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La gerarchia dell’influenza sugli acquisti: amici e famiglia > influencer online > celebrità

I contenuti di influencer marketing hanno certamente un peso sui consumatori, in particolare sui giovani, ma – pare – non lo stesso potere della  raccomandazione di un amico fidato o di un familiare. Infatti, un recente studio di SurveyMonkey rileva che i consumatori statunitensi hanno più di 5 volte più probabilità di effettuare un acquisto importante a seguito una raccomandazione di un amico fidato o di un familiare (65%) rispetto al fatto di vedere un influencer online possedere o approvare il prodotto / servizio (12%).
È interessante notare, tuttavia, che gli influencer online sembrano avere più, diciamo, influenza delle “celebrità” tradizionali. Una celebrità che possiede o sostiene un prodotto, ha portato a un acquisto significativo per un numero di consumatori pari a circa la metà di quelli influenzati da un influencer online (rispettivamente il 7% e il 12%).

Ma i Millennials sono influenzati dagli influencer, giusto?

I risultati del sondaggio indicano che i giovani adulti sono più ricettivi nei confronti di influencer online – come quelli trovati su Instagram, YouTube e blog – rispetto ad altri adulti. Ad esempio, un considerevole 22% dei 18-34enni intervistati ha dichiarato di aver effettuato un acquisto significativo perché ha visto un influencer online che utilizzava o avallava l’articolo. Questo rispetto a solo il 9% dei 35-64 anni e il 2% di quelli di 65 anni e più.
Tuttavia è altresì vero che gli adulti più giovani sono anche più sensibili alle raccomandazioni di amici e parenti rispetto alle loro controparti più anziane. Sette Millennials su 10 hanno dichiarato di aver effettuato un acquisto significativo a seguito di una raccomandazione di un amico fidato o di un familiare, rispetto al 63% dei non millennials.
Ciò si aggiunge ai risultati di numerose ricerche che dimostrano come il passaparola ha un impatto più forte sui più giovani, rispetto agli anziani .
Questi risultati non sembrano valere solo negli USA; gli intervistati nel Regno Unito avevano 4 volte più probabilità di effettuare un acquisto importante a seguito di raccomandazioni di amici e familiari rispetto alle sponsorizzazioni di influencer, e in Canada probabilità 5 volte maggiori. In ogni caso, tuttavia, gli influencer online si rivelano avere comunque più efficacia delle celebrità tradizionali, proprio come negli Stati Uniti.

La TV è il medium a più alto costo

Quando si tratta di orientare acquisti importanti con campagne pubblicitarie, la TV continua a confermarsi il miglior mezzo. Un terzo degli adulti intervistati negli Stati Uniti ha dichiarato di aver fatto un acquisto significativo a causa di un annuncio visto in TV. Ciò è stato ben superiore alla percentuale di chi aveva effettuato un acquisto del genere a causa della visualizzazione di un annuncio online (17%), di una rivista (14%) o di un annuncio di Facebook (13%).
Questi risultati si collegano alla ricerca di MarketingCharts su ciò che influenza l’acquisto dei consumatori, dati che hanno confermato che le raccomandazioni di amici e parenti sono sempre davanti agli annunci TV come i principali fattori di influenza .
Nel frattempo, la ricerca SurveyMonkey rivela il dato – non sorprendente – che gli intervistati più giovani attribuiscono maggiore influenza all’acquisto agli annunci online e alle pubblicità di Facebook rispetto agli adulti più anziani, che invece hanno maggiori probabilità di effettuare un acquisto a seguito dello stimolo generato da un annuncio su una rivista.
Inaspettatamente, tuttavia, i giovani di 18-34 anni (36%) avevano più probabilità di quelli di 65 anni (28%) di attribuire un acquisto significativo a seguito della visualizzazione di un annuncio TV, questo nonostante gli adulti più grandi guardino molto più la TV tradizionale rispetto ai loro colleghi più giovani .
I risultati completi dello studio SurveyMonkey sono disponibili  qui.
 
Informazioni sui dati: i risultati si basano su sondaggi online condotti dal 5 al 7 ottobre 2018 tra 3.053 adulti negli Stati Uniti (1.036), Regno Unito (1.010) e Canada (1.007). I dati sono stati ponderati per età, razza, sesso, istruzione e geografia.




