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McDonald’s ha fatto una pubblicità che è una parodia di Banksy

McDonald’s sta lanciando in questi giorni una campagna promozionale in Austria, appoggiandosi alla società DDB Austria. Tra le trovate dei creativi viennesi c’è stata anche una grafica (per il momento destinata al digitale) che è una parodia di Banksy. Già soprannominata “McBanksy” è un’immagine che mostra un contenitore di patatine targato McDonald’s incorniciato, con le patatine fritte che escono da sotto la cornice.

Il riferimento, ovviamente, è all’ultima performance di Banksy, che la scorsa settimana ha fatto in modo che una sua opera passasse attraverso un tritacarte nascosto nella cornice, proprio subito dopo essere stata venduta all’asta da Sotheby’s. In particolare la rappresentazione iper-stilizzata delle patatine ricorda immediatamente l’effetto di un foglio di carta passato al tritacarte.
Viste l’efficacia e la rapidità con cui la squadra di creativi l’ha concepita e realizzata, la trovata potrebbe rientrare nella categoria dei cosiddetti “Oreo moment”, cioè campagne lanciate a strettissimo giro, agganciandosi a un fatto di cui tutti stanno parlando, come fece il social media manager del marchio di biscotti, che nel bel mezzo di un blackout lanciò questo tweet.

Va detto inoltre che McDonald’s non è stata l’unica azienda che ha lanciato una campagna ispirata all’ultima performance di Banksy. Come segnala Design Taxi in questa raccolta, anche Ikea Norvegia se n’è uscita con questo:




Il costo delle comunicazioni scadenti

Non riconoscendo l’importanza delle buone comunicazioni, i leader possono incappare in costi elevati per le proprie organizzazioni.

Nel nuovo film, “Horrible Bosses” sicuramente i personaggi negativi sono colpevoli di peccati ben peggiori della mera comunicazione qualitativamente scadente, ma – dopo aver visto il trailer, questa settimana – mi ha fatto riflettere (ancora) sulle implicazioni e sui costi associati a una leadership inefficace. “Horrible Bosses” è pieno di scenari irrealistici e insinuazioni ridicole su come certi dirigenti si comportino oggi. La realtà, però, non è una questione su cui ridere molto. Per mia diretta esperienza, alcuni errori non intenzionali possono essere i più cari per le aziende.
La maggior parte dei leader oggi non inizierebbe mai la propria giornata pensando. “Oggi ignorerò di proposito i miei impiegati.” Detto questo, non riconoscendo l’importanza delle buone comunicazioni, i leader possono incorrere in costi significativi per le proprie organizzazioni. Ho visto di persona quanti danni possano arrecare situazioni come comunicazione insufficiente, problemi di comunicazione o nessuna comunicazione.
Come al solito, i dati ci mostrano quanto sia pesante il costo di una cattiva comunicazione:

  1. 37 miliardi di Dollari: costo totale stimato delle incomprensioni dei dipendenti (includse azioni o errori di omissione da parte di impiegati che hanno frainteso o sono stati male informati sulle politiche aziendali, sui processi aziendali, sulla propria funzione sul posto di lavoro, o una combinazione dei tre fattori) in 400aziende di almeno 100.000 dipendenti, sondate negli Stati Uniti e nel Regno Unito (il costo medio per azienda è 62,4 milioni di dollari l’anno);
  2. 041 Dollari, è il costo per lavoratore – anno dovuto a perdita di produttività derivante da barriere nella  comunicazione.

Al contrario:

  1. Le aziende che hanno come comunicatori altamente efficaci hanno, avuto il 47% in più di rendimento complessivo per gli azionisti negli ultimi cinque anni rispetto ad aziende i cui leader sono i comunicatori meno efficaci;
  2. Best Buy ha rilevato che punteggi più elevati di coinvolgimento dei dipendenti hanno portato a una miglior prestazione dei relativi negozi. La società ha scoperto che per ogni punto percentuale di aumentato del coinvolgimento dei dipendenti, i singoli negozi hanno visto un aumento del reddito operativo di 000 Dollari all’anno.

