una corsa così impetuosa non potrebbe nascondere delle fragilità? I tecnologici ci hanno abituati a crescite imponenti e crolli vertiginosi. 

“I mercati salgono e scendono, ma nel lungo termine salgono. Il vero rischio è pensare principalmente in termini di rischio e non in termini di opportunità. Il denaro che dorme nei conti bancari e non viene investito in modo più cinetico è sottoperformante. L’alto tasso di risparmio e la mancanza di investimenti hanno contribuito in modo significativo alla mancanza di crescita economica in Italia negli ultimi 20 anni”. 

Nvidia in un anno ha quadruplicato il suo valore. Cosa ci insegna questo caso? 

“Nvidia è il titolo in più rapida crescita nel mercato azionario, ma rappresenta ancora statisticamente una quota inferiore alla dimensione totale dei mercati americani rispetto ad altre società, tra cui Apple, Microsoft, Meta e Amazon, che stanno tutte ottenendo buoni risultati. Nvidia è solo l’aggiunta più recente ed entusiasmante a questa categoria di Big Tech, quindi sta ricevendo tutta l’attenzione, attenzione che probabilmente è meritata. La vera lezione di Nvidia è che gli Stati Uniti continuano a produrre aziende tecnologiche dominanti a livello globale. Pochissimi conoscevano Nvidia 5 anni fa. Questo tipo di dinamismo dovrebbe essere celebrato”. 

Oggi 9 delle 10 aziende più capitalizzate al mondo sono aziende tecnologiche. Il mercato digitale sembra non poter evitare di creare colossi e monopoli.

“La concentrazione del mercato e il potere di un numero limitato di imprese globali presentano una serie di sfide. Ma si tratta di sfide che hanno potenziali soluzioni. Ciò inizia con la garanzia che questi conglomerati globali (la maggior parte di loro non sono realmente monopoli ma conglomerati) paghino le tasse e non intraprendano strategie che consentano loro di delocalizzare i propri guadagni. Le piccole e medie imprese pagano una percentuale maggiore dei loro profitti in tasse rispetto ad aziende come Google, Apple e Meta perché le piccole e medie imprese non hanno né la presenza globale né gli eserciti di avvocati e contabili per facilitare queste transazioni. Prima di parlare di smembramento o di limitazione delle dimensioni di queste grandi aziende, vorrei vederle pagare la giusta quota di tasse e non avere il permesso di nascondersi nei paradisi fiscali”.

Tra Usa e Cina c’è vera competizione sull’Ai? 

“È una vera competizione ma a questo punto gli Stati Uniti sono primi perché investono di più: quest’anno gli Usa investono 65 miliardi mentre la Cina ne investe 35. In secondo luogo, perché gli Stati Uniti sono molto più avanti nel campo dell’Ai generativa. Ai cinesi non piacciono i Large Language Models (LLM) come ChatGPT perché sono molto difficili da censurare e controllare e il governo cinese limiterà tutto ciò che non può censurare o controllare”.

L’Europa al momento sembra più decisa a normare l’Ai che a svilupparla. 

“Onestamente lo trovo patetico e imbarazzante”.

Sta dicendo che non serve normare l’Ai?

“Certo, dovrebbero esserci delle normative ragionevoli sull’Ai, ma a meno che l’Europa non voglia essere una colonia economica degli Stati Uniti e della Cina, allora avremo bisogno di meno avvocati, politici, filosofi e burocrati che stabiliscano strategie e norme per l’Ai e di più imprenditori, venture capitalist e ingegneri. Da troppo tempo gli europei non sono più protagonisti. È come una partita di calcio. In campo ci sono due squadre, una americana e una cinese. Invece di schierare la propria, gli europei hanno preferito recitare la parte dell’arbitro, che fischia i falli e mostra il cartellino giallo. L’arbitro può contribuire a decidere il risultato della partita, soprattutto se dirige male, ma non è mai lui a vincerla. Se vogliono vincere, gli europei devono mandare in campo la loro squadra”. 

Come dovrebbe giocare l’Europa? 

