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GreenRouter

L’ospite di questa settimana del mio blog è Ginevra Sarfatti di GreenRouter.
Ciao Ginevra e benvenuta sul mio blog. Ci racconti come nasce GreenRouter e qual è la vostra missione?
GreenRouter nasce nel 2016 dall’esperienza di Andrea Fossa, consulente strategico e Direttore Scientifico dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano, insieme ad alcuni collaboratori. La nostra missione è quella di rendere la misurazione dell’impatto climatico delle filiere logistiche una prassi consolidata non solo per le grandi Aziende, ma anche per le PMI che non sempre dispongono di risorse ed organizzazione sufficientemente strutturate allo scopo. L’idea è quella di rendere la CO2e una variabile gestionale, al pari di quella dei costi e dei ricavi, sulla quale i manager possano basarsi per prendere decisioni appropriate in termini di impatto climatico.
I miei lettori non sono tutti “addetti ai lavori”… Ci spieghi in modo semplice il tool che utilizzate?
La maggior parte di noi è consapevole di come l’utilizzo di auto, il riscaldamento domestico e le fabbriche provochino emissioni di gas serra nell’atmosfera, che a loro volta sono causa del riscaldamento globale. L’impatto climatico delle azioni viene generalmente misurato in CO2 equivalente, e riassume il ‘warming potential’, cioè l’impatto sul clima, dei gas serra emessi.
Considerato che il settore del trasporto in UE è il secondo più inquinante, dopo quello della produzione di energia, è facile comprendere come la distribuzione delle merci e dei lavorati ha delle pesanti ripercussioni sul clima. Come possiamo avere una misura certa delle emissioni? È possibile ridurre l’impatto del settore trasporti sul clima?
Partendo dai dati a disposizione dell’azienda, modellizziamo il network logistico cioè i flussi di materiale trasportato (cosa viene trasportato, da dove a dove, con quali mezzi es. treno, aereo, nave, camion).
Utilizziamo poi i dati relativi ai singoli viaggi per misurare la CO2e emessa nei trasporti e le PMx, ottenendo una stima il più possibile dettagliata. Diamo anche la possibilità di misurare la Carbon FootPrint dei magazzini e dei punti vendita. Il dato finale (in ton di CO2e emessa) è certificabile e può quindi essere inserito nei bilanci consolidati, per la rendicontazione verso gli stakeholder.
È poi possibile simulare degli scenari: mettiamo che decidiamo di utilizzare camion Euro6 rispetto ai mezzi attuali (per lo più Euro 3-4-5) di pari portata totale, sappiamo quali sono i costi dell’investimento ma sappiamo quali sono gli effetti in termini di CO2e emessa? Abbiamo sviluppato delle funzionalità che rendono possibile ottenere questa ed altre risposte con dei semplici click.
Quali sono i benefici per un’impresa che collabora con voi?
Il calcolo della Carbon FootPrint è spesso stimato grossolanamente e comunque richiede un dispendio di risorse interne alle aziende che non sempre sono disponibili; per le grandi aziende che si appoggiano a più operatori logistici per il trasporto delle merci, è necessario un grande lavoro di raccolta e normalizzazione dei dati per arrivare ad una stima accurata e confrontabile negli anni. Noi sviluppiamo progetti che, gradualmente nel tempo, portano ad alimentare in modo continuativo la piattaforma GreenRouter con apposite interfacce: in questo modo l’azienda ha un quadro progressivo di quanto sta emettendo e dove, così da poterlo gestire.
Infatti, è solo grazie alla conoscenza e dimestichezza con la variabile CO2e che diventa possibile per le imprese definire dei target di riduzione realistici, in linea con le linee guida che sono in corso di definizione a livello internazionale. Noi mettiamo a disposizione il nostro know-how “verticale” sul settore unito all’erogazione del software: così accompagniamo le imprese che vogliono diventare più sostenibili e consapevoli del proprio impatto sull’ambiente.
Programmi per il futuro?
Stiamo lavorando per estendere le nostre analisi relative al ‘GHG Inventory’: l’inventario delle emissioni di gas serra delle organizzazioni. Intendiamo coprire con i nostri calcoli altri ambiti aziendali, oltre a magazzini e trasporti, nei quali sono richieste (sia da parte dei consumatori che degli investitori) politiche ed azioni di riduzione delle emissioni. È inoltre in corso un interessante progetto di ricerca e benchmark sull’efficienza energetica negli edifici logistici, promosso in partnership con il Politecnico di Milano, che mira ad analizzare e confrontare le performance ambientali dei magazzini. I risultati 2018 sono stati molto interessanti, tanto che intendiamo replicare la ricerca nel 2019, con maggiore profondità ed uno spettro più ampio di dati. Continueremo a perseguire l’obiettivo di favorire una cultura aziendale che consideri la CO2e come una variabile gestionale vera e propria, da inserire come variabile decisionale nelle scelte strategiche ed operative delle imprese.