Niente lavoro fuori orario: a risentirne è il cervello

Quando “si stacca”, “si stacca”. Niente telefonate extra, mail o messaggi. Una volta usciti dall’ufficio non si pensa più al lavoro, ma solo agli affetti, al tempo libero e a tutto ciò che riguarda la vita extra-lavorativa. Lavorare fuori orario ha infatti un effetto negativo su produttività e recupero mentale. A rivelarlo è una ricerca internazionale condotta fra Australia, Giapponese e Olanda e pubblicata sull’International Journal of Environmental Research and Public Health.
Lo studio ha dimostrato che continuare a lavorare fuori orario e quindi controllare email, telefono, laptop e messaggi vari, ha un effetto negativo sulla produttività e sul recupero mentale. Inoltre, vi è anche un’influenza diretta con la qualità del sonno e lo stress.
Ma quali sono i segreti per staccare davvero?
Jan de Jonge, uno dei ricercatori che ha condotto l’analisi, suggerisce di praticare tutte le attività a basso sforzo come leggere, guardare la televisione o ascoltare la musica. Queste, infatti, aiutano le persone a staccarsi dal lavoro e ad assicurare un buon riposo notturno. Ricerche fatte in precedenza, inoltre, hanno dimostrato che un sonnellino diurno di circa 30 minuti aiuta anche a tornare vigili e a migliorare la produttività. Questa analisi può spingere i datori di lavoro a cambiare la propria condotta.
Per Maureen Dollard, direttore del Centro di ricerca per l’Asia e Pacifico su lavoro, salute e sicurezza dell’Università dell’Australia del Sud, è quello spingere i datori di lavoro a non chiedere ai lavoratori di essere impegnati con il lavoro fuori orario di servizio. Un capo, spiega, può dare “il buon esempio non inviando email al di fuori dell’orario”.




Quali sono le aziende italiane che promuovono di più i diritti lgbt

L’associazione Parks descrive l’indice delle aziende che in Italia favoriscono la diversità e i diritti della comunità lgbt. Un termometro che misura quanto le imprese siano inclusive


C’è un indice che misura quanto le aziende italiane siano attente a creareambienti di lavoro rispettosi per i propri dipendenti gay, lesbiche, bisessuali e transgender. Si chiama Lgbt diversity index ed è promosso dall’associazione Parks, nel 2018 per il sesto anno consecutivo. Nel 2013 erano 19 le società che hanno risposto all’appello, sottoponendosi a un questionario che rileva a che punto siano sui temi di inclusione. Oggi sono 61, non solo privati ma anche istituzioni. Come la Banca d’Italia, il Politecnico di Milano, l’università di Torino.

Il questionario fa emergere quanto facciano per il mondo Lgbt. “Ma l’obiettivo è anche quello di far comprendere a che punto sono e dove possono arrivare sulla strada dell’inclusione”, spiega Simona Massei, direttore associato di Parks. “L’ambizione è quella che diventi uno strumento di competizione, dove le aziende mostrino il proprio punteggio. Come succede in altri Paesi, per esempio anglosassoni”.

Il punto sui diritti lgbt in azienda

Su 61 aziende, il 64% ha una politica aziendale di non discriminazione formalizzata che comprende sia l’orientamento sessuale che l’identità di genere. Un buon risultato, davanti a un 10% che ancora non ce l’ha. Otto aziende su 10 si sono adeguate alla legge Cirinnà, ma solo il 54% riconosce totalmente la genitorialità sociale, a fronte di un 15% che lo fa parzialmente e di un 21% che non lo fa.

Meno bene se si parla di possedere linee guida formalizzate per la transizione. Le ha solo poco più di una azienda su dieci (11%). Il 23% non le ha formalizzate e il 66% non le possiede. Nemmeno la metà delle realtà coinvolte fa formazione ai dipendenti sulla diversity legata ai temi lgbt (46%). Anche se sei aziende su dieci hanno un responsabile diversity lgbt. Per quanto riguarda i rapporti nei confronti degli stakeholder, il 41% comunica le politiche e attività sull’inclusione. Solo il 13% pretende che anche i fornitori seguano le stesse politiche di inclusione sul tema. Mentre al 59% non importa.
Per cinque anni abbiamo consegnato il premio alla miglior piccola/media impresa e alla miglior grande impresa”, racconta Igor Šuran, direttore esecutivo di Parks. “Quest’anno abbiamo allargato la prospettiva”. Premiando anche le figure di miglior alleato, miglior network lgbt e miglior Lgbt role model. Colleghi che in azienda si sono distinti, diventando un punto di riferimento per tutti su questi temi. Il riconoscimento per il miglior alleato è andato a Serena Chiama di Sky. Pfizer e Ge&bhge hanno vinto ex aequo il premio per il miglior network. Ad Arianna Forzani di Ibm il titolo di role model. Miglior pmi è Vector, mentre Accenture svetta tra le grandi aziende.