Questi pochi fatti sono la punta dell’iceberg per ampiezza e profondità di una ricerca che dimostra un ritorno economico tangibile per quelle aziende che comunicano bene con i propri dipendenti e per i problemi che si presentano quando non lo fanno.
Sfortunatamente, le cattive capacità comunicative sono il risultato di una decisione consapevole dei leader di non migliorare. “Non ho tempo per comunicare”, è un mito comune che sento, insieme al pensiero che “la gente non ointraprenderà azioni se non parliamo loro di cose concrete”.
I leader comunicano con o senza intenzione, quindi il mio punto di vista è: potreste essere bravi anche nella comunicazione.
Migliorare la comunicazione implica molto più che diffondere il messaggio correttamente in modo che sia ascoltato (anche se questo da solo può già essere una sfida); significa assicurarsi che il messaggio risuoni e sia compreso dagli ascoltatori in modo tale da spingerli all’azione. È un duro lavoro, ma ne vale la pena. Tutto ciò che un leader ha bisogno di ottenere compiuto oggi è fatto attraverso le persone.
Quindi cosa possono fare i leader per essere migliori comunicatori?

  1. Smetti di inventare scuse. Impegnati a migliorare, per te, il tuo team e la tua azienda. Assegna il tempo, l’energia e le risorse necessarie per far arrivare il tuo messaggio nel contesto giusto e con lo scopo di coinvolgere i tuoi dipendenti.
  2. Prendi uno specchio. Rifletti su ciò che gli altri vedono e leggono ogni volta che interagiscono con te. Capisci dove sei, non dove pensi di essere. Se possibile, ottieni dati su come stai procedendo, con una sondaggi ed analisi a 360°.
  3. Sii concentrato sul pubblico. Sapere da dove viene tuo pubblico aiuta i leader a posizionare i messaggi nel modo giusto in modo che siano significativi e pertinenti. I leader devono anche sfruttare i canali e i mezzi di comunicazione utilizzati dal loro pubblico per assicurarsi che le proprie comunicazioni arrivino effettivamente ai destinatari.
  4. Avere un piano ed essere propositivo. Creare una strategia di comunicazione e tradurla in un piano orientato all’azione. Non aspettarti risultati immediati. Il “Fallo e basta” non funziona nella comunicazione. I leader devono iniziare con una valutazione chiara dei risultati aziendali che vogliono raggiungere, e poi avere un cronoprogramma nel quale disporre le azioni volte al raggiungimento degli obiettivi.
  5. Ascolta e interagisci. Chiedere suggerimenti ai dipendenti e agire sulla base delle suggestioni ricevute, dire grazie, articolare le aspettative, fornire informazioni significative e non far girare messaggi a vuoto. Questi sono i modi in cui dimostri di apprezzare i tuoi dipendenti.
  6. Sii persistente. Ricorda, una buona comunicazione è un’abilità e, come tutte le abilità, ci vuole pratica e analisi dei riscontri step by step per migliorare.

Garantire comunicazioni coerenti e strategiche ti consentirà di allineare i tuoi dipendenti e il loro ruolo, con le tue aspettative e il quadro generale degli obiettivi di business. La posta in gioco sono soldi veri, Il vero denaro è in gioco e solo degli “Horrible Bosses” non se ne prenderebbero cura.
 
L’autore: David Grossman, ABC, APR, Fellow PRSA, è autore di You Can not Not Communicate  e del seguito, You Can Not Not Communicate 2 . È fondatore e CEO di The Grossman Group , una società di consulenza di comunicazione con sede a Chicago.




RELAZIONE DI LAUREA Reputazione aziendale: perché e come investire nell’immagine di un’azienda

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO – SAA – School of Management, Dipartimento di Management
Corso di Laurea triennale in Management dell’Informazione e della Comunicazione Aziendale, Anno Accademico 2017-18
Reputazione aziendale: perché e come investire nell’immagine di un’azienda
Relazione di Camilla Brossa – Relatore Prof.ssa Maria Grazia Turri
 
A questo link, il testo integrale della Tesi (44 pagine)
 




Analisi delle Conversazioni Online Relativamente ad #Uliveto

È con tutta probabilità Massimo Mantellini, postando poco prima delle nove di Domenica su Twitter l’annuncio pubblicitario del noto brand di acqua minerale comparso su molti quotidiani di ieri, a scatenare la polemica nata sulla piattaforma di microblogging, prontamente approdata su Facebook ed Instagram, per poi, come quasi sempre succede, arrivare sui siti web di tutte le testate giornalistiche del nostro Paese, per poi a sua volta tornare a diffondersi online generando viralità sulle accuse di razzismo a Uliveto.