Melegatti, in fabbrica senza paga gli «angeli del lievito» da cui nacque il pandoro

Con la produzione ferma, si sono recati in azienda e hanno nutrito la pasta madre. Da 124 anni è il segreto dell’impasto dei dolci veronesi. E ora la produzione è ripartita

Per quasi un anno sono stati gli unici a mettere piede nello stabilimento, anche quando c’erano i sigilli. Mentre la proprietà doveva fare fronte al fallimento, mentre gran parte dei colleghi, in cassa integrazione, era alla ricerca di un nuovo impiego, attraversavano i corridoi della fabbrica di San Giovanni Lupatoto, a due passi da Verona, dove li aspettava un panetto di pasta lievitata dal peso di circa un chilo e dal valore inestimabile: l’essenza stessa di ogni pandoro.

Ricetta segreta

Alla Melegatti li hanno battezzati «gli angeli del lievito madre». È anche merito loro se, dopo l’anno più turbolento dei 124 che compongono la lunga storia della ditta, la produzione del classico dolce natalizio ha potuto riprendere senza intoppi. Sono i capireparto del laboratorio di impasto: tre persone che si sono scambiate il turno per consentire a quella stessa materia prima, infornata per la prima volta da Domenico Melegatti nel 1894, di sopravvivere. Questione di romanticismo? Niente affatto. «Nell’impasto — spiega Davide Stupazzoni, dipendente dal 1995 — c’è il segreto non solo del gusto dei nostri prodotti, ma anche della loro struttura. È quello che permette al pandoro di “stare in piedi”, di sviluppare quella forma perfetta, stellata. La stessa che è stata brevettata dalla nostra ditta a fine Ottocento».

Le dosi giuste

Comprensibile che la Melegatti lo conservi come un tesoro: «Il lievito madre — prosegue Stupazzoni — rimane tutto l’anno in una cella a temperatura costante, attorno ai quindici gradi: si cerca di evitare che subisca choc termici di qualsiasi tipo». Rinfrescarlo è un rito, come sa chi ama fare il pane in casa. Ma se per le preparazioni domestiche ci si può accontentare di intervenire ogni tre o quattro giorni, il lievito ultracentenario dei pandori richiede un’attenzione più costante. «L’operazione va fatta quotidianamente. Nel periodo delle campagne natalizie, una volta ogni dodici ore — precisa Stupazzoni — e non basta aggiungere semplicemente acqua e farina, occorre farlo con le dovute dosi, altrimenti l’impasto verrebbe alterato».

Senso di responsabilità

A muovere Stupazzoni e i suoi colleghi, in un momento in cui nulla era certo, dalla ripresa della produzione fino ai soldi in busta paga, è stato il senso di responsabilità. «Siamo venuti anche quando non eravamo stipendiati. Qualcuno ci doveva pensare, altrimenti si sarebbe perso per sempre qualcosa di unico. Quando la società è andata in fallimento è stato proprio il curatore ad assicurarsi che facessimo il nostro lavoro: il valore della ditta era legato anche alla preservazione dell’impasto base».

Un nuovo inizio

Da martedì, il lievito Melegatti è tornato a produrre pandori, sotto la nuova gestione targata Spezzapria, la famiglia di industriali vicentini che dall’industria aerospaziale è ora approdata all’alimentare, dopo essersi specializzata nel packaging. I primi arriveranno sugli scaffali dei supermercati nel giro di qualche giorno. E così, Stupazzoni e gli altri colleghi del laboratorio sono finalmente rientrati nello stabilimento, non per restarci pochi minuti, ma per un turno intero. «Per molti è stato come tornare a casa. La maggior parte non ha mai smesso di sperare che la situazione si risolvesse, che qualcuno comprasse l’azienda e la rilanciasse. Quando è successo non abbiamo semplicemente tirato un sospiro di sollievo. Ci siamo sentiti davvero felici».