Il caso Vector

Vector è un’azienda attiva nell’import-export con 40 anni di attività alle spalle. Nella sede di Castellanza lavorano 113 dipendenti. È una pmi italiana, che ha fatto del tema della diversità un punto di forza. Dal 2015 è socia di Parks e ha già vinto il premio come miglior pmi nel 2016, prima di replicare quest’anno. “Lavoriamo su due fronti”, spiega Camilla Buttà, diversity inclusion manager e pricing manager della società. “Puntiamo a regolamenti interni che siano sempre più inclusivi. Abbiamo anticipato la legge Cirinnà sui matrimoni, garantendo alle coppie omosessuali gli stessi diritti di quelle eterosessuali. E poi, nonostante non sia passata la legge sulla stepchild adoption, garantiamo ai genitori non biologici o adottivi gli stessi diritti degli altri”.
In azienda la diversità è vissuta a tutto tondo. Non solo lgbt: durante l’anno vengono organizzati momenti, attività, riflessioni anche sulla disabilità, sul mondo femminile, sulla maternità, sulla transessualità. “Non abbiamo transessuali in azienda, ma se dovessero arrivare, troverebbero un regolamento già pronto. Per esempio, possono venire al lavoro vestiti come preferiscono ed essere chiamati con il nome che scelgono, anche se non è ancora sulla carta d’identità”, prosegue Buttà.

Il caso Accenture

Accenture è stata premiata per la prima volta come miglior grande azienda. “Per noi l’aspetto più significativo è quello di investire sulla consapevolezza dell’importanza che riveste creare la cultura di un ambiente di lavoro inclusivo. In questo modo le persone riescono a essere se stesse anche in azienda e quindi a dare il meglio di sè”, precisa Raffaella Temporiti, direttore risorse umane di Accenture Italia. Il percorso passa dalla comprensione, inclusione e valorizzazione delle risorse. Anche attraverso percorsi di educazione, interventi a livello di leadership e messa a fuoco di pregiudizi inconsapevoli, non solo legati ai temi di gender. Ma anche alla disabilità, genitorialità, religione e spiritualità.
Per quanto riguarda l’attenzione al mondo lgbt, Accenture ha messo a punto una serie di iniziative interne rivolte ai 13mila dipendenti che lavorano in azienda. “Organizziamo panel dove colleghi e ospiti raccontano la propria esperienza. Facciamo educazione, per esempio sul tema della transizione di genere, con momenti di accompagnamento ai colleghi che stanno facendo questo percorso. Abbiamo poi adeguato le nostre politiche interne, estendendo tutti i benefit delle coppie etero alle coppie omosessuali”.




L’epic fail di uno stagista di Google: ‘brucia’ per sbaglio milioni di dollari di pubblicità

Non deve essere stato esattamente l’esordio che sognava quello di un tirocinante  a Google che, durante un’esercitazione ha mandato on line per 45 minuti, una pubblicità finta (un rettangolo bianco e giallo) al posto delle vere inserzioni che erano state commissionate e a Google. A quel che si è potuto ricostruire, il giovane stava imparando a usare il sistema di acquisto e programmazione delle inserzioni e non si è reso conto che non stava operando nell’ambiente di test ma in quello reale di mercato. Così non solo ha occupato spazi commerciali con un semplice rettangolo, ma li ha anchepagati fino a 5 volte più del normale. 
Google ha confermato l’errore mercoledì e ha detto che “onorerà i pagamenti agli editori per qualsiasi annuncio acquistato”. Non avrebbe commentato la portata del problema, ma una fonte del settore pubblicitario ha stimato il costo potenziale in $ 10 milioni.
 