L’accusa nei confronti di Uliveto, come certamente saprete, è di razzismo, o comunque di aver pubblicato un annuncio pubblicitario che copriva l’ atleta di colore della nazionale per non inimicarsi quella quota di persone che ha un orientamento ostile nei confronti di chi non è di razza europoide. Ci sono diversi aspetti di questa vicenda che la rendono interessante per chi si occupa di marketing e comunicazione. Proviamo ad esaminarli con ordine.
La pubblicità in questione è realizzata partendo da una foto che in realtà è prodotta da un’immagine di archivio e non è relativa alla rassegna iridata in Giappone appena conclusasi. È perlomeno singolare, per usare un eufemismo, che lo sponsor della Federazione Italiana di Pallavolo non avesse a disposizione una foto di maggior attualità per realizzare l’annuncio pubblicitario che come d’abitudine molti brand realizzano in queste occasioni. L’eventuale mancanza di materiale inoltre è ancor più strana visto che l’azienda sicuramente aveva in animo di fare l’annuncio avendone pianificato l’uscita. Comunque sia l’immagine poteva essere trattata in maniera diversa, scontornando la foto per inserire il packaging, come è stato fatto nel caso della nazionale maschile.
È altamente improbabile, diciamo, che, come ha suggerito qualcuno, l’azienda abbia montato ad arte un caso per far parlare di sé. È da tempo finita l’era del “purchè se ne parli” e, come sappiamo, ha assunto crescente rilevanza il “come se ne parla”. Immaginare che nell’epoca della brand reputation un’impresa, un brand, si giochi ad hoc la propria per accrescere la propria notorietà generando viralità in Rete è perlomeno ingenuo. Resta dunque la scelta tra improvvisazione/dilettantismo, di un penoso errore, o scelta dissennata.
Se si guarda all’annuncio pubblicato solamente pochi giorni prima, in cui la Egonu compariva, si propende per la legge del rasoio di Hanlon, ma attribuire l’errore, perché comunque sia di questo si tratta, a stupidità potrebbe essere uno sbaglio.
Un’indicazione sulla vera ragione della pagina pubblicitaria che tanto clamore ha sollevato si può ricercare nella politica di canale che il brand in questione fa sui social presidiati. Infatti, mentre sull’account Instagram nel tempo sono state postate diverse immagini, sostanzialmente repost di quelli della Federazione di Pallavolo, che hanno la presenza della giocatrice di colore, sulla pagina Facebook non vi è mai traccia di quella che è una delle più forti giocatrici della nostra nazionale femminile. Scelta che è difficile ritenere casuale, poiché fare gli altri troppo stupidi è da stupidi.
Naturalmente, in un tempo ragionevolmente breve, specie in considerazione che la crisi di comunicazione si è verificata in un giorno festivo, l’azienda, su entrambe le piattaforme social presidiate dal brand, smentisce fermamente qualunque ipotesi di razzismo, e in risposta ad un commento ad un post su Instagram si lascia andare ad uno sfogo con «lasciate perdere, stiamo toccando il ridicolo e lo squallido con queste polemiche».
Smentita che non ottiene l’effetto di calmare gli animi delle persone come si evince dai commenti, anche su Instagram, con, tra le tante obiezioni in risposta, quella più corretta che giustamente fa notare che aver coperto la Egonu è «Come una foto della Juve con CR7 coperto da un SUV».
Se si è trattato di un’ingenuità è comunque grave, come altrettanto è grave, se l’potesi di un semplice errore fosse fondata, non aver chiesto scusa per la leggerezza commessa in buona fede. Aspetto ancor più grave se si considera che tra sponsorship, presenza sui social e campagne adv sia stampa che TV, il brand realizza investimenti significativi che, per stare alle “battute da social”, certamente escludono la possibilità che il brand sia servito da dilettanti della comunicazione d’impresa.
Insomma, a mio avviso, è difficile credere che si sia trattato di casualità e di ingenuità nella scelta dell’immagine e del relativo trattamento. Come, correttamente, osserva Luca Poma «[…] il mancato preventivo coordinamento tra marketing/pubblicità [troppo frequentemente auto-referenziali e impreparati sul tema crisis] e l’area di risk analisis e reputation. Ci sono certamente delle non conformità sotto il profilo dei flussi interni, senza contare che qualunque reputation manager un minimo preparato [ma proprio un minimo…] avrebbe bloccato quella pubblicità dopo avergli dato un’occhiata anche solo distratta».
Una cosa è certa, si tratta dell’ennesima conferma, che quando il brand prende posizione vince, perché le persone si attendono sempre più sensibilità ed attenzione su i temi legati ai diritti civili, mentre quando prova, come appare il caso, a fare “acchiappa tutto”, sbaglia, e ne paga le conseguenze.