“Basta osservare i modelli concorrenziali di sviluppo tecnologico in Cina, dove un governo autoritario ha messo a punto un modello di sorveglianza totale e, in cambio di controllo e potere politico, promette stabilità. L’altra squadra è capitanata dagli imprenditori ‘ragazzini’ della California, che hanno sviluppato un modello di sorveglianza tutto nelle mani del settore privato. Queste nuove imprese creano prodotti che danno una forte dipendenza. Ne sono dipendente anch’io. Invece di cedere loro il potere politico, cediamo quello finanziario, che permette a questi magnati di diventare una super élite globale, con livelli di ricchezza, e anche di potere, che qualche decennio fa sarebbero stati del tutto impensabili. Né l’autoritarismo cinese né i miliardari californiani sono la strada giusta per l’Europa. Serve una squadra europea e italiana che porti avanti il proprio modello di contratto sociale e una crescita economica che garantisca l’equilibrio tra aziende, governo e cittadini”. 




Perché Sora di OpenAi fa così paura all’industria culturale? 

Perché Sora di OpenAi fa così paura all’industria culturale? 

Sora è il nuovo modello di intelligenza artificiale generata text-to-video presentata da OpenAi la settimana scorsa. Come funziona? Scrivi la trama di un video, decidi dove metti le telecamere, cosa si vede, cosa accade, in quale stile e l’Ai di Sam Altman realizza un video della durata un minuto. Il servizio non è ancora aperto al pubblico anche perché devono ancora capire come proteggerla da eventuali problemi dovuti alla produzione di video falsi, ma è già nelle mani di una selezionata schiera di registi, videomaker e addetti ai lavori che hanno incominciato a produrre sui social le loro opere.

Trovate mammut che sfilano verso la «telecamera» lasciando dietro di sé nuvole di neve polverosa; una coppia di innamorati mano nella mano che passeggia per Tokyo in una giornata di neve; visioni dall’alto come quelle realizzate da sopra i tetti bianchi e blu che ricordano le case di Santorini quando cala il sole. Alcune davvero sorprendenti, soprattutto se paragonato ai generatori di video AI ampiamente disponibili come Runway Gen-2 e Imagen di Google . Poche settimane prima OpenAI afferma però che non c’è stato video editing, cioè nessun abbellimento in post produzione.

Come puoi vedere nelle clip, però, ci sono dei problemi: i palloni da basket passano attraverso i lati dei cerchi di metallo, i cani si incrociano mentre camminano e le mani a volte non assomigliano a mani umane.

OpenAI sa di non essere ancora perfetto ma sta facendo passi da gigante. In un terreno che però è diverso da quelli percorsi finora dall’Ai Gen. E infatti Sora è ,più che ChatGpt e Dall-E, un osservato speciale.

Il video è a tutti gli effetti l’ultimo tabù. Che non è caduto – quantomeno non del tutto caduto – ma che ha messo a dura prova la pazienza dei detrattori dell’intelligenza artificiale generativa.

Concettualmente è una invasione di campo definitiva perché dopo testo e immagini anticipa ma solo di poco altri luoghi della creatività come la musica e il videogioco. Per alcuni l’Ai generativa si sarebbe dovuta fermare alla scrittura. Così non è stato. In queste settimane si alzeranno mani, qualcuno protesterà che è tutto finito, che il cinema, l’arte, la televisione verranno cannibalizzati dalle macchine. Si andranno a cercare registi delle vecchia guardia per strappargli qualche dichiarazione anti-modernista. Si celebrerà il bel mondo antico e la qualità dell’analogico. Quando la polvere si sarà posata, ci accorgeremo che nessuno vuole automatizzare il video. Ma che siamo di fronte a un nuovo strumento che non fa cose nuove ma dà forma a più idee. Forse renderà più facile la produzione di spot, sicuramente non cambierà di una virgola le leggi gravitazionali della produzione di audiovideo per l’intrattenimento. L’unica cosa che cambierà è una intenzione. La nascita di una nuova generazione di artisti digitali capaci di inventare qualcosa di nuovo.




“False esg”: narrazioni aziendali (in)autentiche?

“False esg”: narrazioni aziendali (in)autentiche?