Con Zanichelli 'la cultura si fa (in) strada'

Zanichelli dà inizio in questi giorni a una campagna di sensibilizzazione sulla lingua, italiana e straniera che porta direttamente sui marciapiedi,
  in forma di graffiti urbani, occasioni di riflessione sulle nostre capacità di espressione. L’editore, storicamente punto di riferimento per l’italiano e le altre lingue, conferma con questa azione di “didattica urbana” il proprio ruolo di educatore e divulgatore.
Particolare attenzione viene dedicata alle “Parole da salvare”: voci ricche di sfumature ed espressività ma che stanno finendo nel dimenticatoio perché nella lingua corrente si privilegiano i loro sinonimi più comuni; diciamo infatti profumo anziché fragranza, chiacchierone anziché garrulo, diligente anziché solerte, saporito e non sapido.
Sono parole che rendono il lessico più variopinto e più interessante, la lingua italiana più ricca e completa: può forse l’italiano permettersi di perdere parole affascinanti come ghiribizzo o beffardo? Come faremmo a cucinare certe pietanze senza usare il pane raffermo? Esiste una parola più onomatopeica di ondivago? Che cosa ruberanno i banditi d’ogni crime-story che si rispetti se sarà scomparso il malloppo? Quale aggettivo descriverebbe Zio Paperone meglio di taccagno?
Nelle pagine del vocabolario Zingarelli queste parole a rischio sono evidenziate con il segno grafico del “fiore”:♣. Un richiamo anche visivo e un invito a utilizzare più spesso quelle voci. Tra le 3125 voci riportate dallo Zingarelli, Zanichelli ne ha scelte ora cinque, e le propone all’attenzione dei passanti aggiungendo al semplice significato anche l’etimologia completa, la data di prima attestazione in lingua scritta e qualche esempio d’uso. Si tratta di: boria, denigrare, insigne, solerte e corroborare.
La campagna non si limita alle Parole da salvare: vengono tradotti in graffiti anche figure retoriche come Anacoluto, Iperbole, Metonimia, Onomatopea, descritte tramite citazioni da autori classici. Alcuni graffiti saranno poi dedicati ai ‘falsi amici’, cioè parole straniere che sembrano simili a parole italiane ma hanno tutt’altro significato, come il francese Limon (‘fango’), lo spagnolo Burro (‘asino’), l’inglese Terrific (‘straordinario’). Infine gli Intraducibili: parole di altre lingue che non hanno un corrispondente diretto in italiano e richiedono, per la traduzione, una lunga perifrasi. Il termine giapponese Tsundoku, ad esempio, indica la mania di accumulare libri, senza leggerli.
I graffiti saranno 50 per città, e verranno realizzati in prossimità delle scuole o in zone pedonali per offrire a studenti e passanti uno spunto di riflessione sulla nostra lingua e sulle lingue straniere. L’hashtag #laculturasifastrada, riportato su ogni graffito, aumenta il coinvolgimento di tutti e stimola il passaparola. L’operazione è partita da Milano, poi Torino, Padova e Napoli. L’hashtag #laculturasifastrada ha iniziato fin da subito ad avere grande diffusione spontanea a Torino e Milano. La tecnica è quella dei green graffiti, che utilizza una miscela completamente naturale per realizzare i graffiti sull’asfalto. Quando la campagna è finita, i messaggi vengono cancellati usando soltanto acqua. I residui del graffito che finiscono nel sistema di scarico sono totalmente innocui per l’ambiente.




Ikea, la storia della lampada buttata 16 anni dopo lo spot capolavoro: il messaggio ora fa riflettere

Sedici anni fa, correva l’anno 2002, Spike Jonze realizzò per Ikealo spot con protagonista una lampada, che veniva buttata e poi sostituita, come diceva un uomo alla fine della pubblicità, da “una migliore” (filmato che riscosse notevole successo e vinse alcuni premi). Ora l’azienda svedese, per i propri clienti canadesi, ha lanciato un video che chiude la storia iniziata nel 2002. Una bambina recupera la lampada abbandonata e questa volta l’uomo, nel finale, ribalta il messaggio: “Riutilizzare gli oggetti è la cosa migliore“.
https://www.youtube.com/watch?v=NqFQ3aquBsY




Cyber Security e Digital Marketing, serve una stretta collaborazione per proteggere dati sensibili e reputazione aziendale

Il Marketing è spesso considerato l’anello debole della sicurezza informatica. È tempo di ribaltare questa visione e creare uno stretto sodalizio fra gli esperti di Cyber Security e Digital Marketing per la definizione, diffusione e attuazione di strategie mirate a prevenire attacchi e a reagire opportunamente in caso di incidenti