La comunicazione Salvini-Di Maio-Conte: perché (per ora) funziona

Dal punto di vista della comunicazione, l’attuale governo è un inedito. Mai si era vista, in Italia, una polifonia così ben orchestrata: una voce forte e dominante, quella di Matteo Salvini, una più tenue, Luigi Di Maio, e infine Giuseppe Conte, che non è affatto marginale come molti lo vedono, perché serve a riportare armonia quando ce n’è bisogno. È un terzetto che – da quel che dicono finora i sondaggi (e per quel che valgono, in tempi di volatilità estrema) – non solo funziona, ma guadagna consensi soprattutto grazie a Salvini. Vediamo allora quali sono i suoi punti di forza.
Salvini di solito è il più aggressivo: spara soprattutto contro i migranti e l’Europa, che sono i suoi bersagli preferiti. Ma non solo: contro la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, contro i ladri, gli evasori e persino contro quelli che imbrattano le strade e disturbano la quiete. Salvini è contro tutti quelli che minacciano, in proporzioni e con gravità diverse, la nostra incolumità, i nostri beni e la nostra famiglia, la nostra sicurezza personale. Combatte tutti i “cattivi” insomma.
Sbaglia però chi pensa che Salvini stia tutto nel linguaggio dell’odio. Sbagliano i suoi detrattori, a rappresentarlo sempre e soltanto come “fascista“, “violento“, “razzista“. Si pensi alle numerose fotografie (spesso selfie) in cui appare sorridente e accogliente, sempre circondato da anziani, donne e bambini che lo cercano e lo abbracciano. Si pensi agli abituali riferimenti, nei suoi discorsi, ai propri figli e quelli altrui. Per non parlare dei continui tweet di buongiorno e buonanotte, sempre con parole affettuose (“un bacione”“vi voglio bene”“amici”) e spesso corredati da immagini di situazioni serene, familiari, in cui chiunque può desiderare di riconoscersi. Come potrebbe essere davvero “violento”, “razzista” o “fascista” uno con quella faccia paciosa? Si chiedono le persone. Come potrebbe essere “cattivo” uno che vuole difendere noi e i nostri figli? E crescono i consensi.
Se aggiungiamo alla bonomia dell’immagine di Salvini – mai rilevata dai media, che invece registrano, sbagliando, solo le sue filippiche – il ruolo di Conte e Di Maio, comprendiamo perché la comunicazione di questo governo funzioni (almeno per ora). Salvini spara contro l’Europa? Dopo qualche ora, puntualmente, arrivano Di Maio o Conte (o entrambi) ad abbassare i toni o addirittura contraddirlo. E se qualcuno osserva che ciò implica contrasti nella compagine governativa, immancabilmente riprende la parola Salvini, sui social o in tv, per smentire ogni dissidio, smorzare le sue stesse dichiarazioni e magari chiudere con un bel tweet, in cui saluta tutti davanti a un piatto di pasta, un dolce, una prelibatezza locale.
A volte – più di rado – anche Di Maio fa la voce grossa. Come quando, a fine ottobre 2018, ha accusato ignoti (ma l’insinuazione riguardava la Legadi aver manomesso a sua insaputa (ricordiamo la presunta “manina”) il testo del decreto fiscale, per ampliare le maglie del condono contro il volere del M5s. In quel caso ogni contrasto è stato subito liquidato come banale “fraintendimento” dallo stesso Salvini, che per l’occasione ha assunto il ruolo rassicurante che di solito tocca a Di Maio o Conte. Per non parlare dell’ultima marcia indietro di Salvini nella polemica con l’Europa, che ha immediatamente fatto calare (almeno un po’) persino lo spread. È sempre un gioco delle parti insomma: ora l’uno ora l’altro, ora forte ora piano.
Ma tutti questi alti e bassi non dovrebbero essere un difetto di comunicazione, invece che un pregio? Non dovrebbero apparire, secondo i casi, come sintomi d’instabilità (gli alleati non vanno d’accordo), di inautenticità (fingono di andare d’accordo, ma non è vero) o di contraddizioni (cambiano continuamente idea)? Non dovrebbero minare la fiducia nel governo, invece di aumentarne il consenso? Come sempre, in comunicazione, tutto ciò che si fa e si dice è relativo non solo a chi lo fa e lo dice, ma al contesto e al momento. Innanzitutto, non dimentichiamo che il governo si trova ancora nella cosiddetta “luna di miele” con l’elettorato: a pochi mesi dal suo insediamento, gli elettori sono disposti a concedergli il credito del “è ancora presto, lasciamoli lavorare”. La luna di miele, fra l’altro, potrebbe durare più che in altri casi, perché Lega e M5s si sono proposti come rottura con il passato, come cambiamento: tutti sanno che cambiare è più difficile che mantenere lo status quo. Perciò, anche se i media e l’opposizione strillano che il cambiamento non c’è, molti preferiscono sperare ancora.
È in questo quadro, dunque, che la polifonia governativa non appare alla maggioranza degli elettori né incoerente né mendace, ma al contrario svolge il ruolo fondamentale – ed è questa la sua novità più interessante – di tenere insieme i tipi più disparati e lontani di elettori: dai più rabbiosi ai moderati, dagli estremisti al centro, da quelli che un tempo votavano Berlusconi a molti ex elettori del Pd. Sono proprio le dissonanze del governo, per ora, ad ampliare il suo consenso, a renderlo ancora più trasversale e acchiappatutti di quanto già non siano (e lo sono) Lega e M5s singolarmente.
Ma non è solo merito della luna di miele. Va ricordato, infatti, che Salvini e Di Maio sono gli unici, in questi anni, ad aver dato voce ai bisogni, ai problemi, alle emozioni delle fasce più disagiate della popolazione: disoccupatianziani con pensioni basse o bassissime, precari di tutte le età (il precariato in Italia non è solo giovanile, ma coinvolge quarantenni e ultracinquantenni), famiglieche hanno visto il loro tenore di vita abbassarsi inesorabilmente. Dopo la delusione del Pd di Renzi, e in assenza di una sinistradegna di questo nome, il voto alla Lega e al M5S è stato per molti l’ultima spiaggia: se perderanno fiducia anche in loro, a chi mai potranno credere? La speranza, si sa, è dura a morire.