Mercoledì 6 marzo, a partire dalle 16.30, l’Università IULM di Milano ospiterà l’evento dal titolo “False ESG: Narrazioni aziendali (in)autentiche?”, patrocinato da FERPI. Un dibattito organizzato sotto forma di talk brevi, ricchi di contenuti ed incisivi, che vedrà la partecipazione di autorevoli protagonisti del campo delle università, della sostenibilità, del management della reputazione, della filosofia e della comunicazione. “Quest’evento – spiega Luca Poma, professore di Reputation management e Scienze della Comunicazione presso l’Università LUMSA di Roma – vuole esplorare le modalità con cui le organizzazioni possono evitare il rischio di sanzioni, sempre più paragonabili alla fattispecie del ‘falso in bilancio’, a causa di narrazioni aziendali inautentiche e non genuine relative alla sostenibilità ambientale, sociale e di governance”.




Digital Services Act: quali norme per la protezione dei minori online

Digital Services Act: quali norme per la protezione dei minori online

Per singolare coincidenza sabato 17 febbraio si sono verificate due “ricorrenze” che rientrano a pieno titolo nella tecnologia solidale.

Da un lato, dal 17 febbraio tutte le piattaforme digitali e non solo le grandi dovranno rispettare il Digital Services Act (DSA). Sono esentate solamente le aziende sotto i 50 dipendenti e i 10 milioni di euro di fatturato. 

Dall’altro, Parole O_Stili compie sette anni. “In effetti – mi dice Rosy Russo, presidente dell’associazione – la coincidenza tra l’entrata in vigore “totale” di questa normativa dell’Unione Europea che mira a regolare le piattaforme online e a proteggere i cittadini, a partire dai minori, e la presentazione del nostro Manifesto della comunicazione non ostile è singolare. La prendo come un buon auspicio per continuare con il nostro impegno per ridurre, arginare e combattere i linguaggi negativi online.”.

Digital Services Act: le principali misure

A questo proposito è utile ribadire quali sono le principali misure del DSA per proteggere i minori online e garantire un ambiente più sicuro e appropriato per il loro sviluppo e benessere coinvolgendo e responsabilizzando le piattaforme:

• Limitazioni sull’uso dei dati personali dei minori e verifica dell’età.

• Protezione da e misure più rigorose per rimuovere contenuti nocivi, come la pornografia infantile o l’incitamento all’odio o il cyberbullismo.

• Potenziamento degli strumenti per il controllo da parte dei genitori della attività online dei figli.

• Viene vietata la pubblicità mirata nei confronti dei bambini.

Sono naturalmente iniziative del tutto condivisibili. La domanda è se tutto questo basterà. Che ne pensi, Rosy?

“Come tu dicevi durante la tua attività parlamentare, una legge vale non solo per il suo contenuto, ma anche perché fa cultura, propone una visione di società e individua delle priorità. In questo senso il Digital Services Act è importante perché indica il principio che le piattaforme non possono disinteressarsi di quanto avviene online nei confronti dei più piccoli. Questa attenzione noi l’abbiamo iniziata molto prima di questa norma, promuovendo “dal basso” il Manifesto della comunicazione non ostile e andando nelle scuole a incontrare insegnanti e studenti. Un impegno che proseguiremo con ancora più convinzione e forza, adesso che anche le istituzioni hanno iniziato a impegnarsi concretamente.”

Le istituzioni europee lo hanno fatto coinvolgendo le piattaforme su una maggiore responsabilità. “In effetti il DSA – ci dice Stefano Pasta, docente e componente del CREMIT Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Innovazione e alla Tecnologia dell’Università Cattolica, autore di “Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online – riconosce che nel web sociale non siamo tutti uguali, sia in termini di opportunità sia dunque di responsabilità: quindi rispetto ai comportamenti scorretti nel digitale ritiene che i grandi colossi del Web non solo ospitino gli utenti, ma debbano monitorare quanto pubblicano.“.

L’aver posto dei limiti legislativi può aiutare questa azione? 