yber Security e Digital Marketing sono ormai due facce di una stessa medaglia. Nell’era del 4.0 e dell’Internet of Things, infattii professionisti che lavorano in ambito Marketing si trovano spesso a dover gestire informazioni sensibili, collocate in ambienti cloud e diversificati, noti per essere maggiormente esposti ad attacchi informatici, interni e/o esterni. Quindi è fondamentale che siano coinvolti nella definizione, diffusione e attuazione delle strategie di Cyber Security, non solo perché facile obiettivo per gli hacker, ma come soggetto attivo nel contrasto al cyber risk.
La digitalizzazione dei processi e dei sistemi informativi aziendali, ha consentito a molte organizzazioni di essere più competitive, ma questo ha significato, al tempo stesso, esporre i dati delle stesse a maggiori rischi. Di conseguenza la Cyber Security è diventata una priorità assoluta per le imprese.
All’interno di questo contesto, il Marketing è ancora percepito come un soggetto a rischio per la sicurezza dei dati di un’organizzazione e le persone che lavorano nelle posizioni di Marketing si sono abituate ad essere qualificate come anello debole dei sistemi di sicurezza informatica.
In realtà, preso atto che anche una sola violazione dei dati può danneggiare considerevolmente un’azienda, a livello di Brand Reputation e, in seconda analisi, di costi economici, nessuno può sentirsi al riparo da questo genere di minacce, qualsiasi sia la sua attività ed il settore in cui opera.
Questa riflessione assume un’ulteriore rilevanza se si considera che i trend digitali come cloudmobile, IoT e social, ormai imprescindibili anche per le aziende, espongono le stesse a una grande quantità di minacce.
Per di più, l’opportunità di raccogliere una quantità di dati sensibili sempre più ampia, parliamo quindi degli ormai noti Big Data, aumenta ulteriormente la possibilità di violazioni di sistemi informativi aziendali.
Inoltre, gli attacchi hacker come il furto di dati sensibili dei singoli consumatori, la distribuzione di malware o l’e-mail phishing, sono spesso facilitati dall’incuranza e dalla scarsa conoscenza e consapevolezza del personale interno dei rischi informatici.
Pertanto è fondamentale che l’organizzazione, a tutti i livelli, Marketing incluso, sia informata e consapevole sull’importanza della Cyber Security.

Indice degli argomenti

Gli esperti di Cyber Security e Digital Marketing devono collaborare di più

Ciò pone la domanda: cosa può fare il team di Marketing in tale scenario?
Data la quantità di informazioni sensibili a cui i Marketer hanno accesso e il crescente ricorso a nuove tecnologie e ambienti digitali per la condivisione interna e/o esterna all’organizzazione di questi dati, il Marketing è spesso obiettivo del crime sul web.
Perciò, in primo luogo, è essenziale educare le persone che lavorano in questo settore alla sicurezza informatica, con percorsi formativi creati ad hoc, per permettergli di identificare le specifiche tipologie di attacco informatico a cui potrebbero essere personalmente sottoposti, e ad usare con cautela ed intelligenza le tecnologie digitali.
Ciò significa anche che il Marketing dovrà comprendere l’importanza di collaborare con il dipartimento IT, per identificare eventuali minacce, rappresentate da nuove tecnologie, piattaforme e applicazioni, e determinare le misure di attenuazione del rischio informatico.
Una volta ridefinito il modo in cui i professionisti del Marketing affrontano il tema della Cyber Security, passando dall’essere facile bersaglio degli hacker, a utenti consapevoli dei rischi connessi al digitale, gli stessi marketer potranno essere d’aiuto all’intera organizzazione nell’arginare il Cyber Crime, diffondendo la cultura della sicurezza informatica tra tutte le funzioni in azienda.
Questo significa attivare campagne di comunicazione interna pensate per veicolare l’importanza della formazione sulla sicurezza informatica, contribuire alla diffusione del know-how aziendale riguardo le best practice in materia di Cyber Security e così via.

I Marketer devono essere pronti a comunicare in caso di attacco informatico

L’obiettivo per i professionisti che lavorano in ambito Marketing è quindi quello di accelerare e diffondere l’adozione di una strategia condivisa sul tema della sicurezza informatica tra tutta la popolazione aziendale.
Ma il ruolo del Marketing potrebbe andare oltre l’attività di diffusione interna delle norme aziendali di Cyber Security. È infatti altrettanto importante che i Marketer siano preparati ad affrontare un eventuale episodio di Cyber Crime e definiscano quindi preventivamente un piano di comunicazione esterna in caso si verificasse un attacco informatico, così da evitare il panico tra clienti, fornitori e partner.
In definitiva, la Cyber Security è fondamentale ad ogni livello dell’organizzazione, così come la diffusione di una cultura del rischio informatico e, al tempo stesso, lo sviluppo di una fiducia digitale.
All’interno di questo scenario, il Marketing, anziché l’anello debole della sicurezza informatica, può costituire la prima linea di difesa contro il cyber risk e contribuire a cambiare la prospettiva dalla quale il personale interno guarda a queste tematiche, permettendogli di comprendere come oggi la Cyber Security ricopra un ruolo abilitante, e non frenante, rispetto al raggiungimento degli obiettivi di business.