 
La fonte dei dati elaborati nelle due infografiche sopra riportate è Talkwalker con cui DataMediaHub ha una partnership per l’ascolto della Rete. Questa e le molte altre analisi prodotte sono, anche, delle “demo” di una parte di quello che potremmo fare per il vostro brand, la vostra organizzazione. Se d’interesse contattateci attraverso l’apposito modulo. Grazie.
Read more: http://www.datamediahub.it/2018/10/22/analisi-delle-conversazioni-online-relativamente-ad-uliveto/#ixzz5VoBDoR1y
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Amazon, l’algoritmo gestisce il lavoro: proiettori per smistare merci e gilet coi sensori anche in Italia

Visita a uno dei centri distributivi più evoluti del colosso americano. Brady: «Abbiamo messo a punto un gilet attrezzato con sensori che, una volta indossato, fa sì che gli scaffali si muovano tenendo una distanza di sicurezza dal lavoratore»

Il custode dell’algoritmo si chiama Tye Brady, 49 anni e per 15 ha lavorato allo sviluppo di razzi spaziali autoguidati. Dal 2015 in Amazon, Brady si adopera per accrescere la prima ricchezza del colosso dell’e-commerce: l’algoritmo che permette di perfezionare lo smistamento delle merci. In Italia il gruppo di Jeff Bezos — 750 miliardi di euro di capitalizzazione, l’intera Borsa italiana ne cuba 700 — fece discutere quando si parlò di un braccialetto che avrebbe potuto guidare i dipendenti con le sue vibrazioni. Ora il braccialetto è superato. Una nuova tecnologia presto potrebbe arrivare anche in Italia.
«Le merci vengono scannerizzate e riposte negli scaffali. La novità è che, dopo la scannerizzazione, un proiettore segnalerà con una luce rossa i vani dove l’articolo non deve essere messo. Una telecamera registrerà lo smistamento e segnalerà eventuali disposizioni errate per poter intervenire successivamente».

Quando arriverà in Italia? E dove? Nel nostro Paese l’uso delle telecamere nei luoghi di lavoro ha bisogno di un’autorizzazione… «Questa tecnologia potrà essere implementata nei centri dotati di tecnologia automatizzata di Passo Corese (Rieti) e in quello che aprirà l’anno prossimo a Torrazza, in Piemonte. In ogni caso non prima di avere ottenuto le autorizzazioni necessarie»

Quando diventerà economicamente vantaggioso affidare anche il lavoro di stoccaggio ai robot? «I robot non sono in concorrenza con l’uomo. Anche la lavatrice o la lavastoviglie sono robot. Ma non hanno eliminato il lavoro casalingo».

Le macchine dettano i ritmi del lavoro. Il sindacato in Italia vorrebbe “contrattare” l’algoritmo. Voi cosa rispondete? «Noi siamo concentrati sul fornire il miglior servizio al consumatore. E per ottenere questo è necessario avere collaboratori motivati e soddisfatti. Il nostri dipendenti contribuiscono a migliorare il servizio con le loro proposte. I dati che accumuliamo sul lavoro non ci servono ad altro che a soddisfare i clienti e a generare ricchezza».

L’algoritmo è costantemente implementato? «Sì certo. Ma con delle pause. Nelle fasi di picco con Natale e Black friday, no».

A che cosa sta lavorando ora? Quale è il suo più urgente obiettivo? «Sviluppare collaborazioni con le università. Comunque c’è anche un’altra tecnologia che a breve diventerà operativa».

Di che si tratta? «Come vede nei nostri centri più evoluti come questo di Baltimora (in Italia Rieti, ndr) non è il lavoratore a cercare gli articoli da preparare. Sono gli scaffali ad andare da lui. Abbiamo messo a punto un gilet attrezzato con sensori che, una volta indossato, fa sì che gli scaffali si muovano tenendo una distanza di sicurezza dal lavoratore».

Le tecnologie sviluppate qui devono essere adattatate ai centro logistici europei? «Si. Per questo abbiamo staff di ingegneri in Europa».

Come vede il futuro del lavoro? «Una sinfonia di uomini e macchine che lavorano assieme. Ma il futuro è già qui».