Digital Services Act: le piattaforme devono vigilare sui discorsi d’odio

“Certamente sì, perché il DSA ci aiuta ad affermare che le piattaforme devono vigilare di più sull’evitare i discorsi d’odio e, se non ci riescono o non vogliono, possono essere sanzionate. La norma, anche nel digitale, serve a tutelare i diritti umani e a regolare lo spazio pubblico, a scegliere come vogliamo vivere insieme: è questo un principio giuridico cardine del diritto europeo, diverso dal liberismo giuridico statunitense che è il substrato culturale in cui sono cresciute le grandi società del web. Il DSA, in fondo, ci ricorda il sogno per cui sono nate le istituzioni europee.”.

È la strada giusta?

“È la strada  giusta per il contrasto dell’hate speech. La priorità rimane promuovere l’educazione degli “spettautori” – fruitori e produttori di contenuti digitali al tempo stesso – al pensiero critico e alla responsabilità, intesa come capacità di valutare la conseguenza delle proprie azioni nel digitale. 

Concorda con questa interpretazione anche Stefania Garassini, giornalista, docente alla Cattolica di Milano e tra i promotori di Patti digitali, iniziativa di coinvolgimento delle famiglie e degli enti locali per un uso corretto delle nuove tecnologie da parte dei bambini e delle bambine: “La norma è giusta, anche se viene sostanzialmente ribadita la neutralità delle piattaforme, quindi la responsabilità sui contenuti resta limitata. I servizi online non vengono considerati come editori e quindi si tratta per la maggior parte di un controllo che avviene dopo la  pubblicazione, con tutti i rischi del caso. Proprio la natura editoriale delle piattaforme è invece al centro della proposta di legge usa KOSA (Kids Online Safety Act). È un tema cruciale, ma credo che quella di responsabilizzare maggiormente le piattaforme sui contenuti sia l’unica strada per rendere davvero Internet più sicura per i minori”. 

Tuttavia una norma, neanche quella scritta meglio, può sostituire l’attenzione dei genitori e l’educazione al buon uso degli strumenti digitali…

“Assolutamente. Però l’impegno sul campo di realtà come la nostra e di altre che agiscono nel nostro stesso ambito è sicuramente più sostenuto da una norma che afferma comunque una responsabilità da parte delle piattaforme. Anche perché purtroppo aumenta la precocità nell’uso degli strumenti digitali da parte dei bambini.” 

I dati su minori e uso del digitale

In effetti i dati di “Tempi digitali”, la XIV edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio in Italia, pubblicata da Save the Children lo scorso novembre, mostrano che in Italia si è abbassata l’età in cui si possiede o utilizza uno smartphone: il 78,3 per cento di bambini tra gli 11 e i 13 anni utilizza internet tutti i giorni e lo fa soprattutto attraverso lo smartphone. 

A questi dati si uniscono quelli della indagine “Alfabetizzazione mediatica e digitale a tutela dei minori: comportamenti, opportunità e paure dei navigatori under 16” presentata il 15 febbraio a Milano e realizzata dall’Alta scuola in media, comunicazione e spettacolo dell’Università Cattolica e dal Ministero delle imprese e del made in Italy. Il 40% degli intervistati più piccoli parla di esperienze negative online. Il 53% degli adolescenti tra gli 11 e i13 anni, dice di esperienze negative “gravi e ripetute”.

Questi dati e gli altri contenuti in questa ricerca confermano che oltre e accanto alle leggi e ai regolamenti delle piattaforme, il primo punto resta sempre uno: non possiamo lasciare da soli online figli e nipoti. A ben pensarci è paradossale il fatto che non facciamo andare e tornare da scuola da soli i nostri figli alle elementari (e spesso anche alle medie) anche se la scuola è vicina a casa e poi lasciamo che vadano da soli per le strade del web, che non sono meno insidiose di quelle delle nostre città, perché la rete e le strade sono sempre “abitate” da esseri umani, quindi da persone che possono essere bene e male intenzionate. 

Stando così le cose, per noi genitori, per gli educatori, per i nonni, per tutti coloro che hanno a cuore il destino dei più piccoli, vale oggi più che mai la regola delle 3 A, quella che applichiamo a casa Palmieri: accompagna, argina, accogli. Valeva quando il mondo era “solo” analogico. Vale ancor di più ora che è diventato digitale.